“grande trasformazione”3 introdotta dalla centralità del “lavoro” come chiave
di determinazione e interpretazione della natura e della condizione umana che accentua l’attenzione sugli scambi e sulla sfera economica nella costruzio- ne della sfera sociale.
Da questo punto di vista la cultura, artificio per eccellenza dell’uomo come opera di se stesso, traccia della progressiva emancipazione dalla natura, occu- pa nel Moderno una posizione centrale nella riflessione antropologica e nello studio dei fenomeni di socializzazione. Cadute tutte le forme di autoritarismo religioso e sociale, la cultura interpreta il movimento di secolarizzazione, la nuova costellazione dei saperi disegnata dall’egemonia dei modelli scientifici e dall’idea di una storia universale che orientano in maniera diversa le do- mande sull’agire umano, che, sia pure con nuove parole e nuovi significati, insistono sul rapporto tra identità e differenza, tra individuale e universale, tra innovazione e conservazione4. Se l’uomo si muove sulla base di fini e non
secondo una necessità naturale, quale è la chiave di interpretazione dell’itine- rario che ha prodotto azioni efficaci, nel senso della civilizzazione, per il vivere comune e per la convivenza pacifica di popoli e individui diversi?
L’impossibilità di una teodicea non indebolisce lo spazio comunicativo e co- mune, non disattiva le forme di sapere fondato e condiviso che accompagnano l’uomo nella sua vicenda terrena, piuttosto le pone in una forbice che nel perno della libertà incrocia la lama del soggettivo e la lama dell’oggettivo, la capacità di agire secondo fini e il terreno ideale – culturale, politico, morale – da egli cui muove e a cui egli si relaziona. La storia, un affastellarsi di eventi che testimonia la forza creativa dell’azione umana, è riconsegnata ogni volta al presente e la cul- tura diventa da un lato eredità che guarda al passato e dall’altro materia dispo- nibile per configurazioni diverse in funzione di aspettative, credenze, di quanto gli individui tengono per vero nell’attualità del loro tempo. L’animale culturale è in primo luogo razionale nel pieno diritto e facoltà di valutare, rifiutare o tra- sformare passato ed eredità sulla base di ideali e bisogni del proprio tempo5.
3 Il termine viene usato da K. Polanyi ne La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra
epoca (tr. it. Einaudi Torino 2000) che attraverso una ricostruzione storica mette a fuoco la svolta introdotta dall’economia di mercato nell’organizzazione sociale moderna.
4 Hans Blumenberg, prendendo le distanze dalla lettura del Moderno basata sull’idea di secolarizzazione, definisce
quello che è accaduto nel Moderno “nuova occupazione di posizioni divenute vacanti” per mancanza di risposte a domande ineliminabili. Non è solo del Moderno questa “nuova occupazione”, ma in esso assume la forma di “dovere di totalità” assunto dalla ragione moderna. Cfr. Id. La legittimità dell’età moderna, tr.it. Marietti, Genova 1992, p. 71.
5 Cfr. R. Koselleck, “Hisotira magistra vitae. Über die Auflösung des Topos im Horizont neuzeitlich bewegter
Geschichte” in Id. Vergangene Zukunft. Zur Semantik geschichtlicher Zeiten, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1989, pp. 38-66.
Il Moderno, in altri termini, pone le premesse di una crisi dell’ideale del divenire universale e progressivo dell’umanità verso il meglio che coinvolge tanto i singoli che l’umanità universale, lasciando insoluto il dilemma su un possibile fine o sulla credibilità di una fine della storia: la soluzione invalide- rebbe le conquiste stesse che l’epoca rivendica rispetto al passato. La Bildung, tuttavia, disegna l’arco della civilizzazione dell’uomo lungo un cammino uni- voco e aggregante, legittimandosi come lavoro di perfezionamento dell’uomo nella conoscenza e nella costruzione di un mondo a sua misura. Essa, in altri termini, diventa un fattore centrale di promozione e di sostegno della socia- lizzazione, della universalizzazione dei valori e della costruzione di consenso. L’evoluzione culturale stessa ha prodotto soggetti liberi e autonomi, che, in quanto tali, non ereditano soltanto un universo di conoscenze e valori, ma ne valutano e misurano la legittimità e il peso sul piano immanente della vita umana. In questa prospettiva ideale la cultura produce ad un tempo beni e scambio senza tradire la qualità dell’agire umano, secondo fini e non secondo necessità, nella figura di un insieme di parti funzionali e funzionanti. Tanto la sovrapposizione quanto la sintesi tra individuale e culturale non producono una serie o una totalità concluse, piuttosto tracciano un cammino in-finito riaperto ogni volta dai fatti storici e dall’esperienza degli individui. Da que- sto punto di vista solo l’universale – di tutti – garantisce la continuità e l’ar- monia nella piena convergenza di ciascuno e solo in quanto universalizzabile – disponibile e raggiungibile per tutti – la cultura assicura una equilibrata identificazione dei singoli. È questo il punto dirimente del nodo complesso portato ad emergenza nel Moderno: la corrispondenza o meglio la risonanza tra universo culturale e piena maturazione dell’individuo, tra integrazione e assunzione di ciò che è comune e sedimentato nei desideri e nelle aspettative di individui o gruppi. In questa prospettiva la cultura moderna con l’eman- cipazione dell’uomo definisce la cornice dell’organizzazione della vita umana sia nello spazio individuale che nello spazio sociale.
Non è possibile qui analizzare il processo lunghissimo di crisi di questa presunta univocità di senso della cultura come totalità organica, nonostante la filosofia abbia cercato di curarne le ferite nella filosofia della storia, nella filo- sofia della cultura e nell’antropologia filosofica: sanare l’intermittenza e l’eva- nescenza della civilizzazione con il farmaco del progresso, dell’universalità di valori o dell’idea di un uomo proiettato verso l’evoluzione e la compensazione della sua finitezza hanno riprodotto la difficoltà di un approdo o di una sintesi tra divenire e stabilità, tra contingente e necessario. La cultura non rappresen- ta propriamente un sapere dell’uomo, ma riflette quello che gli uomini sen-
tono, rappresentano e pensano in quanto soggetti in relazione ad un mondo esterno e ad altri soggetti, dando figura all’opacità di un territorio comunque inquieto e contraddittorio. Tuttavia, in questo processo l’animale culturale progressivamente articola un rapporto soggettivo – cultura è dell’uomo, suo prodotto – e un rapporto oggettivo – l’uomo ha cultura e questa, come “sua” proprietà, diventa materiale in vista di nuovi scopi.
Simmel riconosce in questa nuova determinazione del Moderno i sintomi di una «tragedia della cultura» che ha deviato dalla sua intima essenza di «essere la via con cui l’anima, da incompiuta che era, giunge a sé stessa ormai compiuta»6. Si è prodotto «l’allontanamento dei contenuti della cultura dal
fine della cultura» la cui la sintesi si era tradotta in passato nel divenire storico e nella fiducia nel progresso dell’umanità attraverso il nesso inscindibile tra l’individuo e la sua comunità. La cultura intesa come “prodotto” di conoscen- ze e azioni consapevoli, di sapere e pensiero non costituisce più semplicemen- te il supporto e la scala su cui procede la formazione dell’uomo nel suo vivere in-comune, i suoi contenuti non orientano in modo univoco la realizzazione dell’individuo immerso nel suo ambiente culturale, generando in tal modo disturbi nel processo d’individuazione: se l’uomo produttore si conferma nel- la quantità di beni messi in circolazione, l’uomo culturale soffre dell’eccessiva quantità e varietà di stimoli da questi stessi generati7.
6 G. Simmel, “Concetto e tragedia della cultura”, in Id. Saggi di cultura filosofica, Guanda Editore Parma 1985,
pp. 189-212, qui p. 212. Il termine usato da Simmel è Kultur distinto da Zivilitation in cui riecheggia la critica nietzschiana alla corruzione morale che accompagna la cultura diversamente dalla civilizzazione che mette in moto, nonostante la sua istanza di addomesticamento, l’“impazienza” di menti audaci. Meno rilevante è l’uso di Bildung il cui significato si lega alla cultura romantica e al modello schilleriano in qualche modo ripreso da Hegel. A nostro avviso nell’analisi hegeliana si fa strada la crisi di quel modello a partire dalla cesura introdotta dall’evento rivoluzionario.
7 È necessario ricordare che il termine più ricorrente in Hegel è Bildung (letteralmente formazione) che in Hum-
boldt riunifica quanto Kant aveva distinto in Kultur (che interessa arti e scienze) e Zivilitation (che include le forme di vita sociale): la trasformazione investe nella filosofia hegeliana dialetticamente il divenire dell’uomo e del contesto sociale (un utile approccio allo sviluppo del dialogo sull’argomento in Germania sono gli scritti che Nicolao Merker ha raccolto nel volume Immanuel Kant, Che cos’è l’Illuminismo? con altri testi e risposte di Erhard, Forster, Hamann, Herder, Laukhard, Lessing, Mendelssohn, Riem, Schiller, Wedekind, Wieland, Editori Riuniti Roma 1987). Questa articolazione di significati subisce significativi aggiustamenti con la crisi della filosofia si- stematica. Non sarebbe possibile qui ricostruire tutta la riflessione che precede Hegel e quella che lo segue con la sinistra hegeliana, Nietzsche, Marx e lo sviluppo di una filosofia della cultura. Citiamo qui in maniera eccentrica Thomas Mann che raccoglie e traduce l’intera eredità tedesca: “Umanità...Come grido rivoluzionario significò il crollo di una cultura e società aristocratica ormai giunta a senilità, l’emancipazione della ragione e della natura dai ceppi della civilizzazione deprecata da Rousseau, mentre ragione e natura a loro volta si contrapponevano in atteggiamento prometeico-voltairiano” (cfr. Id. Considerazioni di un impolitico, tr. it. a cura di M. Marianelli e M. Ingenmey, Adelphi edizioni Milano 1997, p. 445).
Le comunità si sono allargate, le relazioni tra gli uomini si sono fatte più complesse e diversificate e tuttavia l’organizzazione sociale ha subito pro- gressivamente un processo di spersonalizzazione8. Nella forma di civilizza-
zione la cultura ha dovuto perciò acquisire nel tempo la forma di un modello in vista di un miglioramento funzionale per l’umanità intera, configuran- dosi come una disciplina utile per il riconoscimento sociale, perdendo il suo legame con la vita singolarmente vissuta: un sistema di potere e di governo per un addestramento alla vita sociale. Progressivamente il singolo è sta- to esposto, più che accolto, nell’affastellarsi in-finito dei contenuti culturali ereditati e sperimentati, messo in qualche modo alla prova e perciò abban- donato in una posizione di ritardo e di debito a fronte del moltiplicarsi di stimoli, da una parte, e del radicalizzarsi dell’astrazione, dall’altra. È venuta meno la possibilità di un’osmosi tra contenuti culturali, sempre più vari e numerosi, e soggetto, sempre troppo sollecitato e ad un tempo isolato per consolidarsi in una familiarità con questi. “Spezzata in due” dal sovraccari- co di un oggettivo colto solo nella sua opposizione al soggettivo – prodotta – dunque “estranea” nei suoi contenuti dati ad un soggetto che si riconosce nella sua specificità e rivendica la sua libertà dal dato9, la cultura ha inter-
pretato la vocazione all’universalità nel senso dell’astrazione ed esercitato un compito educativo in direzione della omologazione10. Paradossalmente
si è sdoppiata per conservare una sua organicità, ha cercato legittimazione nella giustificazione della funzionalità dei suoi contenuti all’ideale di uma- nità perdendo la sua presa sulla vita individuale: non più figura di un mondo vivente ha indossato la maschera dell’ideologia secondo la logica di un’idea più che confrontarsi con la connessione reale delle cose.
La diagnosi di Simmel è molto lontana dall’oggetto di questo saggio – la crisi della cultura in Hegel – sia per la preferenza che l’autore dichiara per l’impianto teorico kantiano, sia per la distanza temporale tra i due autori. A nostro avviso però la “tragedia della cultura”, senza eroi e sangue, ma carica di conseguenze sull’evoluzione delle forme della vita umana e sui processi di identificazione, ha un prologo nelle pagine della Fenomenologia hegeliana. Hegel individua, in verità, per il Moderno il modello della «commedia» per un mondo da cui «gli dei sono fuggiti» e «gli uomini hanno assunto consapevolezza della forza
8 Si veda su questo punto l’analisi di Georg Simmel sulla differenziazione sociale in La differenziazione sociale, tr.
it. Laterza Roma-Bari 1982, in part. capitoli III e IV.
9 G. Simmel, “Concetto e tragedia della cultura”, cit. p. 210.
del lavoro delle loro mani»11, lasciando il tragico al mondo della “bella eticità”,
ad un mondo non ancora emancipato dalla necessità, prigioniero dell’idea di destino e ignaro del valore della libertà del soggetto. Il Moderno riconoscendo il valore del soggettivo ha messo in campo il potere dell’azione umana, della libertà dell’uomo e conseguentemente ha posto le condizioni per il “sentirsi dell’uomo a casa propria nel mondo”. Se il destino è nelle mani dell’uomo e se sulla scena non intervengono forze trascendenti, anche la “catarsi” cede il posto alla capacità umana di risolvere la contraddizione.
Il Mondo nuovo ha un diverso regista – la ragione – e un’altra qualità – l’astuzia – agli attori non rimane che imparare il testo, conoscerne le parti e la trama per cogliere la reciproca dipendenza e coappartenenza dei fattori in gioco nell’immanenza della concreta vita umana. Non cesseranno dolore e sofferenza nel corso degli eventi, dalla scena mancheranno invece gli eroi, le figure mitiche di un sacrificio sostituite da individui uguali in potenza e co- scienza ancora in cammino fino a quando il Rischiaramento e l’evento della Rivoluzione Francese avranno definitivamente dissolto le nebbie degli equi- voci. Dopo che l’avvento del Cristianesimo e il sacrificio di Cristo hanno posto al centro il valore dell’individuo, la Riforma prima e l’Illuminismo poi hanno scomposto il volto della fede e quello del sapere, hanno aperto il fronte di un altrimenti nella fede in uno stesso Dio e nella conoscenza di una stessa verità: nell’uomo e per l’uomo hanno tracciato strade di emancipazione in vista di un sapere della totalità attraverso la trama razionale della realtà. L’orologio della vita umana scandisce un tempo che abbraccia individui e vicende che oltre- passano il qui ed ora, i sacrifici perdono densità simbolica per lasciare spazio al conflitto fisiologico in vista della salvaguardia della salute.
È interessante, però, seguire il filosofo di Stoccarda nei passaggi in cui si sofferma sulla “trasformazione” dello statuto della cultura moderna da patri- monio comune a oggetto (Gegen-stand), in quanto figura dello spirito resosi estraneo a sé, retroterra comune e insieme esposta al linguaggio della disgre- gatezza, sottoposta nei suoi contenuti ai processi di civilizzazione – in qualche modo lascito del passato, mai veramente e storicamente contemporanea – e affidata nel presente al gioco di interessi, opinioni di viventi dotati di ragione, emancipati: la cultura come dato riflette l’organizzazione sociale e subisce le inquietudini latenti; non rispecchia un ordine trascendente, in ogni sua figura
11 Cfr. G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia tenute a Berlino nel semestre invernale del 1825-1826 tratte
risponde alla concreta forma della vita umana il cui telos matura nella trama intersoggettiva creata dalle produzioni umane, il cui compimento tuttavia va oltre le intenzioni e i propositi consapevoli. La cultura diventa il banco di pro- va dell’organizzazione sociale e, da sostegno dei processi di individuazione, si trasforma in modello in vista del riconoscimento o della ribellione. Questo spinge Hegel a confrontarsi con la situazione spirituale del suo tempo – segna- to dalla trasformazione ma non ancora consolidato in una nuova configura- zione – soffermandosi sull’intero percorso del soggettivo nelle cui espressioni emerge il disagio per un mancato passaggio di stato dall’ideale dell’autonomia dell’uomo alla costruzione di un mondo nuovo. Non sarà il conflitto tra fede e ragione, ma la violenza della rivoluzione a provocare la crisi risolutiva della patologia del tempo richiedendo un sacrificio che rivelerà il volto cruento e non sempre giustificabile della storia umana12. Per Hegel è divenuto chiaro il
fatto che ogni spirito del tempo, ogni cultura, farà i conti con e dovrà impara- re ad arginare il conflitto e i governi dovranno assumere il carico dell’atomi- smo e dell’anarchia, della guerra, come possibilità e non accidente della storia segnata dalla consapevolezza della libertà.
Il difetto di astrazione del progetto di “trasformazione antropologica” av- viato dal Rischiaramento rispetto alla necessità di una nuova organizzazione sociale di “liberi tra liberi”, di una cultura istituzionale oltre che ideale dell’in- dividuo, secondo Hegel, è alla base del fallimento del progetto rivoluziona- rio nei giorni del Terrore. Un esito inquietante per le aspettative che aveva suscitato nello stesso Hegel, ma un evento che deve ammonire sui pericoli di una libertà senza misura in vista di una “rivoluzione morale” che crei la sintesi tra individuo e cittadino, tra singolo e comunità arginando il pericolo del conflitto perenne: un’interiorizzazione della necessità della legge in vista dell’organizzazione sociale.
Se Hegel è convinto che la via della ragione possa riprendere il suo corso dopo il Terrore, Simmel qualche anno più tardi nella “tragedia della cultura” riconosce lo scollamento quasi irreversibile tra individuo e comunità per l’ac- celerazione della trasmutazione dei valori in un’organizzazione sociale sbi- lanciata. In qualche modo la cultura moderna ha tradito la vita in nome delle forme. Nell’itinerario hegeliano l’esperienza dell’evanescenza della cultura è un momento necessario del divenire spirituale, in cui il conflitto tra fede e
12 Sull’argomento si veda B. Accarino, Ingiustizia e storia. Il tempo e il male tra Kant e Weber, Editori Riuniti
intellezione è l’effetto di superficie della tensione sotterranea di una nuova immagine del mondo in grado di dare ragione del fine del divenire umano. Prima del sapere assoluto si combattono visioni del mondo che presumono di essere legittimazioni dell’ordine del mondo, della posizione dell’uomo nel mondo cercando per strade diverse la stessa cosa: la lettura univoca e stabile della realtà. Una realtà pensata e idealizzata in cui si prefigura la frattura tra l’ideale di una cultura universale e la lotta per l’egemonia tra ideologie che, nel bene come nel male, prima ancora della storia, fanno la mente degli uomini13.
La teoria, ogni teoria, e la fede, ogni fede, rinviano ad un reale che rimane non-detto, indicibile e non memorabile in cui si gioca la pervasività dell’uni- verso culturale e la permeabilità delle coscienze. I fatti sono incontrovertibili nella commedia di Hegel come nella tragedia di Simmel, la forma della vita umana si delinea nella narrazione dei fatti, in quello che include ed esclude di essi, nell’incrocio e nell’affastellarsi di piani al cui interno si smaschera la valenza ideologica di ogni cultura.
Scelta di prospettiva
Per una riflessione sull’ideologia poteva sembrare più opportuno usare au- tori della sinistra hegeliana, o addirittura Marx o Engels, ma questa scelta ci avrebbe portato su un terreno già ampiamente battuto e, soprattutto, meno coerente col focus della nostra attenzione: la diagnosi di un malessere dell’e- sperienza individuale che penetra nel corpo del soggetto, ne muta lentamente il significato, ne inquieta l’equilibrio con il mondo comune tanto da modifica- re profondamente la relazione con quanto è assunto come condiviso – comu- ne – e con quanto è più proprio – pensiero, riflessione. Questo focus per capire in che misura “la grande trasformazione”, nel percorso hegeliano, richieda l’esperienza-limite del Terrore e della violenza per un nuovo equilibrio tra pluralità e vivere comune, tra differenze e totalità, e indagare le ragioni per cui il “rimedio” appaia a Hegel, in memoria di quella crisi, la “rivoluzione morale” in quanto viatico ad un ordine sociale capace di evitare i rischi dell’atomismo e della disgregazione14.
13 Cfr. H. Arendt, Religione e politica, tr. it. Feltrinelli Milano 2103.
14 Si veda quanto scrive Hegel al paragrafo 523 dell’Enciclopedia del 1827 ad apertura della sezione sulla società
civile nello spirito oggettivo: “ La sostanza, che, in quanto spirito, si particolarizza astrattamente in molte per- sone (...), in famiglie e individui, i quali sono per sé in libertà indipendente e come esseri particolari – perde il
In questo quadro l’esperienza estrema del Terrore rivoluzionario richiama, secondo Hegel, al fatto che la grande conquista della libertà non induce ne-