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Che cos’è allora la verità? Un mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi, in breve

una somma di relazioni umane, poeticamente e retoricamente potenziate, che sono state trasposte e ornate, e che dopo un lungo uso

appaiono a un popolo salde, canoniche e vincolanti.1

Capitolo terzo: Linguaggio e conoscenza fra Über Wahrheit und Lüge e Die Fröhliche

Wissenschaft

«Siamo nella nostra rete, noi ragni»: sul rapporto tra sensazione e linguaggio nella costruzione della conoscenza

Wir sind in unserem Netze, wir Spinnen, und was wir auch darin fangen…als was sich eben in unserem Netze fangen läßt.2

Le abitudini dei nostri sensi ci hanno irretito nella frode e nell’inganno della sensazione: questi sono ancora una volta i fondamenti3 “di tutti i nostri giudizi e di tutte le nostre conoscenze” - non esiste assolutamente scampo, né alcuna strada per scivolare e sgattaiolarsene via nel mondo reale! Siamo nella nostra rete, noi ragni, e qualunque cosa venga da noi imprigionata qua dentro, non la potremmo acchiappare se non in quanto è ciò che si fa appunto prendere nella nostra rete.

L’immagine del ragno, abile costruttore di una rete tanto fitta e sottile, quanto capace di estendersi per ampi spazi e di catturare ciò che gli capita a tiro, ricorre nell’opera di Nietzsche come similitudine di quella rete di concetti fondamentali sul quale si costruisce l’umana troppo umana rappresentazione del mondo4. Se però, in base agli scritti fin qui analizzati, si è messo in luce per lo

più il ruolo che nella costruzione di questa rappresentazione è svolto dal linguaggio, si coglie adesso l’occasione per introdurre un nuovo elemento, d’altronde imprescindibile all’interno di un discorso concernente il problema della conoscenza: si tratta del problema dei sensi. In questo passo tratto da

Morgenröte, Nietzsche individua nell’«inganno della sensazione» il responsabile del carattere

radicalmente antropomorfico dell’immagine del mondo che l’uomo costruisce e in cui si trova poi rinchiuso come in una prigione: «Im Gefängniss» è infatti il titolo dell’aforisma. Ora, questo carattere ingannatore dei sensi, in analogia con quanto già detto riguardo al linguaggio, viene qui

1 WL.

2 M § 117. 3 Corsivo mio.

posto in relazione con la forza dell’abitudine. Ma a porre in connessione la questione concernente il ruolo dei sensi con quella del linguaggio, è soprattutto il rapporto di fondazione sostenuto da Nietzsche nella frase immediatamente successiva. Qui i sensi sono infatti definiti come «i

fondamenti “di tutti i nostri giudizi e di tutte le nostre conoscenze”». Prima di chiarire il rapporto tra

ruolo dei sensi e ruolo del linguaggio nella formazione di quell’immagine comunemente nota come mondo, è necessario compiere un passo indietro e soffermarsi per un momento sulla determinante influenza operata su Nietzsche dalla lettura della Geschichte des Materialismus (1866) di Friedrich Albert Lange.

Lange, esponente di una corrente neo-kantiana talvolta indicata anche come neo-kantismo fisiologico, è uno degli autori che più ha influito sulla formazione filosofica di Nietzsche. Quest’ultimo legge infatti la Geschichte des Materialismus nello stesso anno in cui l’opera viene pubblicata e non mancherà di ritornarvi più volte nel corso della sua vita. Sebbene Nietzsche non citi mai l’autore neo-kantiano all’interno delle opere pubblicate, seguendo la tesi di Jörg Salaquarda, si può affermare che «egli non ha semplicemente recepito le idee di Lange, bensì le ha intessute delle proprie riflessioni, e dopo la lettura della Storia del materialismo ha preso visione degli scritti di tanti autori le cui idee si sono in parte sovrapposte a quelle di Lange»5. È dunque

proprio grazie a Lange che Nietzsche trova lo spunto per quell’atteggiamento critico, con cui uscirà allo scoperto a partire da Menschliches Allzumenschliches ma che, nei frammenti non pubblicati, si è tuttavia visto esser già all’opera fin dai primi anni settanta, come ha mostrato l’esposizione della natura critico-genealogica della riflessione sul linguaggio e la conoscenza.

Oltre a tutto ciò va sottolineato, e su questo la critica è piuttosto uniforme, che Lange rappresenta il filtro fondamentale attraverso cui Nietzsche assimila i fondamenti del pensiero kantiano6. La teoria gnoseologica langhiana rappresenta infatti un’interessante tentativo di

naturalizzazione delle condizioni trascendentali dell’esperienza che Kant, nella Kritik der reinen

Vernunft, individua nelle dodici categorie dell’intelletto e nelle intuizioni pure di spazio e tempo7. Il

trascendentale kantiano è dunque tradotto da Lange nell’idea di in un’organizzazione psicofisica dell’uomo, attraverso la quale egli verrebbe a costruire il fenomeno, ossia il mondo come sua

rappresentazione. A colpire Nietzsche, oltre a questa idea di organizzazione, è l’insistenza di Lange

sulla costitutiva intrascendibilità del fenomeno, la quale finisce per superare persino l’intransigenza dimostrata sul tema dallo stesso Kant. In una lettera a Carl von Gersdorff dell’agosto 1866,

5 SALAQUARDA J. Nietzsche e Lange, in La biblioteca ideale di Nietzsche, GIULIANO C., VENTURELLI A. (a cura di), Guida Editori, Napoli, 1992, p. 24. Il testo originale è SALAQUARDA J., Nietzsche und Lange, in «Nietzsche- Studien», VII, Walter de Gruyter, Berlin - New York, 1978.

6 È questa un’idea rintracciabile in quello che è, ad oggi, il più vasto studio sul rapporto tra Lange e Nietzsche: STACK G., Lange e Nietzsche, Walter de Gruyter, Berlin - New York, 1983, così come FAZIO D. M., Nietzsche e il criticismo, Quatro Venti, Urbino, 1991. Dello stesso avviso è anche la più volt citata Claudia Crawford in CRAWFORD C. Op

cit. 67-80. Per un approfondimento sul ruolo di Lange nella mediazione tra Kant e Nietzsche si veda invece

ITAPARICA A., Lange e la lettura nietzschiana di Kant. Sullo statuto della cosa in sé e della volontà di potenza nella filosofia di Nietzsche, in «Nietzsche dal Brasile Contributi alla ricerca contemporanea», BUSELLATO S. (a cura di), Edizioni ETS, Pisa, 2014.

7 Alcuni autori hanno per altro sottolineato come il tentativo langhiano di pensare le condizioni trascendentali dell’esperienza appartenenti al soggetto conoscente in termini psico-fisiologici avrebbe un riferimento importante negli studi di fisiologia umana condotti nella prima metà dell’800 dal fisiologo Johannes Peter Müller, il quale avrebbe influito su Lange come su altri esponenti della corrente neo-kantiana. Su questo si veda: RICCARDI M.,

Nietzsche und die Erkenntnistheorie und Metaphysik, in HEIT H., HELLER L. (a cura di), «Handbuch Nietzsche und die Wissenschaften», De Gruyter, Berlin-Boston, 2014; RICCARDI M., Il tardo Nietzsche e la falsificazione, in «Teorie pratiche della verità in Nietzsche», GORI P., STELLINO P. (a cura di), ETS, Pisa, 2011.

Nietzsche riporta una citazione dalla Geschichte des Materialismus in cui appare compendiato il nucleo gnoseologico della filosofia di Lange. Riferendosi a quest’ultimo egli scrive:

Wir haben hier einen höchst aufgeklärten Kantianer und Naturforscher vor uns. Sein Resultat ist in folgenden drei Sätzen zusammengefaßt:

1) die Sinnenwelt ist das Produkt unserer Organisation.

2) Unsre sichtbaren (körperlichen) Organe sind gleich allen andern Theilen der Erscheinungswelt nur Bilder eines unbekannten Gegenstandes.

3) Unsere wirkliche Organisation bleibt uns daher ebenso unbekannt, wie die wirkliche Außendinge. Wir haben stets nur das Produkt von beiden vor uns.8

Lo schema tripartito inserito da Nietzsche nella lettera rappresenta una citazione letterale dalla

Geschichte des Materialismus. Da questa si evince come per Lange la stessa organizzazione

psicofisica sulla quale si fonda la conoscenza dell’uomo non possa essere in realtà conosciuta come un in sé, giacché anch’essa è parte della «Erscheinungswelt», ossia del mondo fenomenico. Al pari di ciò che Lange chiama le cose esterne (Außendinge), laddove per “cose esterne” egli intende evidentemente “la cosa in sé”, anche il nucleo più intimo della nostra organizzazione non può che rimanerci ignoto. Da questo punto di vista, come si vede, il criticismo langhiano risulta ancor più radicale di quello kantiano.

Stando dunque alla lettera indirizzata a Gersdorff, i motivi passati in rassegna sono quelli che lo stesso Nietzsche considera come i fondamentali della filosofia langhiana. Proprio essi vanno infatti a costituire le coordinate fondamentali all’interno delle quali, come la ricerca ha ampiamente dimostrato9, Nietzsche dà avvio ad una riflessione critica che non coinvolge soltanto la metafisica

schopenhaueriana, bensì il pensiero stesso. È infatti a partire da questa dimensione filosofica sviluppantesi su basi neo-kantiane che Nietzsche svilupperà quell’atteggiamento critico che gli è del tutto peculiare e che già si è visto all’opera analizzando il potenziale decostruttivo della teoria tropica del linguaggio. Questo atteggiamento filosofico si muove fin dall’inizio in direzione di quella più volte menzionata «storia della genesi del pensiero»10, in cui è compendiata l’idea di

genealogia, lo strumento di realizzazione concreta di quella caratteristica Aufklärung, preannunciata nell’inedito Über Wahrheit und Lüge e che dominerà la triade di scritti composta da

Menschliches Allzumenschliches, Morgenröthe e Die fröhliche Wissenschaft.

Il breve excursus sul neokantismo di Lange era necessario al fine di contestualizzare quell’aspetto del pensiero gnoseologico del giovane Nietzsche che concerne il problema dei sensi. A questo punto è però il caso di ricondurre gli elementi di questa teoria della conoscenza al tema centrale di questo lavoro, riprendendo dunque il discorso lasciato in sospeso circa il rapporto tra problema dei sensi e linguaggio.

Nel frammento con cui si è aperto il paragrafo, Nietzsche afferma che «le abitudini dei nostri sensi» costituiscono «i fondamenti “di tutti i nostri giudizi e di tutte le nostre conoscenze»11.

Sebbene il passo sia tratto da Morgenröte, il riferimento ad esso è non solo legittimo, ma anche

8 Nietzsche F., Briefwechsel, Kritisce Gesamausgabe, erste Abteilung, zweiter Band, herausgegeben von GIORGIO COLLI und MAZZINO MONTINARI, Walter de Gruyter, Berlin – New York 1975, pp. 159-160. Lo schema diviso in tre parti che compare nella lettera è una citazione che Nietzsche riporta da Lange (LANGE F. Geschichte des

Materialismus, Verlag von J. Baedeker, 1887, p. 727).

9 10

molto importanti per un approfondimento della questione. Da un lato esso è legittimo dal momento che Morgenröte è un’opera che, come già detto, s’inserisce in un complesso di scritti segnato da una certa continuità consistente nell’atteggiamento critico-decostruttivo, di cui si è messa in luce la matrice neo-kantiana. In secondo luogo, il passo è importante poiché, entrando in contraddizione con un frammento del 1872, va a mettere in luce un problema teorico che, per ragioni di completezza espositiva, non bisognerebbe dimenticarsi di mettere in luce. Si legga allora il seguente frammento:

Tropen sind’s, nicht unbewußte Schlüsse, auf denen unsre Sinneswahrnehmungen beruhn. Ähnliches mit Ähnlichem identificiren - irgend welche Ähnlichkeit an einem und einem andern Ding ausfindig machen ist der Urprozeß.12

Le percezioni dei nostri sensi si fondano su tropi, non già su inferenze inconsce. Identificare il simile con il simile - scoprire una somiglianza fra cose differenti: ecco il processo primitivo.

Se risulta evidente l’affinità tematica che lega questo frammento con il sopra citato passo di

Morgenröte, non è difficile nemmeno cogliere la tensione che fra di essi si viene a creare

relativamente al rapporto di fondazione tra sensi e linguaggio. Nel frammento del ‘72 infatti, il linguaggio è posto a fondamento dei sensi, mentre nel passo di Morgenröte avviene esattamente il contrario. Si tratta di una contraddizione evidente, di cui si proporrà adesso un tentativo di soluzione. Prima sono però necessarie due premesse: Innanzitutto, per ragioni di ordine metodologico, si vorrebbe escludere l’ipotesi (in sé anche possibile) che il passo possa in qualche modo rappresentare una svista. Un’ipotesi del genere non può d’altronde essere provata; di conseguenza nulla ci dà il diritto di sostenere che Nietzsche non sia cosciente dell’autocontraddizione in cui viene a cadere in questo passo (sebbene ciò sarebbe ovviamente, di per sé, un fatto possibile, per quanto improbabile). Il presente lavoro intende d’altronde fornire una ricostruzione filosofica del pensiero di Nietzsche e non s’arroga quindi il diritto di ricorrere a spiegazione psicologistiche per risolvere od occultare eventuali incoerenze dell’autore che, l’onestà intellettuale dell’interprete ha semmai il dovere di mettere in luce. In secondo luogo, non si ritiene sostenibile l’ipotesi di uno spostamento teorico a cui Nietzsche sarebbe stato condotto durante il percorso di maturazione delle sue posizioni giovanili. La centralità del linguaggio come fondamento della conoscenza attraversa infatti l’intero arco cronologico delle opere di Nietzsche, coinvolgendo quelle giovanili (come già si è mostrato) al pari di quelle mature (come invece sarà mostrato nel capitolo successivo). Poste queste due essenziali premesse, l’ipotesi che si sostiene è la seguente: l’autocontraddizione in cui Nietzsche viene a cadere in questo passo è sintomatica della complessità interna della questione gnoseologica concernente il rapporto tra sensi e linguaggio, complessità che l’asistematicità del pensiero nietzschiano non riesce sempre ad ordinare in maniera chiara. Ciò che quindi sarebbe da addebitarsi alla complessità interna della questione, finisce in questo caso per risaltare come contraddizione in cui cadrebbe l’autore nel corso delle sue argomentazioni.

Ma entrando adesso nel merito della questione, quel che si vuole dire è che il rapporto di fondazione tra sensi e linguaggio non risulta nel pensiero di Nietzsche completamente unidirezionale, bensì bidirezionale, sebbene con un deciso sbilanciamento a favore del linguaggio, al quale, almeno negli scritti giovanili, Nietzsche attribuisce un ruolo di fondazione decisamente più

determinante. Se infatti è vero che il materiale sensibile subisce una rielaborazione concettuale che si è dimostrato essere linguistica (in quanto fondantesi sull’azione dei tropi) e che solo grazie a questa si va a costruire la rappresentazione umana del mondo, non si può escludere che Nietzsche, in base ai suoi riferimenti langhiani, voglia attribuire ai sensi stessi un ruolo di primo “filtraggio” della realtà. In questo senso il processo di costruzione dell’esperienza attraverserebbe due fondamentali passaggi, entrambi necessari per la costruzione della rappresentazione umana del mondo: il primo sarebbe mediato dal filtro dei sensi e il secondo dal filtro di una fondamentale rete logico-linguistica, tra le cui categorie fondamentali, come già visto, Nietzsche annovera ad esempio la dicotomia soggetto/oggetto, la categoria di eguaglianza e il principio di causalità. In questo senso, l’elaborazione linguistico-concettuale del materiale empirico seguirebbe quella meramente sensibile e si “fonderebbe” su di essa”. Ciò che tuttavia, ben lungi dal dover esser nascosto, sarebbe invece opportuno rimproverare a Nietzsche, è il fatto di non raggiungere mai su questo tema un grado di sistematicità sufficiente, tale da chiarire in che termini e in che misura sia da intendersi la suddetta bidirezionalità del rapporto di fondazione tra sensi e linguaggio. L’unico dato certo è che Nietzsche insiste molto sull’azione “modellante” che le categorie logico-linguistiche opererebbero sul materiale sensibile (un azione che, giova rammentarlo, concretamente consiste nell’attività tropica del linguaggio), senza sviluppare invece un discorso altrettanto approfondito relativamente alla supposta azione modellante dei sensi.

Linguaggio, società e verità in Über Wahrheit und Lüge in aussermoralischen Sinne

Si ricorderà come il presente lavoro abbia preso le mosse dall’immagine, tratta da Über das

Pathos der Wahrheit, di un demone insensibile, che osserva con scherno la presunzione di

quell’animale intelligente che è l’uomo. Allora, si è anche notato come lo sguardo di quel demone possa in qualche modo esser considerato come un’anticipazione artistico-letteraria di quell’atteggiamento filosofico proprio del genealogista che «ride della solennità dell’origine»13 e

intravede come «i colori più magnifici si ottengono da materiali bassi e persino spregiati»14. Ciò ci è

servito per comprendere come il decostuzionismo genealogico del Nietzsche maturo sia in realtà già all’opera nei primi anni ‘70 all’interno della sua intensa riflessione sul linguaggio. Adesso, partito da un punto di vista forse un po’ insolito, può essere portato a termine nell’analisi di uno scritto in cui confluisce un po’ tutta la speculazione linguistica condotta da Nietzsche in quel periodo: si tratta del saggio inedito, già menzionato più volte, intitolato Über Wahrheit und Lüge in

aussermoralischen Sinne. Curioso – e ciò va a confermare la validità del filo rosso fin qui seguito –

è che proprio le stesse identiche parole spese dal demone di Über das Pathos der Wahrheit nel contemplare il fenomeno relativo alla genesi della conoscenza15, siano adesso riprese da Nietzsche

per tessere la trama di una favola, volta a descrivere «quanto misero, spettrale, fugace, privo di scopo e arbitrario sia il comportamento dell’intelletto umano entro la natura»16:

In irgend einem abgelegenen Winkel des in zahllosen Sonnensystemen flimmernd ausgegossenen Weltalls gab es einmal ein Gestirn, auf dem kluge Thiere das Erkennen erfanden. Es war die hochmüthigste und verlogenste Minute der „Weltgeschichte“: aber doch nur eine Minute. Nach wenigen Athemzügen der 13 FOUCAULT M., Op. cit.

14 MA 1. «die herrlichsten Farben aus niedrigen, ja verachteten Stoffen gewonnen sind» (MA 1). 15 PW p. 88.

Natur erstarrte das Gestirn, und die klugen Thiere mussten sterben. — So könnte Jemand eine Fabel erfinden, […]; es gab Ewigkeiten, in denen er nicht war; wenn es wieder mit ihm vorbei ist, wird sich nichts begeben haben.

In un angolo remoto dell’universo scintillante e diffuso attraverso sistemi solari c’era una volta un astro, su cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza. Fu il minuto più tracotante e più menzognero della “storia del mondo”: ma tutto ciò durò soltanto un minuto. Dopo pochi respiri della natura, la stella si irrigidì e gli animali intelligenti dovettero morire. – Qualcuno potrebbe inventare una favola di questo genere, […]. Vi furono eternità in cui esso non esisteva; quando per lui tutto sarà nuovamente finito, non sarà avvenuto nulla di notevole.17.

Ancora una volta il discorso torna a focalizzarsi sulle pretese antropocentriche dell’uomo alle quali il corrosivo effetto del metodo genealogico sottrae pian piano ogni legittimità. Ancora una volta, la vanità dell’intelletto umano si trova a dover fare i conti con l’immensità di quel cosmo moderno, giacché il pianeta su cui esso ha instaurato il suo regno è collocato in uno sperduto «angolo remoto dell’universo scintillante», la cui assenza di un centro può leggersi come espressione della già avvenuta “morte di Dio”. Nella spaventosa infinità che attraversa questo cosmo, l’evento capitato su quell’«astro in cui animali intelligenti scoprirono la conoscenza» risulta, nichilisticamente, ormai privato di un qualunque significato sovrastorico e trascendente.

Denn es giebt für jenen Intellekt keine weitere Mission, die über das Menschenleben hinausführte. Sondern menschlich ist er, und nur sein Besitzer und Erzeuger nimmt ihn so pathetisch, als ob die Angeln der Welt sich in ihm drehten.

Per quell’intelletto, difatti, non esiste una missione ulteriore che conduca al di là della vita umana. Esso piuttosto è umano, e soltanto chi lo possiede e lo produce può considerarlo tanto pateticamente, come se i cardini del mondo ruotassero su di lui.18

Non sarà sfuggito che, nei passi appena citati, giochi un ruolo di primo piano la figura dell’intelletto. Che si tratti di un elemento tutt'altro che casuale, è provato dal fatto che Nietzsche passa dalla cornice narrativa con cui apre il saggio all’esposizione del suo contenuto filosofico con queste parole: «L’intelletto, come mezzo per conservare l’individuo, spiega le sue forze principali nella finzione. Questa infatti è il mezzo con cui gli individui più deboli e meno robusti si conservano»19. Privo di doti fisiche particolari, l’arma di difesa dal mondo esterno caratteristica

dell’uomo è costituita dall’intelletto. La concezione dell’intelletto come mezzo di conservazione dell’individuo ha due fonti evidenti. Da un lato essa essa costituisce un’eco schopenhaueriana, il che non stupisce vista la giovani passione di Nietzsche per il filosofo di Danzica; dall’altro, e ciò costituisce invece un elemento meno scontato, è il primo indice di un interesse da parte di Nietzsche nei confronti della concezione evoluzionistica di Darwin, al quale egli si è avvicinato per la prima volta attraverso la lettura della Geschichte des Materialismus di Lange20. Resta però da chiedersi in

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