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Letteratura sovietica e letteratura d’emigrazione: il Modernismo

Capitolo I: La prima ondata

1.4 Letteratura sovietica e letteratura d’emigrazione: il Modernismo

In una nota scritta tra il 1937 e il 1939, Chodasevič puntualizza che la produzione letteraria sovietica e quella d’emigrazione non sono diverse solo per via di ovvie ragioni

31 ideologiche. Le differenze sono più profonde e molto più considerevoli: riguardano il linguaggio, lo stile, la voce, la stessa idea di natura e funzione della creatività artistica”41. Il contrasto di base, aveva già sostenuto il poeta qualche anno prima nel suo saggio

Literatura v izgnanii (Letteratura in esilio), è costituito dal fatto che, totalmente

indipendente dallo stato e da qualsiasi meccanismo istituzionale che la regoli, la letteratura aldilà dei confini della patria è un tutt’uno con il suo linguaggio e il suo spirito42. Cerchiamo in questa parte di riassumere brevemente le divergenze più importanti, in particolare nel rapporto delle due letterature con la corrente del Modernismo.

La prima questione che si pone dopo l’Ottobre 1917 in campo letterario, tanto per i bolscevichi quanto per gli intellettuali emigrati, è come rapportarsi con le tendenze che avevano dominato l’età d’argento, che indichiamo genericamente con il termine Modernismo. Interpretato come appartenente al ciclo storico-culturale imperiale, potrebbe sembrare che il Modernismo e ciò che segue dopo la Rivoluzione siano agli antipodi; tuttavia, è possibile vedere il medesimo ciclo come incubatore di correnti e fenomeni che si manifesteranno appieno solo in epoca sovietica. I termini modernismo, modernità e sviluppo, dibattuti in Russia all’inizio del Ventesimo secolo, diventano cruciali per definire le sembianze e il ruolo della letteratura russa nella neonata Unione Sovietica. Il Modernismo letterario è noto per la sua sperimentazione, complessità, formalismo e per il suo tentativo di creare una tradizione del nuovo43. Non stupisce dunque che la relazione dell’arte con la trasformazione sociale, legata allo stesso tempo all’idea di sviluppo, sia di grande interesse per l’Avanguardia sovietica, che vede

41 V. Chodasevič cit. in G. N. Slobin, Russians Abroad…, cit., p. 34-35. 42 Ivi, p. 34.

32 l’opportunità di realizzare una fusione tra politica e estetica rivoluzionaria. Ciò nonostante, l’intelligencija creativa è molto divisa: ci sono importanti differenze d’opinione tra avanguardisti, tradizionalisti, realisti, simbolisti, marxisti e coloro che sono o non sono pronti a diventare dei poputčiki, i compagni di strada del potere sovietico44. Già nei primi anni Dieci del Ventesimo secolo la narrativa tradizionale era stata contaminata da poetiche di stampo realista, a tratti impressionistica, mentre la prosa sperimentale dei modernisti come Belyj, Remizov o Vasilij Rozanov rimaneva circoscritta. È subito dopo la rivoluzione che i tratti stilistici della prosa ornamentale vengono analizzati e messi a disposizione degli autori che stanno emergendo, che li utilizzano per raccontare le nuove tematiche: tale atteggiamento dominerà almeno fino alla metà degli anni Venti. Urge raccontare la verità di persone che salgono dal basso; la frattura storica comporta un cambiamento di intenzioni che si riflette innanzitutto su una profonda revisione del bagaglio linguistico con cui la letteratura opera: la lingua letteraria deve subire una contaminazione da parte del mainstream linguistico, se vuole essere “reale”. Non solo; si riducono i generi narrativi, come il racconto o la povest’, accompagnati dai personaggi tipici dell’epoca prerivoluzionaria: per raggiungere gli obiettivi letterari sovietici, il ciclo letterario iniziato con Puškin e Gogol’ deve chiudersi.

Non stupisce notare che proprio la generazione di intellettuali del 1894, quella che si trova a cavallo tra l’epoca “vecchia” e quella “nuova”, fornirà le figure di spicco dell’emigrazione: Marina Cvetaeva, Georgij Adamovič, Georgij Ivanov, Nikolaj Ocup, e tanti altri. Quegli intellettuali che in patria facevano parte del Modernismo prerivoluzionario e che si ritrovano, dopo l’Ottobre, fuori dall’URSS e “fuori dalla

44 Così Lev Trockij definisce coloro che non abbracciano la rivoluzione nella sua totalità, a cui riesce estraneo il fine comunista. Cfr. L. Trockij, Letteratura e rivoluzione, a cura di V. Strada, Torino, Einaudi, 1973, p. 33.

33 storia”, per la loro condizione di esuli devono affrontare delle sfide di diversa natura. Sono diverse le questioni che rendono difficile una continuità con il Modernismo. Innanzitutto, per loro risulta particolarmente complessa la relazione tra la sperimentazione estetica del Modernismo, le sue implicazioni sociali e l’idea di modernizzazione e modernità. Allo stesso tempo, sono molti i prosatori e i poeti della prima ondata che ancora prima di lasciare la Russia avevano tenuto un atteggiamento ambivalente nei confronti del Modernismo prerivoluzionario, soprattutto per il suo aspetto sperimentale e la sua visione profetica dell’imminente destino della Russia (che si ritrova in particolare nella poesia simbolista). Ma il Modernismo è la letteratura non solo del cambiamento, ma anche della crisi45, e risulta dunque particolarmente attuale all’inizio del Ventesimo secolo, quando la società d’emigrazione (così come quella sovietica) sta affrontando enormi rivolgimenti storici. La maggior parte degli scrittori émigré ha la tendenza ad essere fortemente conservativa dal punto di vista estetico; ricordiamo che, secondo la retorica che costruisce l’idea della missija russa, gli intellettuali sentono di dover fare tutto il possibile per preservare la vera Russia, che si traduce nella conservazione della cultura russa e nel mantenimento della continuità dell’eredità di Puškin, Gogol’, Tolstoj, Dostoevskij. Paradossalmente, la sopravvivenza del Modernismo in emigrazione darà un forte contributo alla presenza costante della tradizione del Diciannovesimo secolo: la revisione e l’appropriazione dei classici da parte dei simbolisti e dei post-simbolisti era stata fin dall’epoca prerivoluzionaria un aspetto critico e creativo fondamentale del Modernismo. Inoltre, il Modernismo aveva da sempre rappresentato una combinazione di nazionalismo e cosmopolitismo estetico. Buona parte dei suoi esponenti aveva ampia conoscenza della cultura europea prima di partire in esilio

34 e aveva, negli anni ’10, viaggiato, studiato e pubblicato in Europa: pensiamo a Blok, Osip Mandel’štam, Boris Pasternak e di nuovo a Cvetaeva e Remizov. Tali autori non avevano sperimentato, prima della Rivoluzione, alcun conflitto tra il loro europeismo e le preoccupazioni nazionali. La continua sperimentazione e il mantenimento dell’alta qualità della produzione letteraria avevano creato le basi per cui, in emigrazione, non solo gli autori possono continuare il loro lavoro, ma anche avere un ruolo altamente partecipativo al Modernismo europeo del decennio 1920-1930. Ma non tutti gli autori che avevano avuto un ruolo di rilievo durante l’età d’argento della Russia si consacrano al Modernismo una volta emigrati; anzi, molti accendono vivaci polemiche in merito. Tra gli oppositori della corrente troviamo Merežkovskij e Zinaida Gippius, che assumono dopo l’Ottobre un atteggiamento culturalmente molto conservatore. Anche Bunin, dalle idee politiche conservatrici, esprime in emigrazione la sua avversione nei confronti delle sperimentazioni estetiche.

Alla fine del decennio e agli inizi del seguente, il clima culturale cambia, tanto in URSS quanto in emigrazione. Per quanto riguarda la frattura che si verifica in Unione Sovietica, alla fine degli anni Venti cambia la politica culturale, insieme ai suoi scopi e ai suoi metodi. Il potere sovietico è impegnato tra collettivizzazioni forzate, costruzione di giganteschi poli industriali, l’inizio della costruzione del Belomorkanal tra mar Bianco e mar Baltico, la ramificazione del Gulag in tutto il paese; “il passo successivo fu di pianificare l’opera dello scrittore con la stessa accuratezza con cui si pianificava il sistema economico del paese”, scriverà Vladimir Nabokov46. Nasce infatti un’ossessione stabilizzatrice che porta al bisogno di trovare, anche in campo letterario, una linea guida

46 V. Nabokov cit. in D. Colombo, Scrittori, in fabbrica! Una lettura del romanzo industriale sovietico, Pisa, Pacini Editore, 2008, p. 20.

35 unica e definita. Nasce così il realismo socialista, che caratterizzerà in modo totalizzante negli anni a venire la letteratura sovietica, allacciandola agli elementi del ritualismo socialrealista. Nelle parole di Duccio Colombo,

Come è noto, in quel contesto il sistema di controllo andava al di là della mera censura: il potere non diceva allo scrittore soltanto quello che non poteva scrivere, gli dettava anche i temi su cui doveva scrivere47.

La letteratura viene “statalizzata”, sottomessa agli scopi propagandistici del regime, al punto che diversi studiosi sono concordi nel ritenere che il realismo socialista debba essere inteso come un sistema di controllo sulla produzione artistica, e che non esista come scuola e come corrente letteraria48. Nelle parole di Vittorio Strada,

La formula “realismo socialista” fu davvero una straordinaria trovata, poiché nella sua genericità accoglieva tutte le definizioni precedenti […], ma in modo implicito, lasciando nello stesso tempo ai supremi reggitori della politica e dell’ideologia “socialista” il potere di precisare di volta in volta i contenuti di quella formula così elastica”49.

In emigrazione, gli anni tra il 1930 e il 1939 sono caratterizzati da una consolidazione dell’identità émigré, sia nella critica che nella produzione letteraria. Nonostante le divisioni interne all’intelligencija emigrata della vecchia generazione, diverse produzioni contribuiscono a dare forma a quell’eredità che abbraccia sia la tradizione classica sia le tendenze moderniste e si producono opere che nulla hanno da

47 Ivi, p. 19.

48 Questa è la posizione, ad esempio, di Michel Aucouturier, il quale utilizza il termine realismo socialista esclusivamente per indicare il potere di controllo politico sulla letteratura iniziato nel 1932. Cfr. M. Acouturier, Le réalisme socialiste, Parigi, PUF, 1998, p. 3.

36 invidiare, in termini di qualità, a quelle sovietiche. Sono anni di adattamento ai paesi ospiti e di resistenza; la letteratura all’estero non comunica più con la Russia e, nota Adamovič su “Sovremmenye Zapiski”, “Drugie, vpadaja v krajnost’ ne menee ‘kliničeskuju’ uverjajut, čto tol’ko zdes’, v ėmigracii, literatura i suščestvuet i čto stoliza russkoj slovesnosti teper’ ne Moskva, a Pariž” (“Altri, cadendo in eccessi non meno ‘clinici’, ritengono che solo qui, in emigrazione, ci sia la vera letteratura e che la capitale delle lettere russe non sia Mosca, ma Parigi”)50. Di lì a poco, come detto, lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale significherà la fine della produzione dell’emigrazione.

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