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LINEAMENTI DELL'EUROPA CARBOSIDERURGICA

Il 9 maggio 1950 fu certo una data importante nella storia d'Europa. Da allora, in circa due anni nacque la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio che qui consideriamo come la prima forma compiuta di spazio logistico europeo. Da quanto è emerso finora in questo lavoro, quella data sembrerebbe però abbandonare i crismi del momento di drastico rinnovamento e di radicale “nuovo inizio” che le sono generalmente attribuiti. Interpretandola da una prospettiva logistica essa appare piuttosto il punto d'arrivo di un lungo percorso tecnico, infrastrutturale, politico, economico e normativo che ha attraversato la storia dello spazio continentale a partire almeno dall'ultimo quarto dell'Ottocento. Abbiamo visto nel secondo capitolo che alcuni storici come i promotori dei progetti “Making Europe. A new

European History”1 o del programma “Tension of Europe” promosso dalla “University of

Technology” di Eindhoven2, così come alcuni studiosi che mirano a fornire un'interpretazione

più ampia come Giovanni Arrighi (mutuando un'interpretazione di Fernand Braudel), intendono allo stesso modo il XX secolo come un «secolo lungo». Con le “lenti della sviluppo tecnologico” o con le “lenti dello sviluppo capitalistico” la profondità del Novecento si dilata. In questo lavoro, con le “lenti della logistica” abbiamo cercato di unire produttivamente i due approcci, i quali interpretano gli anni Cinquanta (e quindi i prima passi “formali” dell'Europa unità) soltanto come la fase centrale di un processo in evoluzione.

In questo capitolo vedremo di porre in sostanziale continuità i piani dell'analisi pur agendo i due modalità diametralmente differenti. Proprio questa polarità dell'approccio sarà la cifra formativa di questa parte. Nella prima metà del capitolo cercheremo di restituire al loro contesto i processi che hanno accompagnato i negoziati verso la CECA, indagando le necessità specifiche delle singole parti in causa, ed estraniandole per un attimo dal “lungo XX secolo” entro cui abbiamo finora cercato di inserirle. Nella seconda parte invece, finanche con un notevole cambiamento di tono, proveremo a porci su un piano analitico per così dire astratto, che interroghi le categorie che utilizziamo da una prospettiva generale. Detta in altro modo, nella prima metà utilizzeremo un obiettivo talmente ravvicinato che ci porterà a

1 http://www.makingeurope.eu/www/en/home 2 http://www.tensionsofeurope.eu/www/en/home

utilizzare le lettere tra Monnet e le personalità politiche dell'epoca, o le singole rivendicazioni statali in sede di negoziati, come il focus dell'analisi. Nella secondo metà, invece, con un cambio di scala totale parleremo di Stato, spazio ed Europa quali categorie concettuali ampie. Con questo esperimento intendiamo mostrare come le specificità proprie della logistica si rivelino utili “sia nell'infinitamente piccolo sia nell'infinitamente grande”, per usare un consapevole eccesso verbale. Vedremo, in sintesi, come la logistica potrebbe essere definita in qualche modo consustanziale al processo di integrazione europea da qualsiasi ottica quest'ultima venga interrogata, almeno nella misura in cui siano utilizzati gli strumenti analitici opportuni per coglierne il legame.

4.1) LA PRODUZIONE DELLO SPAZIO LOGISTICO EUROPEO

La traduzione istituzionale della dichiarazione Schuman avvenne il 18 aprile 1951. Quel giorno il «salto nell'ignoto» – come lo stesso ministro degli esteri francese definì il suo piano3 – assunse caratteri formali e i ministri di Francia, Repubblica Federale Tedesca, Italia,

Belgio, Olanda e Lussemburgo4 firmarono a Parigi il trattato che avrebbe portato alla nascita

della Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio. Quello che seguì il 9 maggio 1950 fu così un periodo molto intenso per Monnet. Incaricato dal governo francese di dirigere i negoziati, egli divenne il fulcro attorno a cui ruotavano gran parte degli ingranaggi che condussero alla nascita ufficiale della CECA il 23 luglio 19525. E non furono certo anni meno impegnativi

quelli immediatamente successivi quando si trovò alla testa dell'Alta Autorità. Ideata per essere «il Governo vero e proprio»6, essa era il riferimento di esecutivi nazionali, aziende,

sindacati e organizzazioni internazionali per tutto ciò che riguardava le attività carbo- siderurgiche dei “sei”. Formalmente rispondeva a queste caratteristiche: un collegio «composto da nove membri designati per sei anni […] che avrebbero dovuto esercitare le loro funzioni in completa indipendenza [dagli Stati] e nell'interesse generale della comunità»7.

Assumendo la gestione di due determinati tipi di merci, l'Alta Autorità andava così a

3 Cfr. J. Monnet, Cittadino d'Europa, cit., p. 273. Con queste parole Schuman rispose «tranquillamente» ai giornalisti che all'uscita del Quai d'Orsay lo sommersero di domande inerenti alla dichiarazione appena letta a al piano, che prese immediatamente il nome di plan Schuman.

4 I firmatari furono: Robert Schuman (ministro degli esteri francese), Konrad Adenauer (cancelliere della Repubblica Federale Tedesca), Carlo Sforza (ministro degli Esteri italiano), Paul Van Zeeland e Joseph Meuricie (rispettivamente, ministro degli Affari Esteri e del Commercio del Belgio), Joseph Bech (ministro degli Esteri del Granducato di Lussemburgo) e, infine, Dirk Stikker e Jan Van Den Brink (rispettivamente ministro degli Esteri e dell'Economia olandesi).

5 Cfr. J. Monnet, Cittadino d'Europa, cit., p. 278. 6 B. Olivi, L'Europa difficile, cit., p. 36

insinuarsi nell'alveo della sovranità statale, affiancandosi (e per certi versi sostituendosi) all'autorità nazionale costituita. Essa non possedeva una personalità giuridica paragonabile a uno Stato-Nazione. All'interno di organismi come l'OECE (l'Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea) o l'UNECE (United Nations Economic Commission for Europe – di entrambi parleremo ancora tra poco), l'esecutivo della CECA non poteva replicare quello dei Paesi membri, né aveva formalmente diritto di voto8. E tuttavia, a livello pratico

essa godeva di un potere d'influenza importante che Monnet cercò di valorizzare nel corso della sua presidenza.

Si dimise il 10 febbraio 1955: «Cette maladie de l'année dernière – scrisse nel luglio 1955 sul suo diario– m'a fait abandonner […] la Pr[ésidence] de la Haute Aut[orité]»9. Una

«mysterous illness»10 come la definisce Duchêne, diagnosticatagli sul finire della primavera

del 1954, a cui si sommò a stretto giro la bocciatura francese del trattato che avrebbe istituito la Comunità Europea di Difesa (CED – 31 agosto dello stesso anno). Monnet lesse questo respingimento anche come una sconfitta personale: ne prese atto e rassegnò il mandato.

Ripercorrere questo periodo risulta indispensabile non solo per comprendere a pieno il suo pensiero, e per indagare sempre più in profondità le modalità d'azione e la sua gestione del potere. È utile anche per affrontare una fitta serie di concetti che la CECA mise esplicitamente in discussione. Sovranità, confini, autorità, produzione, commercio: come accennato nell'introduzione al capitolo, nella nuova realtà istituita tutti questi elementi rimodularono – almeno parzialmente – la loro funzione tradizionale. In particolare la sovranità, vale a dire «quel potere assoluto e perpetuo ch'è proprio dello Stato» secondo le parole di Jean Bodin11, con la CECA si trova ad essere ontologicamente ridefinita. In un certo

modo, insomma, si può affermare che nel nuovo assetto comunitario si intravedevano precocemente i tratti peculiari della globalizzazione, dove lo Stato scopre definitivamente «la contingenza del suo agire»12. Il sociologo statunitense Manuel Castells ancora nel 1998

parlava dell'integrazione europea esattamente in questi termini: «European integration – scriveva – is, at the same time, a reaction to the process of globalization and its most

8 W. Kaiser, J. Schot, Writing the rules for Europe, cit., p. 279.

9 J. Monnet, “Notes de réflexion de caractère personnel”, in H. Rieben, C. Camperio-Tixiere, F. Nicod (a cura di), A l'écoute de Jean Monnet, cit., p. 60.

10 F. Duchêne, Jean Monnet. The first Statesman of Interdependence, cit., 255. In realtà pare si trattasse semplicemente di stress. Cfr. J. Monnet, “Notes de réflexion de caractère personnel”, in H. Rieben, C. Camperio-Tixiere, F. Nicod (a cura di), A l'écoute de Jean Monnet, cit., p. 55.

11 Cfr. J.Bodin, I sei libri dello Stato, (I), Torino, UTET, 1964, p. 345. Anche in P.P Portinaro (a cura di), Stato, Roma-Bari, Laterza, 2004, p. 9.

12 M. Ricciardi, “Dallo Stato moderno allo Stato globale. Storia e trasformazione di un concetto”,

advanced expression»13. Certo, la situazione in cui scriveva Castells era certamente diversa

rispetto a quella odierna. Molto è cambiato in meno di vent'anni, e oggi risulta forse più problematico considerare il processo integrativo come una “reazione” alla globalizzazione di stampo neoliberale, come hanno fatto ad esempio notare Pierre Dardot e Christian Laval14. E

tuttavia le parole di Castells rimangono significative proprio per l'ambivalenza che incarnano. Anche senza scomodare il rapporto diretto tra integrazione europea e globalizzazione, e senza nemmeno sovraccaricare eccessivamente quel concetto è comunque vero che già allora diversi Stati europei (la Francia su tutti) si trovarono precocemente ad affrontare situazioni e «mutamenti che sfuggivano al [loro] governo»15. Uno degli obiettivi di questa

sezione è dunque quello di provare a interpretare queste trasformazioni, analizzando lo “spazio nuovo” che si formò con la nascita della CECA. Riprendendo quanto già evidenziato nel capitolo precedente, vedremo come con l'Europa Comunitaria nacque anzitutto lo “spazio logistico europeo”, la cui caratteristica principe era quella di rappresentare – per dirla ancora alla Castells – uno «spazio di flussi»16 che si sovrapponeva allo «spazio di luoghi» degli Stati.

Non si tratta allora soltanto di muoversi lungo il cammino che condusse alla nascita della CECA seguendo l'evolvere dei negoziati, cosa che pure verrà fatta. Utilizzare la logistica quale chiave di lettura per comprendere l'azione di Monnet e l'integrazione europea, offre anche il vantaggio di sfruttare un vettore d'analisi dinamico e, proprio per questo, particolarmente adatto a cogliere le sfumature economiche e politiche del tempo. In seconda istanza, la duttilità di questo strumento interpretativo permetterà di richiamare molte esperienze paradigmatiche del presente globale, dove la logistica ha espresso quella che abbiamo già definito come una sostanziale produttività politica. Come scrive Grappi, «il potere logistico è così oggi pienamente dispiegato e capace di produrre nuove forme politiche»17, perché la logistica ha scoperto l'utilità di «uscire da se stessa». Seppur in

modalità meno palesi, abbiamo visto in questa ricerca come la capacità della logistica di “fare politica” sia in qualche modo intrinseca ad essa. Per questo la riteniamo decisamente utile all'interpretazione del processo di integrazione europea: perché con essa diventa possibile decifrare quel passaggio in modo più equilibrato rispetto ad affermazione che gli attribuiscono

13 Citato in J. Schot, E van der Vleuten, “Infrastructures, Globalization, and European integration. A Historiographical and Conceptual Exploration”, Working document N. 8, Agosto 2005, p. 2. La citazione di Castells riporta comunque a M. Castells, L'età dell'informazione: economia, società, cultura, Milano, EGEA, 2004.

14 Cfr. P. Dardot, C. Laval, La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, Roma, DeriveApprodi, 2013, p. 342 e seguenti.

15 M. Ricciardi, “Dallo Stato moderno allo Stato globale”, cit., p. 76.

16 M. Castells, L'età dell'informazione: economia, società, cultura, cit., oppure vedi Id., “Grassrooting the space of flows”, Urban Geography, Vol. 20, N. 4, pp. 298-302.

l'effetto di aver «buttato all'aria il corso della storia»18.

Tutto ciò non toglie che la CECA, come ebbe a dire Monnet, apriva «una breccia nella cittadella della sovranità nazionale»19. È utile ora provare a interpretare il sorgere di questa

nuova struttura «per certi versi poststatuale»20, andando oltre il mito dei “padri fondatori

illuminati” («santi da calendario»21 li chiama Alan Milward) e tenendo bene a mente quanto

mostrato finora sia in termini di costruzione infrastrutturale, sia di volontà di Monnet di realizzare un'unità logistica sul suolo europeo.

All'indomani della dichiarazione Schuman il mondo politico europeo era in fermento. Notifiche a mezzo stampa, dispacci, proposte e interrogazioni parlamentari si rincorrevano rapidamente. I governi dei sei formarono ognuno le squadre diplomatiche a cui affidare le trattative e il 20 giugno i negoziati presero ufficialmente il via. A inaugurare i lavori fu lo stesso ministro degli esteri francese. Il grande salone dell'Orologio al Quai d'Orsay era affollato di delegati statali e da una folta schiera di giornalisti di tutto il mondo. «Nos Gouvernements ont accepté de rechercher en commun […] la création d'institutions nouvelles, sans précédents dans le monde actuel» esordì Schuman. Le difficoltà dell'impresa saranno «exceptionnelles» perché gli Stati dovranno drenare «une fraction de leur souveraineté à un organisme supra-national indépendant». Ciononostante, concluse, «nous aurons à établir un projet de traité qui définira, dans leurs grandes lignes, les attributions de cette autorité commune […] et ses responsabilités»22.

Il percorso che portò alla CECA si mosse in realtà su livelli multipli. Su un primo piano si articolavano le trattative vere e proprie con i sei Paesi che diedero la loro immediata adesione al plan Schuman. Delegazioni dei governi, organizzazioni sindacali e gruppi imprenditoriali erano i principali interlocutori con cui Monnet (assoluto animatore e indiscusso riferimento dei negoziati) doveva ricercare un accordo di merito su tariffe, perequazioni, diritti dei lavoratori, commerci etc. Un secondo piano era relativo al rapporto con la Gran Bretagna, che non accettò la proposta Schuman ma che, allo stesso tempo, non voleva nemmeno essere estranea al progetto. Sia direttamente, sia attraverso il Consiglio d'Europa – di cui invece era importante promotrice –, monitorava la situazione e tentava di influenzarla. Un terzo piano, infine, doveva tener conto delle pressioni statunitensi. Non

18 J. Monnet, Cittadino d'Europa, cit., p. 301.

19 Discorso di Monnet al National Press Club degli Stati Uniti, 30 aprile 1952. FJME, AMG 49/2/57

20 R. Gherardi e M. Ricciardi, “Introduzione”, in Id. (a cura di), Lo Stato globale, Bologna, CLUEB, 2009, p. 10.

21 A. Milward, The European rescue of the Nation-State, cit., p. 281.

22 Discorso di R. Schuman all'inaugurazione della Conferenza intergovernativa. Parigi, 20 giugno 1950. FJME, AMG 3/1/2.

soltanto infatti gli Stati Uniti erano presenti sul territorio continentale con il loro esercito e con alcuni agenti dislocati soprattutto nella Germania Ovest. Essi avevano anche profondi interessi economici e militari in Europa, specialmente agli inizi degli anni Cinquanta. Per ciascuno di questi piani è necessario un approfondimento.

4.1.1) INTERESSI COMUNI E INTERESSI DI PARTE

Con i delegati dei sei il punto principale su cui si incardinavano i negoziati era il potere attribuito all'Alta Autorità e la conseguente delega di sovranità. Questa forma di volontà politica è il fulcro entro cui si muove l'analisi (invero più storica che teorica) di questa sezione. Certo, anche qui (ma ancora più specificamente nella parte successiva) si affronteranno le trasformazioni subite dalla forma statuale nel lungo processo di globalizzazione, la cui «base materiale e “costituzionale”» secondo Grappi è da intravedersi proprio nella logistica23. Tuttavia, cercheremo allo stesso tempo – lo abbiamo detto

nell'introduzione – di restituire quei processi al loro contesto, indagando le necessità specifiche delle singole parti in causa, ed estraniando – solo per un momento – quelle pratiche dal lungo XX secolo entro cui le abbiamo inserite in questa ricerca. In questo modo la sezione risulterà in parte stonata rispetto al resto del lavoro. Epperò anche con questa forzatura retorica e narrativa si noterà la ricorrenza inevitabile di alcuni concetti che strutturano più propriamente il campo della logistica.

Abbiamo detto come al delega di sovranità rappresentasse l'essenza stessa del progetto CECA. Lo ricordava ossessivamente Monnet a Schuman non solo prima, ma anche durante lo svolgimento dei negoziati. D'altra parte, «like [Paul Henri] Spaak, Robert Schuman appears to have been indifferent to the question of European unity before the Second World War – sottolinea Milward – and to have become convinced only in 1948 that the interests of his country would be best served by some form of European union»24. Le lettere, le note, e gli

altri appunti che Monnet inviò a Schuman nel corso del 1950 insistevano dunque su questo punto. In un memorandum del 14 agosto 1950 Monnet scrisse al ministro:

«l'idée essentielle du Plan Schuman est l’établissement d'un régime supranational dans un domaine limité, mais décisif, de la vie économique, et que la responsabilité finale, dans l'exécution de ce plan, doit être remise à des

23 G. Grappi, Logistica, cit., p. 14.

organismes composés non de représentants des différents Gouvernements mais de personnes exerçant une souveraineté collective dans l'intérêt de l’ensemble de la communauté»25.

Il carattere sovranazionale della CECA era per la verità già preannunciato nella stessa dichiarazione del 9 maggio. Schuman ne era dunque pienamente consapevole, ma non lesinava mai – talvolta in contrasto con lo stesso Monnet – di porre l'accento sulle «nécessités particulières de nos pays»26. La dissimmetria tra chi pensava in termini di government

(Schuman) e chi invece già in termini di governance (Monnet) era dunque ontologica e sebbene il primo la accogliesse formalmente restava sostanzialmente ben lontano dall'assumerla nella sua prassi politica. Al contrario Monnet ragionava da tempo in questo modo e dopo il 9 maggio il problema era quello di relazionarsi nei medesimi termini non più soltanto con il governo francese, ma anche con gli altri cinque Stati che accolsero l'iniziativa.

Il principale interlocutore tra i sei era ovviamente la Repubblica Federale Tedesca. Apparentemente la sintonia era totale e la delega parziale di sovranità un caposaldo comune. Prima dell'avvio dei negoziati, il 23 maggio 1950 Monnet si recò a Bonn per parlare dei dettagli del piano proprio con il neoeletto cancelliere tedesco Konrad Adenauer. L'incontro produsse un comunicato stampa che sottolineava come tra le due parti ci fosse la «pleine identité de leurs veux et, notamment, l’intérêt qui s'attache à un réalisation rapide de ce projet»27. Sintonia piena che si mantenne anche in sede di trattative, dove la comunanza ideale

tra Monnet e il capo delegazione tedesco Walter Hallstein accelerò notevolmente i tempi degli accordi.

I negoziati preliminari furono in effetti piuttosto brevi. D'altronde, l'evolvere rapido degli eventi internazionali imponeva il suo ritmo. Il 25 giugno 1950, a cinque giorni dall'inizio delle contrattazioni, i sei assistettero allo scoppio della “guerra di Corea”. Fu forse una delle fasi più acute della guerra fredda, e metteva drasticamente sul tavolo degli europei il problema della loro difesa. Gli Stati Uniti avrebbero voluto immediatamente dare la possibilità alla Repubblica Federale Tedesca di ricostruire il proprio esercito. Questa proposta però, trovò una ferma opposizione da parte della Francia che, con il suo Primo ministro René Pleven, affermava piuttosto la possibilità di istituire un «esercito europeo». Il «Piano Pleven», come venne definito e di cui parleremo nel prossimo capitolo, era ancora una volta frutto di

25 Memorandum di Monnet a Robert Schuman, 14 agosto 1950, FJME, AMG 23/3/15. Il memorandum è riprodotto anche in J. Monnet, R. Schuman, Correspondance 1947-1953, cit., p. 50

26 Discorso di R. Schuman all'inaugurazione della Conferenza intergovernativa. Parigi, 20 giugno 1950. FJME, AMG 3/1/2.

Monnet, che evidentemente mirava a organizzare anche una difesa armata credibile della “sua” creazione.

Per quanto concerne il plan Schuman, già ad agosto egli inviò ad Adenauer una lettera: «la première phase est finie – scrisse – […] vers la troisième semaine de Septembre nous devrions être “sur nos pieds”, prêts pour la phase finale de rédaction juridique du traité»28. Lo

scoglio della delega di sovranità fu superato, salvo l'obiezione “di metodo” dei Paesi Bassi che «avevano voluto mettere per iscritto che avrebbero sempre avuto la possibilità di ritirarsi dal negoziato»29. Evidentemente non lo fecero e il 6 novembre 1950 il progetto di trattato

istitutivo della CECA era pronto30. Tutte le fazioni governative accettarono l'intrusione nella

loro prassi legislativa di un nuovo soggetto politico. Seppur lontano dall'interpretare una qualsiasi volontà democratica o popolare, tale soggetto assunse alcuni “oneri” statali e politici e li trasformò in questioni tecniche da accomodare attraverso decisioni di esperti. Anche qui tornano fortemente protocolli di lavoro adottati dalla logistica odierna. Le scelta su dove costruire un'infrastruttura ferroviaria, su come ristrutturare un porto, su quanto allargare un passaggio in galleria, o su alcune prassi normative o legislative spesso abbandonano l'arena della decisione politica, e vengono assunte da compagini economiche che si inseriscono nel processo. È interessante notare come già in quelle occasioni si potrebbero scorgere i prodromi di queste pratiche.

Certo non erano mancate nemmeno allora alcune questioni da dirimere più spinose di altre. Le «apprensioni che esprimevano le vecchie società minerarie del Belgio»31, ad

esempio, sebbene fossero oggetto dell'attenzione di Monnet, portarono a degli scontri diplomatici non secondari. Gestite dal 1947 dal “Conseil National des Charbonnages”, a cui era affidato «an overall supervisory role in determining long-term policy and objectives»32,

esse rivendicavano un'autonomia decisionale in merito ai costi del prodotto estratto per certi versi incompatibile con quanto avrebbe richiesto loro l'adesione al piano. Considerando che oltre il 10% della popolazione totale era impegnata proprio nel settore estrattivo, la squadra negoziale belga dovette più di una volta puntare i piedi per non cedere ad accordi calibrati su

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