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forza nel corso del XIX secolo, incrociano le scoperte e le richieste di autono- mia della “scienza del vivente”: quella che diventerà la prossima biologia4.

Lo scopo di queste pagine è di ripercorrere le scelte e le posizioni hege- liane all’interno della Fenomenologia riguardo alla struttura e alla realtà del concetto dell’organismo vivente, interpretate, come vedremo, sotto una ca- tegoria finalistica o teleologica. In questo modo tracceremo un percorso che passa attraverso le posizioni di Kant e di Leibniz in merito, non dimenticando Descartes come il rappresentante di quel metodo meccanicistico che soppri- meva il finalismo tra i principi della natura.5 Cercheremo così di analizzare

alcuni dei temi fondamentali che riguardano la scienza del vivente, presenti nella filosofia hegeliana fin dal periodo di Jena. Su uno sfondo più ampio, che sarà però qui impossibile analizzare estesamente, ciò che interessa in Hegel è l’aspetto «vitale» che caratterizza il concetto sin dai primi tentativi di siste- matizzazione del periodo giovanile6. Ciò costituisce quella relazione bilaterale

che da un lato vede la formulazione filosofica del concetto di organismo e dall’altro la formulazione “vitale” (si potrebbe azzardare biologica o organica) del concetto hegeliano. L’attenzione sarà dunque focalizzata sulla tradizione filosofica prossima a quella hegeliana, vera base delle riflessioni del filosofo di Stoccarda circa una teoria del vivente e il suo significato all’interno di un sistema delle scienze.

Il modello meccanicistico o meccanico, che, come si notava poc’anzi, si fa risalire tradizionalmente a Descartes, a Hobbes e ad altri, in linea con una fisica dei corpi fondata su moto e materia (estensione), costituiva la premessa secolare di tentativi interpretativi del vivente. In questo modo, ciò che distin-

4 È impossibile ricostruire in questa sede gli sviluppi che hanno condotto la filosofia (hegeliana e non solo) al

confronto con la nuova scienza del vivente, nella sua pretesa d’autonomia, durante gli stessi anni che vedono un marcato interesse da parte di Hegel con la ricerca scientifica a lui contemporanea. In merito ci limitiamo a rin- viare all’intero volume AA VV, Hegel and the Sciences, curato da R. S. Cohen e M. W. Wartofsky, Boston-London 1984; per alcune fondamentali indicazioni sulla biologia in Hegel si rimanda in part. a J.N. Findlay, The Hegelian Treatment of Biology and Life, in ivi, cit., pp. 87-100.

5 L’indagine del rapporto tra Leibniz, Kant, Hegel e Descartes in relazione alla critica del metodo meccanicistico

meriterebbe uno studio molto più ampio. Limitandoci alle prime critiche al meccanicismo condotte attraverso il tentativo di una teorizzazione de vivente, tra l’immenso materiale bibliografico disponibile su questo argomento, si rimanda in particolare a AA VV, Macchine e vita nel XVII e XVIII secolo, a cura di F. Bonicalzi, introd. di G. Belgioioso, Le Monnier Università, Firenze 2006.

6 Cfr. L. Illetterati, Natura e Ragione, cit., pp. 27-35, 145-147. L’ampiezza di questa caratterizzazione particolare

del concetto si staglia sullo sfondo del nostro tema. In Hegel, come per Kant, essa rende evidente ciò che sarà più oltre analizzato: le riflessioni sul vivente sono soltanto un lato o un momento dell’argomentazione critica sul concetto di finalità e di teleologia che, tuttavia, proprio dall’organico riceve una spinta irrefrenabile e una pretesa che non può essere trascurata.

gue un fiore da una roccia, o il principio vitale del corpo, non è distante dai fenomeni misurabili della fisica dei corpi morti, come la forza di attrazione o repulsione della materia, escludendo così dal computo dei partecipanti alle cause o alla composizione tipica del vivente ogni «forza immateriale» presen- te nella materia. Escludendo forze estranee al mondo fisico, anche la finalità dell’organismo nel suo complesso era interpretata sulla base della concezione dei prodotti artificiali, macchine formate da parti o complessi di strutture or- ganizzate per compiere un lavoro preciso e regolare7. Una scienza dell’organi-

co schiacciata sulla scienza dell’inorganico, del morto, dell’inerte, del passivo, del corpo fisico senza vita: così appariva ai primi critici del meccanicismo la “biologia”8 nata nel XVII secolo.

Il momento di critica del meccanicismo ebbe conseguenze ben più pro- fonde della divisione tra studio dell’inorganico da una parte, e studio dell’or- ganico dall’altra. Non si può, dunque, ricostruire quella crisi come l’apertura forzata di una seconda via per la nascente biologia; le considerazioni sulla necessità di un metodo unico d’interpretazione della realtà ebbero, invece, effetti tanto in fisica quanto in metafisica.

Seguendo, dunque, le posizioni di Hegel a riguardo – che ricostruiremo ol- tre in queste pagine come punto finale delle nostre considerazioni sul tema –, il primo attento e fecondo critico del modello di spiegazione meccanicistico della realtà (organica e inorganica) fu Leibniz.

Consapevole e lucido, soggetto di un pensiero in costante movimento e sviluppo, spesso tortuoso e mai realmente compiuto in tutti i suoi progetti e propositi, Leibniz ebbe per Descartes e i cartesiani9 critiche mai paghe, che

hanno costituito, per lui come per altri, l’ossatura negativa o critica, prima accettata, poi integrata, della sua filosofia. In particolare, Leibniz cerca di in- tegrare, proprio nella sua visione dei fenomeni naturali, la spiegazione mecca- nicistica della natura con premesse metafisiche esplicite – principio di finalità, di identità degli indiscernibili, di continuità, etc. –, come principi necessari che permettono, poi, una spiegazione attraverso le cause efficienti e il metodo

7 Oltre al testo citato nella nota precedente, si veda P. Rossi, I filosofi e le macchine (1400-1700), Feltrinelli, Milano

1962.

8 Il virgolettato si ritiene qui necessario per non confondere quella scienza del vivente in ascesa, sin dal XVI fino

al XVIII secolo, con la scienza autonoma, la vera e propria biologia, che va prendendo forma non prima del vol- gere del XIX secolo. Su questa distinzione, per quanto riguarda Leibniz, si veda J. E. H. Smith, Divine Machines: Leibniz and the Sciences of Life, Princeton University Press, Princeton 2011, p. 18-21.

9 In merito agli innumerevoli scambi epistolari intessuti da Leibniz durante la sua vita, si veda il volume AA VV,

geometrico. Le cause efficienti da sole non sarebbero sufficienti a spiegare i principi dei fenomeni del moto; ad esse vanno aggiunti i principi metafisici governati da cause finali.

Nei suoi più vari sviluppi la filosofia leibniziana tiene ferma una posi- zione, o una considerazione d’importanza, verso il concetto di «forza»10.

Proprio la forza, al centro dell’analisi fisica dei corpi, permette di intrecciare più piani teorici: dalla legge del moto alla considerazione degli urti dei cor- pi, verso una «forza viva»11, cioè da una materia inerte ad una forza attiva

che è contenuta in tutte le cose, anche in quelle considerate inanimate. Non è difficile vedere in una filosofia del genere, che ribaltando il “morto mec- canicismo” porta in sé il segno del suo rifiuto, le basi per una visione della natura come «piena di vita» dove questa, nel suo significato più elementare e profondo, costituirebbe la premessa per spiegare o rendere ammissibili, in un preciso ordine razionale, tanto i misteri della metafisica e della mo- rale, quanto quelli visibili della fisica e della meccanica. Questa apparente doppia via, quella delle cause efficienti della meccanica e quella delle cause finali della metafisica, vede in realtà le prime fondate o ordinate in relazione alle seconde, in modo tale da produrre effetti in linea con fini determinati. L’uso esclusivo delle cause finali, però, porterebbe ad un giudizio affrettato e parziale, dovuto soprattutto ai limiti di intelligibilità (da parte del sogget- to) delle ragioni ultime che governano quelle cause. Ciò corrisponde, nella scienza del vivente, al tentativo di Leibniz di congiungere il modello mec-

10 Si vedano i fondamentali contributi di M. Fichant, Leibniz: Pensées sur l’instauration d’une physique nouvelle

(1679), in Philosophie, 39-40, pp. 3-26 ; Id, Mécanisme et Métaphysique: le rétablissement des formes substantielles (1679), ivi, pp. 27-59; Id, Leibniz et les machines de la nature, in «Studia Leibnitiana», 35, 2003, pp. 1-28 (trad. it. in, Macchine e vita nel XVII e XVIII secolo, cit., pp. 59-90); Id, Introduction: Invention métaphysique, in G W. Leibniz, Discours de métaphysique suivi de Monadologie et autres textes, Gallimard, Paris 2004, pp. 7-140; Id, Introduction, in G. W. Leibniz, La réforme de la dynamique, De corporum concursu (1678) et autres textes inédits, Vrin, Paris 1994, pp. 9-65 e F. Duschesneau, Le dynamique de Leibniz, Vrin, Paris 1994.

11 Fin dal De corporum concursu del 1678 alla Brevis demonstratio erroris memorabilis Cartesii Leibniz critica il

principio di conservazione della quantità di movimento di Descartes, misurato qui con il prodotto di mv, sosti- tuendolo con il prodotto di mv2, dove il quadrato della velocità permette l’assolutizzazione del valore, rendendo

superflua l’indicazione della direzione. Il secondo principio corrisponde alla conservazione della forza motrice. Questa distinzione, apparentemente limitata ad un ambito tecnico, è alla base della dinamica leibniziana; questa è la parte della scienza naturale che studia i principi metafisici richiesti per indagare successivamente i fenomeni del moto (Fisica). Ciò, come è evidente, ha implicazioni enormi nella considerazione e nello studio dell’organismo vivente come “oggetto” o fenomeno dell’ambito fisico. Cfr. F. Duschesneau, Les modèles du vivant de Descartes à Leibniz, Vrin, Paris 1998, in part. pp. 316-7. Per ulteriori sviluppi si veda ivi, pp. 320 ssg; F. Duchesneau, Leibniz, le vivant et l’organisme, Vrin Paris 2010; A.-M. Nunziante, Organismo come armonia, La genesi del concetto di organismo vivente in G.W. Leibniz, Quaderni di Verifiche, Trento 2002.

canicistico del vivente rappresentato dalla coppia struttura-funzione con il modello teleologico funzione-struttura12.

Sullo sfondo di queste considerazioni, il concetto di organismo elaborato da Leibniz riveste un ruolo chiave per la storia della filosofia a lui successi- va. Egli rappresenterà il punto di congiunzione, in materia di filosofia della natura, tra la scolastica, che aveva Aristotele come punto di riferimento, e i «novatori», la filosofia dei cartesiani di orientamento meccanicistico. In que- sto contesto, Leibniz conserva gli aspetti formali per spiegare la composizione della realtà materiale, le forme sostanziali e quelli che diverranno i principi formali delle monadi, tentando di tenere distinti l’aspetto fisico della materia e del corpo da quello “psicologico” o mentale dell’anima, basato sulla dinamica delle percezioni, appetizioni e appercezioni delle monadi.

L’impiego da parte di Leibniz del termine «organismo» non è in linea con il suo significato corrente: con ciò egli intende generalmente un corpo “orga- nico” diviso in parti o organi, che possiede un’organizzazione interna13. Il ca-

rattere vitale che oggi gli si attribuisce è solo secondario, ma in qualche modo implicito nella capacità di darsi una qualche struttura definita. Se l’organismo, inteso come singolo e intero individuo vivente, è formato dall’unione di un’a- nima e di un corpo, principio formale e materiale, ne consegue che il tentativo è di fondare una realtà dell’individuo divisa tra causalità dello spirituale, la finale o teleologica, e causalità materiale, l’efficiente o meccanico-geometrica. I due regni «non si parlano» (come le monadi tra loro nel famoso adagio;

12 Sullo sfondo dell’accordo tra le cause finali e quelle efficienti, tra il regno dell’anima e quello della natura e dei

corpi fisici c’è la teoria dell’armonia prestabilita tra tutte le sostanze. Ciò richiede che tutti i concetti completi degli individui siano pensati dall’intelletto divino prima della Creazione; come è noto, le sostanze, con il concetto completo che ad ognuna è proprio, arrivano all’esistenza attuale se rientrano nel piano divino della creazione del migliore dei mondi possibili, secondo il decreto divino analogo. Per un approfondimento su questo tema, si veda F. Duschesneau, Les modèles du vivant de Descartes à Leibniz, cit., p. 317.

13 Questa definizione segue necessariamente dalle oscillazioni che si osservano nelle varie elaborazioni della teo-

ria della sostanza corporea durante l’ultima parte del pensiero leibniziano. Ciò che spesso si ritrova nei testi leibni- ziani è l’utilizzo del termine “organico” inteso come aggettivo o come nome neutro, a caratterizzare una qualità specifica di un soggetto o termine della relazione che si instaura all’interno di un’unica sostanza composta, corpo unito ad un’anima, ciò che invece noi oggi siamo abituati a chiamare “organismo”. Il termine è introdotto negli anni successivi al Discorso di Metafisica (1686) e alla corrispondenza con Arnauld; “organico” o “organismo” non è un sinonimo di (essere) vivente o di sostanza, ma di un determinato tipo di struttura o “organizzazione” attiva della materia e del corpo. Per un’analisi all’introduzione del termine in Leibniz si veda E. Pasini, Both Mechanistic and Teleological. The Genesis of Leibniz’s Concept of Organism, with Special Regard to His “Du rapport general de toutes choses”, in Departure to Modern Europe Philosophy Between 1400 and 1700, Felix Meiner Verlag, Hamburg 2011, pp. 1216-35. Cfr. G. W. Leibniz, Principi della Natura e della Grazia, in Saggi filosofici e lettere, a cura di V. Mathieu, Laterza, Bari 1963, pp. 359-368, in part. § 3, p. 360. Inoltre, si veda D. Garber, Leibniz: Body, Substance, Monad, Oxford University Press, Oxford 2009, p. 69n; e cfr. ivi, l’intero cap. VIII, pp. 303-349.

ugualmente per la monade con il suo corpo organico) ovvero non si influen- zano nella serie delle cause, ma vivono in un accordo predeterminato, espri- mendo così l’intero universo (intervento di Dio al momento della Creazione). In questo senso, l’organizzazione materiale della struttura dell’organismo – e non la realtà delle sue singole parti, che, nella divisione all’infinito non cessa di essere spirituale e insieme materiale, poiché non c’è parte di materia priva di fondamento monadico e monade senza corpo organico14 – non è data ma-

terialmente dalla monade (dominante) o dall’anima, ma dalla legge interna

della monade (dominante) che esprime insieme l’universo (con all’interno la monade stessa) e il corpo a cui è collegata; la particolare espressione dell’uni- verso così prodotta è la legge concreta della successione degli stati interni della monade.15

Mentre la composizione della struttura dell’organismo vivente come tota- lità16 è affidata a questa legge dell’espressione della monade dominante, il suo

14 Questa relazione necessaria si instaura perché il principio formale, la monade come principio attivo, ha bisogno

sempre di un principio passivo per esprimere la sua attività; di converso, il principio passivo, materiale o corpo- reo ha sempre bisogno di un fondamento o di una legge o serie di azioni da esprimere nel contesto fenomenico o fisico. La stessa relazione tra principio attivo e passivo si duplica all’interno di ogni principio preso singolarmente.

15 A partire dalle prime formulazioni della nozione di sostanza individuale alla fine degli anni ‘70, la qualità

fondamentale della sostanza è di essere un soggetto autonomo di azioni e passioni. In rifermento a ciò che si può attribuire alle creature che soggetti e oggetti della Creazione, le loro azioni sono intese da Leibniz come predicati logici. La loro attribuzione è decisa sin dall’inizio nella mente divina ed essa è custodita nel concetto completo di una sostanza come contenuto di tutti i predicati o azioni che essa può compiere e rendere attuale con certezza in futuro. In un secondo momento, questo concetto come “contenitore” di attributi sarà sostituito da una “legge di produzione” o di azione della sostanza: non si tratta più di una collezione disorganizzata di attributi privi di relazioni tra loro, ma di una legge che regola le azioni di una sostanza, un corso unico d’azione che unisce i costi- tuenti vari di una sostanza come una singola entità. Questa evoluzione del concetto completo si manifesta durante il ripensamento della teoria della sostanza su base aristotelica che Leibniz intraprende al volgere degli anni ‘90: se inizialmente il concetto completo rispondeva ad un principio logico di attribuzione, ora esso si unisce ad un principio attivo di azione, forma, entelechia o anima di una sostanza; per agire essa deve avere un principio attivo e un principio passivo da svolgere, una legge da seguire che guidi l’azione. Questa legge d’azione costituisce il telos della sostanza, la base della possibilità di applicare ancora il metodo delle cause finali che Leibniz reputa lecito. La differenza con la teoria Aristotelica è costituita dal applicazione continuata della stessa dualità attività\passività: in altri termini, anche la forma è costituita da un principio attivo ed uno passivo; così la materia è costituita da materia prima e materia seconda. Il principio della finalità è anche un principio di organizzazione e unità della sostanza: dalla formazione di una materia al darsi di un corpo che esprime la sostanza (esprimendo se stesso in- sieme ad essa in un’unità inscindibile) e, nel momento stesso, anche tutto l’universo. Questo principio costitutivo è alla base dello sviluppo della nozione di monade, come sarà più chiaro nella nota seguente. Per ulteriori e più ampie considerazioni sul significato di “legge di produzione” in Leibniz, si veda O. Nachtomy, Possibility, Agency, and Individuality in Leibniz’s Metaphysics, Springer, Dordrecht 2007, pp. 123-31.

16 Si veda l’analisi della gerarchia dei componenti dell’organismo in M. Fichant, Leibniz et les machines de la

nature, cit., p. 23-25. In breve, la monade completa è formata dall’entelechia o monade dominante e dalla materia primaria; alla monade si aggiunge la massa, cioè la materia secondaria, la macchina organica formata da innu- merevoli monadi subordinate; infine, l’animale, la sostanza corporea che è resa «Unam» proprio dalla monade dominante. Per una ricostruzione di questo ordine, il riferimento classico al testo leibniziano è presente nella

studio corrisponde alla comparazione o analogia tra l’espressione “spirituale” e quella materiale, tra cause finali ed efficienti, formali e materiali, al fine di comprendere il “come” queste due realtà si esprimono a vicenda e come pos- sono essere spiegate attraverso il principio di ragion sufficiente17.

Il principio formale o finale e il potere endogeno dell’organismo18, con-

servati da Leibniz rispettivamente nella sua teoria monadologica e nella sua dinamica, costituiscono i punti fondamentali di un modello esplicativo della natura di stampo teleologico mediato da Leibniz tra il meccanicismo carte- siano e il vitalismo; mediazione che, in qualche modo, costituisce la reazione necessaria alle carenze epistemologiche di entrambi19.

In questo contesto teorico, lo Hegel che ricostruisce gli stati dello sviluppo della scienza, inserisce un ulteriore e fondamentale passaggio: questo è costi- tuito dal progetto kantiano di una teleologia naturale; in particolare, quella più completa, contenuta, come è noto, nella Critica del giudizio20.

Ciò che delle posizioni di Kant è discusso nelle pagine della Fenomenolo-

gia21 riguarda la nota distinzione tra giudizio determinante e riflettente, da

una parte, e finalità interna e esterna, dall’altra. Si tratta di una coppia di distinzioni che rivestono, per il nostro tema, un’importanza fondamentale; ciò che Hegel prende in considerazione ruota intorno alla seconda parte della

Critica del Giudizio kantiana, intitolata Critica del giudizio teleologico. In que-

sta parte Kant tenta di stabilire delle chiare differenze tra i prodotti dell’arte e della natura che non hanno fini naturali (inorganici) e i prodotti come fini naturali, gli organismi viventi.22 La distinzione ricalca quella del dominio di

applicazione del modello meccanico: questo non è sufficiente per compren-

lettera a De Volder del 20 giugno 1703; cfr. G. W. Leibniz, Die philosophischen Schriften, a cura di C. I. Gerhardt, Weidemann, Berlin 1875-90, Voll. I-VII, qui vol. II, p. 248-253; in part. p. 252.

17 Cfr. G. W. Leibniz, Principi della Natura e della Grazia, cit., § 3, 4, 7, 8, pp. 360-364. 18 Cfr. F. Duschesneau, Les modèles du vivant de Descartes à Leibniz, cit., p. 370.

19 Il riferimento critico prossimo a Leibniz è rappresentato, come noto, dallo Stahl delle nature plastiche, agenti

spirituali o immateriali, che sono intese come causa materiale della formazione dell’organismo. Per la traduzione parziale dei testi della controversia e per una estesa introduzione al tema, si rinvia a G. W. Leibniz, Obiezioni contro la teoria medica di Georg Ernst Stahl: sui concetti di anima, vita, organismo, a cura di A.-M. Nunziante, Quodlibet, Macerata 2011. Si veda, inoltre, F. Duschesneau, Les modèles du vivant de Descartes à Leibniz, cit., pp. 344-356; Id., Leibniz vs. Stahl on the Operation of Machines of Nature, in AA VV, Machines of Nature and Corpo- real Substances in Leibniz, edited by J. E. Smith and O. Nachtomy, Springer, New York 2010.

20 Cfr. I. Kant, Kritik der Urteilskraft, Akademieausgabe, Bd. V, Berlin 1968, trad. it. Critica del Giudizio, di A.

Gargiulo, rivista da V. Verra, Roma-Bari 1982. D’ora in poi citata come CdG.