Accade in tutte le occasioni nelle quali si devono trattare questioni che inte- ressano contemporaneamente il pen- siero ed il “modus operandi” umano (sia che questi perseguano fini pratici od artistici) di dover anteporre alcune precisazioni. Così, anche nel nostro caso, inizia proprio da queste ultime lo sviluppo di alcune riflessioni sulla lezione di Paolo Galli.
A ben vedere ciò è dovuto ai fatti reali. Pare qui sufficiente rammentare la co- struzione, mai giunta a termine, della “Barca”. Così egli chiamava i succes- sivi risultati perseguiti in un lungo pe- riodo di tempo, durato qualche decina di anni, nel quale aveva compiuto, da solo, tutte le operazioni e le pratiche necessarie per rendere reale un sogno anzi il suo sogno. Ma, anche se avesse condotto a buon fine questa opera, poco gli sarebbe interessato che essa fosse “rimasta a galla”. Il fatto non è paradossale poiché l’importante era costruirla, con amore ed infinita pazien- za, secondo l’insieme di regole poste alla guida del lavoro manuale. Attraver- so le energie consumate per realizzare qualcosa egli attualizzava l’idea scatu- rita dalle parole ripetutamente dette da Leonardo Savioli: “Lo spazio si tocca con le mani”, quasi che esso avesse una sua specifica concretezza. Senza dubbi questo speciale corto cir- cuito, avvenuto tra la facoltà del pensa- re e quella del voler fare, non solo gli ha permesso di riunire il momento teorico con quello pratico ma soprattutto di evitare equivoci sull’importanza propria a ciascuno dei due.
Sebbene il nostro ragionamento mostri grande valore dobbiamo esprimerlo con un tono pacato forse quasi in un
bisbiglio. Pare utile, quindi, domandar- ci per quali ragioni sia indispensabile entrare nel pensiero e nel mondo poeti- co dell’architetto Paolo Galli, ponendo attenzione al più piccolo particolare, anche se soltanto in apparenza tra- scurabile, ed avere grande accortezza quando si esprimono giudizi sulle sue attività di ricerca e di insegnamento. La migliore risposta che merita una richie- sta, per nulla retorica, è presto detta: “perché il personaggio ed i pensieri da lui espressi, nel corso della vita, intorno ai fatti dell’Architettura come a quelli delle Arti visive, lo reclamano”. Anni fa, egli ha dato inizio ad una ricerca denunciando con fermezza: “Bisogna provare a non pensare più con la testa, far scendere lo spirito dentro lo spes- sore vivente dei nervi e dei muscoli, qui prende corpo e dinamismo; brevemente bisogna trasformare una vibrazione tut- ta nervosa in una impressione”.1
Proposito mantenuto in ogni situazione che gli si è presentata per ampliare i propri interessi culturali. Ha infatti suggerito a tutti di iniziare da quanto esiste effettivamente, ovvero cade, in modo diretto, sotto i nostri sensi. Que- ste parole esprimono uno dei principi posti alla guida delle facoltà stesse del pensiero proprie a chi intende “fare”. Almeno nei territori dell’Architettura la frase indica, da sempre, l’inizio delle operazioni (pratiche, mentali) avviate dai progettisti che, in realtà, hanno ben presenti sia le probabili utilizzazioni delle materie e dei materiali, necessari alla costruzione di un’opera, quanto le leggi e le regole da seguire.
Così dopo accurate osservazioni di ciò che cade sotto i nostri sensi possiamo carpire i concetti fondamentali nascosti
Immagini e testi di Paolo Galli
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Sperando di cogliere un ritmo comune si mescolano varie rappresentazioni di spazio: paesaggio, piante, sezioni, rapporti di qualità, proporzioni
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È un disegno fatto sognando di ricostruire uno spazio sperimentato, sempre vivo nella memoria, amato. Tenendo ben saldo quello che si crede fondamentale, per gesti essenziali, seguendo un ordine preciso, sentendo bene delle distanze immaginarie come se fossero vere, si organizzano forme e rapporti
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in maniera più o meno determinata. Soltanto allora un’opera esprime com- pletamente la sua vitalità, indispensa- bile per comprenderne la “grandezza” e le “potenzialità” celate. D’altra parte, fin dal passato, architetti e pittori ed in generale i grandi maestri hanno avuto ben chiari questi fatti. Dobbiamo perciò rammemorare i contenuti dei taccuini di Le Corbusier, e quelli dirompenti di Pablo Picasso con letture ed inter- pretazioni di capolavori a lui cari quali Las Meninas di Diego Velazquez e Le déjeuner sur l’herbe di Edouard Manet. La rivisitazione del risultato concreto, raggiunto da un artista, a ben vedere è una operazione che esprime un pen- siero inequivocabile. Indica la volontà di perseguire un esito certo poiché la realtà rende disponibile, a chiunque intenda impossessarsene, almeno un frammento (di un pensiero complesso, di una immagine estesa, di un grande oggetto, in ogni modo di una opera costruita importante).
Per sottrarre una parte all’unicum, rea- lizzato dall’uomo, sia essa una nicchia, una colonna ma anche un capitello oppure un muro od un architrave è necessario sostituirla con qualcosa d’altro, ingannevole perché prodotto dall’immaginazione. Così, intenzional- mente privato del contesto iniziale, il frammento può essere prima interro-
gato e poi, ancora una volta, unito a molti altri secondo leggi e regole nuove diverse da quelle che hanno guidato la composizione originaria dell’ope- ra. Non si tratta, quindi, di risultati ottenuti con un calcolo combinatorio poiché questi esiti sono nati per primi nel nostro animo, reso disponibile ad essere conquistato proprio da quanto può esprimere una certa porzione che ha disvelato tutte le sue potenzialità. È utile perciò, “tenere gli occhi aperti cercare in ciò che è stato pensato la via verso il non pensato.”2
Se le azioni, da noi compiute per as- semblare nuovamente molte cose, denunciano anche i modi secondo cui le abbiamo interpretate allora ciò indica un fatto importante: in quei momenti, piuttosto che applicare con rigore un metodo, stiamo seguendo un processo creativo. Le nostre parole, in conclusione, hanno posto in evidenza i motivi che inducano gli ideatori a rea- lizzare più disegni, di intenzione come li chiamava Leonardo Savioli, conside- rati indispensabili fin dal momento in cui si intendono avviare le operazioni progettuali.
Diventati ormai consapevoli che in tutto quanto l’uomo ha pensato nel tempo fino ad oggi possiamo prima selezionare “…dei frammenti densi di intuizione”3 e poi renderli attuali, dob-
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Certi disegni sono degli ibridi, fissano in uno spazio che non esiste, innamoramenti per architetture reali mescolati a sogni e finzioni. Raccontano storie sentimentali vere e immaginarie. Seguendo un rito propiziatorio preparano stanze per accogliere desideri legati alla materia e allo spazio.
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L’occhio prima scandisce con ritmi sicuri la successione degli spazi a terra, poi segue un movimento che si espande verso l’alto secondo l’impulso di una crescita vegetale.
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Spazio dai ritmi complessi difficili da capire e da rappresentare. È l’unico edificio a tre piani. Dall’alto delle sue rovine appare una spazialità bella e terribile insieme. In un rapporto frontale con ogni singolo edificio si coglie la totalità della Villa.
biamo dunque “…cercare di mettere in rilievo l’incidenza delle interruzioni” rintracciate “…dietro alle grandi con- tinuità di un genere, di una forma, di
una disciplina.”4 Con buone probabi-
lità è questo l’atteggiamento assunto dalla nostra mente per guardare la realtà, dopo tutto “scegliere anche un frammento del passato è operare un ricominciamento di tante discontinui- tà”.5 Ancora una volta, quindi, partiamo
dalla suddivisione di qualcosa cioè la continuità imprescindibile del tempo. Ma, è utile precisare, il fatto sarebbe vero qualunque specie di coesione fosse stata interrotta.
Sebbene gli interessi e le ricerche svi- luppate da Paolo Galli non mostrino unitarietà di intenti, anzi l’opposto, pare utile tornare a ragionare della mancan- za di continuità, “ci sembra di poter trovare una poetica dell’architettura in queste fratture della continuità”6 dove
le fratture sono state generate nel tem- po dall’interruzione del nesso che lega l’uno all’altro i fatti importanti quanto gli accadimenti, forse stimati usuali. E qui sta il punto poiché di solito non è il persistere delle forme attraverso il tempo che può suscitare interesse semmai ciò “…sembra confermare la riduzione del prodotto dell’architettura
a semplice merce”.7 Le parole, ora ci-
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approfondire la conoscenza dei sensi ad esse propri. Questo è necessario non tanto perché i valori che comuni- cano potrebbero essere interpretati da qualcuno in maniera approssimativa od addirittura fraintesi ma perché dob- biamo dire altro. I contenuti espressi da questa frase diventano facilmente comprensibili se, per un attimo, pen- siamo alla grande quantità di rappre- sentazioni elaborate dagli architetti. Esse, da sempre, sono state indispen- sabili quando è nata la necessità di far immaginare, con disegni rispettosi delle convenzioni, quanto ancora non era realizzato. Ad esempio, nel caso in cui si sia trattato di edifici, anche la forma, ha subito degli adeguamenti alle regole comuni (compreso l’insieme proprio alle tecniche rappresentative). In questo modo è diventato reale il rischio di assimilare i risultati, raggiunti nei territori dell’architettura, a quelli di altri campi nei quali, alla conclusione di ogni processo intrapreso, era impor- tante ottenere soltanto merce. I suggerimenti, ma sarebbe più rispon- dente al vero dire “la concezione inno-
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vatrice”, che Paolo Galli ha comunicato a tutti sono nati per certi versi dal voler fare mentre per altri dal desiderio, quasi mai completamente soddisfat- to, di ricavare alcuni spunti da nuove interpretazioni di ciò che esiste. Tutto questo dipende come egli ha sempre sostenuto da un fatto ineludibile. “Nel precisare dell’Architetto” permane
“il misurare del poetare”8 e qui pare
opportuno puntualizzare, secondo il nostro convincimento, “allorché queste attività derivano anche dalle riflessioni dei grandi pensatori contemporanei”.
1 P. Galli, Parentele fra le cose, il corpo e il pensiero,
Firenze 1994, p.9.
2 P. Galli, La poetica dell’immaginazione contenuto
in AA.VV., Riuso urbano. Ipotesi ed interpretazioni, Alinea Ed., Firenze 1985, p.159. Dai ragionamenti sviluppati e dalle diverse riflessioni, fatte in questo come in altri scritti, emerge in modo chiaro l’in- fluenza che su di essi ha esercitato il pensiero di alcuni filosofi francesi contemporanei tra questi J. Derrida G. Bachelard e J. Baudrillard.
3 Op. Cit., p. 157. 4 Ivi, p. 156. 5 Ivi, p. 157. 6 Ivi, p. 156. 7 Ibidem. 8 Ivi, p. 161. 7 - 8
“La mia camera - piantina degli affetti” La chiarezza di uno spazio affettivo aumenta col tempo, cementati in uno spazio senza forma che tutto accoglie nel momento del suo accadere, i ricordi acquistano una consistenza fisica e danno riferimenti spaziali