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4.4 Cultura linguistica

4.4.2 Il lessico argentino e il lunfardo

Per concludere la sezione dedicata ai culturemi linguistici, vorrei ora spostare lo sguardo sul tipo di vocabolario presente all’interno del romanzo. Il lessico di base risulta essere, chiaramente, quello spagnolo, ma non è l’unico. Al contrario, è ricco di lessemi della parlata argentina e dell’argot urbano diffuso nelle regioni del Río de la Plata, il lunfardo. Il romanzo riflette, dunque, l’affascinante realtà linguistica argentina frutto di una mezcla di lingue e culture diverse e di un’evoluzione linguistica strettamente connessa a quella sociale e culturale.

Le origini di tale evoluzione risalgono al periodo del colonialismo, in cui si datano i primi contatti dello spagnolo con le lingue e le culture indigene. Nel corso dei secoli la lingua spagnola ha subito l’influenza anche di altre lingue, tra cui quella africana, quella creola e quelle dei milioni di emigranti europei giunti in Argentina negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento. Il fenomeno immigratorio nell’area rioplatense (1870- 1930 c.a) fu uno dei principali motivi del rinnovamento argentino, tanto etnico quanto linguistico, e il crogiolo di lingue, di culture e di etnie di questi anni ha modificato considerevolmente la natura linguistica argentina. Il contatto fra la lingua spagnola locale e

le lingue europee (italiano, portoghese, francese e inglese) ha portato alla formazione di nuove risultanze idiomatiche. In particolare, l’influenza dell’italiano e delle sue varietà dialettali, meridionale e genovese, ha prodotto due forme di habla molto diversi fra loro: il cocoliche, la cui presenza nella realtà linguistica argentina è oggi sporadica, e il lunfardo, argot urbano che è stato lentamente incorporato dallo spagnolo argentino.

Il lunfardo nasce come gergo dei bassifondi e della malavita cittadina ma nel corso degli anni si arricchisce di nuovi termini penetrando e integrandosi nella lingua popolare. Ad oggi è riconosciuto come un argot rioplatense di grande vivacità e forza semantica.

Nel suo primo romanzo Luisa Valenzuela fa largo uso di lessemi lunfardi e ricorre a questi nei dialoghi fra Clara e i personaggi dei bassifondi di Buenos Aires, come Monona o Toño Cruz. Si tratta di vocaboli con una forte carica semantica e sono spesso utilizzati in contesti di informalità con fini offensivi o, comunque, non del tutto cortesi.

Sarebbe interessante menzionarli tutti ma, per non dilungarmi troppo, elencherò solo quelli più emblematici:

 Cafisho (p.42): pappone  Cana (p.23): sbirri, polizia  Chanchos (p.76): porci  Engrupido (p.91): sbruffone  Globazo (p.73): ballista  Gringa (p.89): straniera  Guarango (p.57): cafone  Laburar (p.41): lavorare  Manyar (p.73): mangiare

 Mequetrefe (p.77): incapace  Mina (p.73): femmina, prostituta  Pajuerana (p.40): provincialotta  Paparula (p.71): stupida

 Tipo pierna (p.25): tipo in gamba

Le proposte di traduzione mostrano come abbia optato per termini equivalenti italiani che conservassero la stessa connotazione offensiva o discriminatoria delle parole originali.

Per quanto riguarda il vocabolario argentino, il romanzo è ricco di termini, ascrivibili soprattutto alla sfera della quotidianità, che possiedono un’accezione diversa o del tutto inesistente nel dizionario castigliano. Ne elencherò alcuni:

 Almacén: magazzino (spa.) | negozio d’alimentari (arg.)

 Apurarse: vuotare, preoccuparsi (spa.) | affrettarsi (arg.)

 Boletero: esattore (spa.) | bigliettaio (arg.)

 Cartera: portafoglio, cartella (spa.) | borsetta (arg.)

 Colectivo: collettivo, comune (agg. spa) | autobus (arg.)

 Cuadra: stalla, scuderia (spa.) | isolato (sost. arg.)

 Departamento: dipartimento (spa.) | appartamento (arg.)

 Manejar: maneggiare (spa.) | guidare (arg.)  Pollera: pollaio (spa.) | gonna, sottoveste (arg.)  Saco: sacco (spa.) | giacca (arg.)

 Subterráneo: sottopassaggio (spa.) | metropolitana (arg.)

 Velador: candeliere, tavolino rotondo (spa.) | comodino

 Vereda: viottolo (spa.) | marciapiede (arg.)  Vigilante: vigilante (spa.) | guardia (arg.)  Bañadera: vasca da bagno, lavandino (arg.)  Heladera: frigorifero (arg.)

Nella traduzione italiana ho selezionato termini italiani equivalenti all’accezione argentina per rimanere fedele al testo originale; se avessi usato le accezioni spagnole, infatti, avrei stravolto o reso incomprensibile il senso globale della frase.

In conclusione, ritengo opportuno evidenziare che durante il processo traduttivo, al fine di produrre un testo comprensibile al lettore italiano, alcuni scarti culturali sono state inevitabili come nel caso di compadrito (p.22). Questo è un epiteto che designa un certo soggetto sociale delle zone suburbane rioplatensi. La resa italiana ha previsto l’uso di un termine più generico, “bullo”, e risulta chiara la perdita del riferimento culturale nella traduzione italiana in mancanza di un equivalente perfetto italiano.

Gli approcci traduttivi sono stati diversi in base al contesto e in base alla necessità di conservare l’elemento originale nella traduzione italiana. Nei casi in cui ho ritenuto essenziale la presenza dell’elemento esotico, ho optato per la conservazione dei termini originali, accompagnati, se necessario, da note esplicative che chiarissero la natura dell’elemento. Un’ulteriore strategia traduttiva si è basata sulla sostituzione di espressioni o termini della cultura argentina con equivalenti della cultura italiana. In mancanza

di omologhi perfetti, ho optato per soluzioni che conservassero il significato globale della frase e che non tradissero il significato originale.

Conclusioni

In questo lavoro di tesi magistrale mi sono impegnata nel presentare una delle scrittrici più rinomate della letteratura argentina contemporanea, Luisa Valenzuela, e la traduzione di una parte del suo primo romanzo, Hay que sonreír, a cui è seguita una personale commento alla traduzione.

Nel primo capitolo introduttivo ho fornito alcuni dati biografici importanti per comprendere il percorso di vita della scrittrice. Se ne è evinto che tanto la sua vita quanto la sua produzione letteraria hanno alla base un forte desiderio di búsqueda: la ricerca non solo della verità occultata e manipolata dalle istituzioni politiche e sociali, ma anche di un linguaggio che si adatti alla verità che ci si propone di rivelare. Si è visto come la scrittrice ami sperimentare il linguaggio e l’uso della parola che è per lei l’arma di cui lo scrittore deve sapersi avvalere per giungere alla conoscenza non solo del mondo ma anche di se stessi. Come in Hay que sonreír, infatti, la Valenzuela concentra la sua scrittura sul processo di costruzione della soggettività e sull’auto- conoscimento dei suoi personaggi, perlopiù femminili, strettamente connessi alle esperienze che essi vivono con e sul proprio corpo. Ho accennato, a tal proposito, all’estetica riscontrabile in gran parte delle opere della scrittrice argentina, quella di escribir con el cuerpo. Con queste parole, la stessa Valenzuela fa riferimento alla forte influenza che il corpo ha, e deve avere, nell’atto creativo della scrittura. Scrivere diventa il prodotto della compartecipazione tanto del

corpo quanto della mente e non deve limitarsi a un mero atto razionale, ma deve implicare il desiderio e, quindi, anche tutte le sensazioni corporee. Logos e eros cooperano nell’atto di creazione della scrittura della Valenzuela e nella liberazione del discorso, privato di ogni tipo di censura, perfino quella personale.

Ho mostrato, inoltre, come per alcuni studiosi escribir con el cuerpo possieda nelle opere della Valenzuela un ulteriore significato: è il corpo, portatore di testimonianze, che genera la parola. Sono le esperienze vissute sulla pelle dei suoi connazionali, la violenza subita fisicamente dal corpo di questi che spingono la scrittrice a conservare nella scrittura i tremendi atti del governo militare degli anni Settanta. I personaggi della Valenzuela vivono le atrocità di quegli anni e testimoniano con il proprio corpo la mutilazione fisica e psicologica realmente subite in quel periodo.

Ho dedicato, inoltre, un capitolo al romanzo oggetto della mia traduzione in cui mi sono impegnata a fornire alcune informazioni circa la voce narrante, la struttura tripartita del romanzo e le principali esperienze che Clara, la protagonista, vive sul proprio corpo. Ho mostrato come la ragazza, prostituta dei bassifondi di Buenos Aires, sia vittima di un sistema sociale machista, spesso assoggettata ai desideri e ai vizi di uomini incuranti del suo benessere. Sebbene in questo primo romanzo della Valenzuela le vicende narrate siano inserite in un contesto sociale diverso da quello presente nelle successive opere della scrittrice, ciò non esclude l’estetica sulla quale spesso si basa la sua scrittura. È mediante le esperienze vissute sulla sua pelle che Clara prende gradualmente coscienza di se stessa, riconoscendosi non solo come semplice corpo oggetto dei desideri dell’uomo, ma

anche come testa in grado di pensare. L’intero romanzo è costruito su questo processo di auto-riconoscimento e la struttura tripartita del romanzo riflette l’evoluzione della protagonista: Clara transita dall’essere solo corpo inteso come oggetto sessuale all’essere anche testa che la protagonista è decisa a utilizzare a tutti i costi anche solo come oggetto di un numero di magia. Tuttavia, scegliere di cambiare vita non ha cambiato il suo destino: inevitabilmente continua ad essere oggetto dei capricci dell’uomo e nell’estremo tentativo di liberarsi di esso, di ottenere la libertà che merita, il destino le si rivolta contro. Alejandro farà definitivamente di lei un corpo senza testa, separando quello che era una volta da quello che aveva scelto di essere.

Cimentandomi nella traduzione di Hay que sonreír ho avuto l’opportunità di conoscere più a fondo la cultura argentina e in particolare quella di Buenos Aires. Mediante l’ultima parte di tesi ho evidenziato alcuni aspetti linguistici del romanzo e alcune soluzioni traduttive da me proposte. In particolare, nel processo traduttivo ho avuto modo di constatare tre principali caratteristiche: l’uso del voseo, aspetto linguistico proprio dei paesi sudamericani, l’utilizzo di un registro colloquiale e la forte presenza di culturemi. Ho scelto di catalogare quest’ultimi prendendo ad esempio il modello fornito dalla studiosa Lucía Molina e suddividendoli, quindi, in quattro categorie culturali: gli elementi naturali, il patrimonio culturale, la cultura sociale e, infine, quella linguistica.

In conclusione, la soluzione traduttiva degli elementi culturali, ha previsto il più delle volte, l’identificazione di un corrispondente omologo italiano. Tuttavia, nei casi in cui non ho individuato termini equivalenti italiani, le scelte traduttive

sono state principalmente tre: quella di proporre una traduzione contestuale, quella di lasciare invariato il termine originale optando per l’aggiunta di una nota esplicativa a piè di pagina e, infine, quella di aggiungere un epiteto che chiarisse la natura dell’elemento.

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