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Citando l'incipit del Prometeo liberato dello storico statunitense David Landes, «il primo dovere di uno studioso, quando si trova di fronte a termini di dubbia interpretazione, è quello di definirli»1. Abbiamo in effetti già provveduto nell'introduzione generale a chiarire

cosa intendiamo con l'espressione “spazio logistico europeo”. Per provare qui a richiamare in poche frasi quanto detto, uno spazio logistico è da intendersi sostanzialmente come un territorio privo di interruzioni fisiche, tecniche o legislative su cui i flussi di merci hanno la possibilità di muoversi liberamente. Affinché questo “spazio liscio” sorga possiamo sostenere in prima approssimazione che debbano avvenire due cose: da un lato la costruzione di una rete infrastrutturale che metta in collegamento i nodi produttivi (o estrattivi, come nel caso dei bacini di carbone) e gli scali di smistamento commerciale (come possono essere i porti); dall'altro lato, un processo di omologazione normativa in modo che i territori politici coinvolti in quello spazio siano sufficientemente uniformati e accettino i termini economici e legislativi degli accordi. Anche soltanto da queste poche righe emerge dunque come, intesa in senso ampio e al di fuori di un ambito prettamente tecnico, la logistica sia intessuta e attraversata da legami con la politica. Creando un “suo” spazio sovra-statale, inter-statale, o intra-statale, essa intercetta un territorio necessariamente governato da precise dinamiche di potere che in una maniera o nell'altra influenzerà rivelandosi un nuovo attore della governance.

L'ipotesi che cercheremo di verificare in questo capitolo vuole mostrare come lo spazio della CECA possa essere inteso esattamente nei termini di un'entità logistica. La dimostrazione andrà anzitutto a indagare l'origine della logistica. Vedremo come essa rilevi fin da subito un legame intimo con il potere politico, sebbene affondi le sue radici nell'ambito della guerra e del commercio. La cosa più interessante, nel contesto capillare di questo lavoro, è che proprio la formula potere-guerra-commercio pone in risonanza la logistica e Jean Monnet. Non soltanto infatti, le spazialità inedite funzionali al commercio hanno attratto il francese verso il settore delle infrastrutture (ferroviarie) per costruire nuove “entità infrastrutturali” (lo abbiamo visto nel capitolo scorso). Ora vedremo come la stessa logistica, sviluppata durante le due guerre mondiali, lo abbia persuaso della possibilità di realizzare

nuove “entità logistiche” che trascendessero gli spazi limitati degli Stati-nazione e in qualche modo ne legassero gli interessi economici e politici. In ultima analisi, vedremo come durante i due conflitti e nella sua azione compiuta in territorio francese nel periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale, egli abbia perfezionato il metodo che gli permise di creare il grande soggetto della governance europa rappresentato dalla CECA, i cui sviluppi (logistici) giungono a intrecciare la stessa realtà dell'Unione Europea di oggi.

3.1) LOGISTICA E POTERE: DALLA GUERRA ALLO STATO

L'etimologia del termine logistica rimanda alla parola greca logistikḗ, con cui si identifica “l'arte di computare”, di calcolare e di pianificare. Il suo significato è mutato nel tempo (originariamente aveva a che fare con il calcolo dei numeri interi), ma nella sua accezione generale ha mantenuto comunque un legame diretto con la pratica dell'organizzazione di un sistema complesso. In un certo qual modo dunque, la logistica si lega alla semplificazione e all'ordine nella misura in cui essa si occupa della gestione delle risorse in una matrice composta da fattori dinamici, differenti, e variabili. In via preliminare, in questa ricerca intendiamo la logistica quale eterogeneo apparato di tecniche, saperi e infrastrutture finalizzati alla circolazione (in primis delle merci). In ultima analisi, ciò che la identifica e il costante legame con il movimento attraverso lo spazio.

All'interno dell'accademia, l'interesse per la logistica è cresciuto fortemente a partire almeno dall'alba del nuovo millennio, fuoriuscendo dagli ambiti “tecnici” in cui era rimasto fino a quel momento confinato. L'interconnessione che ha accompagnato la globalizzazione, e l'identificazione del sistema economico nella forma di «supply chain capitalism»2, ha di

riflesso svelato in modo palese l'importanza della gestione della mobilità di persone, merci, notizie e idee. Su questa scia, l'attenzione di studiose e studiosi dei campi più differenti è aumentata sensibilmente, e il numero di pubblicazioni sul tema ne è una dimostrazione evidente. Ma, a dispetto dell'interesse relativamente recente, è comprovato che la nascita della logistica abbia origini piuttosto antiche.

Da un punto di vista storico, è opinione condivisa quella di ricondurre la prima applicazione del termine logistica al campo della strategia militare. Martin Van Creveld ha pubblicato studi pionieristici in tal senso, basi d'appoggio per gli approcci analitici di diversi accademici contemporanei. Egli – in particolare in Supplying war: Logistics from Wallenstein

to Pattorn, testo del 1977 – colloca l'origine della logistica ai cambiamenti occorsi durante la

«military revolution» avvenuta tra il 1560 e il 1660. Lo studioso israeliano, esperto di storia militare, nel libro mostra come in quell'arco di tempo ci siano state grandi novità che interessarono la struttura e l'organizzazione degli eserciti, dovute soprattutto alla forte crescita del numero di soldati di cui erano composti. Se fino a metà del 1500, infatti, qualche migliaio di uomini erano sufficienti a destare una «tremendous impression», già durante la Guerra dei Trent'anni i contingenti moltiplicarono per dieci e più volte le loro unità, tanto da raggiungere e superare i centomila soldati: «at the peak of their military effort in 1631-32, Gustavus Adolphus and [Albrecht von] Wallenstein each command armies totaling far in excess of 100.000 men»3.

Seppur con dati in parte dissimili, anche il più volte richiamato Arrighi sottolinea il forte incremento di soldati che andavano a comporre gli eserciti avvenuto proprio in quegli anni: «dal 1550 circa al 1640 circa – scrive Arrighi –, il numero di soldati mobilitati dalle grandi potenze europee aumentò di più del doppio»4. Un'espansione quantitativa

accompagnata da un accrescimento sostanziale della qualità. «Maurizio di Nassau, principe di Orange – fa notare ancora Arrighi –, fece per l'esercito olandese agli inizi del XVII secolo quello che lo scientific management avrebbe realizzato per l'industria statunitense due secoli dopo»5. Una vera e propria «razionalizzazione delle tecniche militari» che coinvolse tanto le

più basilari operazioni di caricamento delle armi da fuoco, quanto le linee direttive e di comando. Gli eserciti divennero così «un organismo articolato, con un sistema nervoso centrale che permetteva reazioni sensorie più o meno intelligenti a ogni stimolo esterno, anche se imprevisto»6. Insomma, «l'escalation dei conflitti armati tra i governanti», portò a una

drastica ristrutturazione dell'impianto militare che aveva prevalso fino ad allora.

I motivi erano di vario genere, e avevano radici sia esterne agli Stati (che indagheremo tra poco), sia interne. Se infatti, per la military revolution l'ampliamento della dimensione spaziale fu uno stimolo decisivo, non meno importante fu una «intensificazione su scala sistemica del conflitto sociale, che divenne infine una seria minaccia al potere collettivo dei governanti europei»7. Dalle zone rurali a quelle urbane il sentimento di ribellione contro la

classe dominante era ovunque in fermento. In tutta risposta, i governanti europei agirono con

3 M. Van Creveld, Supplying war: Logistics from Wallenstein to Patton, cit., p. 5. 4 G. Arrighi, Il lungo XX secolo, cit., p. 50.

5 Ivi, p. 55.

6 W. McNeill, Caccia al potere. Tecnologia, armi, realtà sociale dell'anno mille, Milano, Feltrinelli p. 110, citato in G. Arrighi, Il lungo XX secolo, cit., p. 55.

7 Ivi, p. 50. In questo Arrighi riprende esplicitamente March Bloch, in particolare Id. Lineamenti di una storia

un'inedita sintonia dovuta a «un'accresciuta consapevolezza […] del loro comune interesse di potere nei confronti dei rispettivi sudditi»8. Il management militare razionalizzato ebbe allora

un'efficacia immediata all'interno, ma si mosse con più lentezza quando si trattava di gestire quest'aumentata massa di militari al di fuori dei propri confini.

Come se non bastasse, all'ascesa verticale del numero dei soldati in movimento corrispondeva un proporzionale incremento dei supporti nelle retrovie. Talvolta erano le stesse mogli e i figli a seguire i mariti in guerra. Ogni battaglione, scrive Van Creveld, «might be followed by a crowed of women, children, servants and sutlers of anywhere between fifty and a hundred and fifty per cent of its own size»9. Considerando inoltre che le truppe erano spesso

composte da mercenari, o comunque da «uprooted men with no home outside the army»10,

anche i bagagli assumevano delle proporzioni monumentali, il che richiedeva un'organizzazione logistica sempre più capillare. Questa fase di forte lievitazione nella massa delle forze armate, sostiene Van Creveld, caratterizzò il periodo che si concluse nel 1715, anno della morte del Re Sole che molto fece nel campo della logistica militare.

Il problema di come rifornire tale moltitudine impegnata direttamente o indirettamente nei combattimenti durante il XVII secolo assunse così un ruolo di primo piano. Divenne necessariamente parte integrante della strategia. Per tutta la fase precedente alla «military revolution» i battaglioni trovavano sufficienti approvvigionamenti nei luoghi che incontravano. Nel caso di lunghe marce in territori amici, come detto, il management dei rifornimenti prevedeva avanguardie che allestivano mercati o altri luoghi di ristoro. In territorio nemico, invece, razzie e saccheggi erano «the rule rather than the exception»11, e

garantivano le necessità dei soldati. In molti frangenti quanto si riusciva a ottenere dalle depredazioni diventava vitale, tanto che enfaticamente Van Creveld rovescia la prospettiva dei militari defraudatori parlando piuttosto della «tyranny of plunder», che li costringeva alla mobilità permanente in cerca di nuove risorse. Tuttavia, con l'aumento del volume dei contingenti nemmeno le razzie «well-organized» erano più sufficienti, tanto meno nelle operazioni d'assedio che si potevano protrarre per diversi giorni. La mancanza di risorse, peraltro, causava anche profondi malumori tra i soldati, e le diserzioni erano frequenti. La logistica militare sorse in risposta a questo tipo di problemi.

Se i dintorni dei campi di battaglia non potevano più soddisfare le esigenze delle truppe, la soluzione fu di procurare i rifornimenti dalle retrovie. Un primo passo verso

8 G. Arrighi, Il lungo XX secolo, cit., p. 51. 9 M. Van Creveld, Supplying war, cit., p. 6. 10 Ibid.

un'organizzazione più efficiente si ebbe con l'introduzione di una serie di magazzini lungo il percorso, da cui le unità di distribuzione reperivano viveri, indumenti e altri oggetti necessari agli uomini in prima linea. Una simile strategia, però, riduceva la mobilità delle guarnigioni, ed era inoltre soggetta a saccheggi anche da parte degli stessi militari spesso raggirati dai superiori o dal regnante di turno che non pagava le prestazioni.

Ben consapevole di questo, Michel Le Tellier, consigliere di Luigi XIV e ministro della Guerra, si impegnò allora nel miglioramento del sistema. La sua opera di riorganizzazione strutturale dell'esercito francese fu imponente. Alcune proposte si concentravano sull'organizzazione interna, introducendo, ad esempio, il salario fisso per i soldati. Altre, invece, erano più affini al campo della logistica, in particolare al settore della distribuzione delle derrate alimentari: «for the first time, it was established as a matter of principle that every soldier was entitled to have his basic daily ration free of charge»12. Con

un passaggio pionieristico per l'epoca, la distribuzione del cibo adottata dall'esercito francese razionalizzava le risorse calcolando la quantità giornaliera necessaria a ogni soldato. Dati alla mano, Le Tellier stabilì contratti fissi con aziende per la gestione dei materiali di supporto, fornendo loro informazioni precise e commissionando i rifornimenti dei magazzini a seconda delle strategie di guerra. Lo stesso Re Sole, scrive Van Creveld, assediava le città seguendo le indicazioni di Le Tellier la cui funzione assomigliava più a quella di un consulente logistico che non a quella di uno stratega militare. Invero, le differenze tra i due ruoli sfumavano. Strategia militare diventava sempre più spesso sinonimo di ordine e organizzazione logistica.

Questi perfezionamenti gestionali (proseguiti peraltro dal figlio di Michel Le Tellier, François Michel marchese di Louvois, che morì soltanto sei anni dopo il padre nel 1691) portarono indubbiamente dei vantaggi e caratterizzarono la condotta di Luigi XIV, ma non erano ancora efficaci in termini di libertà di movimento. Da un lato, ciò era dovuto alla necessità per l'esercito di adattare i propri spostamenti alla dislocazione dei magazzini, o almeno di tenere fortemente in considerazione un simile aspetto spaziale. Dall'altro, il motivo era che quantunque la gestione fosse in capo ai ministri della guerra o ai generali, i rifornimenti veri e propri erano effettuati da civili o da soldati le cui funzioni erano solitamente di altro tipo. Per sopperire a queste lacune si mosse l'esercito austriaco, che organizzò per la prima volta un corpo militare di supporto logistico a partire dal 1783. La «tyranny of logistics»13 venne pertanto presa in carico totalmente dallo Stato Maggiore e

assunse i tratti di una pianificazione militare in senso compiuto. Cambiavano le tattiche,

12 Ivi, p. 21. 13 Ivi, p. 36.

miglioravano gli armamenti, si affinavano le preparazioni al combattimento, ma persisteva l'intreccio tra strategia e logistica. Lo stesso imperatore Napoleone Bonaparte dovette gran parte delle sue vittorie a un'efficiente catena logistica, almeno tanto quanto è attribuibile la “disastrosa” Campagna di Russia del 1812 proprio a delle lacune in questo senso: «far from being free from the tyranny of logistics, Napoleon's practice was similar to that of Wallenstein and Gustavus Adolphus 170 years previously»14. La logistica veicolava le battaglie, ne

segnava le traiettorie, e determinava gli esiti degli scontri: chi meglio dominava la componente spaziale a proprio vantaggio poteva sfruttare un'arma di un'incisività ed efficacia assoluta.

Più di Van Creveld, un attento osservatore della logistica contemporanea qual è Sergio Bologna vede nelle strategie di Napoleone Bonaparte un momento importante di svolta nella logistica. «Tutti i grandi conquistatori – sottolinea in realtà Bologna –, da Alessandro Magno ai Romani»15 furono «maestri di logistica», e tuttavia Napoleone diede qualcosa in più.

Avvalendosi delle capacità di Antoine de Jomini, il «primo teorico della logistica»16, egli

organizzò fino al più minuzioso dettaglio le battaglie che lo videro prevalere. E, per una beffarda legge del contrappasso, fu proprio sulla logistica che scivolò nelle due campagne in cui venne sconfitto e che ne segnarono il destino.

Lungo il corso del XIX secolo la logistica militare ebbe ulteriori sviluppi. La diffusione delle ferrovie permetteva il rapido spostamento di uomini e merci nei territori in cui si produceva il conflitto, e gli effetti di questa posa capillare di binari ebbe conseguenze dirette nello sviluppo stesso della battaglie. Gli effetti furono particolarmente evidenti durante la prima guerra mondiale dove proprio le ferrovie favorirono una logistica resa sempre più complessa dalla quantità di materiali di cui il fronte doveva essere rifornito. Come scrive Manuel De Landa «starting in World War I, the emphasis switched to ammunition and POL (petrol, oil and lubricants), affecting as we will see, the very nature of logistics»17. Le ferrovie

agevolarono il trasporto specie di materiali pesanti e andarono a influenzare le stesse strategie di guerra, come vedremo fra poco.

Se le strade ferrate giocarono un ruolo notevole nel primo conflitto mondiale (anche se inferiore a quello talvolta dipinto dagli storici, secondo Van Creveld18), durante la seconda

14 Ivi, p. 71.

15 S. Bologna, Ceti medi senza futuro?Scritti, appunti sul lavoro e altro, Roma, DeriveApprodi, 2007, p. 84. 16 Ivi, p. 83.

17 M. De Landa, War in the age of Iintelligent Machine, New York, Zone Books, 1991, p. 105.

18 Van Creveld nel corso della sua analisi smonta il luogo comune secondo cui fin dalla guerra Franco-Prussiana le ferrovie risultarono determinanti. Esse, asserisce, giocarono un ruolo soltanto per il trasporto di uomini e mezzi al fronte, ma lo stesso generale tedesco Moltke le utilizzò raramente nelle fasi dei combattimenti veri e propri. Un tale suggestione così spesso accettata mostra, scrive Van Creveld «a remarkable testimony to

guerra mondiale la loro importanza fu anche maggiore. Sul territorio europeo la Germania sfruttò moltissimo le linee ferroviarie – ormai quasi totalmente omologate – che striavano lo spazio continentale, riuscendo a spostare rapidamente i battaglioni nei punti in cui più aveva bisogno. Così come le ferrovie per i tedeschi, la logistica navale fu cruciale per gli Alleati. Campagne come quella di Rommel nel deserto nordafricano, o i mesi successivi allo sbarco in Normandia, richiedevano una pianificazione scrupolosa. Non si trattava più “soltanto” di provvedere alla sussistenza dei soldati. Le tecniche e i modi di combattimento erano cambiati drasticamente. Servivano armi, mezzi e carburante per la mobilità delle truppe. Mentre ancora nel 1870, ricorda nuovamente Van Creveld, «ammunition had formed less than one percent of all supplies […], by the end of WWII subsistence accounted for only eight to twelve per cent of all supplies»19.

La linea sottile che divideva una vittoria da una sconfitta, parafrasando perfino uno degli autori più conosciuti di strategia militare come Sun Tzu, giaceva dunque nella gestione ordinata del disordine apparente20. La logistica di supporto alle battaglie vero e proprie

ricopriva un ruolo determinante. Fu proprio grazie all'affinarsi di tecniche logistiche che nella seconda metà del XX secolo si è potuto assistere a modalità belligeranti inedite. L'introduzione del container nella catena dei rifornimenti durante la guerra del Vietnam, o le forme di organizzazione degli americani durante la guerra del Golfo (1991) o di quella in Iraq (2003), mostrano efficacemente, ad esempio, come soltanto una minuziosa attenzione alla logistica ha permesso lo sviluppo globale finanche della gestione dei conflitti21. Guerra e

logistica, due elementi da molto tempo intrecciati, continuano ancora oggi a esibire uno sviluppo per molti versi parallelo.

In poche pagine abbiamo così sviluppato un succinto excursus sulle origini militari della logistica. Proviamo ora ad approfondire due aspetti che emergono da questa ricostruzione perché attraversano l'intero arco concettuale di questo lavoro. Da una prospettiva di storica, la nascita della logistica militare si inserisce, per usare una formula ripresa anche da Raffaele Laudani, in un momento in cui la politica vive una straordinaria «riterritorializzazione»: la sovranità moderna rappresenta «la riaffermazione su nuove basi

Moltke's ability to impress his own account of events upon history, and, to an even greater extent, to the credulity of historians and their readiness to accept without question the words of a commander whom fate has crowned with victory» (p. 103). Allo stesso modo Van Creveld riduce di importanza il ruolo giocato dalle ferrovie anche nella prima guerra mondiale: «for all these reasons, it was difficult to use railways operationally, and their employment was confined mainly […] to transportation to, and behind, the front» (p. 111).

19 M. Van Creveld, Supplying war, cit., p. 231.

20 Cfr. Sun Tzu, L'arte della guerra, Milano, BUR, 1999, cap. V, p. 19. 21 Cfr. G. Grappi, Logistica, cit., pp. 38-41.

della tradizionale centralità (premoderna) di una visione terrocentrica e statica della politica»22. La logistica militare, detta altrimenti, nasce dalla “scoperta” di dimensioni spaziali

inedite, quando l'irrompere degli spazi «fluidi» e «instabili» dell'Atlantico richiede una risposta «ordinata» e «terrocentrica»23. Essa si iscrive dunque in un frangente in cui la

necessità di un controllo il più completo possibile dei movimenti terrestri, diventa sì esigenza strategica dovuta ai cambiamenti quantitativi del settore militare (aumento di numero dei soldati, graduale superamento della tattica d'assedio ecc.). Allo stesso tempo però, sembra rappresentare anche la risposta politica alla minaccia di disordine proveniente dal mare, a cui viene posto un argine attraverso un'organizzazione diversa, più razionale e riproducibile.

Il secondo aspetto da considerare si confà all'ambito stesso in cui si installa la logistica, quello della guerra. Con Carl Schmitt, e successivamente con Giorgio Agamben, sappiamo come la guerra sia uno dei momenti identificati dalla formula stato d'eccezione, quando la normatività vigente viene sospesa e il sovrano agisce in totale assenza di inibizioni per risolvere un particolare momento di crisi. Lo stato d'eccezione rappresenta dunque un'eventualità singolare, un concetto la cui struttura topologica è definita da Agamben come un «essere-fuori e, tuttavia, appartenere»24. Dal punto di vista giuridico esso incorpora uno

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