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La linea guida integrata attività motoria, attività sedentarie e sonno nei primi 5 anni
di vita
Le Linee Guida elaborate dal gruppo di lavoro OMS nel 2019 sul-la attività fisica, i comportamenti sedentari e il sonno nei bam-bini da 0-5 anni vanno a colmare una lacuna su alcuni ambiti, in particolare riguardo al movimento nei bambini da 0 a 5 anni. Questa attenzione al movimento nelle 24 ore evidenzia in manie-ra opportuna come, parlando di bambini di età 0-5 anni, mettere in relazione il movimento, i momenti sedentari e il sonno, sia un approccio necessario e innovativo per capire come intervenire su attività, come per esempio il movimento, inevitabilmente meno strutturate in questa fascia di età. Nella stesura delle LG, tra le prime nazioni a basso e medio reddito ad adottare un approccio così integrato nella prevenzione della obesità e delle malattie a
essa correlate, c’è anche il Sud Africa. Nei paesi a basso reddito,
ma non solo in questi, poco si sa sui livelli di iniquità e sui de-terminanti alla base dei comportamenti sedentari o a favore del movimento. Certamente non è, purtroppo, tutto risolvibile con
delle indicazioni, come quelle date dalle LG dell’OMS, seppur
necessarie e di aiuto per gli operatori che svolgono una azione
preventiva con le famiglie. L’approccio integrato al problema è
innovativo ed è auspicabile che venga messo in pratica dagli ope-ratori ai quali si chiede inevitabilmente un cambio di prospettiva nella valutazione del problema e nella conseguente promozio-ne delle buopromozio-ne pratiche. E’ ben riconosciuto che tutte le buopromozio-ne pratiche, se acquisite nella primissima infanzia, diventano parte integrante dello stile di vita del bambino e del suo domani da adulto. Proprio da bambini si possono apprendere abitudini e comportamenti che rimangono in qualche modo imprinted e che avranno una grande influenza sul benessere nelle età successi-ve. Svolgere una attività fisica regolare promuove lo sviluppo dei bambini e rappresenta, insieme ad altre attività basate su eviden-ze, una buona pratica per raggiungere uno sviluppo armonico.
Il panel di esperti dell’OMS nelle LG elaborate fornisce una
serie di dettagliate indicazioni sulla quantità e il tipo di movi-mento, sul tempo dedicato alla sedentarietà che deve essere quantificato e diventare tempo per la lettura, la musica e la nar-razione da parte dell’adulto e sulla quantità di sonno appropriata
all’età del bambino. Nei piccolissimi, da 0-12 mesi, per esempio,
il movimento viene promosso con il tummy time, ossia un tempo
di almeno 30 minuti, nell’arco delle 24 ore giornaliere, da
tra-scorrere da svegli in posizione prona per i neonati e poi tempo da trascorrere a terra per potersi muovere liberamente in uno spazio sicuro nei bambini con qualche mese in più. Il tempo da “fermi” dovrebbe essere un momento dedicato alle attività che promuovono lo sviluppo, non davanti a uno schermo. Il tempo trascorso davanti a uno schermo viene definito a partire dai 2 anni e non dovrebbe superare i 60 minuti giornalieri. Per alcune di queste raccomandazioni le evidenze appaiono deboli tuttavia
non appare questo un motivo per non formulare raccomanda-zioni che andrebbero valutate come degli obiettivi da porsi al fine di arrivare ad interventi da proporre alle famiglie e per i bambini.
L’approccio integrato è meritevole in quanto, l’associare il
mo-vimento, il tempo da fermi e il sonno nelle 24 ore, consente in qualche modo ai genitori di promuovere il movimento per esem-pio intervenendo anche solo riducendo il tempo da fermi e rende loro consapevoli della relazione esistente tra attività giornaliere così apparentemente diverse. Tuttavia, per poter incentivare il movimento, non basta ridurre la sedentarietà e promuovere una adeguata quantità di sonno. Oltre ai fattori legati alla famiglia e
all’individuo, anche il contesto ambientale gioca un ruolo
rile-vante, specialmente in questa fascia di età, quando il bambino ha bisogno, oltre a un seppur piccolo spazio in casa per potersi muovere senza pericoli, anche di servizi dedicati e di spazi urba-ni appropriati. La città, il paese dove un bambino vive, influen-zano fortemente la sua possibilità di cominciare a “esplorare” il mondo a partire proprio dai suoi luoghi più intimi e conosciuti.
Se l’ambiente non ha spazi fruibili o è, per esempio,
densamen-te abitato o privo di risorse come zone verdi, è più difficile per una famiglia trovare le occasioni per incentivare il movimento.
L’ambiente di vita nella sua totalità ha una influenza importante
nell’orientamento dei comportamenti. Le LG danno preziose
indicazioni in questo senso, ma le stesse evidenze sottolineano come gli interventi devono per forza di cose essere multicompo-nenti: “Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio” e politiche appropriate. Le LG non considerano i bambini con di-sabilità in maniera specifica, questa potrebbe essere considerata una criticità, anche se gli esperti affermano che le raccomanda-zioni potrebbero essere applicabili anche a bambini con bisogni complessi. Come tutte le LG che vengono elaborate da esperti di vari settori, il rischio di non essere ben sintonizzati sul mondo reale esiste. Tuttavia le raccomandazioni date in queste LG sono in linea con la promozione di buone pratiche basate su evidenze scientifiche. Ogni bambino ha diritto a raggiungere il massimo del suo sviluppo e di cominciare possibilmente non già
svantag-giato a causa dell’ambiente che lo circonda, sia esso micro che
macro. Fin da piccoli i bambini hanno necessità di interazioni faccia a faccia, di avere il loro tempo fermo dedicato a momenti interattivi di qualità con i genitori e/ o con chi si prende cura di loro. Chi si prende cura dello sviluppo di un bambino ha bisogno di capire i suoi bisogni e essere consapevole della importanza di adottare delle buone pratiche al fine di assicurargli uno sviluppo ottimale. Queste LG, seppur basate su evidenze considerate de-boli, sembrano andare in tal senso.
Commento a cura di Stefania Manetti
Pediatra di Famiglia, Piano di Sorrento (Napoli)
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Il Rapporto dell’AIFA 2018 sulla sorveglianza degli effetti avversi delle vaccinazioni
La sorveglianza degli eventi avversi dopo vaccinazione rappre-senta un punto critico se si vuole contrastare con successo la dif-fusione dello scetticismo e quindi della esitazione a vaccinarsi che ha contraddistinto gli ultimi anni. Vediamo con soddisfazione
che c’è un costante miglioramento nei report annuali di
segnala-zione, sia dal punto di vista numerico che rispetto alla qualità e tempestività del trattamento dei dati. La necessità di una sorve-glianza davvero attenta, aperta alle segnalazioni di tutti (opera-tori sanitari, pazienti, farmacisti, cittadini comuni...), attendibile nelle valutazioni grazie alla competenza e alla indipendenza dei
rilevatori, deriva dal fatto che l’intervento vaccinale è proposto
a una popolazione di soggetti sani che quindi devono per prima cosa ricevere la garanzia della sicurezza dell’intervento stesso. I dati del Rapporto AIFA 2018 confermano la sostanziale sicurez-za dei vaccini: a fronte di oltre 17 milioni di dosi somministrate non è stato segnalato alcun decesso neanche potenzialmente cor-relabile con le vaccinazioni; gli eventi avversi gravi segnalati non sono molto numerosi, quasi sempre non determinano esiti per-manenti e il più delle volte appaiono non correlabili. Ciò consen-te una prima ferma considerazione: le vaccinazioni rappresentano
uno strumento sanitario rispetto al quale il rapporto rischi/benefici
è enormemente spostato a favore dei benefici. In “pillole”, il rap-porto indica poco più di 5.500 segnalazioni relative alle oltre 17 milioni di dosi somministrate nel 2018 (cioè 31 segnalazioni su centomila dosi). Le reazioni catalogate come gravi rappresentano solo un quinto delle segnalazioni, cioè 6 ogni centomila dosi; di queste solo la metà (3 su 100.000 dosi) sono ritenute correlabi-li. Dobbiamo ricordare che la segnalazione di un evento avverso che accade dopo la vaccinazione non rappresenta la
certificazio-ne che quell’evento abbia una correlazione causale con il vaccino.
Per stabilire la plausibilità di una relazione causale (che ancora non rappresenta la certezza di un rapporto causale) occorre valu-tare una serie di passaggi attraverso un algoritmo standardizzato approvato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità che pre-vede: plausibilità biologica tra vaccinazione ed evento segnalato; presenza e frequenza di altre segnalazioni analoghe; frequenza del fenomeno segnalato nella popolazione generale; presenza nel soggetto di altre condizioni che possano spiegare la reazione...
Bisogna anche tenere presente che la gravità dell’evento segnalato
non corrisponde necessariamente a un concetto clinico di gravi-tà e tantomeno alla persistenza di esiti a distanza. Viene infatti
considerato grave non solo l’evento che causa pericolo
imme-diato di vita, invalidità, anomalie congenite, decesso, ma anche quello che porta a ospedalizzazione o ricorso al pronto soccorso; la maggior parte di eventi gravi segnalati sono rappresentati da febbre, cefalea, stato di agitazione, tutti eventi che poi si risolvo-no rapidamente senza esiti di alcun tipo ma che avendo portato a
un accesso in P.S. (magari inappropriato) o avendo ricevuto una classificazione di effetto neurologico (come la cefalea o la agita-zione) sono inquadrati come effetti gravi. In definitiva sono dav-vero pochi gli eventi che sono davdav-vero importanti e correlabili (potenzialmente, non con certezza) per cui si può affermare che ogni operatore sanitario dovrebbe, in forza dei numeri eviden-ziati, trasmettere al genitore esitante o comunque timoroso un senso di sicurezza fondato su evidenze di notevole spessore e qualità, confermate e avvalorate dalla concordanza con i risultati delle Sorveglianze internazionali. Solo 26 segnalazioni sono
sta-te etichettasta-te come “grave-pericolo di vita”, ma l’applicazione di
questo criterio non è sempre sembrata congrua con la tipologia di reazione contenuta nella segnalazione; solo 6 volte (su oltre 17 milioni di dosi) è stato segnalato uno shock anafilattico o grave reazione allergica, mai seguiti da decesso. Classificando in ordi-ne decrescente i vaccini che hanno presentato tassi di reazioni gravi correlabili troviamo (per centomila dosi somministrate): MRPV 12.7, antiMeningo B 8.8, esavalente 6.8, antirotavirus 6.2, antimeningococcoC 5.1, antimeningococco quadruplo 4.6, anti-PCV 4.5, antiDTaP-IPV 3.2, antiDTaP 2.7, antiHPV 2.4. Il tasso complessivo rispetto a tutte le vaccinazioni, come già detto, è 3.1 per centomila dosi somministrate. Utile sottolineare che anche per il vaccino antiinfluenzale valgono le considerazioni già fatte: nessun decesso segnalato è correlabile con le vaccinazioni; sono poche le reazioni gravi segnalate, ancora di meno quelle
correla-bili. C’è da aggiungere che le segnalazioni riguardano molto più
spesso la fascia di età > 65 anni rispetto alle fasce di età pedia-triche. Il tasso (12.7 per centomila dosi) di eventi gravi segnalati in seguito a somministrazione di vaccini contro Morbillo, Ro-solia, Parotite e Varicella, che ne fa di gran lunga il vaccino più reattogeno, è in parte influenzato dal fatto che la Regione Puglia ha realizzato nel 2017-18 una sorveglianza attiva nei confronti del vaccino antiMRPV utilizzato nella fascia di età < 2 anni di
vita [1]. Questo fatto ha determinato ovviamente un forte
incre-mento delle segnalazioni (per la Puglia si è passati da un tas-so di segnalazione dopo MRPV di 10 ogni centomila dosi negli anni 2013-17 al tasso del 40 nel 2018, 4 considerando i soli eventi “gravi”). Si tratta quasi esclusivamente di casi di iperpiressia, feb-bre, cefalea, convulsioni febbrili, in genere con rapida e totale remissione. Purtroppo la sorveglianza regionale non ha previsto di realizzare un gruppo di confronto con bambini vaccinati con MPR e antiVaricella separata e quindi resta difficile scompor-re il dato rispetto alle varie combinazioni possibili di vaccino; globalmente il vaccino MRPV vero e proprio contribuisce con un tasso di 25 per centomila dosi somministrate mentre il MRP contribuisce con un tasso del 7.5 per centomila dosi sommini-strate. Sembrerebbe comunque esserci la conferma che (come Commento a cura di Rosario Cavallo
Responsabile Gruppo ACP per la prevenzione delle malattie infettive
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ricordato anche da un alert della AIFA del novembre 2011) la somministrazione separata di AntiVaricella rispetto a MRP pro-duce minore reazione febbrile e un minore tasso di convulsioni febbrili. Trattandosi del vaccino che più degli altri è lontano dal-le soglie raccomandate di copertura, forse potrebbe essere utidal-le tenerne conto (almeno per la prima somministrazione, prevista a 13 mesi, età di massima frequenza delle convulsioni febbrili) anche se la somministrazione separata dell’antiVaricella
rappre-senta un aggravio di lavoro non indifferente. Cosa c’è ancora di
migliorabile per dichiararsi soddisfatti rispetto alla Sorveglianza delle reazioni avverse?
- Resta ancora troppa e non spiegabile su basi biologiche la dif-ferenza tra le diverse regioni nella attitudine a segnalare e nella completezza delle informazioni. Evidentemente le autonomie re-gionali lasciano spazi troppo ampi rispetto alle interpretazioni locali su cosa è necessario o prioritario fare.
- Una ulteriore fase di miglioramento del Sistema potrebbe esse-re rappesse-resentata dalla implementazione della Sorveglianza attiva, quella cioè fondata non sulla segnalazione spontanea ma fatta invece “per studio”, chiedendo al paziente e al Servizio di segna-lare ogni eventuale effetto avverso successivo alla vaccinazione.
1. Sorveglianza degli eventi avversi a vaccino in Puglia Report 2013\2017 (Osservatorio Epidemiologico Regionale, Numero 3 Anno XX)V
Ambiente e Salute
“Siamo distratti, indifferenti o preferiamo tenere la testa sotto la sabbia, sbadigliamo davanti alla catastrofe climatica” è l’allarme lanciato dalla Società Britannica di Psicologia a settembre 2018. Numerosi sono gli articoli scientifici in psicologia ambientale che negli anni hanno indagato i comportamenti a favore dell’ambiente e le barriere psicologiche frapposte al cambiamento delle abitudini di vita. Agire in modo sostenibile migliorerebbe le nostre condizioni di vita, ma spesso l’opzione più facile e meno costosa a livello indi-viduale è comportarsi in modo non sostenibile. Poiché i bambini di oggi saranno quelli che avranno a che fare con le sfide ambientali future e la maggior parte dei programmi di educazione ambientale sono rivolti ai giovani appare rilevante sia dal punto di vista scien-tifico che da quello pratico una migliore comprensione dei mecca-nismi che sottendono le azioni pro ambiente e questo tipo di cono-scenze consentirà lo sviluppo di strumenti e strategie che pongono le basi per una nuova consapevolezza ecologica.
“We are distracted, indifferent or prefer to stick our heads in the sand, we yawn in front of the climate catastrophe” is the alarm launched by the British Society of Psychology in September 2018. Numerous scientific articles in environmental psychology over the years have investigated the behaviors in favor of the environment and the psychological barriers to changing life habits. Acting su-stainably would improve our living conditions, but often the easiest and least expensive option on an individual level is to behave unsu-stainably. Since today’s children are the ones who will deal with fu-ture environmental challenges and most environmental education programs are aimed at young people, a better understanding of the mechanisms underlying the pro-environment actions will enable the development of tools and strategies that lay the foundations for a new ecological awareness.
Numerosi sono gli studi di psicologia ambientale che indagano i comportamenti a favore dell’ambiente e le barriere psicologi-che psicologi-che ognuno di noi mette in atto quando si tratta di cambiare le abitudini di vita. Come sostiene Amitav Ghosh nel suo libro “La grande cecità” la crisi climatica non può essere considera-ta un problema creato da un “Altro” ben distinto da “Noi” [1]. A settembre 2018 la Società Britannica di Psicologia ha lanciato l’allarme: “siamo distratti, indifferenti o preferiamo tenere la te-sta sotto la sabbia, sbadigliamo davanti alla catastrofe climatica” [2]. Per questo motivo abbiamo cercato di focalizzare la nostra attenzione sulla grande mole di lavori in psicologia ambientale, che negli anni sono stati collezionati a partire dalla revisione di Gifford sui “draghi dell’inazione” del 2011 [3] fino allo svilup-po di una scala validata di recente pubblicazione e definita con l’acronimo DIPB (Dragons of Inaction Psychological Barrier), che rappresenta una misura delle barriere psicologiche, conva-lidata in tre studi e in sei aree specifiche: scelte alimentari,
tra-sporti, consumo di energia, uso dell’acqua, acquisto e rifiuti. Con l’aiuto di questa scala i ricercatori potranno identificare dove vi è una maggiore resistenza a sviluppare comportamenti pro am-biente nelle diverse popolazioni [4]. Nella sua revisione Gifford sostiene che seppur la maggior parte delle persone pensi che il cambiamento climatico e la sostenibilità siano problemi im-portanti, sono ancora pochi quelli che attuano comportamenti a favore dell’ambiente [3]. Ciò è in parte dovuto all’esistenza di barriere strutturali quindi oltre la portata e il controllo che può esercitare un individuo: avere un basso reddito ad esempio limi-ta fortemente la capacità di acquislimi-tare pannelli solari, o ancora vivere in una zona rurale dove il trasporto pubblico è carente obbliga spesso a spostarsi in automobile. Tuttavia, per le per-sone che non hanno queste barriere strutturali adottare scelte e comportamenti favorevoli all’ambiente dovrebbe essere possibile e concretizzabile, ma ciò non si verifica nella misura necessaria ad arginare il danno ambientale. A livello sociale staremmo tutti decisamente meglio se agissimo in modo sostenibile, ma a livello individuale comportarsi in modo non sostenibile è l’opzione più facile e meno costosa.
L’autore identifica sette di queste barriere psicologiche che defi-nisce i “draghi dell’inazione”:
1. una conoscenza limitata del problema;
2. visioni ideologizzate del mondo che tendono a precludere comportamenti pro-ambiente;
3. confronto con persone ritenute punti di riferimento;
4. costi irrecuperabili (ovvero mancanza di un tornaconto eco-nomico dei cambiamenti a favore dell’ambiente);
5. sfiducia nei confronti degli esperti e delle autorità; 6. percezione dei rischi legati al cambiamento; 7. modifica inadeguata del comportamento.
I draghi dell’inazione (Tabella 1) non sono creature solitarie ma interagiscono fra loro: la sfiducia è spesso alla base della nega-zione del problema; credere che la tecnologia ci salverà potrebbe essere dovuto alla percezione di un’inadeguatezza nella gestio-ne delle tematiche ambientali; la perceziogestio-ne di una iniquità (che non è detto sia reale) si associa spesso con un’opposizione, come suggerito da molti studi che riportano come le persone spesso diffidano dei messaggi che provengono dagli scienziati e dagli esperti del clima, opponendosi alle loro proposte se considerate inique per se stessi (a questo proposito è importante essere con-sapevoli che un ruolo chiave nel promuovere questa sfiducia è svolto da alcune lobbies decisamente favorevoli a mantenere lo status quo). Essere consapevoli delle diverse sfaccettature e delle interconnessioni può contribuire a promuovere azioni positive a favore dell’ambiente e della vita sulla terra. Rimuovere queste barriere psicologiche potenzia di certo la motivazione all’ azio-ne, che è motore dell’agire umano. L’autore di questa revisione
Si può prevedere e modificare il comportamento delle persone
nei confronti dell’ambiente?
Vincenza Briscioli
sostiene che i “draghi dell’inattività” possano essere respinti, se non uccisi, ed indica 5 strategie essenziali che possono aiutare a superare questi ostacoli:
1. analizzare le singole barriere a livello del comportamento e definire in modo accurato tutte le azioni che determinano scelte pro ambiente, osservandole e registrandole, testando l’impatto degli interventi e valutandone il programma;
2. ideare nuovi modi di diffusione di consapevolezza sulle tema-tiche ambientali;
3. incrementare la conoscenza e l’opposizione ai comportamenti contro l’ambiente e scegliere messaggi che aumentino le perso-nali capacità di affrontare il cambiamento;
4. progettare studi di intervento mirato con la finalità di analizza-re le scelte comportamentali (ad esempio la modalità del viaggio e il consumo di energia);
5. lavorare a stretto contatto con le altre discipline, con le agenzie governative, con gli esperti del settore in quanto il cambiamento dei comportamenti a favore dell’ambiente non può essere realiz-zato da gruppi singoli seppur capaci.
C’è voluto del tempo per favorire e ottenere comportamenti
Ambiente e Salute
tuosi per esempio sul fumo di sigaretta o sull’uso delle cinture di sicurezza e probabilmente sarà così anche per superare questi draghi dell’inattività, lo sforzo richiederà tempo e non potrà