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R. Arch. di Stato in Massa
N otizie e Scritture genealogiche della fa m ig lia Cybo ad annum.
Inforviazione della casa Cybo ( “ ).
D al 1341 al 1608 si ha certa discendenza, per linea or
dinata, da Carlo Cybo, che servì a Roberto re di Napoli, honorato del grado di consigliero, cavaliero, etc. Giovanna I lo creò governatore e capitano della città di Napoli e gli diede ambascerie. Si vede ciò nei Registri reali del tempo nella Zecca di Napoli.
Quel Carlo aveva per antecessori molti personaggi di 250 anni prima, vedendosi in Genova, fino dal 1130, un Baia
mondo console, un Anseimo e Rugieron consiglieri. Poi Hermes de Insulis, Guglielmo e Lanfranco, che dal 1241 governò con sette altri nobili la Repubblica. Poi Alaone, Fran
cesco e Carlo fratelli; di questo, Maurizio, e di lui A rano o Aron, padre di Innocenzo V ili, fatto conte da Federico III. C a
listo Borgia lo chiamò a Roma e lo fece Senator Romano.
Morì a Capua, dove si vede il suo sepolcro. Di lui nacque
ro Giambattista e Maurizio; quest’ ultimo fu Presidente dello Stato ecclesiastico e del Ducato di Spoleto, dove morì. G iam battista, che fu papa Innocenzo V ili, fece Cardinale un suo nepote, Lorenzo, arcivescovo di Benevento, huomo di gran bontà e amabilissimo. Due nipoti del papa, una, Peretta spo
sò il Marchese del Finale, e per la sua morte fu poi Prin
cipessa D ’Oria; l’altra, Don Federigo d’ Aragona, cugino di
(Λ) C on g iu n te e correzioni autografe d ’ A lb erico.
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R e Ferdinando di Napoli. Altro suo nipote fu Franceschetto, che sposò M addalena ed ebbe tre figliuoli : Innocenzo, Loren
zo, il vescovo di M arsiglia Giambattista, e due femmine, C a terina D uchessa di Camerino, e Ippolita Contessa di Ca- jazzo.
Il fratello (d’Innocenzo), Lorenzo, Marchese di Massa e C on te di Ferentillo nello Stato ecclesiastico, acquistato dal padre, che confina con il regno di Napoli, nell’ Abruzzo, ne prim i suoi anni servì nelle guerre di Firenze con una com
pagn ia di gente d’ armi e di poi, con m aggior carico, in quella di Milano, et espugnò la T erra di Monza et il ca
stello suo, come raccontano Γistorie di quei tempi, e di Mar
co Guazzo in particolare. Hebbe gradi honorevoli da Papa L eon e X , suo zio, e da Clemente VII il medesimo, e fu capi
tano della sua guardia, e come generai della Chiesa, perbreve particolare, ottenne di poter comandare allo Stato eclesiasti- co in occasione di armi e di provigione, come in tali difese la città di Bologna, Camerino e Pisa, soccorrendo anco G e
nova quando si dubitò che Francia con la persona di Mons.
Sam polo l’ assaltasse. D i tal cavaliero nacquero Eleonora, G iulio e i l presente principe Alberico (").
Esso Principe si apparentò di assai tenera età con il D u ca d’ Urbino, padre di questo d’ hora, pigliando la sorel
la per moglie, e perchè il Cardinal (Innocenzo), suo zio, gli haveva dato ducati 600 di camera di pensione, la qual per essere mal spedita n’ andò a male la miglior parte, e come che con la moglie conveniva haver dispensa di tener la pen
sione, le fu dato
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’ habito di Portugallo, che in quei giorni era di gran stima, e come più facile, in occasione di più moglie, di haver nuove dispense. Questa signora li fece un fi
gliuolo (Alderano) nè più altro; e tratanto, venendo la guerra di Siena, il Duca Cosimo li mandò a chiedere sei compa
gnie de soldati dello Stato suo, che subito se li mandorno, e con dieci d’ avantaggio doveva andarlo a servire come
(a) Correzioni autografe d ’ Alberico.
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η’ era in punto, quando il D u c a d' Urbino^siiCLCiignato, G e nerale della Chiesa, lo dichiarò Locotenente generale e con 3000 fanti lo mandò a guardare la città di Peruggia e suo dominio, frontiera degli eserciti di quella guerra ; la qual fi
nita, con il mezzo delli Duca di Fiorenza et d’Alba, s’acco
modò al servitio del Re Cattolico, e fu del 1559, con provvi
gione di scudi 2400 d’oro e 600 per il grado di Ciamberlano, usato già dalli duchi di Borgogna e seguitato dall’ Imperatore Carlo V , molto stimato e di più honore dicevano eh’ es
ser della Camera. Andò il Principe a baciare a S. INF1 le mani et a servirlo in Fiandra, la qual passando poi in S p a gna, havendo preso la Regina figliola di Henrico Re di Fran
cia, li commandò che con lettere di suo pugno fusse a dar conto alla Regina della partita sua di Fiandra, e perchè la sollecitasse al andare da S. Mta in Spagna, il che compita- mente fu eseguito, come in Vagliadolid diede a S. Mta mi
nuto conto. Seguitò il servitio in Toledo, et essendo morto Papa Paolo IV Caraffa ed eletto Pio IV, con il quale ha
veva il Principe stretta amicizia essendo Cardinale, et ha
vendo in quella Corte negotii importanti, S. Mta si conten
tò che vi andasse, scrivendo lettere caldissime al Papa, C ar
dinali et all’ Imbasciatore Vargas in favor suo. I negotii furno longhi, et fra tanto morì la moglie del Principe, et non havendo che un sol figlio, et lui solissimo in sua casa, ven
ne persuaso et isforzato da Don Cesare Gonzaga, Principe di Moffetta, et Cardinale, suo fratello, di prendere seconda moglie lor cugina, qual fu Donna Isabella di Capua, sorella del Duca di Termoli nel Regno di Napoli.
D a questa deta Signora hebbe più figlioli, e partico
larmente due femine, che l’una si maritò con il Duca d’E vo
li, e l’altra con il nipote di Papa Gregorio XIIII0 Sfondrato, che fu Generale della Chiesa et Duca di Monte Marciano.
Ma prima essendo stata la giornata navale contro Turchi, mandò il Principe il Marchese suo figliolo a quella impresa, et n’ andò insieme con il Principe d’ Urbino il cugino, nè mancò mai in tutte l’ occasioni offerirsi et esser pronto al
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servitio di S. M**, come saranno sempre tutti di sua casa; et perchè haveva comprato un Stato di qualche qualità in C a
labria, S. M tà, che sia in Cielo, li donò il titolo di Marchese, com e poco fa n’ ha havuto quello di Duca dalla bontà et g ratia della presente Maestà. Fu il Principe ne tumulti di G enova, l’anno 1575, ricercato dal Cardinale Morone, legato del Papa G regorio XIII, et da’ ministri delle M ta Cesarea et Catolica, Duca di Candia et Don Gio. Idiachez, de m irar a lo che conveniva in tal occasione ; onde fu pronto di ricevere nello Stato suo di Massa et Carrara buona par
te della nobiltà vecchia; et come appaiono lettere di quei Mi
nistri accradirno al Principe di più cose, et in particolare di haver placato assai Γ ire di quei gentilhomini che erano nel Stato suo (*). Tiene hora il Principe il luogo suo nella R e
pubblica et oggi vive ben aparentato, com egli è, con tutti li Principi grandi d’ Italia, abbracciando anco la parentela con le Serme Infante, essendo la Regna madre di Ιοί o A ltez ze, di gloriosa memoria, cugina di detto Principe; il figlio del quale, Marchese di Carrara, accasò con la cugina del Duca Alfonso, ultimo di Ferrara, dal quale nacquero cinque figliuo
li, Carlo, Francesco, Odoardo, Ferdinando e Alessandro.
Scritto a l tempo del presente papa Paolo V.
E pur hora nell' anno 1606, D . Francesco e c o n i annata in Barbaria (a) (264).
R. Arch. di Stato in Massa
Notizie e Scritture Genealogiche della, fa m ig lia Cybo ad annum.
(Autografo d ’A lberico)
Posto al libro rosso della casa (265).
Si dev'avvertire che benché questa antecedente (?) bolla d ’ Honorio fusse fatta del 1131, che in dett’anno morì esso papa, e visse cinque anni, cinque mesi e tre giorni, che
per-("; Giunta autografa d ’ Alberico.
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-ciò fu creato del 1126, che tanto confermono dei antichi au
tori, il suplemento delle croniche di Fra Iacopo da Bergam o l’uno, e il Piattina l’altro, qual nara che Honorio fu creato pontefice l’anno incirca che Baldovino Re dijerusalem con
quistò la città d’Antiochia, quale era di Boemondo marito della figlia, il quale Boemondo essendo asaltato da Rodoan (?) principe d’ A leppo potentissimo Signore de’ Turchi, egli andò per incontrarlo in Cilicia e facendo il suo allogiamento nel prato detto de’ Palii, quivi fu asaltato vinto et morto, per il che Baldovino havendo inteso che la figliola volea accordare con Turchi per dominar lei e scacciare una figlia erede sola che era rimasta, si mosse con prestezza, e benché trovasse qualche contrasto, conquistò Antiochia perdonando alla fi
gliuola, alla quale diede due altre città al mare; ma perchè non si assicurava molto di lei, tardò alcuni anni in quelle parti e ritornando poi del 1131 a Jerusalem piaque a Idio tirarlo a sè · con infinito dolor di quel Regno ; si come pur morìa papa Honorio in detto anno, della cui assuntione e morte pigliò errore il Panvino e quelli che lo hanno se
guitato scrivendo che fu assunto del 1124, che non può esser in modo alcuno; ma egli se ben fu deligente in molte cose, negligentissimo fu in altre assai per la sua troppa veloce e inpaciente natura, cagione che egli prendesse molti errori;
però deve anco esser scusato in parte, non potendosi esser perfetto, nè saper tutto in sì gran moltitudine di cose e an
tichità d’ anni.
A ltro autografo d ’A lb eric o (266)
[1555.] E t intervenne che essendo il Car.le Paceco V ice-R e di Napoli, di dove partito per venire nel Conclave et essendo vicino a Roma, si levò voce che veniva con molta gente armata, il che inteso dal Sacro Coleggio che già era rinchiuso, chia
mò il Duca come quasi timoroso, ordinando che provvedesse a tale inconveniente et scandolo, qual Duca comandò al Prin
cipe, suo cognato, che rinforzasse alle porte buona guardia, nè che lasciasse entrare salvo il Cardinale con suoi partico
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lari servitori, e perciò egli cusi fece con la propria persona e spedì subito un suo acorto gentilhuomo con ordine che se vedeva esser vero la sparsa voce, dicesse a Sua S. Illma che era bene anzi necessario che mandasse in dietro dett ar
m ata gente, cusì commandando il generale per comessione del Sacro Colleggio, et che esso Principe Sarebbe ad accom
pagnarlo fin nel conclave, se bene la città era quietissima; et in caso che fusse vana la voce detta, che lo visitasse in suo nome, perchè era assai domestico servitore et amico suo prima della gita a Napoli, et che con desiderio lo stava aspetando per servirlo et accompagnarlo in conclave, dov era desiderato da tutti g l’Illmi Cardinali intenti, e pronti all elle- tione d’ un santo e benemerito Pontefice.
Il gentilhomo fece il secondo uffitio e non il primo, come non punto necessario, poiché solo haveva la solita sua fami
glia, con sei paggi con zagaglie, che tal era la tanta armata che dicevano da spaventare Roma, il palazzo.e conclave; il che inteso dal Principe, inviò il proprio gentilhomo [quello che avea già mandato a esplorare dal Cardinale] al Duca et egli con numerosa compagnia di cavalieri romani gl usci incontro, molto acarezato et ben visto, e conducendolo in conclave con qualche speranza di lui istesso, per esser la parte spagnola numerosa, benché non li cedesse la francese.
F u il conclave lungo, litigioso assai, ma pur alla fine casco il pontificato nella persona del Cardinale Teatino Caraffa, chiamato Pàolo IIII.
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- A ltro autografo d A lb eric o (267).
[1:559]. H giorno apresso, nella piazza di Valedolid, li grandi et altri cavalieri fecero un gioco di canne con molte quadriglie bene in apunto e caccia di torro, nella quale dui cavalieri, lanceandolo, urtati, andorno con i cavalli in terra. Il seguente giorno si fece un lauto de inquisitione (a) stando un palco in quadro alto, al pari della loggia del palazo, nella quale
re-(a) Un Auto da Fé.
sedeva con il consiglio il Re, et erano circa quatordici in
quisiti, quali, come S. M., con gran pacenza odivano legere i lor processi, il che finito, i condenati a morte, che furno preti, monache e qualche nobile, conduti alla piazza del campo, furno per i più abruggiati, e finito che hebbe S. M. alcuni publici servitii, se ne passo a 1 oledo, città amplissima so
pra piacevoli colli, et hebbe licenza il Principe di riposarsi per il viaggio fatto in poste per certi giorni, che poi egli con i suoi creati e cavalli conduti d’ Italia a Fiandra et di là in Spagna, che non erano pochi, segui il camino, vedendo Madrid acresciuto e abelito di poi assai, e giunse a Toledo, dove i furieri maggiori li diedero un honorevole et comodo palazzo di Dona Prancisca de Silva; et mentre quivi stete, regalava con ampia tavola i cavalieri di Corte et alcuni grandi et italiani, fra quali spesso era favorito dalli principi di Parm a di tener’ età, e di Sulmona, Don Carlo della Noia, et ogni sera si trovava alla cena retirata del Re, qual sempre li p ar
lava con molta domestichezza. Dopo il Re era grande
mente favorito da tutti, et le dame lo chiamavano il C a v a liere dorato, perchè portava ricchi vestiti con molte gioie.
Ma tratanto sucesse la morte di papa Paolo Caraffa et la elletione di Pio iiij, con il quale il Principe, mentre che fu cardinale, teneva strettissima amicitia, imperò che in Roma spesso con il Carle d’Urbino suo cognato et S t0 A n gelo Fer- nese si trovava in dolce conversatione e conviti con esso Cardinale, chiamato Medichino (268); la qual nova fu sì grata al Principe che giunto le pretensioni che haveva di riche pen
sioni et de altri negotii di qualità, che lo spinsero a chie
dere licenza a S. Mtà con speranza di presto ritorno; la quale con amorevolissime offerte et con lettere non meno a mini
stri che al papa, le concesse; per il che, donato tutti i suoi cavalli et compratone quatro, si partì, visitando in Ouadela- sar la principessa di Portugal, che quivi aspettava la R egina sposa per ordine del Re suo fratello, et seguendo il camino drito vide Saragoza e Barcelona, città molto belle, et e s
sendo ancora stato alla devotion di Monserato et regalato in
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Barcelona da Don G razia de Toledo, vice Re, e da Dona V it
toria Colona, sua moglie, giunto al proprio confine di Per- pignano e Franza, li cascò il cavallo di poste adosso, senza però male, segno che non dovesse più tornar in Spagna, il che li fu di grandissimo danno, la cagione si dirà più a basso.
Finalmente capitò a Genova et a Massa dalla moglie Donna Isabetta della Rovere, et fu di quaresima, con la quale fer
mandosi poco, arivò in Roma, alloggiando con il Cardinale d' Urbino, il cognato, con il quale andando dal papa, ta 1 furno i favori regali, che più non havria fatto al più caro nipote suo, et ben presto li disse che apresso l'amicitia vo
le v a la parentela, et che scrivesse al Duca d ’Urbino perche maritasse donna Y irginia, sua figlia d e l l a prima mo& ie lia Varano], che figlia fu della Duchessa di Camerino Cat- terina Cvbo, zia al Principe, et il Conte Federico [Borromeo]
nipote, che rendendo gratie a S. S tà scrisse e assai presto si concluse il parentado con soddisfatione comune, per i che il Duca d’ Urbino pregò il Principe a condure da po leti a Roma, con la moglie, Donna Y irginia, il che ece con tanta pompa che pareva ella la sposa, che con occasione ^ ^ feste, di lance, di tornei et altro tanto spese che pareggio l’ altra della C o rtee prima causa di non potervi tornare, papa alloggiò il Principe e moglie in Belvedere nel aparta mento de Innocenzo Viij, suo avo, et finito le feste et nozze, si retirò nel palazzo suo in Navone, dove stete sette mesi, ri mandando a Massa detta sua moglie e restand egli in orna per suoi affari, quali per la maggior parte andorno in ung e a male, non ostante le reali lettere et parentele. Fratanto non molto passò che, giunta a Massa, la detta moglie s ama o e morì, eh’ apena correndo il Principe la trovò viva, secon a causa del tornare da S. M.; et asciugate le amare lacrime per la perdita de Signora di tanta qualità e bontà, volse pur rivedere Roma et il papa, per moverlo a qualche particulare d' utile suo, ma in vano per interessi diversi, onde preso nova licenza, li donò il papa una chinea armellina che riuscì buona et un diamante de A 500; nè potè resistere a prieghi
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del Cardinale Gonzaga et di Don Cesar, suo fratello, che non tornasse a prender nova moglie, Donna Isabella di Capua, cu
gina loro, con honesta dote, la quale ricevè nel D ucato suo di Ferentillo et condusse con molta spesa a Massa, che n’heb- be i figliuoli che si sanno, et ne fece parentella delle femine con il Duca d’Evoli Grimaldo, al Principe di Salerno figliuolo, et con il Duca di Monte Marciano, a papa Gregorio Sfon drato nipote, che tutto arecò lunghezza et molte spese e impedimento al ritorno de Spagna.
A ltro autografo d A lb e r ic o (269).
[1565]. Trattanto il Duca Cosmo maritò il Principe D on Francesco, suo figliuolo, col’infante d’Austria donna Giovana, figliuola del Imperatore, e dovendo ella venire a Firenze, ch ia
mò il Principe pregandolo d’andare, con lettera sua, ad incon
trarla et visitarla a Bologna; la quale comissione, riceven
dola per favore, per la posta se n’ andò a tal complimento et alloggiò con il conte Romeo di Pepoli, che haveva in moglie una cugina sua, et fermatosi un giorno, venne la S e renissima sposa, incontrata in poste dal Principe con dodeci creati, vagamente vestiti, e giunto alla presenza di Sua A l
tezza, che era in mezzo alli Cardinali di Trento et B orro
meo, l’ uno mandato dal Imperatore, l’altro dal p a p a P io iiij, smontò da cavallo, presentò la lettera et fece l ' imbasciata inpostole, et n’ ebbe e ricevè parole cortese et affetuose, con
tinuando poi a favorirlo per tutt’ il viaggio et a Firenze an
cora; che prima di arivarvi, Bonromeo hebbe correro ch ’ el papa era moribondo, per il che con tutta diligenza, benché in letiga, giunse a Roma, che ancora parlava il papa. In Firenze si fece sontuosissima intrata et era la sposa vestita di tella d’ argento; la testa, capeli sparsi lunghi con ricca corona, talché per essere bianca et si ben’ adornata ren
deva di sè gratiosa et allegrissima vista. Molte feste si fe
cero, fra l’altre gioco di carosele, dove vi interviene il p ro prio Duca et il Principe Don Francesco; et una quadriglia alla greca di tella d’argento et veluto turchesco tocò al Prin
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cipe come in tutte l’ altre, le quale spese dal D uca furno fatte con molta liberalità, e nel gioco di caroselle non volse altro cavallo il Principe che un suo ginetto baio, di mediocre grandezza, com prato in Madrid. Et perchè fecero uscire in piazza un feroce torro, fu invitato il Principe da un cava
liero romano. A n gelo de Cesis, ad andare a torear il torro a lla spagnola con bachettoni ben aprontati con ferri, il che non recusò, et acostatosi a quello, essend'in mezzo d A n g e lo et d’ un capitano spagnolo alla gineta, doppo havere sbufato et voltato più volte, il torro si spicò contra il Pnn ' cipe, quale butatole in faccia il baccheton detto, tanto più si sdegnò et de buon corso venne alla volta sua, che pero voltando il cavallo e ben spronandolo cercò d assicurarsi, ma il povero gineto, straco delle tante carriere fatte, a pena p rese un lento galopo, che per ciò arivato, li tirò si forte che hebbe a cadere et restò ferito dietro con tanto sangue che parea una fonte; tuttavia si fermò il torro, et giunto il
liero romano. A n gelo de Cesis, ad andare a torear il torro a lla spagnola con bachettoni ben aprontati con ferri, il che non recusò, et acostatosi a quello, essend'in mezzo d A n g e lo et d’ un capitano spagnolo alla gineta, doppo havere sbufato et voltato più volte, il torro si spicò contra il Pnn ' cipe, quale butatole in faccia il baccheton detto, tanto più si sdegnò et de buon corso venne alla volta sua, che pero voltando il cavallo e ben spronandolo cercò d assicurarsi, ma il povero gineto, straco delle tante carriere fatte, a pena p rese un lento galopo, che per ciò arivato, li tirò si forte che hebbe a cadere et restò ferito dietro con tanto sangue che parea una fonte; tuttavia si fermò il torro, et giunto il