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attribuire tale impossibilità ai processi interni ai sistemi di input; pretenderlo, sarebbe come voler spostare gli oggetti col pensiero. In ogni caso, tale vincolo può essere perfettamente attribuibile a sistemi neurali complessi che integrano input prossimali in modo non lineare12 al fine di generare strutture gestaltiche discrete (come la lettera A), senza che per questo debbano entrare nel merito meccanismi incapsulati.

 Inacessibilità dei livelli bassi di analisi computazionale.

Benché livelli intermedi di computazione degli input siano ipoteticamente plausibili, Fodor sostiene che solo le caratteristiche salienti delle cause distali siano quelle cui possiamo accedere introspettivamente. Tale ipotesi è compatibile, inoltre, con l‘osservazione che le risorse attentive sono limitate. In questo caso si manifesta molta della ignoranza relativa ai possibili meccanismi che operano nei sistemi centrali, perché Fodor si esprime in termini psicologici (classici) assumendo che tali sistemi hanno una capacità limitata di prestare attenzione alle informazioni in arrivo – il che farebbe implicitamente pensare che l‘attenzione prestata agli oggetti della percezione sia un genere di facoltà orizzontale, capace cioè di operare sulle diverse categorie informative benché Fodor si guardi bene dall‘argomentare circa le proprietà meccaniche di una qualunque facoltà orizzontale propria dei sistemi centrali.

 Incapsulamento

concepire qualcosa come una proposizione senza che la si sia compresa. Se qualcuno dice qualcosa in una lingua a noi nota, noi sentiamo e – allo stesso tempo – comprendiamo ciò che dice. D‘altra parte, se un cinese dicesse qualcosa nella sua lingua, sarebbe per noi – essendone ignoranti – impossibile stabilire se ciò che dice è una frase o un insensato aggregato di suoni del tipo ―berghe nod garfagiona de pingorla‖. In tal senso, sostenere che noi non possiamo udire una frase come un rumore è ambiguo, soprattutto se stiamo affermando che esistono processi di input informazionalmente incapsulati e immuni al significato. Come questo possa essere un argomento per la modularità non è affatto chiaro.

12

In merito si possono prendere in considerazione i recenti studi di psicofisica di Pelli e del suo gruppo di ricerca: Pelli D. G., Burns C. W., Farrell B. e Moore-Page D. C., Feature

detection and letter identification, Vision Research, n. 46, 2006, pp. 4646-4674; Pelli D. G.,

Majaj N. J., Raizman N., Christian C. J., Kim E. e Palomares M. C., Grouping in object

recognition: The role of a Gestalt law in letter identification, Cognitive Neuropsychology, n.

Questa è la caratteristica principale identificata da Fodor per i sistemi di input. I moduli, afferma, devono essere informativamente incapsulati. A prova di ciò, Fodor passa in rassegna alcuni dati forti della letteratura psicologica. In primo luogo considera l‘effetto della reintegrazione del fonema, su parole registrate e alterate come ―legislatura‖13

. Il risultato sembra chiaro: «Non è difficile immaginare come si possa ottenere un feedback di questo tipo. Probabilmente, quando lo stimolo è rumoroso, viene effettuata una ricerca nel lessico mentale del soggetto per ottenere quel che «corrisponde meglio» comunque alla parte del contenuto fonetico di quel che si è sentito, e che è stato identificato con certezza. Di fatto14, la ricerca nel lessico si svolge sulla base di un‘istruzione di questo tipo: «trova una voce lunga dieci fonemi circa, in cui la sequenza fonetica iniziale è /legi/ e quella finale è /latura/». La risposta costituisce l‘analisi lessicale che porta ad udire così l‘input»15

.

Che sia questo il meccanismo soggiacente all‘effetto di reintegrazione è piuttosto problematico. Si prenda come controesempio il termine ―albergatore‖ e la nomenclatura ―albergo a ore‖. Si sottoponga una persona al medesimo test, opportunamente preparato, di modo che non sia possibile discernere tra la parola e la famigerata categoria di alberghi. Avremo, cioè: alb-rg-a-ore. Non esiste alcun modo di sapere quale sia la parola integrata meglio

corrispondente, perché ce ne sono molte e alcune di queste non sono parole ma

sintagmi composti di più parole. In altri termini, la reintegrazione non è un effetto meccanico ma inferenziale – non riguarda cioè i moduli, bensì i sistemi centrali.

Comunque sia, Fodor impiega dati del genere ed altri, come l‘illusione di Muller-Lyer, per dimostrare che i meccanismi di input sono immuni alle analisi intenzionali dall‘alto. L‘illusione di Muller-Lyer persiste anche se sappiamo che non v‘è nessun triangolo: «È difficile trovare, dice Fodor, un‘alternativa alla spiegazione secondo cui almeno alcune delle informazioni

13

Jerry A. Fodor, La mente modulare, il Mulino, 1999, p. 107.

14

Corsivo mio. Quel che segue chiarisce i motivi per cui è difficile parlare di ―fatti‖.

15

generali a disposizione del soggetto sono inaccessibili per almeno parte dei suoi meccanismi percettivi»16.

Che non vi siano altre spiegazioni è piuttosto dubbio – l‘illusione di Muller- Lyer potrebbe essere l‘effetto di condizioni al contorno dell‘attivazione della corteccia visiva secondaria che non opera linearmente, come hanno dimostrato alcuni recenti studi17 –, ma una cosa è chiara: pretendere che i processi di attenzione selettiva operino di modo da annullare gli effetti di un‘illusione è come chiedere di spostare gli oggetti con la sola forza del pensiero.

 Architettura neurale fissa

Fodor sostiene che i sistemi di input hanno delle «caratteristiche architettoniche neurali fisse»18; in altre parole, un sistema di input può essere empiricamente localizzato mediante gli studi sul cervello benché, dice Fodor, tale individuazione debba comprendere una struttura neurale piuttosto estesa – probabilmente ha in mente il modello Wernicke-Geschwind – che risponda alle attese della chiave di lettura preferenziale ai sistemi di input da lui proposta, ovvero l‘incapsulamento informazionale.19

Tale caratteristica sarebbe evidenziabile con il rilevamento di vie informative preferenziali, più rapide ed economiche20. Su questo punto Fodor è poco chiaro, non presenta cioè particolari letterature scientifiche, ma conclude che: «troviamo che vi sono delle strutture neurologiche associate ai sistemi percettivi e al linguaggio. Quale che sia l‘interpretazione corretta di questo dato, esso ci fornisce comunque un altro buon motivo per ritenere che i sistemi di input costituiscano una categoria naturale»21. Poco importa però, dal momento che un‘ampia letteratura scientifica contrasta notoriamente con il modello localizzazionista che ben si sposa con la concezione modularista. In particolar modo, possiamo

16

Ivi, p.109.

17

Martelli M., Majaj N. J. e Pelli D. G., Are faces processed like words? A diagnostic test for

recognition by parts, Journal of Vision, n. 5, 2005, pp. 58-70; Pelli D. G., Palomares M. e

Majaj N. J., Crowding is unlike masking: Distinguishing feature integration from detection, Journal of Vision, n. 4, 2004, pp. 1136-1169.

18

Jerry A. Fodor, La mente modulare, il Mulino, 1999, p. 152 e seg.

19

Ivi, pp. 152-153.

20

Vediamo che Lieberman, ad esempio, pone all‘attenzione degli studiosi il fatto che vie preferenziali del genere non esistono (cap. 5).

21

considerare gli studi di McGlone, Jaeger, Kansaku, Yamaura e Kitazawa22, solo per citarne alcuni. Questi studi, in particolare, mostrano come la lateralizzazione funzionale sia del tutto statistica e più presente negli uomini che non nelle donne, le quali fanno uso di entrambi gli emisferi in modo piuttosto equilibrato. Se la tesi di Fodor (e presumibilmente di Chomsky) è che un organo del linguaggio ha un‘architettura neurale fissa per ragioni evolutive, tale tesi è falsificata: non esiste qualcosa come un‘architettura neurale fissa e informativamente isolata associabile alla facoltà del linguaggio. Esistono, viceversa, molte regioni relativamente attive per categorie linguistiche più specifiche: nomi di persona, nomi di specie animali ecc., legate però da analogia funzionale più specifica, e soggette a forme di afasia altrettanto specifiche: anomia, afasia di Broca, afasia di Wernicke, afasia semantica ecc. Ma nemmeno queste categorie sono localizzate in un‘architettura neurale fissa tout court, bensì solo statisticamente23. Queste forme di afasia non compromettono il linguaggio tout court, ma solo alcune sue funzionalità. È chiaro, quindi, che se esistesse qualcosa come una facoltà con sede fissa che opera come un meccanismo unitario, non potrebbe esistere se non un‘unica tipologia di afasia compromettente la capacità di comunicare in toto. Perché? Il motivo è facilmente intuibile. Prendete un meccanismo attivo per una funzione specifica, come l‘orologio. Buttateci dentro, in un punto qualunque, un corpo estraneo ed esso smetterà di funzionare del tutto.

1.3. Modularismo e linguaggio.

Come opera il modulo del linguaggio? In buona sostanza, quando parliamo di un meccanismo di input, parliamo di un filtro che ignora il rumore di fondo causato dagli stimoli ambientali complessi. Fodor è sostenitore dell‘idea che la

22

McGlone J., Sex differences in the cerebral organization of verbal functions in patients

with unilateral brain lesions, Brain, n. 100, 1997, pp. 775-793; McGlone J., Sex differences in human brain asymmetry: A critical survey, Behavioral and Brain Sciences, n. 3, pp. 215-263;

Jaeger J. J., Lockwood A. H., Van Valin R. D., Kemmerer D. L., Murphy B. W. e Wack D. S., Sex differences in brain regions activated by grammatical and reading tasks, Neuro Report, n. 9, 1998, pp. 2803-2807; Kansaku K., Yamaura A. e Kitazawa S., Sex differences in

lateralization revealed in the posterior language areas, Cerebral Cortex, n. 10, 2000, pp. 866-

872.

23

John P.J. Pinel, Psicobiologia, il Mulino, 2007. Si consideri in particolare la ricostruzione sull‘evoluzione del modello Wernicke-Geschwind, cap. 14.

sintassi del linguaggio abbia una forma logica e che tale forma logica è ciò che attiva ―il lettore di simboli formali‖, ovvero il meccanismo che computa sulla forma logica dello stimolo e che invia in output il corrispettivo formale (la sua rappresentazione logica) ai processi centrali. In tal senso si può dire che un modulo sia come il lettore di simboli di Turing, presupponendo che gli stimoli prossimali in arrivo dai trasduttori abbiano una componente formale, un simbolo che il lettore sia in grado di identificare e computare in una sequenza lineare. Secondo la prima tra le caratteristiche dei moduli elencate, lo stimolo uditivo in ingresso deve avere proprietà tali che il corrispondente sistema di input sia in grado di computarne gli aspetti formali salienti. La salienza, in altre parole, non è solo una proprietà degli oggetti considerati come interi, è anche una proprietà di qualunque cosa sia un oggetto logico in grado di attivare i sistemi di input e che i sistemi di input siano in grado di ―leggere‖. Un aspetto caratteristico delle teorie cognitiviste modulari è l‘impiego della nozione di istruzione, parente prossima del concetto di serie simbolica, o logica. Dal momento che tutte queste teorie condividono una forte predilezione per la sintassi, cioè per le forme e le loro relazioni leggiformi, risulta davvero problematico concepire che cosa possano avere in comune le forme logiche di uno stimolo visivo e le forme logiche di uno stimolo uditivo. È, in altri termini, un‘operazione di riduzionismo forte, che però spesso passa inosservata. Tra l‘altro, anche in termini prettamente linguistici, volendo provare a definire il rapporto tra stimoli (superficiali come lo sono le proposizioni del linguaggio naturale) e le corrispondenti forme profonde (sintassi profonda nel linguaggio di Chomsky, o mentalese) le uniche trasformazioni intellegibili sono quelle che traducono (date certe leggi generali) un vocabolario in un altro. Basti, come esempio, osservare le rappresentazioni profonde degli enunciati di superficie per comprendere che le prime sono semplicemente – in un senso piuttosto arbitrario – corrispettive analizzate delle seconde. L‘espediente di Fodor si limita, da quel che è possibile leggere nei suoi testi, ad osservare che i sistemi di input sono specifici per categorie ontologiche; ma come tali categorie

possano essere ridotte a rappresentazioni logiche rimane sostanzialmente un problema non risolto e, forse, nemmeno considerato.

1.4. Nativismo.

Il nativismo è l‘idea secondo cui noi nasciamo con una quantità – specificabile secondo Fodor – di concetti che ci danno una conoscenza coerente del mondo. La possibilità che questo insieme di concetti sia coerente con la realtà (cioè, che ne sia una buona rappresentazione/interpretazione) deriva da un‘idea darwiniana: i concetti innati devono svolgere bene il proprio ruolo in virtù del fatto che il loro possesso è il risultato di adattamento per selezione naturale. In altre parole, è ―adattivamente auspicabile‖ nascere essendo in possesso dei concetti rappresentanti l‘ambiente esterno, o per lo meno di un meccanismo che sia in grado di generare i concetti corrispondenti a tutte le stimolazioni prossimali causate da oggetti esterni. Se si propende per la prima interpretazione del nativismo, allora si è sostenitori del nativismo alla Putnam. Viceversa, nel secondo caso, si propenderà per una versione apparentemente meno rigida del nativismo. Nel tentativo di dare tono a tale teoria, Chomsky, criticando la versione forte di Putnam, ha abbracciato la lettura per cui i concetti innati sono prodotti con un meccanismo analogo a quello del sistema immunitario24, e in tal senso concorda con un altro cognitivista come Massimo Piattelli-Palmarini25. Fodor tuttavia propende per la versione forte del nativismo, alla Putnam. Ne consegue che, se l‘ipotesi è vera, allora esistono qualcosa come cinquantamila concetti innati, che si attivano tutte le volte che entriamo in contatto causale con uno stimolo che corrisponde ad un certo simbolo. I sistemi di input, come abbiamo visto, hanno la caratteristica di non entrare nel merito del contenuto di uno stimolo, bensì solo ed esclusivamente della sua forma logica. Ne consegue che il tipo di interazione sufficiente per attivare uno dei concetti innati sarà quella che verrà a determinarsi

24

Noam Chomsky, Nuovi orizzonti nello studio del linguaggio e della mente, Denis Delfitto e Giorgio Graffi (a cura di), il Saggiatore S.p.A., Milano, 2005.

25

Massimo Piattelli-Palmarini, The rise of selective theories: A case study and some lessons

from immunology, in W. Demopoulos e A. Marras (a cura di), Language learning and concept acquisition, Nordwood (NJ), Ablex, 1986.

storicamente nell‘interazione tra individuo e ambiente. Qualora, incidentalmente, l‘organismo entri in contatto con lo stimolo chiamato comunemente ―carburatore‖, la nostra possibilità di comprenderlo si baserà sul possesso del corrispondente concetto innato, non riducibile ad altri concetti. L‘atomismo concettuale che Fodor condivide con Putnam26

presenta però grossi problemi. Ad esempio, è sufficiente che un individuo entri in contatto con lo stimolo uditivo corrispondente al concetto di ―carburatore‖ perché ne comprenda il significato? Supporre che il nucleo significativo del termine

carburatore sia essenzialmente legato alla sua funzione fa propendere per un

deciso sì, ma è del tutto improbabile che il termine carburatore sia portatore del concetto dell‘uso del corrispondente oggetto reale – chiunque non abbia nozioni di meccanica ne sa qualcosa. Se anche la forma logica corrispondente al termine avesse poteri causali rispetto ai sistemi centrali, non ne consegue che perciò stesso si sia consci di che cosa sia un carburatore. In caso contrario avremmo il dono di sapere ogni cosa. La proposta meno forte di Chomsky e Palmarini presenta altri problemi che non è possibile discutere.27

1.5. Rapporto tra nativismo e memoria.

Se uno nasce con 50.000 concetti innati, ha bisogno di memorizzare qualcosa? Se poi v‘è un meccanismo di ricorsione ad operare su tali concetti (atomi), la memoria è ancora un concetto fondamentale? Se un individuo nasce con tutti questi concetti, deve anche ricordarli tutti? Essendo innati, essi non richiedono memoria. Se sono i veri atomi del mentalese, in quanto rappresentazioni di stimoli prossimali, essi costituiscono le forme del pensiero nella misura in cui la loro composizione mediante un meccanismo di ricorsione fornisce tutte le strutture proposizionali possibili, cioè tutti i pensieri. Gli universali sono istruzioni presenti nel meccanismo, come accade per il lettore ottico di Turing28, sono le leggi generali (o aspirano ad esserlo) di formazione dei

26

Ovviamente Putnam ha cambiato idea al riguardo.

27

Si consideri, in merito, la critica di Pinker al nativismo: Steven Pinker, Fatti di parole: La

natura umana svelata dal linguaggio, Mondadori, 2009.

28

Benché, ovviamente, nel caso della macchina universale, i parametri sono istruzioni fornite alla macchina.

pensieri (che, ricordiamolo, sono strutture proposizionali di qualche tipo). Ha ragione quindi Fodor, quando sostiene che il nativismo di Chomsky è più forte del suo innatismo. Se Chomsky sostiene la tesi della povertà dello stimolo, è portato naturalmente a condividere l‘idea dei concetti innati, perché il meccanismo di formazione delle proposizioni possibili (infinite secondo Chomsky) non è sufficiente a fornire un linguaggio – ci vogliono i suoi elementi, le parole29, nonché i principi che regolino la loro unione in strutture sintattiche. Le parole, nessun linguista lo negherebbe30, sono le unità linguistiche minime dotate di significato. Perciò è facile concludere che un meccanismo computazionale che operi secondo certi principi, avrà come parametro fondamentale quello di distinguere gli stimoli corrispondenti alle unità di significato minime, più altri parametri legati alle unità attivanti minime – cioè i fonemi. Né Fodor né Chomsky possono sottrarsi alla tesi nativista una volta che abbiano abbracciato l‘idea che gli stimoli prossimali siano insufficienti a caratterizzare i significati delle parole. La negazione della memoria non deve apparire in alcun modo sorprendente ad un nativista. Se l‘unico scopo degli stimoli prossimali è attivare meccanismi che computano sulla loro forma e attivano il corrispondente concetto innato o rappresentazione, è chiaro che non v‘è nessun ruolo per l‘apprendimento nel senso classico (diciamo classico nel senso del modello di ―apprendimento per riempimento del contenitore‖). Non v‘è apprendimento nella misura in cui non v‘è apprensione, cioè modificazione e rafforzamento delle connessioni sinaptiche in reti che si rafforzano o indeboliscono al manifestarsi o meno degli stimoli, conformemente ai principi del connessionismo. Il filosofo Peter Carruthers evidenzia questa interpretazione del concetto di memoria, parlando di tanti sistemi di memorizzazione quanti sono i moduli. Fornendo un modello

29

Le I-parole della I-grammatica, ovvero i termini intensionali della grammatica intensionale nel linguaggio di Chomsky. Si veda in proposito: Noam Chomsky, Nuovi orizzonti nello

studio del linguaggio e della mente, Denis Delfitto e Giorgio Graffi (a cura di), il Saggiatore,

2005.

30

Tranne coloro che ritengono che sia impossibile dare una definizione di parola e che questo sia epistemologicamente problematico: Andrea Moro, The Boundaries of Babel, The MIT Press, 2008.

dei sistemi di memoria, Carruthers afferma che: «there are two sorts of system within which the information produced by a given processing module is likely to be utilized thereafter. One is in the operations of that module itself. And the other is within the downstream modules to which the processing module in question normally passes its output. Since these downstream modules are likely to be as close to the source module as the constraints on overall organization permit […], one might then predict that information produced by a given module should be stored within it or immediately adjacent to it, and that the other modules that need to make use of that information should do so by querying the module that produced it. This would make for the most efficient and frugal organization overall. Consistent with this idea, I believe

that some of the distinctions amongst kinds of memory that are most commonly drawn by cognitive scientists are best understood in terms of the principle that information should be stored where it is produced»31. Questo è, a tutti gli effetti, un modello innatista della memoria, secondo il quale se l‘informazione viene prodotta (o recuperata, essendo innata) all‘interno dei moduli, allora in essi dovrebbe essere conservata. Non esiste una reale dipendenza – dagli stimoli – dei concetti formati, recuperati o conservati.

1.6. I processi centrali.

A differenza dei sistemi di input, Fodor sostiene che i processi centrali – quelli legati alla coscienza di sé e dell‘ambiente-mondo – non abbiano caratteristiche modulari. Così, dice Fodor: «Anche se i sistemi di input hanno una specificità di dominio, devono esserci dei meccanismi cognitivi che tale specificità non hanno», e aggiunge: «Nella sua forma più generale, questo ragionamento risale almeno ad Aristotele»32. Il perché i processi centrali non siano modulari è semplice: i processi centrali sono caratterizzati da processi abduttivi. Ma nessuno sa cosa sia l‘abduzione, dunque nessuno può caratterizzare la

31

Peter Carruthers, The Architecture of the Mind, Oxford University Press, pp. 120-121, corsivo mio. La lettura innatista è data, ovviamente, dal fatto che l‘informazione viene prodotta dai moduli, non recepita dall‘esterno e quindi immagazzinata, qualunque cosa ciò voglia dire.

32

coscienza riducendola a moduli separati. Qui la tesi cartesiana si fa più esplicita. Fodor nega che la coscienza sia modulare perché ha caratteristiche di tipo olistico che non si conciliano con la dottrina meccanicistica da lui proposta – in questo Chomsky e Fodor differiscono quanto all‘interpretazione

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