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Lo scenario Il Cadore nell’Ottocento: istituzioni, popolazio ne, risorse

3.1. Territorio e istituzioni

Il territorio su cui concentreremo la nostra indagine è quello costituito dalla propaggine settentrionale della provincia (o delegazione) di Bellu- no, che fu istituita dopo il ritorno degli Austriaci e la fondazione del Re- gno Lombardo-Veneto nell’area precedentemente appartenuta al dipar- timento del Piave, e da cui furono scorporati alcuni dei comuni aggrega- ti nel 1810 (Ampezzo, Dobbiaco, Primiero)214.

A livello provinciale l’amministrazione politica fu affidata alla figura del delegato, che assolveva funzioni analoghe a quelle precedentemente at- tribuite ai prefetti, mentre le competenze finanziarie erano a carico di un intendente di finanza. Il nuovo ente territoriale fu a sua volta suddi- viso in distretti organizzati secondo il modello dei cantoni napoleonici. Alla testa di ogni distretto era posto un cancelliere censuario (dal 1819, commissario distrettuale). Il cancelliere svolgeva, all’interno del proprio distretto, diverse mansioni di carattere fiscale, politico e di polizia. Era inoltre suo compito sovrintendere all’attività delle amministrazioni co- munali e garantire che le decisioni prese in quei consessi fossero con- formi alle leggi del Regno. Ciò faceva di questa figura, in particolar mo- do nelle aree rurali, l’unico concreto riferimento del potere statale215.

214 L’organizzazione del Lombardo-Veneto, le cui principali figure istituzionali saranno

spesso richiamate nelle pagine che seguono, è sintetizzata in M. Meriggi, Le istituzioni

del Regno Lombardo-Veneto, in Il Veneto austriaco 1814-1866, P. Preto (a cura di), Pa-

dova, Signum 2000, pp. 29-40. Per approfondimenti Id., Amministrazione e classi so-

ciali nel Lombardo-Veneto (1814-1848), il Mulino, Bologna 1983; Id., Il Regno Lombar- do-Veneto, UTET, Torino 1987; D. Laven, Venice and Venetia under the Habsburgs. 1815-1835, Oxford University Press, Oxford 2002; E. Tonetti, Governo austriaco e no- tabili sudditi. Congregazioni e municipi nel Veneto della Restaurazione (1816-1848), Isti-

tuto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia 1997.

215 Sulla figura del commissario distrettuale L. Rossetto, Il commissario distrettuale nel

Veneto asburgico. Un funzionario dell'Impero tra mediazione politica e controllo sociale (1819-1848), il Mulino, Bologna 2013.

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I vertici massimi e quelli periferici dell’amministrazione austriaca, e cioè i due governatori insediati a Milano e Venezia e gli oltre 200 com- missari distribuiti nel territorio, avevano competenze sia di carattere po- litico sia finanziario. Questo non accadeva nei livelli istituzionali inter- medi. In Veneto così come in Lombardia, il governo si distingueva in due sezioni, entrambe presiedute dal governatore, con a capo rispetti- vamente il senato politico – cui facevano riferimento, ad esempio, i vari delegati provinciali – e il senato di finanza (detto anche camerale). Da questo ramo governativo dipendeva anche la direzione generale del de- manio cui era demandata l’amministrazione forestale in seguito alle ri- forme francesi.

A livello locale, l’amministrazione forestale era suddivisa in ispettorati le cui competenze si estendevano su riparti territoriali distinti da quelli delle delegazioni e organizzati in base all’importanza del patrimonio fo- restale. Dei 18 ispettori subordinati al governo camerale di Venezia, uno era preposto all’area cadorina216.

Il progressivo processo di semplificazione amministrativa, a cui si è fatto riferimento in senso lato nel capitolo precedente, nella sua attua- zione in area cadorina portò, nei 19 anni che intercorrono tra la caduta della Serenissima e l’applicazione della nuova legislazione austriaca, all’aggregazione delle 44 comunità che componevano i centenari della Comunità di Cadore in 20 comuni (cui sarà aggiunta Sappada nel 1852,

216 ASVe, Ispettorato Generale ai Boschi, Decreti di massima, 1806-1826, b. 117 (in

particolare f. 22 per l’ispettorato del Cadore). I vertici della sezione camerale cambia- rono più volte denominazione nel corso della seconda e terza dominazione austriaca: «Dopo il 1830 le attribuzioni della sezione camerale del Governo e quelle della Direzio- ne del demanio vengono assunte dal Magistrato camerale, alle cui dipendenze opera un nuovo organo tecnico-amministrativo che garantisce al settore una limitata auto- nomia, l’Ispettorato generale dei boschi. Dopo la parentesi quarantottesca, soppresso il Magistrato camerale, l’amministrazione forestale viene affidata alla Prefettura delle finanze e da essa viene a dipendere l’Ispettorato. Naturalmente gli organi del governo veneziano sono sottoposti, in forme che a volte diventano addirittura umilianti, agli or- gani finanziari del governo imperiale di Vienna» A. Lazzarini, La trasformazione di un

bosco cit., p. 143 n. 8. Sull’istituzione delle magistrature camerali a Belluno ASVe, Presidio di Governo, 1815-1819, XII, b. 142, f. 6/1.

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mentre Danta si staccherà da San Nicolò nel 1843) divisi in due distret- ti217.

Il primo distretto, con capoluogo a Pieve e corrispondente alla fascia meridionale dell’area, era composto dai comuni di: Pieve di Cadore, Bor- ca, Calalzo, Cibiana, Domegge, Perarolo, Selva, Valle, San Vito, Ospeda- le, Vodo e Zoppè. Il secondo distretto, con capoluogo ad Auronzo e posto a settentrione, era composto dai comuni di: Auronzo, Comelico Superio- re, Comelico Inferiore, Danta, Lorenzago, Lozzo, San Nicolò, San Pietro, Vigo e, dal 1852, Sappada.

La porzione di territorio racchiusa all’interno di questi confini ammini- strativi era posta nella zona alpina delle Dolomiti orientali e corrispon- deva, quasi interamente, con la parte iniziale del bacino idrografico del Piave che proprio qui (sul monte Peralba) ha la sua sorgente. Dal punto di vista geografico, il Cadore è quindi una regione interamente alpina connotata da alcune caratteristiche comuni e da differenziazioni interne dovute ai vincoli che le diverse condizioni altimetriche, climatiche, pedo- logiche e orografiche avevano imposto all’azione antropica.

Volendo sintetizzare al massimo un quadro che sarà approfondito nel- le pagine che seguono, le caratteristiche comuni a tutta l’area erano: il cronico deficit della produzione agricola che condizionava qualsiasi stra- tegia economica; la centralità produttiva svolta da quelle categorie di terreni solitamente definiti – con una formula che qui risulta più para- dossale che altrove – “incolti”; l’importanza che alcune vie di comunica- zione naturali, il Piave e i suoi affluenti, assumevano per le vocazioni economiche dell’area.

Quanto alle differenze interne a questo territorio, esse possono essere illustrate, con una schematizzazione che risulterà parzialmente forzata,

217 I dati aggregati per l’area cadorina saranno riferiti a questi 22 comuni.

Sull’evoluzione amministrativa del Cadore e di tutto il territorio dell’attuale provincia di Belluno v. Archivi nella provincia di Belluno. Indagine conoscitiva per la ricerca stori-

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confrontando i due distretti amministrativi in cui era suddiviso. Il di- stretto di Pieve era quello geograficamente meno impervio e qui era con- centrata la quota migliore, sia quantitativamente sia qualitativamente, della poca terra coltivabile presente nell’area. Inoltre, questo distretto era quello più prossimo alla regione pedemontana e ai centri urbani e fu attraversato da una delle principali vie di comunicazione dell’epoca, la strada Alemagna, che fu completamente rifatta tra il 1823 e il 1832 e che divenne la più rapida via di comunicazione tra il mar Adriatico e l’area tirolese e tedesca almeno sino all’apertura della tratta ferroviaria del Brennero. Anche in conseguenza di questa maggiore “accessibilità”, nei territori appartenenti al distretto di Pieve vari boschi erano descritti come depauperati e, nella formazione del reddito, le attività forestali erano bilanciate dalla pastorizia, mentre nel distretto di Auronzo lo sfruttamento dei boschi costituiva il perno indiscusso del sistema eco- nomico.

La sintesi sinora proposta per individuare le caratteristiche territoriali del Cadore va approfondita in riferimento al classico nesso tra popola- zione e risorse. Da un lato si osserverà il quadro nel dettaglio, ossia nei diversi elementi che concorrevano a definire questa mutevole relazione. Dall’altro, lo si confronterà con una cornice più ampia, quella della pro- vincia di Belluno, dell’area veneto-friulana e della catena alpina, in mo- do da comprendere i tratti distintivi di questa regione e quelli che, al contrario, la accomunavano ad altre situazioni.

3.2. Popolazione

Durante gli ultimi decenni, è stata operata una profonda revisione dei paradigmi con cui il mondo alpino veniva rappresentato. Una prima fase di questa revisione era stata compiuta nel corso degli anni ’80 del secolo scorso da alcuni studi di carattere antropologico la cui sintesi era stata realizzata da Pier Paolo Viazzo nel volume Comunità alpine. I risultati di

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quelle ricerche avevano permesso di superare una visione eccessiva- mente negativa dell’area alpina, fino a quel momento descritta come sottosviluppata e sovrappopolata, il cui costante squilibrio tra popola- zione e risorse imponeva un continuo esodo verso le regioni di pianu- ra218. Dal punto di vista demografico, questo nuovo modello era caratte-

rizzato da una bassa pressione, contraddistinta da tassi bassi di natali- tà e mortalità e dal ruolo regolatore svolto dalla nuzialità219.

Nonostante gli importanti risultati conseguiti durante quella stagione di studi, l’attenzione dedicata alla capacità delle comunità alpine di rag- giungere una situazione di relativo equilibrio che i vincoli ecologici le imponevano aveva impedito di assegnare il giusto valore a un fenomeno: la popolazione alpina era quasi triplicata nell’arco di quattro secoli (1500-1900)220.

Sulla scia di questi importanti contributi, sono state condotte varie ri- cerche anche sull’andamento demografico della montagna veneta, re- gione che era stata trascurata dalle precedenti sintesi in materia. Fase privilegiata di quest’analisi è stata la prima metà del XIX secolo, «uno degli snodi più interessanti e potenzialmente fecondi per lo studio della trasformazione delle società montane», poiché in questa fase si può leg-

218 P. P. Viazzo, Comunità alpine e gli esiti del «paradigma revisionista», in Id., Comunità

alpine. Ambiente, popolazione, struttura sociale nelle Alpi dal XVI secolo a oggi, Carocci-

Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, Roma 2001; Id., Il modello alpino dieci

anni dopo, in La montagna mediterranea: una fabbrica di uomini? Mobilità e migrazioni in una prospettiva comparata (secoli XV-XX), D. Albera, P. Corti (a cura di), Gribaudo,

Cavalmaggiore 2000, pp. 31-46. Il volume di Viazzo era originariamente comparso in lingua inglese: Id., Upland Communities: Environment, Population and Social Structure

in the Alps Since the Sixteenth Century, Cambridge University Press, Cambridge 1989.

219 Punto di riferimento di questo modello, anche nella sintesi curata da Viazzo, era lo

studio compiuto da Robert Netting sul villaggio svizzero di Törbel: R. McC. Netting, In

equilibrio sopra un’alpe. Continuità e mutamento nell’ecologia di una comunità alpina del Vallese, San Michele all’Adige, 1996.

220 J. Mathieu, Storia delle Alpi 1500-1900. Ambiente, sviluppo e società, Edizioni Casa-

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gere più chiaramente il nesso fra transizione demografica e opportunità di sviluppo delle economie montane221.

Da un primo quadro generale, tracciato per tutta la provincia, è stato possibile approfondire l’analisi per le diverse aree geografiche che la componevano, sino a studi specifici su alcune comunità di villaggio222.

Come ha opportunamente rilevato Andrea Zannini223, vi è un dato da

cui bisogna partire per valutare la pressione antropica su questo terri- torio nel corso dell’Ottocento: nella sua opera sulla storia delle Alpi tra XVI e XX secolo, Jon Mathieu ha confrontato l’andamento demografico di 26 distretti considerati alpini (la cui superficie rientra per almeno il 75 per cento nell’area alpina individuata da Werner Bätzing)224; restrin-

gendo l’analisi allo sviluppo demografico del XIX secolo, la provincia di Belluno ha un incremento medio del 7,2‰; un livello di crescita supe- rato solo dal dipartimento francese della Alpi Marittime225. Questa cre-

scita fu conseguita in un modello ad altra pressione demografica, che si discosta notevolmente da quello proposto da Viazzo, ma anche da quello presente nello stesso periodo nella limitrofa area alpina della Carnia, esclusa dall’analisi di Mathieu poiché appartenente alla provincia di

221 A. Fornasin, A. Zannini, Montagne aperte, popolazioni diverse. Temi e prospettive di

demografia storica degli spazi montani, in Uomini e comunità delle montagne. Paradigmi e specificità del popolamento dello spazio montano (secoli XVI-XX), Id. (a cura di), Fo-

rum, Udine 2002, p. 18.

222 Cfr. A. Zannini, La grande frattura. La demografia nel Bellunese nell’Ottocento rivisi-

tata, in La "questione montagna" in Veneto e Friuli tra Otto e Novecento. Percezioni, Ana- lisi e Interventi, a cura di A. Lazzarini, A. Amantia, ISBREC, Belluno 2005, pp. 209-

233; E. Navarra, La comunità di Sappada tra Settecento e Ottocento: aspetti economici e

demografici, in Comelico, Sappata, Gaital, Lesachtal: paesaggio, storia, cultura, E. Cason

Angelini (a cura di), Fondazione G. Angelini, Belluno 2002, pp. 187-224; A. Zannini, D. Gazzi, Contadini, emigranti, "colonos” cit., I, pp. 133-272.

223 A. Zannini, La grande frattura cit., p. 210.

224 W. Bätzing et al., Der sozio-ökonomische Strukturwandel des Alpenraumes im 20

Jahrhundert. Eine Analyse von “Entwicklungstypen” auf Gemeinde-Ebene im Kontext der europäischen Tertiarisierung, Geographisches Institut der Universität, Berna 1993,

pp. 24-45.

225 J. Mathieu, Storia delle Alpi cit., p. 42. Per un’analisi più dettagliata di questi dati e

dei metodi di rilevamento adottati: Id., La popolazione delle Alpi dal 1500 al 1900, in

«Mes Alpes à moi». Civiltà storiche e Comunità culturali nelle Alpi, E. Cason Angelini (a

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Udine, che si estendeva per tutta la pianura friulana fino all’Adriatico226.

Poste quindi le peculiarità del caso, è opportuno fare alcune conside- razioni sulla base della documentazione analizzata nel sopracitato sag- gio di Zannini, a cui si rimanda per approfondimenti su ulteriori para- metri come i tassi di natalità, mortalità e nuzialità nel Bellunese e nei diversi distretti che lo componevano.

In primo luogo va notato che fino al 1875 – anno in cui si è soliti collo- care l’avvio del fenomeno dell’emigrazione definitiva – questi tassi di crescita corrispondono all’andamento naturale della popolazione. Un secondo aspetto riguarda la fase di transizione del regime demografico che non va collocata, come si riteneva in precedenza, nel decennio che seguì l’annessione di questi territori al Regno d’Italia, ma nella fase im- mediatamente successiva alla grande crisi del 1816-1817.

Un’ultima riflessione – quella che più interessa in questa sede – ri- guarda l’analisi dei dati organizzati sulla base dei distretti che compo- nevano la provincia. Posto che la crescita interessò tutti i distretti bel- lunesi, essa avvenne in maniera sensibilmente diversa in ogni distretto, sia per proporzioni sia per andamento cronologico227. Infatti, erano nu-

merosi i fattori che potevano influire sui trend demografici, come hanno dimostrato ricerche condotte su villaggi contigui228. Tuttavia, colpisce

che a registrare il tasso di crescita complessivamente più alto nel corso del XIX secolo sia il distretto orograficamente più impervio: quello di Auronzo (+77 per cento). Questa crescita – cui va aggiunta quella non così elevata, ma comunque consistente, dell’altro distretto cadorino,

226 M. Breschi, G. Gonano, C. Lorenzini, Il sistema demografico alpino. La popolazione

della Carnia, 1775-1881, in Vivere in Friuli. Saggi di demografia storica (sec. XVI-XIX),

M. Breschi (a cura di), Forum, Udine 1999, pp. 153-192.

227 Tabelle 1-2.

228 E. Navarra, Comportamenti demografici e organizzazione socio economica in due co-

munità germanofone delle Alpi orientali: Sappada e Sauris (sec. XVIII e XIX). in Uomini e comunità delle montagne. Paradigmi e specificità del popolamento dello spazio montano (secoli XVI-XX), A. Fornasin, A. Zannini (a cura di), Forum, Udine 2002, pp. 113–132.

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quello di Pieve di Cadore (+38 per cento) – pone due questioni o, meglio, un’unica questione che può essere analizzata da due diversi punti di vi- sta. Da un lato bisogna comprendere con quali mezzi, cioè attraverso quali risorse, fu possibile sostenere una crescita così elevata in un’area considerata geograficamente “ostile” come quella dell’alto Cadore. Dall’altro, si deve capire quali furono le conseguenze che questa intensa e prolungata crescita demografica provocò sulle modalità di utilizzo del- le risorse disponibili.

3.3. Limiti agricoli ed economia integrata

Per stimare le risorse, le fonti disponibili diventano sempre più nume- rose nel corso dell’Ottocento. Crescono soprattutto le fonti quantitative, sintomo di una diffusione anche in area veneta di quello «spirito calcola- tore» che si stava imponendo in Europa229.

Tra esse ve n’è una che è diventata, nel corso del tempo, quella privile- giata per dare conto della situazione agraria dei territori veneti in quell’epoca. Si tratta di quello che viene comunemente definito «nuovo censo lombardoveneto», ma la cui genesi va collocata nella precedente dominazione francese quando furono avviati, con il decreto 12 gennaio 1807, i lavori per il nuovo catasto particellare. Le operazioni che porta- rono al suo impianto durarono circa quarant’anni: dalla completa map- patura del territorio iniziata dai Francesi e terminata dopo il ritorno de- gli Austriaci, alle campagne censuarie del triennio 1826-28 – in cui fu- rono realizzati gli atti preparatori e le operazioni di classificazione e classamento dei terreni –, passando per l’approvazione delle tariffe d’estimo nel 1843 fino alla definitiva attivazione del nuovo catasto per le provincie di Venezia, Padova e Rovigo nel 1846 (poi raggiunte da Trevi-

229 T. Frangsmyr, J. L. Heilbron, R. E. Rider (a cura di), The Quantifying Spirit in the

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so, Verona e Belluno nel 1849, da Vicenza nel 1850 e da Udine nel 1851)230.

Come ogni fonte, anche quella catastale presenta delle criticità su cui è opportuno spendere alcune parole. Una prima questione, valida per ogni tipo di documentazione catastale, riguarda lo “scarto” tra i fini per cui questa documentazione era stata creata – di tipo fiscale – e l’utilizzo che ne è stato fatto in ambito storiografico – ad esempio l’analisi della distribuzione colturale e della proprietà fondiaria231.

Vi sono poi criticità specifiche del catasto lombardo-veneto, su cui si è soffermato Marino Berengo: disomogeneità nella raccolta dati, errori nelle stime, la pratica, riscontrata proprio per l’area che più ci interessa (il distretto di Auronzo), di ripresentare per i centri minori le descrizioni proposte per il capoluogo durante le operazioni di classamento 232.

Nonostante questi limiti, la documentazione prodotta durante la cam- pagna censuaria è la prima a permettere un quadro d’insieme di ogni dipartimento del Regno e allo stesso tempo un confronto dei risultati tra

230 M. Berengo, L'agricoltura veneta dalla caduta della Repubblica all'Unità, Banca

commerciale italiana, Milano 1963, pp. 25-63; E. Tonetti, I catasti per la storia delle

proprietà, del regime agrario e delle mutazioni territoriali, in «Protagonisti», n. 84 (2003),

pp. 113-135. Sulle prospettive analitiche offerte dalla documentazione catastale lom- bardo-veneta, alcuni ottimi esempi sono forniti in A. Viggiano, Dopo la Serenissima.

L’invenzione di un’identità, in Storie di Lonigo. Immagini di una comunità veneta dal XII al XIX, Id., G. Florio (a cura di), Cierre, Verona 2015, pp. 193-216. Nell’analisi dei dati

catastali ho adottato i criteri utilizzati da Claudio Lorenzini per la limitrofa regione del- la Carnia, il che, naturalmente, favorisce la comparazione tra le due aree, C. Lorenzini,

Monte versus bosco, e viceversa. Gestione delle risorse collettive e mobilità in area alpi- na: il caso della Carnia fra Sei e Settecento, in La gestione delle risorse collettive. Italia settentrionale, secoli XII-XVIII, G. Alfani, R. Rao (a cura di), Franco Angeli, Milano 2011,

pp. 95-109.

231 Per una riflessione critica sulle fonti catastali si veda D. Moreno, O. Raggio, Dalla

storia del paesaggio agrario alla storia rurale. L’irrinunciabile eredità scientifica di Emilio Sereni, «Quaderni Storici», n. 100 (1999), pp. 89-104 (in particolare pp. 95-98).

232 M. Berengo, L’agricoltura veneta cit., pp. 44-45. Il catasto era comunque considera-

to da Berengo come uno dei più importanti lasciti dell’amministrazione austriaca in Veneto come ha notato M. Meriggi, Lo storico della Restaurazione, in Tra Venezia e

l’Europa. Gli itinerari di uno storico del Novecento: Marino Berengo, G. Del Torre (a cura

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i vari dipartimenti. E i dati aggregati per l’area cadorina delineano dei rapporti di forza in grado di fugare ogni dubbio interpretativo233.

A fronte di una superficie complessiva di 102.183,3 ettari che, depura- ta dell’incolto sterile, era di 73.283,8 ettari di superficie agro-silvo- pastorale, l’area occupata complessivamente dai terreni coltivi era di 2.891,3 ettari, il 2,54 per cento della superficie totale dei due distretti cadorini e appena il 3,50 per cento se consideriamo la sola superficie agro-silvo-pastorale.

Questi dati possono essere letti con maggiore chiarezza se si conside- rano due, ulteriori, elementi. Il primo è che questa superficie coltivata non era distribuita in maniera uniforme. Vi erano specificità riguardanti i singoli comuni censuari ma, globalmente, nell’area compresa nel di- stretto di Pieve di Cadore la superficie coltiva era proporzionalmente maggiore che nell’area dell’alto Cadore appartenente al distretto di Au- ronzo.

La seconda considerazione riguarda la “composizione” di questa su- perficie. I terreni classificati come “aratori” erano di soli 261,8 ettari, concentrati nei comuni di Borca e San Vito di Cadore. I restanti 2.629,5 ettari potevano essere coltivati quasi esclusivamente con il lavoro uma- no poiché compresi nelle categorie dello “zappativo” e del “coltivo a van- ga”.

Per un’analisi dettagliata dell’agricoltura cadorina, è possibile integra- re la documentazione catastale con i dati raccolti nell’ambito di alcune inchieste agrarie.

La prima è quella condotta per l’area da Marco De Marchi e Giacomo

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