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SOMMARIO: 1. Il fatto. - 2. La declaratoria dello stato di insolvenza di un ente sottoposto a risolu-

zione. - 3. Il principio della condivisione degli oneri... - 4. ... (segue) e la legittimità costituzionale del

bail-in.

1. Il recente salvataggio delle «quattro banche» (CariFerrara, Banca Marche, Popolare dell'Etruria e CariChieti) è salito alla ribalta dei media nazionali a causa delle impopolari e rigorose misure adottate dalla Banca d'Italia al fine di far fronte allo stato di dissesto nel quale detti enti vertevano. Si fa riferimento all'attuazione di un programma di risoluzione che ha previsto, tra gli altri interventi, la riduzione integrale delle riserve, del capitale sociale e delle obbligazioni subordinate computabili nei fondi propri degli istituti interessati. Pertanto, l'evidente lesione dei diritti soggettivi degli azionisti e di taluni obbligazionisti ha giustificato la recente adozione, in sede parlamentare, di un provvedimento, avente finalità compensatorie, che dispone l'av- vio di procedure di rimborso fondate, tuttavia, su criteri discutibili1. Più in generale,

inoltre, la normativa di recepimento (d.lgs. 180 e 181 del 2015) della direttiva euro-

Contributo approvato dai revisori. 1

In particolare, l'art. 9 della legge n. 119 del 30 giugno 2016 di conversione del decreto n. 59 del 2016, riconosce agli investitori che hanno acquistato gli strumenti finanziari di cui all’articolo 8, comma 1, lettera a) entro la data del 12 giugno 2014 e detentori degli stessi alla data della risoluzione delle Banche in liquidazione, il potere di chiedere, al Fondo di solidarietà, «l’erogazione di un indennizzo forfettario dell’ammontare determinato ai sensi del comma 3, al ricorrere di una delle seguenti condizioni: a) patrimonio mobiliare di proprietà dell’investitore di valore inferiore a 100.000 euro; b) ammontare del reddito lordo dell’investitore ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche nell’anno 2015 inferiore a 35.000 euro». Si è, dunque, in presenza di una divisione tra due gruppi di soggetti titolari di obbligazioni: uno nel quale rientrano gli investitori che, avendone i requisiti, possono ottenere, in automatico, un rimborso pari all'80% del corrispettivo pagato per l'acquisto degli strumenti in discussione e l'altro che comprende coloro i quali, invece, per ottenere quanto

pea in materia di crisi bancarie (direttiva 2014/59/UE) è stata oggetto di viva discus- sione con riguardo alla sua coerenza con i principi costituzionali.

Le sentenze del Tribunale di Arezzo e della Corte di Appello di Firenze in com- mento dimostrano come la nuova disciplina sia permeata da un eccessivo tecnicismo che non rende agevole l'attività ermeneutica da parte degli operatori del settore; tec- nicismo che, di contro, alimenta le perplessità in ordine all'idoneità del nuovo im- pianto normativo a perseguire, sul piano delle concretezze, gli obiettivi prefissi. Prima, tuttavia, di soffermarsi sui profili problematici in causa e, più nello specifico, sulle possibili responsabilità ascrivibili agli organi deputati ad affrontare la situazione di crisi nella quale verteva la Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio (Banca interes- sata, per l'appunto, dai provvedimenti de quibus), è d'uopo ripercorrere, brevemente, i fatti che hanno dato origine alla controversia.

La BPEL, nel febbraio del 2015, è stata sottoposta ad amministrazione straordinaria a causa delle «gravi perdite» (determinate in 526 milioni di euro) deri- vanti, in buona parte, dall'incremento dei crediti deteriorati, cui è seguita l'ulteriore riduzione del patrimonio netto della banca per aggiuntivi 60,6 milioni di euro (come risulta dal rendiconto risalente al settembre 2015 redatto dai commissari straordi- nari). In tale critica condizione, come è noto, il legislatore nazionale (in ritardo ri- spetto ai tempi imposti dall'UE) ha recepito la cd. BRRD (direttiva 2014/59/UE), sicché la Banca d'Italia, ritenendo la BPEL in «stato di dissesto», il 21 novembre 2015 ha av- viato la procedura di risoluzione. Il programma, così predisposto dall'Autorità compe- tente, prevedeva la riduzione integrale delle riserve, delle azioni e delle obbligazioni subordinate, nonché la cessione delle attività e delle passività della banca ad un ente ponte (ad hoc costituito con il d.lgs. n. 183 del 2015) con lo scopo di trasferire, suc- cessivamente, i crediti in sofferenza ad una società veicolo.

La predetta complessa operazione ha favorito la riduzione dell'esposizione debitoria della BPEL in risoluzione; debiti che, a seguito dei provvedimenti adottati,

confronti dei titolari di obbligazioni subordinate non cedute. Da qui, l'avvio della pro- cedura di liquidazione coatta amministrativa, attivata ai sensi dell'art. 80 TUB. In se- guito, ritenendone sussistenti i presupposti, il commissario liquidatore ha richiesto al Tribunale di Arezzo la declaratoria dello stato di insolvenza dell'istituto in parola ex art. 82, comma 2, TUB. Costituitosi il giudizio, l'ultimo rappresentate pro tempore della BPEL ha sollecitato, tuttavia, l'Autorità giudiziaria a sollevare questione di legit- timità costituzionale di taluni articoli del d.lgs n. 180 del 2015 relativi al bail-in, per vi- olazione degli artt. 3 e 47 della Costituzione. Sotto altro profilo il resistente evidenziò la necessità di disporre un'apposita consulenza tecnica di ufficio per determinare cor- rettamente la situazione contabile della BPEL al momento dell'apertura della l.c.a., ciò sul presupposto che le valutazioni della Banca d'Italia e del commissario liquidatore fossero state effettuate in violazione dei principi internazionali. Del pari illegittimo, ad avviso del resistente, sarebbe stato il diniego opposto dalla Banca d'Italia all'opera- zione di ricapitalizzazione «intentata dagli ultimi amministratori»; iniziativa questa che avrebbe consentito, invece, di riequilibrare l'assetto patrimoniale e finanziario della banca.

Il Tribunale di Arezzo, con sentenza dell'11 febbraio 2016, ha accolto il ricorso e ha dichiarato, pertanto, la BPEL insolvente. Ad opinione dei giudici, i parametri pa- trimoniali da tenere in debita considerazione per dichiarare lo stato di insolvenza dell'istituto bancario in risoluzione, sarebbero dovuti essere quelli esistenti al mo- mento dell'avvio della procedura; ciò in forza della disposizione di cui all'art. 36 del d.lgs. n. 180 del 2015 per la quale «se l’ente sottoposto a risoluzione si trova in stato di insolvenza alla data di adozione del provvedimento di avvio della risoluzione (...) il tribunale accerta lo stato di insolvenza dell’ente sottoposto a risoluzione avendo ri- guardo alla situazione esistente al momento dell’avvio della risoluzione».

In applicazione della suddetta norma, risultano irrilevanti, ai fini della verifica della sussistenza delle condizioni per la declaratoria di insolvenza dell'istituto crediti-

soluzione. Pertanto, la disposizione sopracitata ha il merito di cristallizzare la situa- zione debitoria della banca ad un momento antecedente alla liquidazione coatta am- ministrativa. Ne consegue che, nel giudizio de quo, il programma di risoluzione non possa essere messo in discussione perché irrilevante rispetto al motivo del conten- dere; per la medesima ragione, inoltre, non assumono importanza gli eventuali profili di incostituzionalità presenti nella recente normativa in materia di crisi bancarie. Ciò nonostante, come si vedrà in seguito, il Tribunale di Arezzo prenderà posizione su tale questione concludendo circa la sua infondatezza.

A completamento del ragionamento svolto, i giudici, inoltre, evidenziano come, dal parere reso dalla Banca d'Italia ai sensi dell'art. 82, comma 2, TUB, emerge chiaramente come il patrimonio della BPEL fosse «insufficiente ad assicurare il ri- spetto dei requisiti prudenziali obbligatori per la prosecuzione della attività di im- presa»; sicché, l'ampia discrezionalità tecnica assegnata dalla legge all'Autorità di vi- gilanza in materia, nonché l'assenza di elementi idonei a contestare l'attendibilità delle valutazioni da essa effettuate, non hanno permesso l'accoglimento delle istanze proposte.

Avverso il provvedimento del Tribunale di Arezzo, l'ultimo rappresentante le- gale della BPEL, ha promosso, dunque, appello. La Corte di Firenze, con sentenza del 6 maggio 2016, pubblicata il 10 giugno 2016, è giunta alle medesime conclusioni del giudice di primo grado pur non condividendone i percorsi logici. In particolare, con- trariamente all'orientamento espresso dal Tribunale di Arezzo, i parametri patrimo- niali da tenere presente al fine di accertare lo stato di insolvenza della BPEL in risolu- zione, sarebbero dovuti essere quelli esistenti all'esito della procedura. Tale asser- zione deriva dall'applicazione, nel caso di specie, del disposto di cui all'art. 38, comma 3, del d.lgs. n. 180 del 2015 secondo il quale «quando a seguito dell’adozione delle sole misure di cui al Capo IV, Sezione II, Sottosezione I e II, residuano attività o passi- vità in capo all’ente sottoposto a risoluzione, quest’ultimo è sottoposto a liquidazione

essere verificato alla situazione di fatto esistente all'apertura della procedura di l.c.a. e, dunque, in un momento successivo all'avvio del programma di risoluzione. Viene evidenziato che la BPEL, a quell'epoca, era «ridotta ad una scatola societaria vuota di attivo e piena soltanto di passività»2; sicché le doglianze del ricorrente «non colgono il

bersaglio, in quanto, forse sviate dall'errata interpretazione del giudice di primo grado», prendendo «di mira la situazione esistente all'avvio della risoluzione suppo- nendola meno compromessa e non assimilabile ad una vera e propria insolvenza».

Secondo la delineata ricostruzione, ad avviso della Corte, le questioni di costituzionalità evidenziate dal resistente sono ritenute, addirittura, controprodu- centi. Infatti, nel caso di specie, l'azzeramento dei crediti degli obbligazionisti ha per- messo la cancellazione di talune passività della banca; da qui la considerazione che «gli strumenti normativi tacciati di incostituzionalità, lungi dal determinare l'insol- venza, l'hanno persino alleviata», cui consegue l'ulteriore monito secondo il quale do- vrebbero piuttosto essere «gli obbligazionisti a lamentarsi dell'incostituzionalità dell'azzeramento dei titoli subordinati (e) non coloro che ne traggono vantaggio pre- dicando la solvibilità della banca».

Si è in presenza, dunque, di provvedimenti che offrono l'opportunità di com- piere qualche riflessione sulla corretta gestione della crisi della BPEL da parte della Banca d'Italia e degli organi indipendenti. Più in generale, le sentenze in commento consentono di effettuare qualche considerazione con riguardo alla legittimità costitu- zionale della nuova disciplina in materia di crisi bancarie.

2. L'aspetto problematico centrale della vicenda sottoposta al vaglio del Tribu- nale di Arezzo e della Corte di Appello di Firenze, concerne il momento al quale fare

2

Cfr., di recente, LEMMA, La nuova procedura di risoluzione: indicazioni per un'insolvenza

obbligatoria?, nota a Trib. Ancona n. 22 del 15 marzo 2016, in Riv. trim. dir. econ., 1, 2016, p. 24 che,

con riferimento alla nota vicenda di Banche delle Marche s.p.a., considera «l’integrale trasferimento degli attivi di Banca Marche (e delle altre tre banche prese in considerazione) disposto dal d. l. 22

riferimento per valutare la sussistenza delle condizioni che giustificano la declaratoria di insolvenza nell'eventualità nella quale un istituto creditizio sia sottoposto a proce- dura di risoluzione.

Come è stato evidenziato nella sentenza della Corte di Appello in commento, la normativa sembra distinguere «l'insolvenza nella risoluzione» rispetto all' «insolvenza nella liquidazione coatta amministrativa». Si fa riferimento, più precisamente, alle di- sposizioni di cui agli artt. 36, comma 2, e 38, comma 3, del d.lgs. n. 180 del 2015. La prima norma disciplina l'ipotesi nella quale l'ente sottoposto a risoluzione si trovi in stato di insolvenza al momento dell'avvio della procedura. In tal caso, in applicazione dell'art. 82, co. 2, TUB, il tribunale, su ricorso dei commissari speciali, accerta tale condizione, tenuto conto della situazione patrimoniale esistente a quella data. Di- versa, invece, è l'ipotesi di cui all'art. 38, comma 3, del d.lgs. n. 180 del 2015; disposi- zione che contempla l'eventualità per la quale, a seguito delle misure di «cessione ad un soggetto terzo» (art. 40 e seguente) e di «cessione a un ente ponte» (art. 42 e se- guenti), residuino attività o passività in capo all'ente sottoposto a risoluzione. In tale ultima circostanza, l'attivazione della l.c.a. deve avvenire «appena possibile», fermo restando che la declaratoria dello stato di insolvenza dovrà basarsi sulla situazione patrimoniale prodottasi all'esito della procedura di risoluzione3. Declaratoria che,

come è noto, costituisce, più in generale, presupposto per l'attivazione delle indagini penali.

Nel caso di specie lo stato di insolvenza sembra fosse derivato dall'attuazione del programma di risoluzione; piano che, infatti, ha ridotto la banca ad una mera «scatola societaria vuota». Pertanto, la Corte di Appello di Firenze ha ritenuto di ap- plicare, sic et simpliciter, nelle prescritte condizioni, la disposizione di cui all'art. 38, comma 3, TUB, senza effettuare alcuna verifica sulla situazione patrimoniale prece- dente. Tale modus operandi, tuttavia, non sembra tenere in debita considerazione il

ruolo che l'Autorità giudiziaria assume nelle valutazioni di cui trattasi. Si è dell'avviso, infatti, che il Tribunale avrebbe dovuto innanzitutto verificare, ai sensi dell'art. 36 del d.lgs. n. 180 del 2015, le condizioni patrimoniali dell'ente esistenti al momento dell'avvio della procedura di risoluzione. Laddove, sulla base di queste ultime, non avessero ravvisato i presupposti per la declaratoria di insolvenza, i giudici, ai sensi dell'art. 38, comma 3, del sopracitato provvedimento, avrebbero dovuto verificare la loro sussistenza con riferimento al momento dell'emanazione del provvedimento di liquidazione4. Trattasi, pertanto, di stime che andrebbero effettuate alla luce di condi- zioni patrimoniali esistenti in momenti diversi delle varie fasi della crisi dell'istituto bancario interessato. In altri termini, la disposizione di cui all'art. 36 del d.lgs. n. 180 del 2016 sancisce un principio generale applicabile agli enti sottoposti a risoluzione; principio in forza del quale l'accertamento dello stato di insolvenza deve avvenire «avendo riguardo alla situazione esistente al momento dell’avvio della risoluzione». Se l'ente non fosse insolvente a quella data, ciò non esclude che esso possa esserlo nei termini indicati dall'art. 38 del d.lgs. n. 180 del 2015.

Ciò posto, dalla pronuncia del Tribunale di primo grado, emerge che, nel caso di specie, lo stato di insolvenza della BPEL fosse già evidente al momento dell'avvio della risoluzione. Se, dunque, dovesse ritenersi condivisibile la ricostruzione su espo- sta, nel caso di specie, avremmo dovuto applicare la disposizione di cui all'art. 36 del d.lgs. n. 180 del 2015. Tuttavia, la Corte di Appello di Firenze è dell'avviso che la situa- zione patrimoniale dell'ente sia stata ulteriormente compromessa dall'adozione delle misure di risoluzione; donde la singolarità che «la liquidazione sostanziale dell'im- presa bancaria» sia stata gestita da un intervento amministrativo in grado di conse- gnare «al giudice l'insolvenza». Da quest'angolo visuale, pertanto, diviene aspetto di particolare interesse indagare sull'operato degli organi indipendenti che hanno ge- stito la crisi e sull'opportunità di porre in essere un programma di risoluzione di tale

portata.

In detta ultima prospettiva, sorge il dubbio che «gli organi della risoluzione avrebbero dovuto affrontare meglio la crisi» essendo stati, probabilmente, «così mal- destri da provocare essi stessi l'insolvenza». Ciò deve comportare, a nostro avviso, la verifica del compimento di possibili errori di giudizio da parte del commissario liqui- datore che, come evidenzia il resistente, ha svalutato eccessivamente i crediti in por- tafoglio dell'ente applicando valori percentuali ben al di sopra rispetto a quelli indivi- duati secondo la media nazionale5. Dubbi legittimi, inoltre, sono stati avanzati circa

l'utilizzo di criteri idonei per effettuare la valutazione di cui all'art. 23 del d.lgs. n. 180 del 20156. Ad avviso del ricorrente, infatti, l'attendibilità di detta valutazione impone

«una sorte di atto fideistico», con ciò volendo evidenziare l'assenza, nella stima di cui trattasi, di adeguati supporti contabili idonei al perseguimento degli obiettivi avuti di mira dalla nuova disciplina in materia7.

E' evidente, tuttavia, che tali aspetti problematici sarebbero dovuti essere contestati non tanto in un ricorso diretto alla declaratoria dello stato di insolvenza, quanto in sede di eventuale impugnazione delle misure di amministrazione straordi- naria ovvero della decisione di risoluzione. In quest'ultima eventualità, tuttavia, è ap- pena il caso di precisare che, ai sensi dell'art. 95 del d.lgs. n. 180 del 2015, pur non es-

5

Sul punto, proprio il commissario liquidatore, ha sottolineato (SANTONI, Tre interrogativi

sull’operazione di salvataggio delle quattro banche. Scritto per il Convegno «Salvataggio bancario e tutela del risparmio», in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 11, 2016) come le svalutazioni effettuate

«sembrano giustificare le numerose polemiche che hanno sollevato», salvo poi specificare che come «il fallimento è costretto a vendere (...) a prezzi fallimentari», lo stesso deve fare «la banca in risoluzione».

6

Sul punto, cfr. CAPRIGLIONE, Luci ed ombre nel salvataggio di quattro banche in crisi. Scritto per

il Convegno «Salvataggio bancario e tutela del risparmio», in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 2,

2016, p. 5, che, per l'appunto, con riferimento alla vicenda delle «quattro banche», ipotizza le «re- sponsabilità dei commissari i quali, nel corso della gestione commissariale, non hanno impedito (nel corso dei circoscritti termini di quest’ultima) il progressivo deterioramento patrimoniale di tali banche, donde le conseguenze dirompenti della valutazione effettuata ai sensi dell’art. 23 del decreto lgs. n. 180 del 2015, alla quale si ricollega il ‘programma di risoluzione’ formulato nei provvedimenti ema- nati dalla Banca d’Italia il 21 novembre 2015».

7

sendo ammessa tutela autonoma contro la valutazione effettuata dall'esperto indi- pendente di cui all'art. 23 del sopracitato decreto legislativo, nondimeno è consentito contestare, innanzi al giudice amministrativo, il provvedimento di risoluzione (e solo con essa anche la valutazione sopracitata), ferma restando, tuttavia, l'inapplicabilità degli artt. 19 e 63, co. 4, del Codice del processo amministrativo (ai sensi dell'art. 95, co. 2, del d.lgs. n. 180 del 2015) relativi al possibile ricorso a consulenti tecnici.

Sullo sfondo, permangono le ulteriore perplessità in ordine all'operato dell'Autorità di vigilanza che, nei mesi precedenti all'adozione del programma di ri- soluzione, ha esercitato sulle «quattro banche» penetranti azioni ispettive denun- ciando, altresì, svariate anomalie di gestione8. Tuttavia, all'incisiva attività di accerta-

mento di situazioni di irregolarità, non è seguita un'altrettanta solerte adozione di adeguati provvedimenti che forse avrebbe potuto evitare l'assunzione delle recenti impopolari misure9.

3. I provvedimenti in commento offrono, altresì, spunti di riflessione sull'attu- ale assetto disciplinare in materia di crisi bancarie e, soprattutto, con riguardo al di- battito sulla legittimità costituzionale del nuovo strumento di risoluzione denominato

bail-in. In particolare, come si è detto, il Tribunale di Arezzo si è espresso in ordine

alla coerenza del nuovo istituto con i principi costituzionali. Prima di soffermarsi sul giudizio espresso, in argomento, dall'Autorità giudiziaria, appare opportuno fornire qualche indicazione sul quadro normativo di riferimento.

La disciplina sul bail-in si propone, come è ormai noto, di far ricadere il peso delle perdite accumulate dalle banche in difficoltà non già sui contribuenti ma in capo

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Evidenzia ANTONUCCI, Fra opacità e regole tossiche: il ruolo degli scenari probabilistici. Scritto

per il Convegno «Salvataggio bancario e tutela del risparmio», in Riv. dir. banc., dirittobancario.it, 2,

2016, p. 1, per la quale «l’opacità è tratto strutturale delle metodiche di gestione delle crisi bancarie, riscontrabile sia nelle diversificate vicende realizzatesi all’indomani dell’avvio dell’Unione Bancaria Europea, sia nei forti spazi discrezionali nel ricorso a differenziati strumenti di intervento, anche

a coloro che, a vario titolo, hanno confidato sulla solidità dell'ente10. Tale significativa

svolta, rispetto al passato, è la conseguenza dei recenti interventi resisi necessari per far fronte alla crisi del settore bancario; provvedimenti che hanno inciso negativa- mente sui bilanci degli Stati, donde la necessità di individuare congegni in grado di coinvolgere, soltanto in minima parte, le finanze pubbliche nelle operazioni di salva- taggio degli istituti in dissesto11. A tal fine, la disciplina comunitaria ha predisposto

specifici strumenti di «risoluzione» (tra i quali, per l'appunto, rientra il bail-in) aventi il compito di garantire, ove sia possibile, la continuità delle funzioni essenziali dell'ente interessato e di evitare effetti negativi sulla stabilità finanziaria, per tale via, salva- guardando i fondi pubblici e tutelando i depositi e le attività dei clienti (art. 14 del Re- golamento n. 806 del 2014).

Aspetto di specifico rilievo è, infatti, il potere (assegnato all'Autorità di risolu- zione) di ricapitalizzare l'ente in crisi oppure di svalutare le azioni e i crediti o di con- vertire in azioni (secondo un preciso ordine gerarchico) le passività della banca, pur- ché vengano soddisfate talune condizioni (art. 43 della direttiva 2014/59/UE). Infatti, le autorità competenti possono avviare un’azione di risoluzione qualora ravvisino un interesse pubblico nonché nell'eventualità nella quale l'adozione di misure alternative non permetta, in tempi ragionevoli, di evitare il dissesto della banca (art. 18 del Re-