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I “limiti” del cultural planning e distretto culturale evoluto

Capitolo 3. Arte/Cultura/Creatività come “filler”

3.5 I “limiti” del cultural planning e distretto culturale evoluto

Cultural planning e modello di distretto culturale sono visti da alcuni policy maker ed istituzioni come “salvatori della patria”. Come chiarisce Bianchini (2012) per cultural planning non si intende “pianificazione della cultura”, ma un approccio culturalmente sensibile alla pianificazione e alle politiche pubbliche, un approccio dunque in cui le risorse culturali locali siano di sviluppo integrato del territorio. Un approccio integrato in cui in maniera trasversale si collegano i settori pubblico, privato e volontaristico, la pianificazione territoriale con le politiche urbane (sociali, economiche, ambientali, di formazione educativa, turistiche). Dove risiede allora il limite? Nella sua non comprensione profonda, piuttosto che in un'imperfezione dello strumento. Spesso questo approccio è stato osannato da alcune politiche che si limitavano invece a sostenere un ferrato marketing (turistico) della città legato al grande Museo o al grande evento (il marketing territoriale è incluso nell'approccio cultural planning, ma è uno degli aspetti), oppure politiche incentrate unicamente a costruire una proposta culturale in risposta alla domanda turistica (come succede in alcune città italiane con un grande patrimonio storico- artistico). In questi casi si è trattato di un cultural planning patinato, imbellettato. Con ciò non si vuole sostenere una posizione sfavorevole verso il marketing che attira una domanda turistica: il turismo rappresenta è uno dei pochi settori in grado di assicurare, nel medio termine e su scala globale, ricchezza e occupazione nel territorio. Piuttosto, non si può ridurre il cultural planning al marketing territoriale. I grandi progetti culturali (Museo, centro polifunzionale) o i grandi eventi (Olimpiadi, programma Città europea della cultura) hanno indubbiamente ricadute positive e considerevoli sul territorio perché rappresentano occasioni per riqualificare quartieri, fare migliorie infrastrutturali, creare occupazione. (E quando si spengono i riflettori?) Il cultural planning dunque fa riferimento ad un tipo di programmazione a lungo termine e ad una progettualità interdisciplinare ed intersettoriale che parte dalle risorse culturali locali.

Per il modello di distretto culturale evoluto l'errore è stato piuttosto (da parte di pianificatori e policy maker) di averlo considerato come “una formula” da applicare ad ogni contesto. Si è già discusso sulle “città d'arte” specie italiane fondate su un modello distrettuale mono-filiera, ovvero la focalizzazione sulla dimensione culturale-artistica è in termini di valorizzazione del patrimonio (politica non errata, ma che non si riferisce al

modello di distretto culturale evoluto). In questi casi l'attenzione è concentrata sul mantenimento delle condizioni di “città attrattiva” per soddisfare la domanda turistica, creando centri di profitto connessi a questo tipo di offerta culturale. Nel modello distrettuale attraverso processi di auto-organizzazione guidata (gestione integrata top- down e bottom-up) l'agglomerazione dei creative e cultural worker induce ad un recupero urbano (di aree dismesse, quartieri depressi) e ad una rigenerazione su più livelli sociale, economica, ambientale, produttiva (si crea una rete tra gli attori a tal punto da attrarre imprese esterne, da sviluppare il talento locale, da coinvolgere la cittadinanza, cc.). Un punto è che questi processi di sviluppo locale, denominati distrettuali, possono essere provocati, facendo emergere le potenzialità presenti nel territorio, ma non imposti (Barbetta, Cammelli, Della Torre, 2013). Si sviluppano perché in quel particolare territorio con delle peculiarità storiche e geografiche si riscontra una “vocazione” da parte della comunità locale nell'attivare sinergie tra risorse culturali, artistiche, manageriali. Non basta dunque porre la classe creativa di Florida in un agglomerato urbano, bisogna che si instaurino sinergie e relazioni con altri attori, che innovando e rischiando, puntino alla valorizzazione delle potenzialità del territorio. Il modello non può essere calato dall'alto, il sistema locale liberamente e consapevolmente deve “trovare la sua strada” in base alla sua peculiarità culturale, ai suoi valori, alle sue conoscenze. Il settore culturale-artistico, concentrato localmente, è motore di ri-funzionalizzazione di edifici, di riqualificazione di zone degradate, incentiva un'offerta di servizi/beni indotti (dalla presenza del distretto culturale), vivacizza le relazioni sociali, si relaziona con il settore produttivo locale, crea sinergie con altre imprese e attori (Sacco, 2003). Nei casi in cui si è pensato che la sola presenza dei creative worker bastasse nel rivitalizzare una zona dal punto di vista sociale, economico, urbano ci si è resi conto che non si era sviluppato un modello di distretto culturale evoluto. La presenza creativa-culturale, pur in un contesto riqualificato, se non ha attivato sinergie con altri attori, se non si è relazionata con la comunità locale, se non ha stimolato uno sviluppo economico collaborando con le imprese locali, se non ha fatto circolare “conoscenza”, se non ha fatto riferimento ai valori identitari-locali come asset di sviluppo, non ha colmato il “vuoto” in termini di rigenerazione territoriale.

Da una riqualificazione urbana che perde il contatto con la realtà pre-esistente e con i valori di cui il territorio è portatore in termini di istanze immateriali (capitale umano, sociale e simbolico) e materiali (capitale fisico e naturale), possono sorgere fenomeni di

gentrification. Il termine indica il processo di sostituzione delle componenti sociali, fisiche, economiche di un'area urbana degradata soggetta a bonifica e/o riqualificazione, con nuovi attori appartenenti a fasce più elevate che lavorano nel terziario e/o nell'arte. Queste “migliorie” della zona provocano un alzamento dei prezzi degli immobili costringendo i residenti a lasciare il posto.

La localizzazione dei “creative worker” e delle attività legate al terziario se non supportati da una strategia integrata (combinazioni di politiche bottom-up e top-down che puntino allo sviluppo a più livelli) non sono sufficienti alla costituzione di alcuna forma di capitale e valore per il territorio. Il rischio è che se non si attivano i processi sopra delineati, il “recupero” rimane un vuoto e nei casi peggiori si innescano processi di gentrification.

3.6 Riflessione critica sulle reali possibilità della cultura di riempire il vuoto