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MARCIANUM DI GIOVANNI SCOTO ERIUGENA

3. Libro secondo

Il commento del secondo libro segue le linee del primo, senza sostanziali variazioni ma è più breve e meno articolato del precedente, soprattutto considerando che, come fa notare Lenaz244, è questo il punto del testo di Marziano in cui vengono esposte le principali teorie misteriosofiche di tutto il racconto. Giovanni non sembra particolarmente interessato a tali divagazioni e speculazioni e non dedica particolare attenzione all'uovo cosmico piuttosto che ai mysteria Platonis. Ciò che invece interessa al commentatore è ancora una volta il valore dello studio e delle discipline come mezzo per giungere alla perfezione. In questo sta tutto il discrimine e la chiave di volta del commento: Giovanni, pur attratto dal senso delle parole di Marziano e conferendo allo studio la stessa importanza dello scrittore africano, cioè l'elevazione celeste ad un diverso status ontologico, non è però legato ad un'iniziazione misterica o ad 244 Cfr. Lenaz... cit.

un'iconografia oscura, ma semplicemente al valore salvifico della conoscenza che riporta alla riscoperta della propria vera origine245.

[42, 1] SED PURUM ASTRIFICIS CAELUM SCANDEBAT HABENIS

inchoantis noctis descriptio est sub qua allegorice veluti praecedentis lucis gesta insinuat.

Il secondo libro comincia con una descrizione poetica della notte. Giovanni la interpreta, e a ragione, come una metafora della chiusura degli eventi precedenti. Secondo Curtius246 le forumle del tipo “Dobbiamo concludere perché si fa sera” fanno parte della topica della conclusione ed è l'unica formula di epilogo passata dall'antichità al medioevo.

[42, 2] NOX REVOCANS noctem scandere dicit aut quia umbra terrae que nox

appellatur semper surgit in altum...

In particolare, Giovanni dà una doppia lettura di scandere nocte che può avere un significato reale ed uno allegorico. Il primo riguarda l'ombra della terra che sale sempre verso l'alto quando il sole tramonta, la seconda è invece un'immagine del cielo stellato.

[42, 3] SENIOR BOOTES non quod senex sit vocatur Bootes senior, sed quod

aquilonalis verticis signa claritate sui praecedit...

Il termine senior, come attributo di Bootes ha, per l’Eriugena, un valore

ordinale. La costellazione di Bootes, infatti, precede, con il suo splendore, quelle del polo settentrionale247. Le informazioni con cui Giovanni chiosa il passo sono corrette: egli è chiamato Bootes, bibulcus, quasi come fosse un pastore delle orse, costellazione contigua; l’altro nome greco era infatti Arctophylax, cioè servo, guardiano dell’orso. Le fonti di questa glossa sono Isidoro, De rerum

natura, 26, 5: “Bootes, stella est quae Plaustrum, id est Septentrionem sequitur, qui etiam ab antiquis Arctophylax dicitur, sive minor Arctos. Unde et quidam eam Septentrionem dixerunt. Hanc spectant praecipue qui navigare noscuntur”;

e Igino, De Astronomia, II, 4.

[42, 7] FULGENTEM SIRION Sirion antecanis dicitur qui quoniam et ortum et

occasum Orionis sequitur ab eo trahi perhibetur...

La stella Sirio, una delle più luminose del nostro emisfero, si trova a “breve” distanza dalla costellazione di Orione. Giovanni lega a questa vicinanza il nome della stella che deriverebbe dal greco apo tou syrein (syro) col significato di “sono trascinato, trasportato”, per il fatto di muoversi sempre in sintonia con 245 Cfr. Courcelle, cit. e i precedenti capitoli

246 E. Curtius, Letteratura Europea... cit.

247 In effetti Arctus, la stella alfa della costellazione ha una magnitudo zero ed è la quarta stella più luminosa del nostro cielo.

essa. Di diverso parere Isidoro che scrive: “Sirius stella est, quam vulgo Canem

appellant. Sirius quippe appellata propter flammae candorem, quod ejusmodi sit ut prae caeteris lucere videatur248”. Per corroborare la sua tesi, l'autore continua dirigendo l'analisi etimologica sulle Sirene, che con il loro canto trascinano i navigatori ammaliandoli con la voce. L'excursus continua con un'altra etimologia proposta per sirene, dal greco Seirenes, “cantare”.

[42, 9] MULTIPLICI AMBITUM REDIMITUR Redimitur ornatur, Orion

videlicet in cuius capite sertum, id est corona multiplici stellarum ordine, astrologi depingunt...

Delle due interpretazioni proposte per la costellazione della Corona, la più accreditata è quella che la vuole un regalo di Bacco ad Arianna, dopo che questa fu abbandonata da Teseo e per catasterismo trasformata in (piccola) costellazione. Questa versione è confermata anche da Igino: “CORONA. Haec

existimatur Ariadnes fuisse a Libero patre inter sidera collocata249”.

[42, 19] TUNC FLORES IPSA DECERPERET Per hoc significatur initium

eloquentiae, nam primo quasi tenebris flores usque dum addatur studium Filologia igitur dum flores carpebat aspexit Mercurium quia studium sapientiae et amor in primis sic sunt quasi flores.

L'immagine poetica di Filologia che, raccogliendo fiori, vede Mercurio svolgere attività fisica – scena carica di un evidente erotismo250 – diventa, per lo Scoto un'altra occasione per identificare l'amore tra i due come l'unione delle arti e dello studio per giungere all'eloquenza, rappresentata da Mercurio. I fiori sono come lo studio della sapienza251 nelle tenebre, abbandonata sino a che non si “aggiunga” lo studio. In quel momento appare Mercurio: l'eloquenza.

[43, 2] DELITIAS MILESIAS quia ille scripsit de nuptiis, non ille sapiens

Grecus, sed quidam poetarum et per hoc significatur noluisse Philologiam terrenas cogitationes dimittere quamvis verteretur in deam.

Venuta a conoscenza della decisione del senato celeste, Filologia teme che la sua divinizzazione possa farle perdere il piacere della poesia e delle storie e dei racconti degli uomini. Il riferimento di Marziano è alle Fabulae Milesiae, genere al quale si ispirò lo stesso Apuleio per comporre le sue Metamorfosi. L'opera che diede il via a questo genere è una raccolta di racconti di Aristide di Mileto. Il genere è quello del racconto erotico e scabroso, con una forte propensione al burlesco. Giovanni intende bene il senso, ma non si capisce a chi si riferisca 248 De rerum natura, XXVI, 14

249 De Astronomia, II, V

250 Lo stesso Scoto ne è conscio perché in finale di glossa, a differenza di Remigio che propone solo l'interpretazione allegorica, intende i fiori sia come studium sapientiae sia come l'amore tra i due.

251 Confronta supra la presenza delle arti in tutte le anime, anche quando l'uomo non dedichi a loro lo studio necessario.

menzionando ben due autori. Il senso che l'autore e il commentatore danno al passo è il medesimo: per salire al cielo, per poter essere divinizzata, Filologia – la sapienza – dovrà abbandonare tutta la sapienza mondana e i diletti poetici, non adatti allo stile di vita divino.

[43, 5] AETHERII VERTICIS divinis capitis, quia Mercurius in aethere est. Mercurio si trova nell'etere, intende: il pianeta.

[43, 13] IN DIGITOS CALCULUMQUE Ideo numerus dicitur calculus quia

primo de lapidibus veteres numerum faciebant.

L'etimologia di calculum, somma, da calculus, potrebbe essere stata suggerita da un passo delle Etymologiae: “Calculus est lapillus terrae admixtus, rotundus

atque durissimus, et omni puritate lenissimus. Dictus autem calculus quod sine molestia brevitate sui calcetur252”.

[43, 19] PRO LOCORUM CAUSIS ET CULTIBUS Hoc dicit pro diversitatibus

locorum in quibus adorantur dii et variantur vocabula...

La critica moderna identifica il nome segreto di Mercurio, tradito dalle

invenzioni egiziane253 con Thout. Tale associazione fu identificata per la prima

volta dal Grotius ed è in larga parte accettata da molti studiosi (tra cui Ilaria Ramelli254). A corroborare questa tesi concorre in primis il fatto che già dal tempo dei Tolomei, Thout è assimilato a Hermes–Mercurio, e tale assimilazione è entrata poi a far parte della koinè ellenistica. Vi sono numerose citazioni al riguardo tra cui Cicerone, De Natura Deorum: “[Mercurium] Aegyptii Thoth

appellant”.

Marziano, nel suo tipico stile oscuro e misterico, non rivela il vero nome del Dio, così come non esplicita le lettere che lo compongono se non attraverso richiami criptici e nebulosi indovinelli. Ma un ulteriore conferma che il nome possa essere effettivamente Θωυθ la intuiamo dal fatto che Marziano parla di quattro lettere, di cui la prima e l'ultima sono uguali, e che la terza lettera, la υ o