Dopo la Liberazione, e in particolare con la rottura del Fronte nazionale e la formazione del governo De Gasperi che esclude i partiti di sinistra – condizione essenziale per poter aderire al piano americano di finanziamenti per la ricostruzione – la Resistenza viene re-interpretata. La guerra partigiana non è più vista solo come la lotta di liberazione contro il Fascismo, vanto nazionale e riscatto popolare, ma anche come il tentativo dei partiti di sinistra di dar vita ad una rivoluzione comunista sullo stampo di quella russa: un evento da temere nelle sue ripercussioni e da combattere con i mezzi della propaganda. Socialisti e comunisti vengono quasi demonizzati – si ricordino i toni della campagna elettorale del 1948 – e con essi gli ex partigiani, rinnegati e attaccati dal paese per cui hanno combattuto.1
Una simile atmosfera ha condotto gli storici a parlare di “crisi della Resistenza”, indicando con questo termine il fallimento totale degli obiettivi e dei valori resistenziali, attaccati e denigrati da una classe dirigente in cui compaiono ancora i volti del decaduto regime fascista. La sensazione che gli ideali della guerra partigiana siano posti sotto attacco immediatamente dopo la Liberazione è evidente anche ai suoi protagonisti: La crisi della Resistenza2 è il titolo del numero
speciale della rivista “Il Ponte” uscito nel 1947, in cui molti ex ribelli protestano contro il clima denigratorio creatosi nei confronti della guerra partigiana e dei suoi combattenti, sottoposti persino a procedimenti giudiziari come comuni delinquenti per gli atti commessi in tempo di guerriglia, mentre agli ex fascisti l’amnistia Togliatti ha risparmiato l’epurazione.
1 Alcuni riferimenti a questa situazione si colgono già nel romanzo di Pavese La luna e i falò,
nelle parole di Nuto.
2
La crisi della Resistenza, numero speciale di “Il Ponte”, anno III, n. 11-12, nov-dic 1947. Vi collaborarono Gaetano Salvemini, Piero Calamandrei, Arturo Carlo Jemolo, Vittorio Foa, Riccardo Levi, Roberto Battaglia, Alberto Pedrieri, Dante Livio Bianco, Carlo Galante Garrone, Paolo Barile, Domenico Riccardo Peretti Griva, Giovanni Ravagli, Mario Bracci, Luigi Bianchi d’Espinosa, Mario Vinciguerra.
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Contro i detrattori del Movimento di Liberazione operano gli intellettuali di sinistra, alcuni dei quali sono stati partigiani con ruoli di comando nel CVL. Le loro iniziative3 contribuiscono a restituire dignità ad un momento storico recente
la cui memoria è già vittima di strumentalizzazioni. La casa editrice Einaudi, inoltre, sostiene questo movimento di difesa attraverso la pubblicazione di opere e studi centrati sulla guerra civile, come la fondamentale racconta delle Lettere di
condannati a morte della Resistenza italiana4 a cura di Piero Malvezzi e Giovanni
Pirelli. Grazie a tutti questi contributi, si giunge alla celebrazione del decennale nel 1955: un evento che apre infine una fase nuova, un cui la guerra civile torna ad essere oggetto di studi per la storiografia e tema di riflessione per la narrativa.
È azzardato sostenere che sia stato solo il clima denigratorio diffusosi nell’immediato dopoguerra nei confronti della Resistenza a impedire che la letteratura realizzasse senza reticenze e dubbi il racconto di essa. Sono molti e diversi i fattori che devono aver influito, a livello collettivo e individuale, primo fra tutti il poco tempo trascorso rispetto ai fatti, che non ne ha permesso una calma rielaborazione. È certo però che anche l’atmosfera di sospetto e ambiguità nei confronti dell’argomento deve aver impedito alla narrativa di maneggiare in libertà una tematica che era ancora così bollente.
Trascorso l’incandescente momento delle strumentalizzazioni, però, il soggetto della guerra partigiana trova il modo di giungere a maturazione. La grande stagione della narrativa resistenziale – per meglio dire, quella che finalmente guarda alla guerra civile senza vergogne, remore o dubbi, comprendendola nei suoi meccanismi – coincide, a maglie larghe, con l’abbondante produzione romanzesca sul tema apparsa negli anni ’60, dopo un decennio in cui si sono contati pochi titoli. Nello stesso periodo, anche la
3 Parri fonda L’Istituto Nazionale per il Movimento di Liberazione a Milano, nel 1949; un
comitato d’iniziativa che raduna molti intellettuali antifascisti, da Barbara Allason a Ezio Vigorelli, organizza a Venezia nel 1950 un convegno, dal titolo La Resistenza e la cultura italiana, fondamentale per la spinta propulsiva che darà agli studi successivi.
4 P
IERO MALVEZZI, GIOVANNI PIRELLI (a cura di), Lettere di condannati a morte della Resistenza
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memorialistica partigiana vive una stagione fruttuosa. Il ritorno sulla scena politica delle forze neofasciste del Msi, che arrivano persino all’accordo col governo Tambroni, spinge i protagonisti della Resistenza a parlare di essa in toni interamente positivi, interpretandola come lotta compatta, unitaria e sempre valida contro un regime dittatoriale soffocante e autoritario i cui fuochi sono sopravvissuti e sono ancora capaci di minacciare l’integrità della giovane e fragile democrazia nata da quella guerra.
Dal canto suo, la narrativa vede nascere racconti in cui la Resistenza non è più il contesto che i personaggi, su cui è posto il focus narrativo, devono comprendere con difficoltà e fatica, ma diventa così centrale che il romanzo sembra costruirsi attorno ad essa invece che intorno al percorso evolutivo dei suoi attori, i quali le cedono il ruolo di protagonista. La guerra partigiana è dipinta finalmente come una dimensione in cui muoversi liberamente e aprire nuovi orizzonti interpretativi: una realtà animata da figure vitali, comprese e sicure del proprio ruolo, che si danno all’avventura con entusiasmo, senza ritrarsene per paura o incomprensione.
Beppe Fenoglio
Rientra a pieno titolo in questa categoria di scrittori Beppe Fenoglio, di cui sarebbe fin troppo facile parlare ora a dismisura. Dal momento che ho preferito concentrarmi su autori meno considerati dalla critica, mi limiterò ad alcune brevi osservazioni sulle novità che la sua narrativa apporta alla tematica. Già Calvino aveva visto nello scrittore langarolo il primo vero cantore della Resistenza:
E fu il più solitario di tutti che riuscì a fare il romanzo che tutti avevamo sognato, quando nessuno più se l’aspettava, Beppe Fenoglio, e arrivò a scriverlo e nemmeno a finirlo (Una questione privata) e morì prima di averlo pubblicato, nel pieno dei quarant’anni. Il libro che la nostra generazione voleva fare, adesso c’è, e il nostro lavoro ha un coronamento e un senso, e solo ora, grazie a Fenoglio, possiamo dire che una stagione è compiuta, solo ora siamo certi che è veramente
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esistita: la stagione che va dal Sentiero dei nidi di ragno a Una questione
privata.5
Fenoglio è un intellettuale periferico, che vive lontano dai circoli culturali in cui si decidono le linee da seguire. In tempi in cui i racconti sulla Resistenza non sono più in voga, l’intellettuale langarolo elegge la guerra partigiana a tema principale della sua narrativa; nonostante gli editori dimostrino di preferire, di tutta la sua opera, i più brevi racconti di argomento rurale, egli non abbandona il progetto del grande affresco partigiano, tentando e ritentando di pubblicare, almeno parcellizzato, il lavoro in cui si condensa la sua essenza di scrittore.
Fenoglio racconta la Resistenza, che fa parte della sua personale autobiografia, spinto da una necessità che possiamo definire interiore, quasi un imperativo morale che lo obbliga a fare i conti con la propria memoria. La fatica della scrittura che egli affronta è tesa a restituire sulla pagina un’esperienza che non è solo pretesto narrativo ma fondamento di un percorso individuale con cui è quasi costretto a misurarsi.
Come si sa, negli anni immediatamente successivi alla Liberazione Fenoglio stende su alcuni taccuini, usati per la contabilità nella macelleria del padre, un breve racconto di chiara origine memoriale in cui sono presenti eventi e personaggi che diverranno centrali nel Partigiano. Scrive Lorenzo Mondo nella prefazione al volume in cui sono editi questi Appunti partigiani:6
Siamo comunque ben lontani dall’assiduo lavoro sulla lingua del
Partigiano Johnny, dalla sua prosa scolpita e solenne, dal suo fermo
splendore. E anche dall’uso dell’inglese, come fissatore privilegiato di segni e di suoni. Fenoglio non se ne serve negli Appunti, anche se dimostra di averne piena confidenza nelle scene di Bretton Oaks scritte direttamente in quella lingua. Eppure la storia dei taccuini, almeno per le vicende parallele, si può leggere tutta in filigrana nel Partigiano
Johnny. Là risusciteranno il Comandante Nord e il tenente Pierre (che
qui, dopo qualche oscillazione con Piero, finirà per chiamarsi Cosmo), Ettore col suo «casco da aviatore», la staffetta Sonia (altro nome di Claudia) martirizzata dai fascisti e il marmocchio ferito in
5 I.C
ALVINO,Prefazione a Il sentiero dei nidi di ragno, cit., p. 22.
6 BEPPE FENOGLIO, Appunti partigiani ’44-’45, a cura di Lorenzo Mondo, Torino, Einaudi,
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un’imboscata (che solo negli appunti risulta figlio della mezzadra della Langa).7
La genesi memoriale dell’officina narrativa di Fenoglio, dimostrata da Mondo nella prefazione ai Taccuini e ribadita poi, tra gli altri, da Valter Boggione,8 può essere uno dei motivi che portano lo scrittore ad accogliere nei suoi romanzi suggestioni e situazioni fino a quel momento mai toccate dalla letteratura sulla Resistenza ma tipiche invece della memorialistica partigiana. Per lo scrittore, questa è una ricchezza che, lungi dall’abbassare il livello della sua narrativa, contribuisce ad elevarla, a renderla più realistica e allo stesso tempo drammatica.
Nelle sue opere, egli dipinge un personaggio che costituisce una novità per la narrativa romanzesca pubblicata fino a quel momento. Soldato nell’esercito regolare, dopo l’8 settembre Johnny è subito padrone del proprio destino: rifiuta l’imboscamento e cerca con decisione il partigianato. Nelle sue scelte non esiste paura o dubbio. Si coglie immediatamente la differenza che lo separa dai protagonisti dei romanzi pubblicati precedentemente e visti finora, i quali restano paurosi e indecisi oppure sono frenati nell’azione da numerose inquietudini.
La gioia di Johnny che si avvia verso il partigianato è un unicum, se confrontato con la paura manifesta o con gli scrupoli intellettualistici dei suoi predecessori. Protagonisti simili all’alter ego di Fenoglio si possono trovare numerosi nella memorialistica: per esempio, nei racconti di Pino Levi Cavaglione, di Pietro Chiodi e di Mario Spinella. Ecco Johnny:
Partì verso le somme colline, la terra ancestrale che l’avrebbe aiutato nel suo immoto possibile, nel vortice del vento nero, sentendo com’è grande un uomo quando è nella sua normale dimensione umana. E nel momento in cui partì si sentì investito – nor death itself would
7
Ivi, pp. XIII-XIV.
8Scrive Boggione: «È vero che i taccuini “non contengono gli appunti stesi a caldo da
Fenoglio durante la guerriglia” [….]. Resta il fatto che la forma narrativa adottata dall’autore è quella dell’autobiografia; anzi, quella di un’autobiografia nel suo svolgersi, dunque del diario. Il titolo stesso scelto dal giovane Fenoglio, Appunti partigiani, più ancora della scelta di farne protagonista un Beppe, nato nel 1922 e figlio di Amilcare e Margherita, lo denuncia apertamente. ( cito da VALTER BOGGIONE, La sfortuna in favore. Saggi su Fenoglio, Venezia,
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have been divestiture – in nome dell’autentico popolo d’Italia, ad opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare ed eseguire, a decidere militarmente e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma infinitamente più inebriante la coscienza dell’uso legittimo che ne avrebbe fatto. Ed anche fisicamente non era mai stato così uomo, piegava erculeo il vento e la terra.9
La voce narrante racconta le illusioni di Johnny sul mondo dei ribelli; fantasie che dovrà presto abbandonare quando, entrato nel gruppo dei comunisti di Tito, vi troverà uomini scorbutici e ignoranti, ormai dimentichi dell’educazione civile e resi bestie dalla vita nei boschi. Anche l’animalizzazione del partigiano, che, lontano dalle comodità della vita cittadina, deve adattarsi ai ritmi della natura e trovare in essa riparo e sostentamento, risulta essere un elemento innovativo dal momento che nessuno dei romanzieri finora incontrati – ci si avvicina solo Renata Viganò – aveva descritto in questi termini la realtà partigiana.
Nel romanzo emerge poi con grande forza la drammaticità della dimensione civile di una guerra che arriva a separare non solo uno stesso popolo, ma addirittura famiglie e fratelli: tesa e ricca di pathos è la condizione del partigiano Kyra e del fratello, ufficiale repubblichino. Le dinamiche comunitarie della realtà dei ribelli, che vivono in relazione paritaria uno con l’altro, è altro elemento innovativo, così come la figura finalmente positiva di un comandante venerato e rispettato, ma non temuto, perché discute e ragiona con i suoi partigiani, senza imporre su di loro un’autorità aprioristica o una cultura inarrivabile.
Attraverso Johnny, la voce narrante sa anche criticare le tecniche di combattimento di una brigata che si comporta come un esercito regolare, stabilendo punti base e guarnigioni fisse, mentre dovrebbe attuare una guerriglia di movimento, di agguati e colpi di mano: segno di una diretta conoscenza dell’argomento.
9 B.F
ENOGLIO,Il partigiano Johnny, Torino, Einaudi, 1968, che cito da IDEM,Romanzi e racconti,
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In sostanza, lo scrittore entra senza paura nella dimensione partigiana e ne può cogliere quindi le dinamiche, trasferendole sulla pagina. Tutti gli elementi innovativi che Fenoglio introduce, e che fino a quel momento non hanno trovato piena e matura cittadinanza in un romanzo resistenziale,10 avevano stabilito da tempo la loro residenza nella memorialistica; la disinvoltura con cui Fenoglio per primo li accoglie in un romanzo non può che venirgli dalla conoscenza di quelle fonti, e non soltanto dalla sua esperienza diretta di partigiano poiché questo ultimo elemento, tra l’altro, caratterizza anche tutti i romanzieri finora incontrati, eccetto Monti e Pavese.
Macroscopiche differenze tematiche – su quelle stilistiche non mi soffermerò – restano però a distinguere Il partigiano Johnny dalla memorialistica. La dimensione partigiana dipinta da Fenoglio non è per niente edulcorata, come avviene in molti testi di memoria: vengono raccontate le ingiustizie che serpeggiano dove esiste una condivisione del potere, come tra le guardie del corpo di Nord, e nelle situazioni grottesche dei giorni di Alba, in cui frotte di partigiani dell’ultima ora si riversano nella città libera dai fascisti per poi fuggire o imboscarsi quando si chiede loro di imbracciare le armi e resistere al contrattacco nemico. La stessa realistica ambiguità caratterizza la descrizione del comportamento dei civili: si trovano coloro che rischiano la vita per aiutare il movimento ma anche i profittatori – spie, contadini avari quando non violenti – preoccupati solo del proprio circoscritto interesse.
Quello che certamente differenzia il romanzo di Fenoglio dalla narrativa precedente risiede nell’immagine del suo protagonista, a cui mancano i dubbi, le insormontabili inquietudini e le reticenze verso l’azione dei suoi predecessori, cioè Enne2, Corrado, il Chierici, Remo. Mai Johnny si fa trovare indeciso, preda dello sconforto, dubbioso di fronte ad un atto che sente il dovere di compiere come parte di un’umanità per cui la libertà è inscindibile dalla propria natura. Se
10 Tenui abbozzi si intravedono nel Sentiero calviniano e nell’Agnese della Viganò, ma solo nel
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il Fascismo minaccia il libero arbitrio e obbliga ad una guerra ormai insensata è dovere dell’uomo in quanto tale combatterla anche a costo della propria morte. Il romanzo conferma, quindi, ciò che già la Ginzburg aveva affermato, e cioè che la guerra e la Resistenza, con la sua violenza e le sue contraddizioni, ha origine nell’uomo, e su di lui ricade il dovere di condurla a soluzione.
Il romanzo di Fenoglio, in sintesi, si fa senza dubbio capostipite di una stagione nuova. In essa la Resistenza trova la sua narrazione più realistica ed epica allo stesso tempo, critica e veritiera, con i suoi momenti tragici e goliardici, con i suoi chiaroscuri e le sue contraddizioni, ed è finalmente animata da personaggi attivi e consapevoli del proprio ruolo.
La capacità di innovazione dello scrittore, in realtà, sembrerebbe spingersi oltre la conquista di quel realismo epico su cui i critici hanno tanto insistito, e anticipare persino tendenze, notate da Valter Boggione, che la narrativa sulla Resistenza farà proprie più recentemente. Lo studioso ha evidenziato l’uso che lo scrittore fa dell’ottica bambina: questo è un elemento che caratterizzerà fortemente, come vedremo, la narrativa successiva. Scrive il critico a proposito delle scelte narrative di Fenoglio:
Se i partigiani sono matti, soltanto i bambini sono in grado di comprenderne la nobile follia, la sublime gratuità dell’offerta di sé; nell’Imboscata si legge: “Nessun adulto, questo per Leo era acquisito, sapeva e si intendeva di partigiani quanto il più tardo e il più miope dei ragazzini”.11
Lo sguardo bambino non è l’unico approccio narrativo di cui Fenoglio si fa anticipatore: nel capitolo Lo sguardo dell’antiretorica si dirà dell’uso che lo scrittore langarolo fa di quella tecnica, per esempio in alcuni dei racconti dei
Ventitre giorni della città di Alba. Per la grande ricchezza di spunti, quindi, risulta
riduttivo, anche se irrinunciabile, inserire in modo univoco e definitivo la narrativa di Fenoglio nel filone qui descritto: i suoi romanzi devono essere interpretati come tangenziali al panorama che sto tracciando, poiché in essi si
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trovano elementi riconducibili ai vari sguardi che, di decennio in decennio, la narrativa svilupperà per raccontare la Resistenza.
Il Clandestino
Come Il partigiano Johnny, anche Il Clandestino12 di Mario Tobino è un
affresco della Resistenza – in particolare dei suoi inizi – in cui l’evento storico in questione non è più allontanato e demonizzato ma assunto come momento positivo del riscatto di un’umanità fino a quel momento soffocata dal regime. È il primo romanzo in cui Tobino affronta questo nodo tematico, che toccherà tangenzialmente nel racconto Una giornata con Dufenne13 e riprenderà poi con Tre
amici.14
Opera dalla lunga gestazione15 e dall’origine autobiografica, Il Clandestino racconta i primi passi del movimento partigiano nato nell’immaginario paese di Medusa, dietro cui si distingue Viareggio. Al centro non è più un singolo personaggio come nei romanzi fenogliani ma un’intera comunità, che rivive nell’impostazione corale di un intreccio in cui le figure centrali sono alter ego di donne e uomini realmente esistiti. Il titolo stesso guida il lettore a far attenzione non ad un solo personaggio, come per il Partigiano, ma ad un protagonista collettivo: questo fa del romanzo di Tobino una tappa evolutiva da segnalare nel percorso della narrativa sulla Resistenza.
Non ci si concentra più sulle reazioni di un individuo che si trova perso ed isolato di fronte ad un evento più grande di lui; al contrario, la voce narrante pone l’accento su un cenacolo di persone, diverse per cultura ed estrazione sociale, che si uniscono, con entusiasmo e determinazione, nella lotta contro un nemico comune.
12 M
ARIO TOBINO, Il Clandestino, Milano, Mondadori, 1962, da cui citerò. 13M.TOBINO,Una giornata con Dufenne, Milano, Bompiani, 1968.
14M.TOBINO,Tre amici, Milano, Mondadori, 1988.
15 L’introduzione di Paola Italia all’edizione del 2013 (PAOLA ITALIA, Introduzione, in M.
TOBINO, Il Clandestino, Milano, Mondadori, 2013, pp. VII-XX) ricostruisce le tappe di stesura
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L’abilità pittorica dello scrittore si esercita nel ritrarre una gamma di personaggi molto diversi l’uno dall’altro. Guida l’organizzazione clandestina della lotta il Summonti, giovane di estrazione borghese ma convinto comunista – è conosciuto da tutti come il “prete rosso” – spesso frenato nelle sue decisioni da un credo politico che non lo aiuta a risolvere i tanti interrogativi della guerra civile; gli fa da spalla e da contrappeso il Mosca, ingegnere lontano dalle strette di partito e votato all’impeto, all’azione. Altro intellettuale e pensatore è Gustavo Duchen, docente di filosofia altruista e riflessivo, spesso riservato, che si lascia trasportare dall’entusiasmo della lotta; come lui Marino, scrittore e poeta che rifiuta la sua torre d’avorio e si unisce al gruppo clandestino, svincolandosi così dal ruolo iniziale dell’intellettuale inetto.
Il romanzo è attento anche alla stratificazione sociale: Adriatico, umile calafato orfano dei genitori, rappresenta la voce popolare di una città votata al