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Terreni comunitari e risorse forestali tra antico e nuovo re gime

2.1. Natura contesa

Se dal fondo della pianura saliamo ai monti, troviamo un ordine sociale infi- nitamente diverso. [...] In alcuni monti la possidenza privata è ancora un'ecce- zione; il commune possiede vastamente i pàscoli e le selve e le aque e le minie- re; nè basta sempre l'esser nato da gente nata in paese; ma bisogna apparte- nere ai patrizj del commune, agli originarj85.

Con questi passi evocativi, Carlo Cattaneo introduceva il lettore, dopo averlo condotto per la pianura e l’area collinare, alla zona alpina lom- barda. È in quest’area che era diffuso e radicato quello che, riprendendo un’altra celebre pagina di Cattaneo, si è ormai soliti definire «un altro modo di possedere», quello cioè della proprietà collettiva86.

L’affresco tratteggiato dal grande intellettuale milanese non deve esse- re considerato esemplificativo solo del caso lombardo. È ampiamente documentato che la gestione collettiva delle risorse abbia rappresentato uno dei cespiti essenziali per le comunità dell’area alpina e il cardine stesso su cui si fondava la vita comunitaria e le istituzioni a essa colle-

85 C. Cattaneo, Notizie naturali e civili sulla Lombardia, I, Tip. G. Bernardoni, Milano

1844, pp. CV-CVI.

86 C. Cattaneo, Sulla bonificazione del Piano di Magadino a nome della Società promotri-

ce. Primo rapporto, in Scritti economici, III, A. Bertolino (a cura di), Le Monnier, Firenze

1956, pp. 187-188. Sulla fortuna della definizione di Cattaneo ha influito il dibattito interno alla storia del diritto di cui uno degli esempi più noti è, per l’appunto, P. Grossi, “Un altro modo di possedere” cit. Per l’area della montagna veneto-friulana, quella maggiormente interessata da questo studio, cfr. S. Barbacetto, "Tanto del ricco

quanto del povero". Proprietà collettive ed usi civici in Carnia tra Antico Regime ed età contemporanea, Circoli Culturali della Carnia, Pasian di Prato 2000; E. Tommasella, Aspetti pubblicistici del regime dei beni regolieri, Ibrsc, Belluno 2000.

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gate87. Tali istituzioni potevano presentarsi con nomi differenti, così

come potevano differire per dimensioni, organizzazione interna, com- plessità e livello di formalizzazione delle norme statutarie, ma tutte con- dividevano un elemento: erano i terreni collettivi, e in particolar modo i boschi e i pascoli, a definire l’identità stessa di queste comunità così come la possibilità di utilizzare tali terreni costituiva la linea di demar- cazione tra coloro che potevano dirsi membri della comunità e coloro che ne erano esclusi88.

Nelle aree più marcatamente alpine, la centralità che i terreni collettivi assumevano, dati anche i vincoli che le caratteristiche ambientali pone- vano all’espansione dei terreni coltivati – associati alla minor pressione esercitata dalla feudalità e dalla proprietà cittadina rispetto ad altri ter- ritori –, aveva consentito il consolidamento d’istituzioni con un forte grado di autonomia89. Per quanto riguarda l’area della montagna vene-

to-friulana, queste istituzioni presero il nome di vicinie o regole. Tra le

regole principali dell’area, sia per tradizioni storiche sia per ampiezza

del patrimonio collettivo, vi erano quelle riunite nella Comunità di Ca- dore.

87 Sul concetto di comunità nel dibattito storiografico italiano v. M. Di Tullio, La ric-

chezza delle comunità Guerra, risorse, cooperazione nella Geradadda del Cinquecento,

Marsilio, Venezia 2011, pp. 13-17.

88 Per una panoramica generale cfr. G. Corona, The Decline of the Commons cit., (pp.

89-107). I riferimenti bibliografici sull’area friulana, trentina e veneta saranno ampia- mente citati. Per la Valle d’Aosta cfr. R. Luvin, Un bene comune tra pubblico e privato:

profili giuridici del fenomeno delle consorterie valdostane, Le Chateau, Aosta 2012; per

le Alpi lombarde cfr. M. Della Misericordia, Divenire comunità. Comuni rurali, poteri lo-

cali, identità sociali e territoriali in Valtellina e nella montagna lombarda nel tardo me- dioevo, Unicopli, Milano 2006. Per una comparazione con alcuni casi studio dell’area

alpina non di lingua italiana cfr. il numero monografico Les ressources naturelles-

Natürliche Ressourcen, in «Histoire des Alpes – Storia delle Alpi – Geschichte der Alpen»

n. 19 (2014).

89 Sulla maggiore o minore autonomia delle aree periferiche in relazione alla distanza

dai centri cittadini cfr. F. Cazzola, Poteri locali e gruppi dirigenti nell’Italia rurale tra ‘800

e ‘900, in Nuove tendenze nella storia contemporanea. Incontro internazionale in ricordo di Pier Paolo D’Attore. Ravenna, 23 ottobre 1998, D. Bolognesi, M. Salvati (a cura di),

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La Comunità di Cadore era un’organizzazione territoriale di tipo fede- rativo a struttura piramidale il cui vertice era rappresentato dal consi- glio generale e alla cui base stavano gli aggregati domestici che forma- vano le varie comunità di villaggio90. Nei secoli che intercorrono tra la

redazione dei primi statuti della Comunità cadorina durante la signoria dei da Camino (1245), attraverso la loro riconferma durante il dominio dei patriarchi di Aquileia (1338) e poi nel periodo successivo alla dedi- zione a Venezia (1420) sino alla caduta della Serenissima (1797), i rap- porti tra i diversi livelli di quest’organizzazione piramidale e al loro in- terno mutarono costantemente. Non è qui possibile esporre un’analisi dettagliata dell’organizzazione della Comunità cadorina e della sua evo- luzione durante il basso medioevo e poi per tutta la dominazione vene- ziana. Mi limiterò a presentare alcuni aspetti di queste vicende che permetteranno di comprendere più chiaramente ciò che avvenne nel corso del XIX secolo, quando tutto il sistema istituzionale legato alla Comunità di Cadore fu abolito nel corso di una più complessiva fase di riorganizzazione territoriale, rimandando alla bibliografia citata di volta in volta per ulteriori approfondimenti.

Elemento fondamentale della vita di tutte le comunità cadorine era l’assemblea cui poteva partecipare un rappresentante per ogni aggrega- to domestico (fuoco), il capofamiglia o una persona da lui delegata. Tali assemblee erano chiamate regole (talvolta fabule). In una prima fase, questi termini indicavano non solo l’istituzione assembleare, ma anche

90 Per una sintetica bibliografia su questa tipologia di universitas definita “comunità di

valle” oltre che per un confronto tra la Comunità di Cadore e altre 3 Comunità limitro- fe (Fassa, Fiemme e Primiero) cfr. M. Bonazza, Evoluzione istituzionale e maturazione

archivistica in quattro comunità di valle dolomitiche (secoli XIV-XX), in Archivi e comunità tra medioevo ed età moderna, A. Bartoli Langeli, A. Giorgi e S. Moscadelli (a cura di),

Ministero per i beni e le attività culturali-Direzione generale per gli archivi, Roma 2009, pp. 111-154. Quando sarà usata la lettera maiuscola (Comunità), s’intenderà l’organizzazione federativa, altrimenti il termine va inteso come sinonimo di nucleo in- sediativo.

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il territorio da essa controllato, a rappresentare anche dal punto di vista etimologico il legame tra istituzioni e territorio91.

Questi istituti avevano il compito di predisporre le norme che regola- vano la vita interna alla comunità (i laudi) e di eleggere le cariche depu- tate a far rispettare tali statuti. Tra queste cariche, la principale era quella del marigo, vero e proprio capo della regola e suo massimo rap- presentate legale; egli aveva il compito di far rispettare le decisioni as- sembleari, assistito in questo da altre figure tra cui vi erano i laudatores e i saltari (la cui mansione principale era quella di sorvegliare le proprie- tà collettive)92.

Le diverse regole del Cadore erano raggruppate per area geografica in 10 centenari che costituivano un secondo livello di questa struttura pi- ramidale. Ai centenari era demandata l’organizzazione difensiva (la ge- stione delle milizie interne: le cernide) e l’imposizione fiscale (le colte) suddivisa tra i diversi villaggi in base al numero dei fuochi e all’estensione dei boschi. Inoltre, era sulla base dei centenari che veniva stabilita la rappresentanza politica all’interno del consiglio generale poi-

91 E. De Felice, C. Battisti, Vecchie voci amministrative delle comunità rurali alpine, in

«Archivio per l’Alto Adige», n. 43 (1949), pp. 339-352.

92 La maggior parte di questi statuti (i laudi) sono stati pubblicati e analizzati. Per un

elenco di tali pubblicazioni si rimanda alla bibliografia citata in G. Zanderigo Rosolo, I laudi delle Regole di Candide, Lorenzago e San Vito in Cadore, Ibrsc, Belluno 2013, che contiene anche l’edizione dei laudi di tre regole cadorine. Per un inquadramento gene- rale sui territori limitrofi, per il Bellunese cfr. F. Vendramini, Le comunità rurali bellu-

nesi (secoli XV-XVI), Tarantola, Belluno 1979; per la Carnia cfr. F. Bianco, Carnia. XVII- XIX secolo. Organizzazione comunitaria e strutture economiche nel sistema alpino, Biblio-

teca dell’immagine, Pordenone 2000 (edizione aggiornata di Id., Comunità di Carnia.

Le comunità di villaggio della Carnia (secoli XVII-XIX), Casamassima, Udine 1985); G.

Ventura (a cura di), Statuti e legislazione veneta della Carnia e del Canale del Ferro (se-

coli XIV-XVIII), I-II, Deputazione di storia patria per il Friuli, Udine 1988; per il Trentino

cfr. M. Nequirito, Le carte di Regola delle comunità trentine. Introduzione storica e reper-

torio bibliografico, G. Arcari Editore, Modena 1988; F. Giacomoni (a cura di), Carte di regola e statuti delle comunità rurali trentine, I-III, JacaBook, Milano 1991.

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ché ogni centenario eleggeva in consiglio un officiale e due consiglieri (anche se questo numero fu soggetto a variazioni)93.

Il consiglio generale costituiva il vertice della gestione interna del terri- torio. Al consiglio spettava la nomina delle principali cariche ammini- strative, contabili e di giurisdizione civile, penale ed ecclesiastica. Era di competenza del consiglio deliberare in materia di organizzazione eco- nomica, fiscale e amministrativa oltre che il rilascio di licenze per svol- gere particolari professioni (notariato o alcune attività commerciali)94.

All’interno del consiglio, una figura particolarmente rilevante era quel- la dell’officiale. Gli officiali erano notai eletti dai rispettivi centenari e svolgevano un ruolo di collegamento tra le comunità di villaggio di cui erano rappresentati e il consiglio generale di cui erano membri. All’interno dei centenari gli officiali svolgevano funzioni di tipo giurisdi- zionale, mentre la partecipazione al consiglio permetteva a queste figure di accedere alle principali cariche elettive conferite dall’assemblea. Que- sto ruolo di cerniera tra realtà locale e sovralocale rese questa carica particolarmente ambita e divenne, a partire dalla seconda metà del XVI secolo, appannaggio dei principali gruppi familiari dei diversi centena- ri95.

Tale articolazione amministrativa non fu modificata, nei suoi caratteri sostanziali, dall’ingresso di questi territori nella compagine territoriale veneziana che avvenne con la dedizione del 142096. In quest’occasione,

in linea con la politica della Serenissima attenta a garantirsi il consenso delle aree periferiche, in particolar modo di quelle poste lungo confini

93 A. Pozzan, Istituzioni, società, economia in un territorio di frontiera. Il caso del Cadore

(seconda metà del XVI secolo), Forum, Udine 2013, p. 56, 69.

94 Ivi. pp. 34-37. 95 Ivi. p. 43.

96 Il Cadore fu inserito nella Patria del Friuli e sottoposto alla giurisdizione del luogo-

tenente di Udine. Alle autorità locali preesistenti furono affiancate due figure incarica- te di rappresentare il governo veneziano: il capitano e il vicario. Su questi aspetti cfr. A. Sacco, La vita in Cadore. Aspetti del dominio veneto nelle lettere di capitani e vicari

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strategici, i Cadorini ottennero la riconferma del preesistente assetto istituzionale interno oltre ad alcuni privilegi di carattere fiscale, militare e patrimoniale97.

L’annessione di queste zone alla Repubblica di Venezia formalizzò dei legami che, dal punto di vista economico e commerciale, si erano già sviluppati da tempo. Il volano che aveva favorito la penetrazione dei ca- pitali veneziani in Cadore era rappresentato dal commercio del legname di cui si hanno attestazioni documentarie già dal XIII secolo98. Nel corso

dei tre secoli successivi, il processo d’inserimento di quest’area nei cir- cuiti commerciali veneziani assunse caratteristiche sempre più marcate e giunse a piena maturazione nei decenni che seguirono la fine del con- flitto cambraico (1516). La crescente domanda di legname da parte della pianura veneta e in particolar modo dei centri urbani spinse numerose casate di mercanti veneziani a un’integrazione sempre maggiore nella società cadorina attraverso una stabile presenza in loco e grazie al con-

97 Dei privilegi patrimoniali, per quanto riguarda le proprietà collettive, dirò più avanti.

Dal punto di vista fiscale, il Cadore era esentato dalla tassazione diretta in cambio dell’assegnazione a Venezia dei dazi sulle merci in transito (mude) tra cui la più reddi- tizia era la cosiddetta muda grande che riguardava il commercio del legname. I privile- gi militari consistevano nell’esonero di qualsiasi obbligo militare al di fuori del Cadore dato che l’area era particolarmente esposta poiché collocata lungo il confine con i ter- ritori arciducali; cfr. M. Colle, Boschi, regole e mercanti nel Cadore del XVII e XVIII seco-

lo: il caso della Val Visdende e del Centenario di Comelico Inferiore, in Comunità e que- stioni di confini in Italia settentrionale (XVI-XIX sec.), M. Ambrosoli, F. Bianco (a cura di),

Franco Angeli, Milano 2007, pp. 111-127; A. Pozzan, Istituzioni, società, economia cit., pp. 21-32 inquadra questi specifici aspetti nel più vasto dibattito del rapporto centro- periferia nel processo di costruzione dello stato moderno nell’Italia settentrionale. Per quanto riguarda la Repubblica di Venezia cfr. C. Povolo, Centro e periferia nella Repub-

blica di Venezia. Un profilo, in Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia tra medioevo ed età moderna, G. Chittolini, A. Molho, P. Schiera (a cura di), il Mulino,

Bologna 1994, pp. 207-221; e «Terra d’Este», n. 17 (1999) con numerosi contributi de- dicati allo stato degli studi sulla Terraferma veneta. Per una riflessione metodologica v. O. Raggio, Visto dalla periferia. Formazioni politiche di antico regime e Stato moderno, in

Storia d’Europa, IV, M.Aymard (a cura di), Einaudi, Torino 1995, pp. 483-527.

98 Ph. Braunstein, De la montagne à Venise: les réseaux du bois au XVe siècle, in Mé-

langes de l'Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes» n. 100/II (1988), pp. 761-799; G. Fabbiani, Appunti per una storia del commercio del legname in Cadore, Tip. Benetta, Belluno 1959.

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solidamento di legami politici e commerciali con il notabilato locale. Questi elementi furono funzionali al rafforzamento dell’influenza vene- ziana in quest’area, con importanti risvolti anche dal punto di vista so- ciale e culturale99.

A livello locale, le trasformazioni economiche e sociali innescate da questo massiccio sfruttamento del patrimonio forestale e dal crescente afflusso di capitali finanziari veneziani, provocarono un progressivo ina- sprimento della conflittualità legata alla duplice dimensione che aveva assunto il patrimonio collettivo, in particolar modo quello boschivo100.

Esso, infatti, continuava a svolgere una fondamentale funzione di soste- gno per gli strati più deboli della popolazione che da questi territori po- tevano ricavare gratuitamente il legname da fuoco o da opera oltre che importanti redditi integrativi grazie alla partecipazione ai lavori boschi- vi. Da questo punto di vista i terreni collettivi non rivestivano solo una funzione economica, ma anche simbolica e culturale rafforzando i lega- mi solidaristici interni alle comunità di villaggio. Questi vincoli tradizio- nali si rinsaldavano soprattutto in contrapposizione a elementi esterni: poteva trattarsi di contrasti di confinazione dei terreni collettivi tra due villaggi limitrofi, della pretesa da parte di alcuni forestieri di beneficiare dei diritti consuetudinari riservati agli originari, oppure dell’intromissione di qualche magistratura veneziana volta a regolare o impedire lo sfruttamento di determinati terreni101. Allo stesso tempo la

99 Sui modi e i tempi della “conquista dell’Alpe” da parte del patriziato veneziano v. E.

Concina, Il Cadore al tempo di Tiziano. Territorio e cultura, e Id., Alpi e Rinascimento.

Questioni di storia del territorio e della cultura nel Cinquecento veneto, entrambe in Ti- tianus Cadorinus. Celebrazioni in onore di Tiziano, Pieve di Cadore, 1576-1976, M. Mu-

raro (a cura di), Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno, Verona 1982, pp. 49-59, 63-78.

100 Sulla conflittualità relativa all’utilizzo delle risorse collettive, si vedano i contributi

comparsi in D. Moreno, O. Raggio (a cura di), Risorse collettive, «Quaderni storici», n. 81 (1992).

101 È possibile estendere al Cadore le considerazioni fatte per la limitrofa regione mon-

tuosa della Carnia, cfr. F. Bianco, Carnia cit., Id., Contadini, sbirri e contrabbandieri nel

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comunità poteva ritrovare una momentanea e apparente compattezza in opposizione ad atteggiamenti che contrastavano in maniera troppo evi- dente con le consuetudini del villaggio e le norme statutarie in cui erano state formalizzate102.

A questa dimensione consuetudinaria e perequativa dei beni collettivi se ne associava – e, per molti versi, se ne opponeva – un’altra, rappre- sentata dalla crescente importanza del mercato del legname, e dei fe- nomeni speculativi a esso connessi, che aveva portato all’aumento delle differenziazioni sociali e al consolidamento di consorterie familiari che si contendevano il controllo delle principali cariche elettive103. Alcune ca-

sate riuscirono ad accumulare grandi fortune sfruttando le posizioni oc- cupate nelle istituzioni locali (in particolar modo nel consiglio generale) per inserirsi nel redditizio commercio del legname, dapprima come in- termediari o soci dei mercanti veneziani, per poi subentrargli quando, nel corso del XVII secolo, i ceti dirigenti della Serenissima spostarono progressivamente i loro capitali dall’attività commerciale al possesso fondiario104.

colvera), Cierre, Verona 2005; C. Lorenzini, Spazi “communi”, comuni divisioni. Appunti sui confini delle comunità di villaggio (Carnia, secc. XVII-XVIII), in «La ricerca folklorica»,

n. 53 (2006), pp. 41-53.

102 Per alcuni esempi su questi aspetti e su quelli indicati nel capoverso successivo cfr.

A. Sacco, La vita in Cadore cit.; P. Eicher Clere, La comunità sregolata: notai-notabili e

potere locale nel Cadore del secondo '500, tesi di laurea, Università degli studi di Vene-

zia, rel. Giorgio Politi, 1987-1988; F. Bianco, Tumulti, agitazioni sociali e istituzioni co-

munitarie nel Cadore di fine Settecento, in Il Piave, A. Bondesan, G. Caniato, F. Vallera-

ni, M. Zanetti (a cura di), Cierre, Verona 2000, pp. 228-244.

103 Il doppio ruolo che potevano assumere le risorse collettive, sia perequativo nei con-

fronti della parte più povera della popolazione, sia funzionale al consolidamento di ri- strette élites, è un elemento diffuso in varie parti d’Europa; cfr. T. De Moor, Participat-

ing is more important than winning: the impact of socio-economic change on commoners’ participation in eighteenth and nineteenth-century Flanders, «Continuity and Change»,

n. 25/III (2010), pp. 405-433; I. Iriarte-Goñi, Common lands in Spain, 1800-1995: per-

sistence, change and adaptation, in «Rural History», n. 13 (2002), pp. 19-37; J. M. La-

na, From equilibrium to equity cit., L. Mocarelli, Spazi e diritti collettivi cit.

104 A. Zannini, I mercanti di legname delle Alpi orientali (secc. XV-XVIII). Note da alcuni

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Due temi particolarmente controversi in cui emergevano vari conflitti di competenze tra i diversi livelli che costituivano la Comunità cadorina – e in particolare tra consiglio generale e regole – erano quelli, tra loro strettamente legati, della definizione dei regolieri e della titolarità delle risorse collettive. Si trattava in entrambi i casi di conflitti la cui ragione sostanziale era di carattere economico, ma la cui soluzione assumeva importanti risvolti anche dal punto di vista politico, giuridico e simboli- co.

Per quanto riguarda il primo aspetto, come si è accennato, i diritti di partecipazione all’assemblea regoliera, così come quelli di utilizzo del patrimonio collettivo, non erano assegnati individualmente ma al grup- po familiare individuato dall’aggregato domestico (fuoco). In questo sen- so, l’attribuzione dei diritti di utilizzo del patrimonio collettivo su base familiare rappresentava un fattore allo stesso tempo conservativo e pe- requativo105. Conservativo perché, a differenza di altri sistemi di gestio-

ne delle risorse collettive regolati dalla sola residenza, poneva dei vincoli maggiori all’utilizzo di tali risorse, limitando in questo modo i rischi di un sovra-sfruttamento delle stesse. Perequativo perché il metodo di as- segnazione dei diritti comunitari era stabilito secondo criteri relativa- mente equi, a differenza di altri sistemi in cui esso era assegnato in ba- se a paramenti patrimoniali (p. es. la quantità di fondi agricoli o di ani- mali posseduti dai rispettivi nuclei familiari)106.

Oltre ai benefici che derivavano dall’appartenenza all’assemblea rego- liera, ogni fuoco doveva sottostare a degli oneri altrettanto equamente distribuiti (costruzione o manutenzione di edifici o infrastrutture comu-

ghy, A. Riem Natale, M. Romero Allué, R. De Giorgi, A. Del Ben e L. Gasparotto (a cura di), II, Forum, Udine 2011, pp. 471-478.

105 Sulla funzione omeostatica di queste norme nel rapporto popolazione risorse cfr. i

casi presentati in L. Lorenzetti, R. Merzario, Il fuoco acceso. Famiglie e migrazioni alpine

nell’Italia d’età moderna, Donzelli, Venezia 2005, pp. 31-54

106 Per una panoramica sui diversi sistemi che regolavano l’utilizzo dei beni comuni in

vari stati dell’Europa Nord-Occidentale cfr. T. De Moor, L. Shaw-Taylor, P. Warde (a cura di), The management of common land cit.

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ni, obbligo di partecipazione all’assemblea e di svolgere gli incarichi che in essa erano annualmente assegnati ecc.). Diritti e doveri erano acqui- siti per discendenza patrilineare e, in caso di assenza di eredi maschi, era prevista anche la successione femminile, possibilità che decadeva nel caso di matrimonio con persone esterne alla regola107.

Queste norme, la cui origine era fatta risalire al legame di consangui- neità tra le famiglie che avevano colonizzato il territorio, servivano a raf-

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