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Già nel 1960, nella prima raccolta italiana di saggi sul linguaggio politico538, si sottolineò l’utilizzo generale (con la parziale eccezione del Movimento sociale italiano) dell’area semantica relativa al concetto di democrazia, per indicare la propria parte politica: comunisti e socialisti si definivano “democratici” in opposizione alla compagine governativa, ed esponenti politici e giornalisti ostili al fronte delle sinistre marxiste usavano tale vocabolo per definire se stessi. Si trattava di una scelta lessicale di grande importanza: definendo in tal modo la propria parte, si disconosceva all’avversario la partecipazione a valori che risultavano imprescindibili per la convivenza politica, soprattutto dopo la loro affermazione in occasione della sconfitta di nazismo e fascismo. Nei discorsi delle diverse culture politiche, il termine “democrazia” assumeva significati molto diversi, non sempre esplicitati o chiaramente interpretabili539.

Norberto Bobbio cercò in alcuni suoi scritti di allora una definizione delle diverse concezioni della democrazia sottese alle convinzioni delle famiglie politiche italiane: in particolare, egli fondò la sua analisi sulla classica distinzione tra «la libertà come autonomia» e «la libertà come non- impedimento». A sinistra, per democrazia si sarebbe intesa la possibilità, per ognuno, di raggiungere la piena realizzazione nella società (l’«autonomia» diventava «potenza»); sul fronte anticomunista, invece, l’opposizione alla «democrazia non liberale o totalitaria» si concretizzava nella difesa della «democrazia formale», attraverso «la garanzia dei diritti di libertà, […] la divisione dei poteri, la pluralità dei partiti, la tutela delle minoranze politiche», e soprattutto attraverso il rifiuto del «fanatismo» dettato dalla «concezione storicistica della verità»540. Queste osservazioni costituiscono un buon punto di partenza, ma le diverse concezioni della democrazia espresse dalle forze in campo si rivelano assai più complesse; tra i comunisti, e soprattutto nel composito circuito dell’anticomunismo, una definizione dell’agire democratico si otteneva soprattutto attraverso il confronto con “l’Altro”. Un “Altro” che, spesso, era assimilato ad un nemico contro il quale si era appena combattuta una guerra, e che fungeva da “assoluto negativo” rispetto ai valori democratici.

538 La propaganda politica cit.

539 Punto di riferimento per una trattazione generale del tema è Mots, 59, Giugno 1999, n. speciale “Démocratie”

“Democraties”. Sulle modalità attraverso le quali la componente ideologica di un discorso non si trovava in ciò che

veniva esplicitato, quanto in ciò che era sottinteso, cfr. O. Réboul, Langage et idéologie, Paris, PUF, 1980, spec. p. 32

Dalla “democrazia progressiva” alla “democrazia antifascista”

La “nuova democrazia” del Fronte popolare

Democrazia progressiva è quella che guarda non verso il passato, ma verso l’avvenire. Democrazia progressiva è quella che non dà tregua al fascismo, ma distrugge ogni possibilità di un suo ritorno. Democrazia progressiva sarà in Italia quella che distruggerà tutti i residui feudali e risolverà il problema agrario dando la terra a chi la lavora; quella che toglierà ai gruppi plutocratici ogni possibilità di tornare ancora una volta […] a prendere nelle mani il governo […].541

Le parole con cui il segretario del PCI presentò il programma politico del “partito nuovo” per il dopoguerra sono state oggetto di numerose analisi, anche perché Togliatti e gli altri esponenti comunisti mantennero sempre una certa ambiguità nella caratterizzazione del concetto. Agosti rifiuta l’assimilazione della “democrazia progressiva” italiana «ai progetti di società che - sotto definizioni identiche o simili - venivano più o meno nello stesso periodo considerati come gli obiettivi da raggiungere per i paesi dell’Europa centro-orientale liberati dall’Armata rossa»; la differente situazione geopolitica avrebbe impedito, di fatto, che «il richiamo a un sistema multipartitico e a un’economia mista […] divenisse […] la copertura di una pratica di spregiudicata occupazione del potere e di negazione della democrazia politica»542.

L’interpretazione può essere accettabile se limitata al periodo della partecipazione al governo di tutti i partiti antifascisti. Ma quella dell’applicazione della “democrazia progressiva” rimase la parola d’ordine del PCI dopo il passaggio all’opposizione, e soprattutto dopo il “serrate le file” di Sklarska Poreba, quando si prese atto definitivamente della contrapposizione frontale tra i due blocchi543. In Polonia, almeno secondo la traduzione con cui le sue parole furono diffuse in italiano, Ždanov aveva teorizzato l’esistenza di due “campi”, uno «imperialista antidemocratico», l’altro «antimperialista democratico», che «era riuscito a realizzare […] trasformazioni democratiche progressive che la democrazia borghese non era più capace di compiere»544; nella relazione al Comitato centrale, Togliatti affermò:

I termini della lotta attuale […] sono fra una democrazia borghese reazionaria e la democrazia

541 P. Togliatti, Discorso al teatro Brancaccio, Roma, 9/VII/1944, ora “Per la libertà d’Italia, per un vero regime

democratico”, in Id., Opere, vol. V cit., p. 76.

542 A. Agosti, “‘Partito nuovo’ e ‘democrazia progressiva’ nell’elaborazione dei comunisti”, in C. Franceschini, S.

Guerrieri, G. Monina (a cura di), Le idee costituzionali della Resistenza. Atti del Convegno di studi, Roma, 19, 20 e 21 ottobre 1995, Roma, Presidenza del Consiglio dei Ministri, 1997, pp. 236-237. Per una discussione della effettiva originalità dell’elaborazione politica togliattiana nell’ambito del comunismo internazionale, cfr. E. Aga-Rossi, V. Zaslavsky, Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 181-182, e F. Andreucci, Falce e martello cit., pp. 45-50.

543 Cfr. R. Martinelli, Storia del PCI, vol. VI cit., pp. 239-258 e 301, e lo stesso A. Agosti, “Il Partito comunista italiano

e la svolta del 1947”, Studi Storici, XXXI, 1, 1990, pp. 53-88.

544 A. ###danov, “La situazione internazionale”, Rapporto tenuto alla Conferenza di informazione dei rappresentanti

di nove partiti comunisti, Sklarska Poreba, Settembre 1947, in Politica e ideologia, Roma, Edizioni Rinascita, 1949, pp. 27 e 32-33.

progressiva; […] o […] si ritornerà inevitabilmente verso forme reazionarie antidemocratiche, oppure si afferma la nostra posizione di democrazia progressiva per la quale o avremo la forza di svilupparla verso il socialismo o si ritorna indietro.545

Come era spesso accaduto nella storia del movimento comunista, il PCI affrontò la “svolta” mantenendo inalterato il sistema lessicale, ma calibrando il significato di lemmi consolidati546; nel caso specifico, dal 1947 nella “democrazia progressiva” si confusero gli aspetti di tappa nella costruzione del socialismo e di opposizione alle forze della “reazione” borghese547.

Già nei dibattiti in seno ai comunisti italiani durante la guerra, la democrazia progressiva era interpretata come un sistema in fieri, destinata ad aprire la strada ad un mutamento sociale rivoluzionario e socialista548, ma a partire dagli anni 1947-1948 le interpretazioni diffuse dai canali di formazione ideologica spiegarono i termini del sintagma in un orizzonte culturale esplicitamente riconducibile alle esperienze che andavano maturando nell’Europa orientale. Come accadeva negli ambienti del PCF549, nel 1948 la diffusissima Piccola enciclopedia del socialismo e del

comunismo di Trevisani definì diversi tipi di democrazia550. La “democrazia socialista” dell’URSS

costituiva per la stampa comunista un esempio da divulgare e da difendere: vi era un unico partito perché, con la scomparsa delle classi, non sussistevano le basi sociali degli interessi politici divergenti551; le elezioni erano le «più democratiche del mondo», poiché il potere economico e la propaganda di parte non potevano avere alcun effetto552. La “democrazia progressiva” era invece, per Trevisani, «una forma […] transitoria» verso quella socialista: si era realizzata «in Cecoslovacchia, Polonia e Bulgaria», e «per essa si battevano, negli altri paesi, i partiti comunisti». Così era definita:

È una forma di Stato nella quale il potere è in mano alle classi lavoratrici sotto la guida del proletariato, e viene esercitato nell’interesse della grande maggioranza della popolazione. Questo potere mira ad eliminare gli elementi più reazionari del sistema capitalistico ed a creare le condizioni per la realizzazione del socialismo.553

545 Cit. in A. Agosti, op. cit., p. 86.

546 Cfr. N. Leites, “Interaction. The Third International on its Changes of Policy”, in H.D. Lasswell et. al., Language of

Politics. Studies in Quantitative Semantics, New York, G.W. Sewart, 1949, pp. 298 e ss., recentemente ripreso da F.

Andreucci, Falce e martello cit., pp. 40-42.

547 Per un approfondimento su queste conclusioni, cfr. L. Cafagna, C’era una volta…Riflessioni sul comunismo italiano,

Venezia, Marsilio, 1991, p. 49.

548 cfr. F. Sbarberi, I comunisti italiani e lo Stato. 1929-1945, Milano, Feltrinelli, 1980, pp. 208 e ss., e S. Bertelli, Il gruppo.

La formazione del gruppo dirigente del PCI. 1936-1948, Milano, CIL, 1980, pp. 184 e ss. e 256-257.

549 Sul fatto che i comunisti francesi vedessero nelle diverse situazioni istituzionali dei «differenti gradi» di

democrazia, che «si misuravano sulla base della partecipazione del popolo alla direzione degli affari nazionali», con l’URSS a rappresentare «l’esempio più elevato» di vita democratica e le “democrazie popolari” orientali avviate a raggiungerla, cfr. P. Buton, “Il PCF e la partecipazione governativa”, in E. Aga-Rossi, G. Quagliariello (a cura di),

L’altra faccia della luna. I rapporti tra PCI, PCF e Unione Sovietica, Bologna, Il Mulino, 1997, pp. 157-171.

550 G. Trevisani, Piccola enciclopedia cit. p. 164.

551 P. Robotti, Nell’Unione Sovietica si vive così, Roma, Edizioni di Cultura Sociale, 1950, p. 66.

552 Tra gli articoli relativi alle elezioni svoltesi il 12/III/1950, cfr. C. Franchi, “Un’intera flotta aerea già mobilitata in

URSS”, L’Unità, 4/III/1950, p. 1, e L. Longo, “Le elezioni più democratiche del mondo”, Vie Nuove, V, 12, 17/III/1950, p. 3.

Attorno alle formulazioni dottrinarie, nei mesi della formazione del Fronte popolare, sui mezzi di comunicazione vicini a PCI e PSI si svilupparono riferimenti al fenomeno della “democrazia progressiva” non sempre organizzati in modo sistematico, ma molto interessanti se raccolti in uno sguardo d’insieme. Già durante le polemiche per l’impiccagione di Pektov in Bulgaria, si leggevano esposizioni chiare, come quella di Vie Nuove:

Se […] Jugoslavia, Bulgaria, Polonia non hanno un ordinamento socialista, non sono neanche delle democrazie borghesi, in cui, sotto la forma del suffragio universale e della libertà politica, si nasconde la ben diversa realtà del dominio di classe e dei ceti possidenti […]. Qui il potere non soltanto emana […] dal popolo, ma è saldamente nelle mani del popolo, che governa e amministra lo stato secondo gli interessi comuni alla enorme maggioranza della popolazione. […] Ogni cittadino si sente partecipe della vita dello Stato, legato alle sue esigenze e alle sue conquiste. Si tratta quindi di una forma statale completamente nuova, che è stata definita democrazia popolare o progressiva - una forma che è già enormemente più avanzata della democrazia borghese, e che contiene le premesse per la costituzione di un regime socialista.554

Nelle prime settimane del 1948 prese piede l’uso di denominare “paesi a democrazia progressiva”, “paesi di nuova democrazia” o “democrazie popolari” i territori (per usare le parole dei redattori dell’Avanti!) dove «le forze rivoluzionarie erano state […] liberate» dall’ «esercito rosso»555. Gli stessi termini, nello stesso periodo, accompagnarono la presentazione agli elettori del nuovo progetto politico del Fronte: esso avrebbe dovuto essere, nelle parole di Togliatti, il mezzo per «trovare la via italiana per arrivare a una nuova democrazia»556, una democrazia (aggiungeva Basso da parte socialista) «non solo formale, ma sostanziale, […] intesa come partecipazione effettiva dei lavoratori alla direzione della vita politica economica sociale del paese»557, e contrapposta alle «democrazie parlamentari [che] si mostravano più aristocratiche o paternalistiche che popolari, più governi di “élites” o peggio di cricche che governo di popolo»558. Nello stesso ordine di idee si muoveva Mario Scoccimarro, definendo la proposta frontista «un superamento dei vecchi termini della democrazia strettamente parlamentaristica, basata sul giuoco dei partiti, […] [che] portava la classe operaia a ricercare e formare un sistema di alleanze con i ceti popolari e lavoratori»559.

L’«uso promiscuo»560 di questo genere di termini, per descrivere la situazione politica italiana e quella dei paesi dell’Europa orientale, non si realizzò soltanto in percorsi paralleli, o con

554 Argo, “Né socialiste né borghesi le nuove democrazie popolari”, Vie Nuove, II, 39, 28/IX/1947, p. 6.

555 “Per l’URSS la guerra sarebbe una maledizione”, Avanti!, 11/X/1947, p. 1. È in questo senso opportuno notare

che negli stessi giorni sul quotidiano socialista si prese a dedicare alle “nuove democrazie” orientali un’attenzione esclusiva, dopo che esse erano state spesso accomunate ai paesi scandinavi nella generica denominazione di “Europa socialista”. All’inizio del 1948 tali temi furono inoltre trattati in numerosi opuscoli ad elevata diffusione, come L. Valiani, Perché hanno inventato il sipario di ferro? Per impedire al popolo di conoscere la verità!.

556 “Togliatti indica la funzione dell’Italia nella lotta per la libertà e la pace nel mondo”, L’Unità, 6/I/1948, p. 2. 557 “Fronte democratico popolare”, Avanti!, 9/XII/1947, p. 1.

558 L. Basso, “Il partito e il Fronte”, Avanti!, 30/XII/1947, p. 1.

559 Cit. in R. Carli-Ballola, “Unità sindacale e democrazia popolare nei discorsi di Di Vittorio e Scoccimarro”,

L’Avanti, 7/I/1948, p. 1.

riferimenti impliciti, come la presentazione del “colpo” di Praga in chiave di affermazione della volontà popolare, paragonata sull’Avanti ai moti di Parigi di cento anni prima561. Gli accostamenti potevano essere diretti, come dimostra questa descrizione del governo bulgaro:

Il corrispettivo bulgaro del nostro “Fronte Democratico” è il “Fronte della Patria” e raccoglie nelle proprie file cinque distinte organizzazioni e cioè: il Partito comunista, il Partito socialista, l’Unione dei contadini, l’Unione Zveno e il Partito radicale. Al di fuori del Fronte non esistono forze democratiche organizzate ed i gruppi della opposizione finiscono fatalmente […] col confluire nella sfera di interessi anglosassoni ponendosi al servizio dello straniero.562

La “vera” democrazia come antifascismo

Pochi mesi prima, Pajetta aveva preso proprio la Bulgaria come esempio da seguire per tornare a parlare «una lingua che l’Europa aveva parlato per tanti mesi», «una lingua “ciellenistica”»563, mettendo in evidenza un aspetto destinato a caratterizzare per decenni il rapporto della sinistra marxista con il concetto di democrazia. Già nel primo discorso dopo il suo ritorno in Italia, Togliatti aveva messo in evidenza che «in una Italia democratica e progressiva vi dovessero essere […] diversi partiti», e che le forze politiche che «avevano una base nel popolo e un programma democratico e nazionale, avrebbero mantenuto la loro unità»564. Il panorama istituzionale di riferimento, allora, era l’alleanza antifascista. La rottura della collaborazione del maggio 1947 fu interpretata come un vulnus all’esperienza democratica565, e dalla sua fondazione il Fronte fu presentato come un’unione aperta a «tutte le forze leali» verso quello «spirito della resistenza» che i democristiani avevano infranto rompendo la «cooperazione» nata nei CLN. I partiti di sinistra si autoinvestirono della rappresentanza di quei «quattro quinti degli elettori» che avevano votato per i partiti della coalizione antifascista nel 1946 (compresi gli elettori della DC allora criticata)566, e il Fronte divenne «l’equivalente dell’Alleanza antifascista e dei Comitati di Liberazione Nazionale» nella mutata situazione politica567, naturalmente con l’accentuazione di un «elemento fondamentale» dei regimi “progressivi”: «la funzione guida del proletariato - diretto

561 Cfr. O. Pastore, “Risposta di popolo”, L’Unità, 26/II/1948, p. 1, e “La conferma di Praga”, Avanti!, 26/II/1948,

p. 1.

562 R. Carli-Ballola, “Bulgaria: democrazia popolare”, Avanti!, 10/I/1948, p. 1.

563 G.C. Pajetta, “CInque partiti intorno a un tavolo”, L’Unità, 14/IX/1947, p. 3. Per l’importanza di questo tipo di

atteggiamento nella definizione della “famiglia politica” comunista nel dopoguerra, cfr. E. Aga-Rossi, “Le conseguenze della seconda guerra mondiale e della nascita del mondo bipolare dulle famiglie politiche europee”, Les

familles poltiques en Europe occidentale au XX siècle, Rome, Ecole Française de Rome, 2000, p. 38.

564 P. Togliatti, Discorso tenuto a Napoli, 11/IV/1944, “La politica di unità nazionale dei comunisti”, in Id., Politica

Comunista. Discorsi dall’aprile 1944 all’aprile 1945, Roma, Società Editrice L’Unità, 1945, p. 46.

565 Alcuni spunti in proposito sono in G.E. Rusconi, Resistenza e postfascismo, Bologna, Il Mulino, 1995, p. 177, e in

E. Galli Della Loggia, “La resistenza tradita”, in AA.VV., Miti e storia dell’Italia Unita dell’Italia unita, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 158-160.

566 Es. di questa impostazione sono L. Longo, “La causa dell’inquietudine”, L’Unità, 1/XII/1947, p. 1, A. Boldrini,

“Lo spirito della resistenza”, L’Unità, 6/XII/1947, p. 1, e “A tutti gli uomini, a tutte le donne d‘Italia”, L’Unità, 3/II/1948, p. 1.

dal Partito Comunista, o dal Partito Comunista e Socialista, oppure da un partito unificato»568. Soprattutto sulle pagine dell’Avanti!, all’immagine di un Fronte popolare destinato a «portare la classe lavoratrice al potere»569, si sovrappose quella di una compagine «aperta a tutte le capacità e a tutte le aspirazioni democratiche», a «uomini di tutti i partiti e di nessun partito»570. Naturalmente, gli stretti margini di manovra consentiti dall’impostazione ždanoviana limitavano l’ampiezza del progetto. I valori unitari del Fronte erano declinati come l’apertura «al lavoro [del]la via del potere» e la rimozione degli ostacoli frapposti a ciò dalla «struttura economica della società borghese e capitalistica»571, e ciò rendeva difficile il coinvolgimento di larghi gruppi politici effettivamente estranei alle suggestioni della sinistra marxista. I pubblicisti del PSI si sforzarono di veicolare un’immagine “plurale” della proposta politica del Fronte, dando rilievo alla presenza nell’alleanza di piccoli movimenti non pienamente inseriti nell’organigramma dei due partiti maggiori, come quello dei cattolici raccolti attorno ad Ada Alessandrini572, o alle iniziative che raccoglievano maggiormente il consenso di figure “indipendenti”, come l’Alleanza per la difesa della cultura.

Queste scelte di comunicazione suscitarono l’ironia di Guareschi, il quale notava come il Fronte non vedesse affatto «il predominio» di PCI e PSI, accogliendo «socialcomunisti, comunsocialisti, socialtogliattisti, comunnenniani, nennocomuniani, togliattonenniani»573. Un’analisi più approfondita può chiarire il valore politico che, nello scenario italiano, assumeva questo cortocircuito linguistico. Esso era determinato da una sempre maggiore sovrapposizione dei concetti di “democrazia progressiva” e “democrazia” tout court: le forme di governo che non prevedevano un ruolo di guida dei partiti socialisti e comunisti apparivano sempre meno adeguate a garantire la “vera” democrazia, e le forze politiche ostili ai programmi del Fronte popolare finivano per non essere più considerate democratiche.

Il momento in cui, a sinistra, si iniziarono ad esprimere dubbi sull’operato democratico della DC e degli altri partiti avversari era stato proprio quando si smise di parlare la “lingua ciellenistica” rimpianta da Pajetta: nei mesi tra il gennaio e il maggio 1947, quando si compì l’allontanamento di PCI e PSI dal governo, numerosi esponenti comunisti protestarono perché un governo fondato sulla maggioranza parlamentare, ovvero secondo i canoni della “democrazia borghese”, sarebbe stato meno legittimo di quello basato sull’«unità democratica e progressiva […] di tutto il popolo lavoratore»574 e sulla partecipazione di quelle «masse popolari, che costituivano la spina dorsale

568 La formulazione è tratta ancora da G. Trevisani, Piccola enciclopedia cit., p. 164. 569 Le parole sono di S. Pertini, “Disertori”, Avanti!, 15/II/1948, p. 1.

570 “Consacrazione”, Avanti!, 8/II/1948, p. 1. 571 Le citazioni sono tratte da “Battaglia aperta” cit.

572 Cfr., ad es., E. Rossi, “Niente sintesi politico-religiose”, Avanti!, 13/II/1948, p. 1. 573 Candido, IV, 1, 4/I/1948, p. 1.

dei nostri istituti democratici e repubblicani»575. Per tale occasione, in estate, la macchina propagandistica del PCI si mise in moto per la sua prima grande campagna di demonizzazione: su tutta la stampa nazionale e locale, oltre che in una serie di volantini distribuiti in tutta Italia, il voto di fiducia garantito da una frazione maggioritaria della Costituente fu interpretato come insufficiente o addirittura irrilevante; i comunisti iniziarono a parlare di De Gasperi come del capo di un «governo presidenziale», o meglio ancora come di un «cancelliere», a ricordo dei sistemi istituzionali dell’Europa centrale, in cui il governo non era responsabile nei confronti del parlamento576.

Nei mesi successivi, con la creazione del Cominform e la sanzione ufficiale della divisione in campi, le forze italiane di “democrazia borghese” furono dipinte con tratti sempre peggiori577. Pochi giorni dopo, sulla neonata rivista per attivisti comunisti Propaganda, vide la luce una rubrica che raccoglieva gli spunti di confronto tra quanto accadeva nei due “blocchi”, sotto il doppio titolo “Vera democrazia/falsa democrazia”. Negli avversari non si riconosceva più nulla del modo d’essere democratico, in un lessico che ormai prescindeva dalle differenze tra democrazia “borghese” e “progressiva”. Da questo momento, e in modo ancora più insistito dopo il 18 aprile, comunisti e socialisti iniziarono a riferire a se stessi e alla propria linea politica con l’aggettivo “democratico” senza ulteriori specificazioni, e tentarono di appropriarsi del termine e del suo capitale “simbolico” e “magico”578, attraverso una linea di sviluppo già rilevata da Furet per il PCF dei fronti popolari. In Italia si ripeté la tendenza a «fare dell’antifascismo un doppio» del comunismo, nell’ambito di uno «spazio politico […] a due dimensioni» in cui «l’antifascismo […] era incompatibile con l’anticomunismo»579. Le commemorazioni del 25 aprile580, e i grandi

convegni di partigiani che si tennero soprattutto tra il 1947 e il 1950581, furono occasione per le sinistre di affermarsi come custodi di uno “spirito della resistenza”, visto come fondamento imprescindibile dello spirito della democrazia, fino ad essere identificato con esso582;

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