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Clara: mujer y marginalidad Proposta di traduzione di una parte di Hay que sonreir di Luisa Valenzuela

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Academic year: 2021

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Commento alla traduzione

In questa ultima parte di tesi mi propongo di evidenziare alcune aspetti della mia proposta di traduzione di Hay que sonreír; prima però di analizzare e presentare nel dettaglio le soluzioni traduttive, ritengo siano necessarie delle considerazioni preliminari riguardo ad alcuni aspetti linguistici e stilistici del romanzo.

In primo luogo, la principale caratteristica del romanzo è quella di possedere molti aspetti tipici della parlata argentina, varietà linguistica regionale dello spagnolo. Ciò spiega non solo l’utilizzo del voseo al posto delle forme tuteanti castigliane, ma anche l’uso di un lessico proprio della città di Buenos Aires, il lunfardo, e di lessemi che possiedono un’accezione differente o non presente nel dizionario castigliano. Si tratta, dunque, di una vera e propria lingua, seppur non riconosciuta ufficialmente come tale, con un proprio vocabolario e proprie forme verbali. Nelle pagine che seguiranno, proporrò alcune esempi che confermeranno tali affermazioni.

In secondo luogo, un altro aspetto importante del romanzo è la presenza diffusa del linguaggio colloquiale, il cui grado di informalità varia a seconda delle situazioni comunicative e dei personaggi con cui la protagonista si relaziona. L’uso di questo tipo di registro è favorito prima di tutto dal fatto che il narratore lascia ampio spazio ai dialoghi e ai pensieri della protagonista riportati con la tecnica del monologo interiore,

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cosa che permette di conferire un alto grado di expresividad al linguaggio. In secondo luogoanche l’ambiente del romanzo svolge un ruolo fondamentale nelle scelte linguistiche: siamo, infatti, nei bassi fondi di Buenos Aires, dove la protagonista dialoga e vive a stretto contatto con personaggi che adoperano un lessico gergale, a volte volgare, oltre a numerose espressioni idiomatiche, proverbi e intercalari tipici del habla argentina.

1. Il Voseo

Con il termine voseo ci si riferisce, comunemente, a un fenomeno linguistico molto diffuso in alcune zone dell’America Latina, ognuna delle quali possiede comunque il proprio uso e la propria variante linguistica. Generalmente il voseo consiste nell’uso del pronome personale di seconda persona plurale vos per rivolgersi a un solo interlocutore in contesti di informalità o familiarità. In Argentina, in particolare nella città di Buenos Aires, questo fenomeno si estende tanto alla forma pronominale quanto a quella verbale e si distinguerà, perciò, il voseo pronominal dal voseo verbal.

1.1 Voseo pronominal

Il voseo pronominal consiste principalmente nell’uso della forma pronominale vos con le stesse funzioni del tú e del ti dello spagnolo castigliano, ovvero quella di soggetto, di vocativo, di complemento e di termine di comparazione; fanno eccezione il pronome atono e i possessivi, che vengono utilizzati nelle forme del tuteo (te, tu, tuyo). Vediamo nel concreto alcuni esempi tratti dal romanzo:

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- Toño Cruz: ¿Pero vos te creés que soy taxi para llevarte a donde se te antoje? (p.38, corsivo mio)

- Toño Cruz: Pero vos tenías que salirme con uno de tus reproches, claro. Para que sepas, yo no te estoy robando. (p.43, corsivo mio)

- Monona: ¿No querés que me siente con vos y charlamos un rato? (p.71, corsivo mio)

Nei primi due casi, il vos è utilizzato come soggetto, mentre nell’ultimo ha la funzione di complemento indiretto; per quanto riguarda il pronome possessivo (tus) e il pronome personale atono (te), risulta chiara la conservazione delle forme del tuteo. Nell’approccio traduttivo al voseo pronominal non ho riscontrato molte difficoltà considerando che il vos possiede la stessa funzione del tu italiano:

- Toño Cruz: Ma cosa credi che sono un taxi che ti porta dove ti pare e piace?

- Toño Cruz: Ma tu ovviamente dovevi uscirtene con uno dei tuoi rimproveri. Perché tu lo sappia, io non ti sto derubando.

- Monona: Non vuoi che mi sieda con te e parliamo un po’?

In italiano l’espressione del soggetto è facoltativa, ma, se presente, attrae l’attenzione su di esso e sulla funzione

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comunicativa che svolge. Nel primo esempio ho optato per l’omissione del soggetto, non considerando rilevante la sua espressione, mentre nel secondo ho ritenuto opportuno esprimerlo per il rilievo comunicativo che possiede: accentua infatti l’atteggiamento di rimprovero che Toño Cruz assume spesso nei confronti di Clara e sposta l’attenzione del lettore su di lei.

Per quanto concerne il pronome di seconda persona plurale, anche in questo caso la forma voseante si differenzia da quella tuteante. Nella zona rioplatense, infatti, il pronome formale ustedes assume le stesse caratteristiche del vosotros castigliano ed è utilizzato, diversamente da quanto possa sembrare, anche in contesti di informalità. Nelle parti del romanzo oggetto della mia traduzione ho riscontrato solo un caso di questa forma voseante:

Monona: Si supieras cómo te describe: llena de joyas, con un enorme rodete. ¡Una dama, para que se enteren, no como ustedes, paparulas! (p.73)

L’unica difficoltà nel tradurre ustedes potrebbe sorgere dal tipo di tono da proporre nella traduzione italiana, considerando che questo pronome è utilizzato tanto in situazioni formali quanto in quelle informali. Tuttavia la presenza dell’insulto paparulas suggerisce il grado di informalità e chiarisce, dunque, ogni dubbio traduttivo al riguardo. Il pronome italiano utilizzato nella traduzione, coerentemente al registro, è quello di seconda persona plurale voi:

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Monona: Se sapessi come ti descrive, piena di gioielli, con un grande chignon: una vera signora, giusto perché lo sappiate, non come voi, cafone!

In base ai fattori sociolinguistici, il fenomeno del voseo può interessare in maniera diversa le differenti zone geografiche dell’America Latina. La variante linguistica della zona del Rio de la Plata estende l’uso del voseo anche ad alcune forme verbali, come si vedrà nel prossimo paragrafo.

1.2 Voseo verbal

Il voseo verbal consiste nell’uso delle desinenze verbali della seconda persona plurale, soggette ad alcune modifiche, per le forme verbali della seconda persona singolare. Tuttavia, come il fenomeno voseante pronominale, anche quello verbale varia in base a fattori linguistici e sociali.

Entrando nel merito del romanzo della Valenzuela, il voseo rioplatense tende a interessare solo alcuni tempi e modi verbali, ovvero, le forme del presente indicativo e congiuntivo e il modo imperativo:

Los días que pesqués más de tres que tomen unas copas, además, esos días no te cobro. Pero no tenés que decirles que vivís acá y te hacés alquilar otra pieza.113

L’esempio tratto dal romanzo è ideale per comprendere il fenomeno nelle diverse coniugazioni. Pesqués è la forma voseante della seconda persona singolare del congiuntivo presente. Per la creazione di questo voseo il congiuntivo

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tuteante della seconda persona plurale del verbo pescar ha subito una riduzione del dittongo (pesquéis riduzione del dittongo éi  pesqués).

Lo stesso vale per i verbi della seconda coniugazione, tener e hacer. Tenés, hacés sono forme del voseo del presente indicativo, anch’esse derivanti dalla riduzione del dittongo della seconda persona plurale castigliana: tenéis tenés; hacéis hacés.

La forma voseante della terza coniugazione, vivís, corrisponde alla seconda persona plurale del presente indicativo castigliano e non è soggetta, dunque, ad alcuna modifica. Per quanto riguarda gli altri modi verbali, all’interno del romanzo si può individuare il frequente uso delle forme del voseo imperativo. Anche queste seguono lo stesso principio di formazione dei casi precedenti: sono prodotti, infatti, dalla perdita della -d finale della seconda persona del plurale imperativo castigliano: Mirad  Mirá; Subid  Subí; Salid Salí, ecc.

Si notino alcuni esempi tratti dal romanzo:

- Salí, nena. El cuento del novio es más viejo que Matusalem. (p.23)

- Dale, no más, mandate la parte, que el hombre nos sigue por mí... (p.55)

- Vení, vamos a probar nuestra fuerza allí. (p.54) - […] pero el conductor le dijo ¡Subí! Con tanta autoridad que Clara obedeció. (p.37)

Risulta chiaro come l’imperativo svolga diverse funzioni: nei primi due esempi è adoperato come intercalare, nel terzo ha

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VALENZUELA, Luisa, Hay que sonreír, Fondo de Cultura Económica, Buenos Aires, 2007, p.22. ( corsivo mio)

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una funzione esortativa e nell’ultimo esprime un comando. Nella traduzione ho optato per forme italiane equivalenti che svolgessero le stesse funzioni:

- Falla finita, bella. La balla del fidanzato è più vecchia di Matusalemme.

- E dai, basta, smettila di atteggiarti che l’uomo ci segue per me…

- Vieni, andiamo a misurare la nostra forza lì. - […] ma il conducente le disse Sali! con così tanta autorità che Clara obbedì.

Nel primo esempio, l’imperativo ha funzione di intercalare, ma il contesto comunicativo da cui è tratto mi ha permesso di accentuarne la funzione. Il personaggio che lo enuncia è un sergente arrogante e, per questo motivo, nella mia proposta di traduzione ho optato per una soluzione leggermente più forte che funzionasse sia da intercalare che da esortazione. Nella traduzione degli altri tre casi di imperativo ho invece conservato la loro funzione originale, rimanendo fedele al testo di partenza.

Il voseo, come il tuteo castigliano, è strettamente connesso al registro informale: è infatti utilizzato in situazioni confidenziali, di familiarità o di intimità, le stesse che si possono individuare all’interno del romanzo.

2. Il registro

In merito al registro il mio approccio traduttivo è consistito principalmente nel cercare di conservare il tono colloquiale del testo originale, rimanendo fedele agli abbassamenti del grado di informalità di alcune situazioni comunicative. A tal

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proposito, all’interno del romanzo si possono individuare diverse occasioni in cui il linguaggio assume tratti volgari o gergali: si tratta dei dialoghi che Clara intrattiene con personaggi de los bajos fondos di Buenos Aires. Fra i numerosi casi di turpiloquio ho scelto di proporre quello del prosseneta Toño Cruz e della prostituta Monona. Vediamo alcuni esempi:

Toño: ¡Hace doce horas que estás afuera y sólo me traés doscientos pesos! Sos una porquería. ¿Qué querés que haga, decime, con tus miserables doscientos pesos? ¡Necesito plata, plata! (p.45, corsivo mio)

In questa caso Toño Cruz offende Clara definendola una porquería. Nella mia proposta di traduzione ho optato per un lessico altrettanto offensivo, fedele alle intenzioni dell’autrice:

Toño: Sono dodici ore che sei fuori e mi porti solo duecento pesos! Fai schifo. Dai, dimmi, cosa vuoi che me ne faccia dei tuoi miseri duecento pesos? Voglio soldi, soldi veri!

Un’altra situazione comunicativa che funge da esempio per mostrare come la scrittrice dia spazio al lessico volgare, è il dialogo tra Clara e Monona, la prostituta del Palacio del Baile:

Monona: Cuando se nace puta, se lo es hasta la tumba. (p.75, corsivo mio)

Monona: Porque el Cacho no me buscaba nada, pajarona. Estaba en el bulín con la colorada, la

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del cabaret. Y yo que voy y me le aparezco hecho un sofocón... Qué mierda, un papelón de la madona. (p.88, corsivo mio)

In questi due esempi si può notare come las palabrotas, seppure non pronunciate con fini particolarmente offensivi, producano un certo effetto, a tratti spiazzante, nel lettore, effetto che ho cercato di ricreare proponendo nella traduzione italiana espressioni altrettanto irriverenti:

Monona: Quando si nasce puttana, lo si è fino alla tomba.

Monona: Perché il Cacho non mi cercava per niente, stupida. Era nel privè con quella di colore del cabaret. E io che ci sono andata e gli sono piombata davanti con grande dispiacere… Che merda! Madonna, che imbarazzo!

Occorre un piccola osservazione riguardo alla traduzione di “papelón de la madona”. Si tratta di una interiezione comunemente usata nei paesi latinoamericani per designare una situazione molto imbarazzante; la traduzione letterale sarebbe stata dunque “una situazione imbarazzante della madonna”, ma ho ritenuto che l’eccessiva lunghezza della frase portasse a una perdita dell’effetto voluto dall’autrice. Pertanto ho optato per la traduzione “Madonna, che imbarazzo”, conservando comunque il tono informale dell’affermazione e adattandola come interiezione al contesto ricevente.

Gli esempi mostrano come all’interno del romanzo il registro possa essere più o meno informale in base ai contesti

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comunicativi. Tuttavia non è esclusa la presenza di situazioni semiformali in cui il vos colloquiale è sostituito dal pronome personale formale usted.

L’uso di usted, sebbene sia poco diffuso nel testo della Valenzuela, è frequente nei dialoghi tra Clara e una guardia del quartiere La Boca, don Anselmo:

Don Anselmo: Pero no quiero que usted se comprometa. Entre usted sola, yo me adelanto. Hay vecinos que tienen una lengua tan larga... Eso sí, señorita Clara, ya sabe que don Anselmo está a sus ordenes si llega a necesitar algo. (p.112)

Don Alonso: Ma io non voglio comprometterla. Entri da sola, vado avanti prima io. Ci sono vicini che hanno una lingua così lunga… Però sì, signorina Clara, già sa che don Anselmo è a sua disposizione se avrà bisogno di qualcosa.

Dall’esempio proposto si può notare come il grado di formalità non sia eccessivamente elevato e come la traduzione italiana rimanga fedele al registro utilizzato.

In conclusione, come si evince dagli esempi, ho tenuto in considerazione i fattori situazionali che influenzano il registro e ho optato per soluzioni traduttive fedeli al testo originale per non tradire le intenzioni della scrittrice.

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Avendo chiarito il tipo di registro utilizzato nel romanzo, si può ora volgere lo sguardo ad alcuni tratti morfologici e sintattici in esso individuati.

La presenza di espressioni colloquiali, di elementi fatici, di formule e marcatori discorsivi, sono tutti elementi che forniscono al testo una struttura dinamica e incalzante, favorita anche dalla frequente alternanza di parti narrate e parti dialogate. In questa sezione mi propongo di evidenziare alcune caratteristiche morfosintattiche che ricorrono spesso all’interno del romanzo e di spiegare le scelte traduttive che ho apportato al riguardo.

3.1 Enunciados suspendidos

L’uso di enunciados suspendidos114 è molto frequente

all’interno del romanzo. Si tratta di frasi volutamente sospese, tramite l’inserimento dei punti di sospensione, il cui valore illocutivo è completato nel contesto dall’interlocutore o dal lettore. Non si tratta di frase incomplete, per quanto possano apparire tali, ma di enunciati che hanno lo scopo di lasciar intendere informazioni strettamente correlate al contesto e che, per un motivo o per un altro, non vogliono essere esplicitate.

Si vedano gli esempi:

- Para que sirven los padres. Si supieras la historia del mío... (p.21)

- Pero también vos, querer al tanguero... (p.74)

114 “Los enunciados suspendidos son aquellos cuyo valor ilocutivo es completado en el contexto por el oyente.

No se trata, por tanto, de simples cortes en la comunicación, de abandonos de una construcción para empezar otra o de falsos reinicios. Así pues, si bien aparentemente parecen incompletos, son enunciados independientes tanto formal como informativamente, con una intención precisa dentro del proceso interactivo” in BRIZ

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- Si la envidia fuera tiña... (p.91)

- Pero no sé si quiero casarme... (p.131)

- Per quello che servono i padri. Se sapessi la storia del mio…

- Anche tu, però, amare quel tanghero… - Se l’invidia fosse febbre…

- Però non so se voglio sposarmi…

Come si evince dagli esempi, nella traduzione italiana ho scelto di rimanere fedele al testo originale conservando tutti i segni di interpunzione che caratterizzano questo tipo di enunciato.

3.2 I marcatori del discorso

I segnali discorsivi sono elementi linguistici polifunzionali molto frequenti all’interno del romanzo in analisi. Tale frequenza d’uso mostra l’importante ruolo che essi svolgono nella gestione dell’atto comunicativo, ovvero, quello di controllare e mantenere attiva la comunicazione fra due o più interlocutori. Sono elementi che ricorrono frequentemente in molte lingue, ma la frequenza d’uso e la funzione variano a seconda dei fattori sociolinguistici e situazionali. Questo spiega la difficoltà del traduttore nell’individuare equivalenti perfetti tra la lingua di partenza e quella d’arrivo dovendo superare le barriere linguistiche e proporre soluzioni traduttive che possiedano più o meno la stessa funzione linguistica.

GÓMEZ, Antonio, El español coloquial en la conversación: Esbozo de pragmagramática, Ariel, Barcelona, 1998, P. 86-87.

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In Hay que sonreír la presenza di numerosi dialoghi e di un registro perlopiù informale favoriscono l’uso dei segnali discorsivi: io li ho divisi in due categorie, che distinguerò in due sottoparagrafi: 1) Formule di chiusura del discorso e 2) Gli elementi fatici.

3.2.1 Formule di chiusura del discorso

Tra i segnali discorsivi si possono individuare le formule di chiusura enunciativa, espressioni di natura pragmatica che hanno lo scopo di marcare la chiusura di un enunciato o di una serie enumerativa. L’uso di questi elementi è molto frequente nello spagnolo colloquiale e le formule più comunemente utilizzate sono y tal, y todo, y esas cosas, etcétera, per la chiusura di una serie enumerativa, o ya está, ni nada, y punto, per la chiusura definitiva di un enunciato.

Come si evince dagli esempi sottostanti, all’interno del romanzo ho individuato, in particolare, l’uso frequente di una delle espressioni colloquiali sopra citate: y todo.

Si notino:

- Clara: ¿Entonces sos rico, con muebles nuevos y todo? (p.28)

- Toño: [...] Conmigo vas a estar mucho mejor, te voy a acompañar cuando descanses, te voy a organizar bien y hasta vas a poder hacer economías y todo. (p.41)

- Clara: ¿No te parece mejor que traiga mis clientes acá? Sería una cosa mucho más elegante

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y les podríamos cobrar el precio del hotel y todo... (p.43)

Nel tradurre queste espressioni mi sono domandata se la presenza di formule equivalenti nella resa italiana fosse necessaria. Nella maggior parte dei casi la mia scelta è stata quella di non tradurre tali espressioni, in quanto ho ritenuto fossero poco usate in situazioni colloquiali italiane: tradurle, a mio avviso, sarebbe stato superfluo perché, in primo luogo, non sarebbe stata rispecchiata una reale conversazione informale italiana e, in secondo luogo, si sarebbe appesantita la lettura. Tra gli esempi riportati, il primo proposto è l’unico in cui ho scelto di tradurre l’espressione spagnola, optando, nella traduzione italiana, per una parola polisemica come “cose”:

- Allora sei ricco, con mobili nuovi e tutte le altre cose?

- Con me starai molto meglio, ti farò compagnia quando riposi, ti organizzo per bene tutto io, e potrai anche mettere da parte qualcosa. Che te ne pare?

- Non ti sembra meglio se porto qui i miei clienti? Sarebbe più elegante e potremmo incassare noi il prezzo dell’albergo…

Tra le varie espressioni individuate durante il lavoro di traduzione, ¡ni ocho cuartos! ha attirato la mia attenzione. Questa possiede sia la funzione di chiusura di un enunciato,

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sia quella di rafforzamento negativo e, a seconda dei casi, assume lo stesso significato dell’espressione ni nada.

- Era ridículo: una cosa nunca puede ser moral ni inmoral ni ocho cuarto; pobre auto del dibujo que todos criticaban. (p.38)

- ¡Qué preparativos, ni ocho cuartos! (p.123)

Come si evince dagli esempi, l’espressione assume un significato diverso a seconda dei contesti, ma la funzione è la stessa in entrambi i casi.

- Era ridicolo: una cosa non può essere morale né immorale né nient’altro!; povera auto del disegno che tutti criticavano.

- Ma che preparativi e preparativi!

Nel primo caso ho optato per un’espressione che chiudesse e rafforzasse l’enunciato precedente, mentre, nel secondo mi sono avvalsa dell’uso della ripetizione come rafforzativo del concetto espresso.

3.2.2 Gli elementi fatici

Lo spagnolo colloquiale possiede molti termini che, perdendo il proprio significato originale, assumono la funzione di elementi fatici, ovvero espressioni che, in un contesto comunicativo, un emittente formula per avviare o mantenere una conversazione, richiamando l’attenzione del proprio interlocutore.

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In Hay que sonreír, data la forte presenza di dialoghi, si possono individuare diverse espressioni fatiche, derivanti da alcuni verbi di percezione, come mirar, ver e saber, da monosillabi ¿no?, ¿eh? e da sostantivi quali nena, amigo, hija e che.

Si vedano gli esempi:

- Víctor: Con soda no, amigo, que la soda hace burbujas y engaña y distrae. La vida, vea usted, hay que tomársela con agua bien pura, de esa que calma la sed. (p.12)

- Clara: Mirá, te voy a hacer una mayonesa como a vos te gusta. Y la ensalada te la preparo con ajo. (p. 65)

- Don Mario: ¿Sabés? A la policía mejor no mezclarla. (p.24)

Gli imperativi vea, mirá, sabés sono privati del loro significato originale e sono lessicalizzati con la funzione di mantenere viva la conversazione e di attirare l’attenzione dell’interlocutore. I verbi utilizzati con funzione fatica sono comuni anche nel parlato italiano e dunque non ho riscontrato particolari difficoltà nella traduzione:

- Niente soda, amico, che la soda ti gonfia, ti frega e ti confonde. Veda, la vita va mandata giù con acqua liscia, di quella che calma la sete.

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- Guarda, ti preparo una maionese come piace a te. E nell’insalata ti ci metto l’aglio.

- È meglio non avere a che fare con la polizia, sai?

Come accade negli atti comunicativi spagnoli, anche in quelli italiani è frequente l’uso di connettivi monosillabici per regolare, confermare o mantenere il contatto fra gli interlocutori della conversazione. Nei dialoghi di Hay que sonreír ho spesso riscontrato la presenza di monosillabi con funzione fatica quali ¿no?, ¿eh?, frequenti, tuttavia, anche in italiano:

- Sargento: Te los olvidaste, ¿eh? ¿Y qué andás haciendo paseando por acá, solita? (p.23)

- Don Mario: Ahora sí que no lo vas a desobedecer al viejo Mario, ¿eh? (p.36)

- Víctor: Lo que pica sos vos. Buscando que pierda el control, ¿no? ( p.54)

A tale riguardo, ho optato per soluzioni traduttive che fossero coerenti al contesto d’uso:

- Li hai dimenticati, eh? E che fai da queste parti passeggiando sola soletta?

- È vero che ora non disobbedirai più al vecchio Mario?

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- Quella pungente sei tu. Cerchi di farmi perdere il controllo, vero?

Nel primo e nel secondo esempio si noti come la traduzione di ¿eh? non sia la stessa ma varia in base all’emittente e alle sue intenzioni comunicative. Don Mario controlla il contatto con il suo interlocutore, Clara, in maniera più attenta rispetto al sergente, il cui ¿eh? sembra pronunciato quasi per ironia. Per questo motivo, nel primo caso ho lasciato invariato l’elemento fatico, mentre nel secondo, fedele alla richiesta di attenzione dell’emittente, ho adattato ¿eh? al contesto comunicativo italiano con il sintagma “è vero che”, spesso usato con funzione fatica. Infine, nel terzo esempio, ho tradotto il ¿no? dell’enunciato spagnolo con “vero?”, la cui funzione fatica è decisamente più forte rispetto al “no?” italiano.

Per quanto riguarda i sostantivi, in Italia l’uso di questi come elementi fatici è meno diffuso rispetto alla Spagna e ai paesi ispanoamericani, dove al contrario è frequentemente utilizzato in situazioni di informalità.

- Sargento: Salí, nena. El cuento del novio es más viejo que Matusalem. (p.23)

- Don Mario: Viste, viste, lo que yo te decía. ¡Pero si de la vida no conocés ni jota, hija!

- Monona: Decime, che. El Carlos ese no debe saber nada que vos estás acá, ¿no?

La bassa frequenza d’uso dei sostantivi vocativi italiani riduce, a mio avviso, le possibilità traduttive. In questi casi, ho assunto due modalità di approccio alla traduzione: la prima è

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stata quella di tradurre i vocativi spagnoli con gli equivalenti italiani più utilizzati nei contesti informali; la seconda è stata quella di omettere il vocativo nei casi in cui la sua presenza non fosse necessaria:

- Falla finita, bella. La balla del fidanzato è più vecchia di Matusalemme.

- Vedi, è come ti dicevo. Ma se della vita non ne capisci un’acca!

- Dimmi, cara. Quel Carlos non lo deve sapere che tu sei qui, vero?

Nel primo esempio ho tradotto il vocativo nena, che letteralmente significa bambina, con un’espressione italiana più diffusa nel parlato, “bella”, conservandone tuttavia la funzione vocativa. Nel secondo esempio ho optato per l’omissione del vocativo hija, non ritenendolo particolarmente funzionale nella traduzione italiana.

Il vocativo presente nell’ultimo esempio è, invece, quello più utilizzato all’interno del romanzo e, fra tutti, è quello che possiede diverse soluzioni traduttive italiane. Che è, infatti, un intercalare nominale frequentemente usato nelle regioni latinoamericane, ma in particolare nella zona rioplatense; si tratta, dunque, un’espressione culturo-specifica e, come tale, non possiede un equivalente perfetto nella lingua italiana. Per questo motivo, nel tradurlo, ho tenuto in considerazione due fattori principali: il sesso degli interlocutori e il contesto d’uso. Nell’esempio riportato Monona dirige il vocativo a Clara e, pertanto, “che” assume una connotazione femminile; considerato ciò, ho optato per una soluzione traduttiva il più

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possibile corrispondente alla cultura italiana, “cara”, consapevole, tuttavia, dell’inevitabile scarto culturale.

Nel lavoro di traduzione mi sono trovata a fronteggiare molti altri casi di elementi culturo-specifici, meglio conosciuti come culturemi. Data l’alta frequenza di questi elementi all’interno del romanzo, dedicherò una sezione apposita alla classificazione dei culturemi, chiarendo il mio approccio traduttivo ad essi.

4. Classificazione e traduzione dei culturemi in Hay

que sonreír

In Hay que sonreír ho riscontrato un uso molto frequente di espressioni e termini culturo-specifici, ovvero, caratterizzati da riferimenti linguistici e sociali propri della cultura argentina e, più in particolare, di quella bonaerense.

Recenti studi sulla traduzione hanno dimostrato che le principali difficoltà di traduzione sono dovute proprio a questa categoria di elementi, che sono radicati alla cultura di appartenenza di chi scrive.

Una delle prime definizioni del concetto di culturema è stata fornita dallo studioso Veermer, definizione che Nord ha citato nel suo studio:

Un fenómeno social de una cultura X que es entendido como relevante por los miembros de esa cultura, y que comparado con un fenómeno correspondiente de una cultura Y, resulta ser percibido como específico de la cultura X.115

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E ancora, citando Molina Martínez116, il culturema può essere definito come un elemento verbale o paraverbale che possiede una carica culturale specifica in un cultura e che, entrando a contatto con un’altra cultura attraverso la traduzione, può causare un problema di indole culturale fra il testo originale e il testo d’arrivo.

Pertanto, il compito del traduttore è quello di abbattere le barriere culturali e linguistiche tra il testo originale e il testo d’arrivo, avvalendosi di varie strategie traduttive: trascrizione, traslitterazione, prestito linguistico, esotismo, calco, sostituzione, traduzione approssimativa, letterale o contestuale.

Al fine di proporre un’analisi esaustiva dei culturemi del romanzo della Valenzuela, fornirò una classificazione di questi elementi basandomi su un modello di catalogazione proposto da Molina. La studiosa, infatti, suddivide la categoria dei culturemi in quattro ambiti culturali: 1) elementi naturali; 2) patrimonio culturale; 3) cultura sociale e 4) cultura linguistica.

Classificherò i culturemi di Hay que sonreír nelle quattro categorie culturali suggerite dalla studiosa e, per ogni occasione, spiegherò le scelte traduttive ritenute necessarie.

4.1 Elementi naturali: i fiumi

Nel romanzo della Valenzuela ho riscontrato solo due elementi appartenenti a questo ambito:

115 NORD, Christiane, Translating as a Purposeful Activity: Functionalist Approaches Explained, St. Jerome

Publishing, Manchester, 1997, p.34.

116

MOLINA MARTÍNEZ, Lucía, El otoño del pingüino. Análisis descriptivo de la traducción de los culturemas, Universitad Jaime I, Castellón de la Plana, 2006, p.79.

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 Río de la Plata: è un estuario formato dal fiume Uruguay e dal fiume Paraná.

 Riachuelo: è un fiume che attraversa Buenos Aires, delimitando la zona sud della città.

Nella traduzione italiana entrambi i termini rimangono invariati, in quanto denominano elementi del patrimonio naturale sudamericano. Si noti:

- Alejandro llevó Clara hasta la orilla del Riachuelo [...] (p.103)

- Alejandro portò Clara fino alla sponda del Riachuelo […]

Il testo chiarisce la natura di tali elementi (orilla/sponda) e, per questo motivo, non ho ritenuto necessario inserire alcuna nota esplicativa.

4.2 Patrimonio culturale

In questa sezione presenterò una lista di elementi culturali che caratterizzano il patrimonio culturale della città di Buenos Aires, luogo in cui è ambientata la storia di Clara. Mi riferisco, in particolare, ai luoghi emblematici bonaerensi, agli elementi folkloristici e agli elementi culinari, intendendo anche il cibo come espressione dell’identità culturale.

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4.2.1 Buenos Aires: i barrios, gli edifici e i luoghi emblematici

La città di Buenos Aires è attualmente suddivisa in 48 barrios ufficiali e alcuni di questi quartieri sono spesso menzionati, dalla protagonista o da altri personaggi, all’interno del romanzo. Il lettore, seguendo gli spostamenti e il punto di vista di Clara, ha l’opportunità di immaginare, sin dalle prime pagine, i luoghi emblematici della città di Buenos Aires. Il frequente riferimento alle strade, ai quartieri e agli edifici bonaerensi mi ha spinto a conservare tutti i riferimenti ambientali, conferendo così alla traduzione un tratto esotizzante. Nella maggior parte dei casi ogni luogo citato nel romanzo è seguito o preceduto da un epiteto o da una breve descrizione, ed entrambi forniscono chiare informazioni al lettore risolvendo eventuali dubbi. Nei rari casi in cui mancava questo aiuto testuale, ho ritenuto opportuno aggiungere una nota esplicativa a piè di pagina.

Seguendo l’ordine di apparizione nel testo originale, propongo, qui di seguito, una lista dei luoghi individuati nel romanzo, spiegando in alcuni casi la mia strategia traduttiva.

 Parque Retiro: conosciuto inizialmente come Parque Japonés, era un parco di divertimenti con vari tipi di attrazioni, costruito nel quartiere Retiro nel 1939 e demolito nel 1962. Appartiene, dunque, alla cultura di Buenos Aires degli anni Quaranta e, per questo motivo, ho ritenuto opportuno lasciare il termine invariato e apporre una nota esplicativa a piè di pagina.

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 Torre de los Ingleses: oggi conosciuta come Torre Monumental, è attualmente localizzata nel quartiere Retiro. Il testo fornisce una descrizione di tale edificio e, per tale motivo, ho considerato superflua una nota esplicativa.

- La alta Torre de los Ingleses, con su cuerpo de ladrillos y su esfera iluminada, no le dejaba olvidar el paso del tiempo. (p.13)

- L’alta Torre de los Ingleses, con la struttura in mattoni e la sfera illuminata, non le faceva dimenticare lo scorrere del tempo.

 Once: “y bajó del tren en Once” (p.14). Il testo stesso chiarisce che si tratta di una stazione e, dunque, non è stato necessario inserire alcuna nota.

 Palermo, Pacífico, Rivadavia: sono quartieri di Buenos Aires e il testo stesso chiarisce la loro natura, dunque non ho ritenuto necessario né tradurli né inserire una nota esplicativa.

- Y en Rivadavia, un barrio bien [...]. (p. 65)

- E a Rivadavia, un quartiere per bene […].

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 Plaza Italia: piazza situata nel quartiere Palermo. Essendo un luogo emblematico di Buenos Aires, tradurre questo elemento avrebbe causato uno scarto culturale. Nella traduzione italiana rimane dunque invariato.  El Rosedal: è un tradizionale paseo (viale da

passeggio), situato del Parque Tres de Febrero nel quartiere Palermo. Appartiene al patrimonio culturale di Buenos Aires e, perciò, ho lasciato il termine invariato, fornendo tuttavia una breve descrizione nella nota a piè di pagina.

- Conozco una confitería en el Rosedal, frente al lago, allí podríamos dar una vuelta a la pista...(p.32)

- Conosco un bar nei pressi del Rosedal, di fronte al lago, lì potremmo anche ballare un po’…

 Le strade: calle Junín, calle Lavalle, calle Corrientes. In questi casi, ho conservato il nome delle strade e sostituito calle con il termine corrispondente italiano via.

 Cacharita: con questo termine nel testo si fa riferimento a un cimitero nell’omonimo quartiere Cacharita. Il testo stesso chiarisce, seppur in modo implicito, la natura del luogo e, dunque, l’aggiunta di una nota sarebbe stata superflua.

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- Si querés un día de estos vamos a la Cacharita para llevarle flores. (p.84) - Se vuoi uno di questi giorni andiamo alla Cacharita a portarle dei fiori.

 Mar del Plata: è una città della provincia di Buenos Aires situata sulla costa atlantica ed è una famosa meta turistica, particolarmente conosciuta per il Casinò Central. Inoltre, il dialogo fra Monona e Clara chiarisce che si tratta di una meta molto ambita dagli abitanti di Buenos Aires e, per questo motivo, nella resa italiana il termine appare invariato:

-Sólo quería saber cómo tienés que portarte para que el Cacho te lleve a Mar del Plata. (p.89)

- Volevo solo sapere come devi comportarti per farti portare dal Cacho a Mar del Plata.

 Plaza San Martín: piazza situata nel quartiere Retiro. Come nel caso di Plaza Italia, nella traduzione italiana il termine rimane invariato.

 Puente Avellaneda: è uno dei ponti più grandi di Buenos Aires che attraversa il fiume Riachuelo, collegando il quartiere La Boca alla zona meridionale della città. Il

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testo chiarisce che si tratta di un ponte e, essendo un luogo emblematico della città di Buenos Aires, non ho applicato alcuna traduzione né inserito una nota a piè di pagina.

- [...] levantándose al anochecer para caminar hasta el Riachuelo, subir el Puente Avellaneda para ver los barcos o ir hasta la Vuelta de Rocha a sentarse en un banco, simplemente, sin decir una palabra. (p.109)

- alzandosi di notte per camminare fino al Riachuelo, salire sul Ponte Avellaneda per vedere le navi o arrivare fino alla Vuelta de Rocha per sedersi su una panchina, semplicemente, senza dire una parola.

 Vuelta de Rocha: è un altro luogo emblematico del quartiere La Boca, precedentemente chiamato Puerto de los Tachos. Deve il suo nome “Vuelta” alla curva che il corso del fiume Riachuelo forma in questa parte della città. Come si può notare nell’estratto sopra citato, il testo non esplica di cosa si tratti, perciò ho optato per l’inserimento di una nota esplicativa a piè di pagina.

 La Boca: è un quartiere della zona sud di Buenos Aires, situato sulle rive del Riachuelo.

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Viene menzionato una sola volta all’interno del romanzo:

- Se sentía tocando fondo en ese conventillo de La Boca, conviviendo con una prostituta, y era feliz a su manera. (p.113)

- Sentiva che stava toccando il fondo in quel conventillo del quartiere La Boca, convivendo con una prostituta e, a suo modo, era felice.

Nella traduzione italiana si può notare come la resa del sintagma “conventillo de La Boca” non sia del tutto fedele all’originale. La scelta traduttiva adoperata, infatti, è stata quella di aggiungere un sostantivo per esplicitare il contenuto con “conventillo del quartiere La Boca”. Senza questa aggiunta, la resa italiana non sarebbe stata efficace e avrebbe lasciato dei dubbi nel lettore ignaro della natura di tale elemento.

4.2.2 Folklore e tradizioni argentine

Dedicherò questo paragrafo ad alcuni elementi culturali del romanzo che sono ascrivibili all’ambito del folklore e delle tradizioni argentine, tra cui anche quelle gastronomiche. Il mio principale approccio traduttivo è stato quello di conservare i termini originali nella traduzione come ispanismi, ritenendoli elementi emblematici della cultura argentina.

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Classificherò questi elementi in due sottocategorie: quella della musica e del ballo, e quella gastronomica.

La musica e il ballo sono due delle più grandi espressioni della cultura argentina. All’interno del romanzo sono stati individuati diversi termini riconducibili agli ambienti del tango. Per quanto riguarda la musica, nel testo originale si possono distinguere:

 Generi musicali: il mambo, la milonga, il baión e il tango, strettamente connessi al ballo. Si tratta di elementi culturali penetrati nella cultura italiana e dunque restano invariati nella traduzione.

 Titoli di brani musicali: Mano a mano, Che amarroto, El Choclo. Sono canzoni scritte e cantate da famosi tangheri argentini, come Carlos Gardel, pertanto non sono stati tradotti perché proprie della cultura argentina.

 Strumenti musicali: l’unico strumento menzionato nel romanzo è il bandóneon, che è fondamentale per le orchestre di tango argentino. Anche in questo caso il termine permane nella traduzione come prestito linguistico.

Per quanto riguarda il ballo, nel romanzo sono menzionati alcuni passi di tango: cortes, quebradas e sentaditas. Nella cultura italiana non esistono termini corrispondenti e sostituirli con degli omologhi generici avrebbe provocato, a mio avviso, uno scarto culturale considerevole. Perciò tali

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termini rimangono invariati nella traduzione italiana, ma il lettore può comunque comprendere il significato e la natura di questi elementi dal testo stesso.

Ho inoltre evidenziato gli elementi legati al lessico gastronomico, perché ritengo che anche il cibo e le bevande siano espressione dell’identità culturale. Le soluzioni traduttive degli elementi gastronomici variano in base al contesto in cui essi sono utilizzati e all’eventuale esistenza di termini ad essi omologhi nella cultura italiana.

Il dulce de leche, i pebetes, il pan dulce, la torta pascualina e especial sono prodotti culinari tipici argentini e non possiedono termini corrispondenti italiani. Rimangono, perciò, invariati nella traduzione italiana e, ad eccezione di especial che designa un particolare tipo di sandwich, non è stato necessario introdurre alcuna nota esplicativa.

La Racauchi Cola, il sidro, il balón, la primavera, la ginebra, la caña doble e il mate cocido sono le bibite che vengono menzionate all’interno del romanzo. Ad eccezione di Racauchi Cola , di caña doble e mate cocido, gli altri possiedono un omologo italiano: il sidro, la pinta, il primavera (inteso come cocktail) e il gin. Per le altre tre bevande, ho optato per soluzioni traduttive diverse. Il termine Racauchi Cola, che indica una bibita gassata argentina, rimane invariato nella traduzione italiana e non ho ritenuto necessario inserire alcuna nota. Per il termine caña doble ho optato, invece, per una traduzione approssimativa, utilizzando il termine “doppio rhum” comune nella cultura italiana. Il mate cocido è invece un caldo infuso di erba mate tipico del sud America, servito in tazza come il tè. Essendo una bevanda propria della cultura sudamericana, ho scelto di conservare il termine nella

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traduzione italiana, dando volutamente un alone esotico al testo.

4.3 Cultura sociale

Riferendomi al terzo ambito culturale individuato da Molina, mi propongo di elencare qui alcuni elementi culturali appartenenti alle abitudini e alle convenzioni sociali della zona rioplatense di cui si parla nel romanzo.

In primo luogo nel romanzo ho individuato un termine ascrivibile all’ambito del vestiario tipico argentino, il chambergo, un cappello a tesa larga rialzata da un lato. Non ho individuato un equivalente nella cultura italiana; avrei potuto tradurlo con il termine generico “cappello” o utilizzare lo stesso termine come epiteto, ma ho ritenuto entrambe le soluzioni poco adatte: la prima avrebbe causato uno scarto culturale, la seconda avrebbe rallentato o appesantito la lettura. Ho, dunque, optato per l’inserimento di una nota a piè di pagina che fornisse una breve descrizione dell’accessorio d’abbigliamento.

La moneta è un altro elemento di ogni cultura sociale. In Hay que sonreír si individua il frequente utilizzo dei termini pesos e centavos e, nella resa italiana, ho scelto di conservare la valuta argentina. Nel romanzo, però, il riferimento al denaro è espresso anche in altri tre modi: la plata, la guita e lucas. Il primo è un termine della parlata argentina, mentre il secondo e il terzo appartengono al lunfardo, argot urbano dell’Argentina e dell’Uruguay di cui parlerò nelle prossime pagine. In base ai contesti d’uso, ho utilizzato due sostantivi italiani corrispondenti ai termini “plata” e “guita”, soldi e denaro, mentre il terzo elemento, “lucas”, rimane invariato

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nella traduzione italiana. Tuttavia, per questo termine, ho introdotto una nota a piè di pagina in cui ho esplicitato che “lucas” è una parola propria della cultura sudamericana che designa il valore di 1000 pesos.

Tra gli appellativi della sfera sociale, nel romanzo ho individuato don, doña, pibe . Per quanto riguarda i primi due, ho scelto di conservarli nella traduzione italiana solo se accompagnati da un nome proprio (es. don Mario, doña Herminda), in caso contrario ho utilizzato i sostantivi generici signore/a. Pibe, invece, è un appellativo tipicamente argentino e la traduzione di questo termine è dipesa dal contesto d’uso:

- El Pibe de San Telmo terminó de cantar sus tres canciones [...] (p.60)

- ¡Vení, pibe! (p.102)

- Il Pibe di San Telmo terminò di cantare le sue tre canzoni […]

- Vieni qui, ragazzino!

Dagli esempi riportati si possono notare due diverse soluzioni traduttive. Nel primo caso, l’appellativo è utilizzato come nome d’arte di un cantante di tanghi e, dunque, nella resa italiana rimane invariato. Nel secondo, invece, il termine pibe è rivolto a un ragazzo per attirare la sua attenzione e ha, quindi, una funzione appellativa.

Per concludere questa sezione dedicata ai culturemi sociali, volgo ora l’attenzione su alcuni locali e strutture tipiche della città di Buenos Aires: casa de citas, confitería, copetín al paso e conventillo. Per i primi due, ho proposto una traduzione il più possibile fedele al loro significato originale, “albergo ad ore” e “bar”, mentre per gli ultimi due, ho ritenuto

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non fosse possibile individuare equivalenti perfetti italiani. Pertanto, la soluzione traduttiva è stata quella di conservare i termini spagnoli e inserire una nota esplicativa a piè di pagina:

 Copetín al paso: è un locale per aperitivi o per pranzi veloci molto simile al fast food.  Conventillo: è un’abitazione urbana

collettiva costruita su più piani ognuno dei quali può essere abitato da coppie, famiglie o scapoli. È dunque un tipo di alloggio proprio dell’ambiente portegno, in particolare del quartiere La Boca.

4.4 Cultura linguistica

Dedicherò questa sezione del commento al lessico e alle espressioni linguistiche del habla argentina individuate nel romanzo, fornendo brevi spiegazioni sulle scelte traduttive che ho ritenuto necessarie per far fronte alle barriere culturali presenti tra la lingua usata dalla Valenzuela e l’italiano. In primo luogo elencherò alcune espressioni idiomatiche argentine presenti nel romanzo, affiancandole alla mia proposta di traduzione. Successivamente concentrerò l’attenzione sul lessico utilizzato dalla Valenzuela, distinguendo alcuni lessemi argentini dall’argot urbano rioplatense, il lunfardo.

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L’opera della Valenzuela è ricchissima di espressioni linguistiche tipiche dello spagnolo e dell’argentino colloquiale e fra queste si possono distinguere, in particolare, i proverbi e le frasi idiomatiche.

Le espressioni idiomatiche sono quelle più frequenti all’interno del romanzo. Presento qui di seguito un elenco dei modismos individuati nel testo originale, affiancando ad essi la corrispondente traduzione italiana da me proposta:

 Y yo ya no estoy para estos trotes (p.19): E per me ormai è troppo tardi.

 [...] el calamar insistió en darle la lata (p.20): il calamaro continuò a infastidirla.

 ¡Pero si de la vida no conocés ni jota!(p.21): ma se della vita non ne capisci un’acca!

 El cuento del novio es más viejo que Matusalem (p. 23): La balla del fidanzato è più vecchia di Matusalemme.

 araca la cana (lunfardo) (p.25): occhio agli sbirri.

 La combinación de puntillas que tenía entre ceja y ceja (p.29): la sottoveste coi merletti su cui si era incaponita.

 Cuando todo marchaba sobre rieles la llamaba Clarita (p.29): quando tutto filava liscio la chiamava Claretta.

 Clara estaba decidida a seguir los sanos consejos de don Mario al pie de la letra (p.31): Clara era decisa a seguire i giusti consigli di don Mario per filo e per segno.

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 […] yo no estoy como para chistes (p.45): io ho altro di meglio da fare.

 […] decidí cortar por lo sano (p.51): ho deciso di darci un taglio.

 […] se enciede la luz y listo el pollo ya no queda nada por ver (p.52): si accende la luce e il gioco è fatto, non c’è più nulla da vedere.  […] mandate la parte, que el hombre nos

sigue por mí (p.55): piantala di atteggiarti, che l’uomo ci segue per me.

 A ésos les da bronca que uno ande divirtiéndose (p.56): A quelli gli rode che uno si voglia divertire un po’.

 ¡Eso para no darnos bola a nosotros, la chusma! (p.73): Questo per non dare corda a noi, la gentaglia!

 […] ya no se va a poder dar más pisto (p.74): e ora non può più darsi le arie.

 […] no vale la pena andar buscándole cinco patas al gato (p.76): non vale la pena andare a cercare il pelo nell’uovo.

 Cualquier energúmeno con dos dedos de frente (p.76): qualsiasi energumeno con un po’ di sale in zucca.

 [...] me odian porque no les llevo el apunte (p.82): mi odiano perchè non li considero.  [...] hizo un escándalo de la gran siete (p.83):

ha montato su uno scandalo allucinante.  […] no le quiero colgar la galleta (p.91):

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 Hasta le puedo hacer el cuatro después y todo (p.116): Poi posso anche farle vedere che riesco a stare su un solo piede.

 [...] y no hablaba hasta por los codos como las otras mujeres que había conocido (p.131): E non era parlava fino allo sfinimento come le altre donne che aveva conosciuto.

Il romanzo presenta anche alcuni proverbi quali:

 Nunca es tarde cuando la dicha llega (p.13): meglio tardi che mai

 De esta agua no has de beber (p.48) : non c’è trippa per gatti.

 Hacete amigo del juez (p.58): fatti amico il tuo nemico.

 Sobre gustos y colores no hay nada escrito (p.75): di gusti e colori non si discute

 Cada cual se rasca donde puede (p.75): ognuno si gratta dove gli prude

 Si la invidia fuera tiña (p.91): Se l’invidia fosse febbre

Come si può notare dagli esempi sopra riportati, ho cercato di fornire una soluzione traduttiva sostituendo le espressioni idiomatiche spagnole e argentine con quelle corrispondenti italiane. Tuttavia, in alcuni casi, non è stato possibile individuare un’espressione omologa nella cultura italiana e, quindi, ho optato per una scelta traduttiva differente: ho fornito, infatti, una traduzione contestuale, tenendo conto del significato globale della frase e del contesto

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in cui l’espressione è stata inserita. Negli esempi quali “de esta agua no has de beber”, “hacete amigo del juez”, “hacer el cuatro” o “araca la cana” ho optato per espressioni che avessero un significato simile: “qui non c’è trippa per gatti”, “fatti amico il tuo nemico”, “stare su un solo piede” e “occhio agli sbirri”.

4.4.2 Il lessico argentino e il lunfardo

Per concludere la sezione dedicata ai culturemi linguistici, vorrei ora spostare lo sguardo sul tipo di vocabolario presente all’interno del romanzo. Il lessico di base risulta essere, chiaramente, quello spagnolo, ma non è l’unico. Al contrario, è ricco di lessemi della parlata argentina e dell’argot urbano diffuso nelle regioni del Río de la Plata, il lunfardo. Il romanzo riflette, dunque, l’affascinante realtà linguistica argentina frutto di una mezcla di lingue e culture diverse e di un’evoluzione linguistica strettamente connessa a quella sociale e culturale.

Le origini di tale evoluzione risalgono al periodo del colonialismo, in cui si datano i primi contatti dello spagnolo con le lingue e le culture indigene. Nel corso dei secoli la lingua spagnola ha subito l’influenza anche di altre lingue, tra cui quella africana, quella creola e quelle dei milioni di emigranti europei giunti in Argentina negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento. Il fenomeno immigratorio nell’area rioplatense (1870- 1930 c.a) fu uno dei principali motivi del rinnovamento argentino, tanto etnico quanto linguistico, e il crogiolo di lingue, di culture e di etnie di questi anni ha modificato considerevolmente la natura linguistica argentina. Il contatto fra la lingua spagnola locale e

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le lingue europee (italiano, portoghese, francese e inglese) ha portato alla formazione di nuove risultanze idiomatiche. In particolare, l’influenza dell’italiano e delle sue varietà dialettali, meridionale e genovese, ha prodotto due forme di habla molto diversi fra loro: il cocoliche, la cui presenza nella realtà linguistica argentina è oggi sporadica, e il lunfardo, argot urbano che è stato lentamente incorporato dallo spagnolo argentino.

Il lunfardo nasce come gergo dei bassifondi e della malavita cittadina ma nel corso degli anni si arricchisce di nuovi termini penetrando e integrandosi nella lingua popolare. Ad oggi è riconosciuto come un argot rioplatense di grande vivacità e forza semantica.

Nel suo primo romanzo Luisa Valenzuela fa largo uso di lessemi lunfardi e ricorre a questi nei dialoghi fra Clara e i personaggi dei bassifondi di Buenos Aires, come Monona o Toño Cruz. Si tratta di vocaboli con una forte carica semantica e sono spesso utilizzati in contesti di informalità con fini offensivi o, comunque, non del tutto cortesi.

Sarebbe interessante menzionarli tutti ma, per non dilungarmi troppo, elencherò solo quelli più emblematici:

 Cafisho (p.42): pappone  Cana (p.23): sbirri, polizia  Chanchos (p.76): porci  Engrupido (p.91): sbruffone  Globazo (p.73): ballista  Gringa (p.89): straniera  Guarango (p.57): cafone  Laburar (p.41): lavorare  Manyar (p.73): mangiare

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 Mequetrefe (p.77): incapace  Mina (p.73): femmina, prostituta  Pajuerana (p.40): provincialotta  Paparula (p.71): stupida

 Tipo pierna (p.25): tipo in gamba

Le proposte di traduzione mostrano come abbia optato per termini equivalenti italiani che conservassero la stessa connotazione offensiva o discriminatoria delle parole originali.

Per quanto riguarda il vocabolario argentino, il romanzo è ricco di termini, ascrivibili soprattutto alla sfera della quotidianità, che possiedono un’accezione diversa o del tutto inesistente nel dizionario castigliano. Ne elencherò alcuni:

 Almacén: magazzino (spa.) | negozio d’alimentari (arg.)

 Apurarse: vuotare, preoccuparsi (spa.) | affrettarsi (arg.)

 Boletero: esattore (spa.) | bigliettaio (arg.)

 Cartera: portafoglio, cartella (spa.) | borsetta (arg.)

 Colectivo: collettivo, comune (agg. spa) | autobus (arg.)

 Cuadra: stalla, scuderia (spa.) | isolato (sost. arg.)

 Departamento: dipartimento (spa.) | appartamento (arg.)

 Manejar: maneggiare (spa.) | guidare (arg.)  Pollera: pollaio (spa.) | gonna, sottoveste (arg.)  Saco: sacco (spa.) | giacca (arg.)

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 Subterráneo: sottopassaggio (spa.) | metropolitana (arg.)

 Velador: candeliere, tavolino rotondo (spa.) | comodino

 Vereda: viottolo (spa.) | marciapiede (arg.)  Vigilante: vigilante (spa.) | guardia (arg.)  Bañadera: vasca da bagno, lavandino (arg.)  Heladera: frigorifero (arg.)

Nella traduzione italiana ho selezionato termini italiani equivalenti all’accezione argentina per rimanere fedele al testo originale; se avessi usato le accezioni spagnole, infatti, avrei stravolto o reso incomprensibile il senso globale della frase.

In conclusione, ritengo opportuno evidenziare che durante il processo traduttivo, al fine di produrre un testo comprensibile al lettore italiano, alcuni scarti culturali sono state inevitabili come nel caso di compadrito (p.22). Questo è un epiteto che designa un certo soggetto sociale delle zone suburbane rioplatensi. La resa italiana ha previsto l’uso di un termine più generico, “bullo”, e risulta chiara la perdita del riferimento culturale nella traduzione italiana in mancanza di un equivalente perfetto italiano.

Gli approcci traduttivi sono stati diversi in base al contesto e in base alla necessità di conservare l’elemento originale nella traduzione italiana. Nei casi in cui ho ritenuto essenziale la presenza dell’elemento esotico, ho optato per la conservazione dei termini originali, accompagnati, se necessario, da note esplicative che chiarissero la natura dell’elemento. Un’ulteriore strategia traduttiva si è basata sulla sostituzione di espressioni o termini della cultura argentina con equivalenti della cultura italiana. In mancanza

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di omologhi perfetti, ho optato per soluzioni che conservassero il significato globale della frase e che non tradissero il significato originale.

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Conclusioni

In questo lavoro di tesi magistrale mi sono impegnata nel presentare una delle scrittrici più rinomate della letteratura argentina contemporanea, Luisa Valenzuela, e la traduzione di una parte del suo primo romanzo, Hay que sonreír, a cui è seguita una personale commento alla traduzione.

Nel primo capitolo introduttivo ho fornito alcuni dati biografici importanti per comprendere il percorso di vita della scrittrice. Se ne è evinto che tanto la sua vita quanto la sua produzione letteraria hanno alla base un forte desiderio di búsqueda: la ricerca non solo della verità occultata e manipolata dalle istituzioni politiche e sociali, ma anche di un linguaggio che si adatti alla verità che ci si propone di rivelare. Si è visto come la scrittrice ami sperimentare il linguaggio e l’uso della parola che è per lei l’arma di cui lo scrittore deve sapersi avvalere per giungere alla conoscenza non solo del mondo ma anche di se stessi. Come in Hay que sonreír, infatti, la Valenzuela concentra la sua scrittura sul processo di costruzione della soggettività e sull’auto-conoscimento dei suoi personaggi, perlopiù femminili, strettamente connessi alle esperienze che essi vivono con e sul proprio corpo. Ho accennato, a tal proposito, all’estetica riscontrabile in gran parte delle opere della scrittrice argentina, quella di escribir con el cuerpo. Con queste parole, la stessa Valenzuela fa riferimento alla forte influenza che il corpo ha, e deve avere, nell’atto creativo della scrittura. Scrivere diventa il prodotto della compartecipazione tanto del

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corpo quanto della mente e non deve limitarsi a un mero atto razionale, ma deve implicare il desiderio e, quindi, anche tutte le sensazioni corporee. Logos e eros cooperano nell’atto di creazione della scrittura della Valenzuela e nella liberazione del discorso, privato di ogni tipo di censura, perfino quella personale.

Ho mostrato, inoltre, come per alcuni studiosi escribir con el cuerpo possieda nelle opere della Valenzuela un ulteriore significato: è il corpo, portatore di testimonianze, che genera la parola. Sono le esperienze vissute sulla pelle dei suoi connazionali, la violenza subita fisicamente dal corpo di questi che spingono la scrittrice a conservare nella scrittura i tremendi atti del governo militare degli anni Settanta. I personaggi della Valenzuela vivono le atrocità di quegli anni e testimoniano con il proprio corpo la mutilazione fisica e psicologica realmente subite in quel periodo.

Ho dedicato, inoltre, un capitolo al romanzo oggetto della mia traduzione in cui mi sono impegnata a fornire alcune informazioni circa la voce narrante, la struttura tripartita del romanzo e le principali esperienze che Clara, la protagonista, vive sul proprio corpo. Ho mostrato come la ragazza, prostituta dei bassifondi di Buenos Aires, sia vittima di un sistema sociale machista, spesso assoggettata ai desideri e ai vizi di uomini incuranti del suo benessere. Sebbene in questo primo romanzo della Valenzuela le vicende narrate siano inserite in un contesto sociale diverso da quello presente nelle successive opere della scrittrice, ciò non esclude l’estetica sulla quale spesso si basa la sua scrittura. È mediante le esperienze vissute sulla sua pelle che Clara prende gradualmente coscienza di se stessa, riconoscendosi non solo come semplice corpo oggetto dei desideri dell’uomo, ma

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anche come testa in grado di pensare. L’intero romanzo è costruito su questo processo di auto-riconoscimento e la struttura tripartita del romanzo riflette l’evoluzione della protagonista: Clara transita dall’essere solo corpo inteso come oggetto sessuale all’essere anche testa che la protagonista è decisa a utilizzare a tutti i costi anche solo come oggetto di un numero di magia. Tuttavia, scegliere di cambiare vita non ha cambiato il suo destino: inevitabilmente continua ad essere oggetto dei capricci dell’uomo e nell’estremo tentativo di liberarsi di esso, di ottenere la libertà che merita, il destino le si rivolta contro. Alejandro farà definitivamente di lei un corpo senza testa, separando quello che era una volta da quello che aveva scelto di essere.

Cimentandomi nella traduzione di Hay que sonreír ho avuto l’opportunità di conoscere più a fondo la cultura argentina e in particolare quella di Buenos Aires. Mediante l’ultima parte di tesi ho evidenziato alcuni aspetti linguistici del romanzo e alcune soluzioni traduttive da me proposte. In particolare, nel processo traduttivo ho avuto modo di constatare tre principali caratteristiche: l’uso del voseo, aspetto linguistico proprio dei paesi sudamericani, l’utilizzo di un registro colloquiale e la forte presenza di culturemi. Ho scelto di catalogare quest’ultimi prendendo ad esempio il modello fornito dalla studiosa Lucía Molina e suddividendoli, quindi, in quattro categorie culturali: gli elementi naturali, il patrimonio culturale, la cultura sociale e, infine, quella linguistica.

In conclusione, la soluzione traduttiva degli elementi culturali, ha previsto il più delle volte, l’identificazione di un corrispondente omologo italiano. Tuttavia, nei casi in cui non ho individuato termini equivalenti italiani, le scelte traduttive

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sono state principalmente tre: quella di proporre una traduzione contestuale, quella di lasciare invariato il termine originale optando per l’aggiunta di una nota esplicativa a piè di pagina e, infine, quella di aggiungere un epiteto che chiarisse la natura dell’elemento.

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