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'The new anti-money laundering Law', Palgrave, 2016)

“The New Anti-Money Laundering Law” curato da Domenico Siclari ha un doppio profilo di merito. Da una parte ci restituisce un’immagine completa ed af- fidabile del quadro normativo delineato dalla IV direttiva in tema di antiriciclag- gio, dall’altra avanza riflessioni critiche per la comunità scientifica.L’assunto che sta alla base del volume è tanto semplice quanto denso di conseguenze: gli effetti del riciclaggio sono amplificati dalla crescente globalizzazione economica e finan- ziaria. Le piattaforme telematiche hanno trasformato i canali di distribuzione e del commercio di beni e servizi (anche relativi ad attività criminose), modificando l’atteggiarsi del(la percezione del) rischio di riciclaggio e di finanziamento del ter- rorismo.

La dimensione transnazionale del fenomeno spiega la necessità di politiche nor- mative che operino almeno a livello di Unione in presenza, fra l’altro, di “coordi- namento e cooperazione internazionali” (considerando 4). A tal fine, si giustifica la necessità di proseguire nella valorizzazione delle raccomandazioni del GAFI e degli strumenti di altri organismi internazionali attivi nella lotta del fenomeno che la normativa europea intende contrastare. Che ogni intervento legislativo “muni- cipale” è destinato al fallimento. Questa direzione di intervento affiora nitida nel lavoro là dove si parla di “Europeanisation of the fight against crime within the EU

area of freedom, security and justice”. Da quest’angolo visuale, si coglie la portata

della IV direttiva che ci consegna regole, metodi e pratiche comuni di contrasto al riciclaggio secondo una diversa visuale della cattedrale. Se la nuova disciplina co- stituisce per molti Paesi una vera e propria rivoluzione copernicana, per il nostro ordinamento essa si colloca come naturale evoluzione e sviluppo dell’attuale

lare sensibilità e determinazione nel contrasto al fenomeno in esame si coglie viepiù dall’agenda del legislatore. La nuova disciplina, che prenota termine di at- tuazione al 26 giugno 2017, è stata tosto recepita in un disegno di legge appro- vato alla Camera il 27 aprile e quindi trasferita al Senato.

A nuove regole e a nuove categorie concettuali – penso, ad esempio, alla nozione di “persona politicamente esposta” o alla disciplina del “registro cen- trale” – corrisponde un diverso approccio al rischio. Quello che il legislatore di Bruxelles definisce “un approccio olistico”, che si sviluppa intorno a processi deci- sionali basati sul factual approach, “al fine di individuare in maniera più efficace i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo che operano sull’Unione”. L’obiettivo è di creare un sistema robusto, ma flessibile, tramite un metodo selet- tivo basato sui rischi, che preveda la possibilità per gli Stati membri di ricorrere a misure rafforzate per settori di attività ad alto rischio e a misure semplificate per quelli a basso rischio. Sulle tracce del modello già conosciuto nel nostro ordina- mento, la IV direttiva rafforza allora il così detto risk-based approach. Questo “new design”, ci ricorda Pierpaolo Fratangelo, è intimamente connesso alla evoluzione tecnologia che impedisce di contrastare efficacemente il fenomeno dell’antiriciclaggio e del finanziamento al terrorismo tramite “un’unica tassono- mia regolamentare” che si sviluppa intorno al modello “one size fit all solution”. Da qui, la necessità di portare a maturazione un sistema antiriciclaggio fondato sulla capacità dei soggetti obbligati di saper discriminare le diverse fattispecie di rischio e di adottare conseguenti reazioni selettive. “L’idea è di affermare un mo- dello dove i destinatari della normativa siano in grado di comprendere l’essenza del fenomeno dell’antiriciclaggio e del finanziamento al terrorismo anche adot- tando modelli organizzativi efficaci e proporzionati per gestire e minimizzarne i rischi, definendo contromisure adeguate. Che una corretta comprensione del fe- nomeno e un’efficace costruzione di modelli organizzativi saranno la chiave del successo dell’enforcement della direttiva europea. Questo passaggio, tributario

della politica del diritto ben rappresentata nel volume in commento, ci consente di delineare l’intimo rapporto tra risk-based approach,cultura del rischio e gover-

nance (bancaria).

La nuova cultura del rischio informa il risk-based approach. Il processo di valutazione del rischio (: risk assessment) opera attraverso un sistema di ascen- sori mobili. La Commissione identifica, analizza e valuta i rischi di riciclaggio e fi- nanziamento del terrorismo che incombono sul mercato interno e relativi alle at- tività transfrontaliere. Elabora quindi una relazione che viene aggiornata almeno su base biennale. L’individuazione e la valutazione dei rischi, sulla scia della rela- zione della Commissione, sono effettuate anche dagli Stati membri che a loro volta identificano i settori maggiormente a rischio. Infine, e più importante, grava sui soggetti obbligati adottare misure adeguate “volte a individuare e valutare i rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, tenendo conto di fattori di rischio compresi quelli relativi ai loro clienti, paesi o aree geografiche, prodotti, servizi, operazioni o canali di distribuzione. Tali misure sono proporzionate alla natura e alle dimensioni dei soggetti obbligati” (art. 8 IV direttiva). È proprio quest’ultimo livello che merita attenzione, mercè un esteso coinvolgimento degli operatori nel conoscere la clientela e valutare e scegliere la condotta più ade- guata rispetto alla fattispecie concreta. Il paradigma è quello del “know your cu-

stomer”, che nell’“adeguata verifica” trova la propria cifra disciplinare. I destina-

tari della normativa devono cioè identificare e valutare il rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo, documentare e aggiornare le valutazioni e tenerle a disposizione delle autorità competenti. La nuova direttiva completa, per tale via, il processo di privatizzazione del monitoraggio in un quadro variabile di mi- sure semplificate o rafforzate connesse alle variabili di rischio che devono essere prese in considerazione. Da questa prospettiva, il risk-based approach diventa, da una parte, strumento autovalutativo dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo e delle conseguenti decisioni sulle politiche di adeguata verifica della

clientela; dall’altra, modello regolatore che segna il passaggio dalla dimensione della fattispecie a quella del mercato (delle regole).

Il tema della governance è intimamente connesso a quello dei processi di valutazione del rischio. Lo è, senza dubbio, nella prospettiva delle banche e delle Autorità di vigilanza. D’altronde, il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo sono fenomeni che entrano a pieno titolo nella mappa dei rischi che le banche devono gestire. La gestione del rischio – di credito, finanziario, legale, reputazio- nale, ecc. – fa parte del normale agire delle banche e delle istituzioni finanziarie. Da quest’angolo visuale, allora, gli intermediari dovranno seguire le orme già tracciate dal legislatore per conferire ai sistemi di controllo del rischio un ruolo centrale nei modelli di governo antiriciclaggio. Il bancario, è arcinoto, conosce numerose previsioni di fonte primaria e regolamentare dirette alla prevenzione del coinvolgimento in fenomeni di riciclaggio. Il quadro normativo si sviluppa in- torno al modello della “adeguatezza organizzativa”, affidando all’organo con fun- zioni di supervisione strategica il compito di determinare le politiche di governo dei rischi antiriciclaggio coerenti all’entità e alla tipologia dei profili di rischio cui è concretamente esposta l’attività dell’intermediario. Nella stessa direzione di fles- sibilità si muove la normativa europea che all’art. 8 ribadisce come le politiche, i controlli e le procedure per mitigare e gestire in maniera efficace i rischi di rici- claggio e di finanziamento del terrorismo “sono commisurati alla natura e alle dimensioni dei soggetti obbligati”. La nuova Direttiva rafforza il regime vigente e conferma come l’attività di antiriciclaggio sia destinata ad assumere un ruolo strategico nel sistema di risk management delle imprese bancarie e finanziarie. Il percorso, colto con lucidità nel volume in commento, è però più ambizioso. In- tende infatti abbandonare quell’idea, radicata negli operatori bancari, che identi- fica i presidi organizzativi come lacci e lacciuoli che ingessano l’attività e aggiun- gono inutili costi alla struttura. L’obiettivo è allora quello di segnare il passaggio dalla “cultura delle regole” alla “cultura del rischio”.

L’autonomia decisionale che informa il risk-based approach si accompagna a un regime sanzionatorio robusto che ci consegna un’equilibrata miscela tra pri-

vate-public enforcement. La dialettica tra operatori e Vigilanza è la sintesi tra fles-

sibilità e severità di un modello che individua nella sana e prudente gestione dell’intermediario, nonché nella tutela dell’integrità del sistema i fattori chiave di sviluppo virtuoso dell’antiriciclaggio. Il corretto bilanciamento tra esigenze di effi- cienza della condotta degli operatori ed efficacia in punto di deterrenza nel per- seguimento di obiettivi di pubblica utilità potrà costituire, se correttamente in- terpretata, la chiave di successo della riforma. Tale approccio dialettico costitui- sce secondo l’analisi condotta, sempre attenta alla realtà della prassi, la cifra della direttiva che in tal modo svolge appieno il proprio compito di produrre in- centivi volti all’equilibrata cooperazione tra operatori e vigilanza. Gli autori con- ducono il ragionamento con rigore, forti di una metodologia gius-economica ma- tura e priva di incrostazioni ideologiche.

Filippo Sartori

Ordinario di Diritto dell'economia

nell'Università degli Studi di Trento