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Sono pochi, invero, quelli che si entusiasmano di ciò che appare soltanto allo spirito. I sensi, il sentimento, la passione, esercitano su di noi un potere ben più forte; e non a caso, poiché siamo nati non già per osservare e meditare, ma per vivere.

Johann Wolfgang Goethe Die Schriften zur Naturwissenschaft

2.1 studio su «Leben und Erkennen»

Geisteswissenschaftene Naturwissenschaften costituiscono il nerbo della ricerca di Dilthey. La sfida a lui contemporanea si presenta come il riconoscimento di una scientificità né costretta nel positivismo né abbandonata alle sole Naturwis- senschaften. Il problema centrale sollevato dal concetto stesso di “scienze dello spirito” (“scienze umane”) è quello di un’accezione filosofica di “scientificità”.1

Dilthey è alla ricerca di una nuova scientificità, un nuovo concetto di scienti- ficità (come Kant e poi Husserl: quale strenge Wissenschaft?). Nella Poetik come anche nello Aufbau allude al fatto che il poeta e la vita stessa compiono “espe- rimenti” per lo scienziato delle scienze dello spirito. Si tratta di un concetto di “esperimento” diverso da quello delle scienze della natura, del laboratorio, promosso dalle scienze del modello cartesiano meccanicista. È un esperimento più simile a quello di Comte o di Nietzsche.2 D’altra parte nella seconda

metà dell’Ottocento si consuma sempre più il modello meccanicista: dallo sviluppo delle geometrie non euclidee, all’elettromagnetismo; dalla genetica (necessità-libertà; apriori materiale) alla biologia; dalla Gestalt Psychologie alla psicanalisi (con la frantumazione del soggetto-coscienza); dalla relatività alla fenomenologia di Husserl.

1 Cfr. Cacciatore, Scienza e filosofia in Dilthey cit.

56 capitolo ii La connessione psichica che troviamo in noi, io la considero come uno stabile punto d’appoggio. Naturalmente, ogni energia del pensiero va concentrata nello sforzo di mostrare che, nella coscienza dell’io, vi è qualcosa di insolubile che non può essere dedotto da elementi e da relazioni fra elementi; tuttavia, lo svolgimento di questa proposizione darà come risultato sempre e solo qualcosa di probabile: altrimenti sarebbe questa proposizione stessa a costituire un punto d’appoggio del tutto stabile [. . .]Tutto questo, però, io lo svolgo con una certa durezza empirica [mit einer gewissen empirichen Härte], nel franco riconoscimento che dalle discrepanze, dissonanze, della nostra vita istintuale emerge con fatica qualcosa come umanità e individuo [. . .]così la franca apprensione dell’empirico risulta sempre rimandare al suo senso reale e alla sua connessione reale, la quale non è sovraempirica ma, secondo il suo valore e il suo significato, è qualcosa di metafisico.3 In quanto Gestalt e Vorstellung il vissuto è relazionalità radicalmente tem- porale, in ordine alla quale «è insufficiente anche l’avanzare nel tempo e l’addizione psichica del passato»4 Dopo gli anni Novanta Dilthey attenua

l’uso del concetto di connessione acquisita della vita psichica, addentrandosi direttamente all’analisi e alla descrizione delle dinamiche strutturali del vissu- to. Svaniscono così i residui di fisiologismo che sono rintracciabili nei saggi giovanili, e che agiscono ancora sullo sfondo della Poetik, proprio in relazione alla nozione di connessione psichica acquisita. Emerge con forza il tratto unitario rappresentato dal rilievo delle strutture articolative interne all’esperienza come vita, ovvero alle forme in cui si ordina l’esperienza correlativa, che egli chiama «categorie reali». Dilthey perviene alle categorie reali dalla sua logica, fin dal

suo Leben und Erkennen.5

La logica di Dilthey è una logica gnoseologica. Non però semplice gnoseolo- gia, ma teoria della conoscenza radicata e fondata nella vita e, come vedremo, di conseguenza, nel tempo. L’intuizione diltheyana della lettura delle categorie logiche come categoria temporali, o, meglio, storiche, è sì stata riconosciuta a più riprese da Husserl prima, e da Heidegger dopo. Al contempo però la fama di storico, letterato, e studioso rigoroso è stata accompagnata a lungo da quella di filosofo dal basso grado di rigorosità e finezza concettuale. Vediamo qui di seguito a che punto la logica di Dilthey era elaborata in occasione del suo scritto Leben und Erkennen. Ein Entwurf zur erkenntnistheoretischen Logik und Kategorienlehre. Si cercherà di mostrare nelle seguenti analisi come la logica progettata da Dilthey vada nella direzione opposta alla psicologia. In questo studio Dilthey affronta l’analisi della vita stessa nelle sue strutture e categorie. La strada intrapresa porta semmai ad aprire la questione ontologica della vita, e non quella solo gnoseologica della conoscenza, né tantomeno verso una “fondazione psicologica”. Scevri da tale pregiudizio, sostenuto da parte della storiografia e filtro interpretativo che ha fatto sentire i propri effetti sugli studiosi di Dilthey per molto tempo, ci accingiamo all’analisi del testo.

L’intento della ricerca è palesato fin dalle prime righe, nelle quali Dilthey ammette che si propone è «di esaminare tutto ciò che nella scienza e nella vita si presenta come verità, per vedere se questa verità è capace di dimo-

3 Dilthey, Briefwechsel zwischen Dilthey und dem Grafen Paul York von Wartenburg. 1877-1897 cit., p. 92.

4 GS VII, Plan der Fortsetzung, p.231 (p. 332). 5 GS XIX; FSS Leben und Erkennen.

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strarsi come tale»6. Le verità come le intende qui Dilthey nascono da processi,

che, per la sua ricerca, si possono «conoscere e esporre da sé»7. Tali verità

compongono infine una connessione nella coscienza. Proprio in virtù del luogo di osservazione, ovvero la connessione delle verità nella coscienza, l’at- teggiamento scientifico permette l’osservazione dei processi della coscienza, un’auto-osservazione quindi, grazie alla quale è possibile svelare i processi si pensiero «in cui, dai fatti, sorgono le astrazioni della scienza»8. I processi

così palesati, ritrovati dalla propria riflessione su sé, sono però solo i primi. Dietro ad essi se ne trovano di più elementari, tra i quali il collegamento di un’immagine emergente con impressioni presenti; l’orientazione del dato nella connessione temporale; le distinzioni e i collegamenti logici grazie ai quali il dato diviene visibile nella proposizione. Processi di processi, e, quindi, pro- cessi della coscienza, processi logici e processi elementari. Non è però questo il dato unico di riflessione, pena l’emergere di un idealismo coscienzialistico, ma al contrario, come dichiara immediatamente dopo Dilthey:

Ma come perfino dietro i monti che si vedono nello sfondo più lontano abita della gente, così tutti questi processi di distinzione, collegamento, relazione rimandano ultimamente a qualcosa che è dato, dato immediatamente9.

Questo è il fattuale per Dilthey: il dato che vive e sopravvive ai processi logici, dalla cui regolarità (distinguere, collegare, relazionare, ordine e connessione) «non potrà mai nascere qualcosa di fattuale»10.

Nel colore blu, nella nota do, nella sensazione di colore, nonostante le relazioni nella quali essi compaiono per noi, vi è un nocciolo che da quelle relazioni, in quanto tali, non può essere dedotto. Anzi, sono per l’appunto i processi che abbiamo esposto a pretendere un tale nocciolo.11

Il concetto di dato diviene qui centrale per la filosofia di Dilthey. Il dato è distinto dai processi che noi osserviamo di noi stessi. Gli effetti di tali processi li conosciamo bene, e sono il distinguere, il collegare, il relazionare e l’ordinare. Sono i processi cari alla psicologia del tempo, quelli che nella filosofia inglese hanno fondato le teorie di Hume, e che dopo per eredità ritroviamo nella logica di Mill. Dilthey fonda qui il suo metodo in modo deciso, distinguendo il dato dai processi. Delimita così la funzione stessa della riflessione su di sé: ciò che è così raggiungibile è la descrizione dei processi coscienziali, ma mai il dato di per sé. Ed anche i processi più nascosti, come possono essere quelli inconsci, «non possono bastarci per spiegare ciò che troviamo dentro di noi».12

Nel blu, nel sentimento di dolore, nel do, vi è un nocciolo che non può scaturire da alcuna relazione, ma, piuttosto, tutte le presuppone. Questo è ciò che noi vogliamo in prima istanza designare come il dato: proprio perché viene presupposto dai nostri processi coscienti e non 6 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 293 (p. 333).

7 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 293 (p. 333). 8 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 293 (p. 333). 9 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 293 (p. 333). 10 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 293 (p. 333). 11 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 293 (p. 333). 12 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 294 (p. 334).

58 capitolo ii abbiamo la benché minima coscienza della sua origine. Una cosa è questo dato e un’altra cosa sono i processi che se ne servono e che lo immettono in relazioni dentro la coscienza.13 Si va così delineando un importante principio, come la chiama Dilthey, ovvero quello duplice della intellettualità della percezione sensoriale, e del- l’intellettualità della percezione interna. Il dato di per sé, «puro», non esiste se non nel meccanismo di astrazione. Il dato immediato non esiste separa- tamente, se non nell’analisi: «esso viene selezionato soltanto nel pensiero analitico».14Il dato puro, immediato, non è rintracciabile nell’esperienza: «il

dato giace all’esterno della mia esperienza diretta».15 Dilthey mette qui in

discussione il sistema kantiano di materia e forma, o meglio, risistema la struttura percezione-intelletto in favore dell’intellettualità della medesima, riagganciandosi in tal modo sulla scia di Fichte, Schopenhauer, ma, ben più importante per lui, di Helmholtz:

Una conseguenza di questo importante principio generale è l’intellettualità della percezione sensoriale. Questa grande dottrina non è però stata dedotta dal principio generale, ma ha acquisito peso proprio come generalizzazione a partire dallo studio approfondito dei pro- cessi percettivi. Perciò anticipazioni di essa sono bensì riconoscibili in Fichte, Schopenhauer ma, come teorema dimostrato e positivamente fecondo, essa è stata esposta soltanto da Helmholtz. Essa costituisce una parte rilevante dei suoi lavori preparatori per una filosofia davvero fondata scientificamente.16

Si percepisce in questo passo l’atteggiamento caratteristico di Dilthey, quello che mira indiscutibilmente al ripensamento della filosofia nella sua fonda- zione scientifica. Per questo motivo sono a lui care le ricerche di Helmholtz, proprio per la loro base scientifica. La prospettiva diltheyana è qui debitrice al positivismo del suo secolo, ma con l’accezione tedesca del medesimo. Le sue ricerche, come si legge dall’impostazione che prendono, e dal linguaggio scelto, sintetizzano in una prospettiva tutta tedesca le tendenze positivistiche dell’epoca. Così facendo emerge il ruolo del dato, come abbiamo visto, de derivazione positivistica, al contempo però, in un unico gesto, si pensa all’in- tellettualità della percezione, di matrice cartesiano-kantiana, avendo di mira il fatto, la vita e l’esperienza, eredità del Romanticismo, dell’Idealismo e infine del Positivismo. Il tutto resta volto al tentativo lungo una vita di fondare la filosofia come scienza delle scienze umane, o meglio, come scienza della vita, ermeneutica della vita.

L’intellettualità delle percezioni, e, anche, di quella interna, non fa che circo- scrivere l’oggetto della ricerca sulla logica (le operazione dell’intelletto solo logiche), e allo stesso tempo, allargare a dismisura il campo d’azione della riflessione, che deve fare i conti con tutto il campo delle possibilità intellettive. È chiaro che, quindi, studiare le categorie logiche significa comprendere il modo di funzionare del pensiero e, quindi, dell’esperienza. Così facendo Dilthey non restringe il campo dell’esperienza su quello logico dell’intelletto;

13 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 294 (p. 334). 14 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 294 (p. 334). 15 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 295 (p. 335). 16 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 295 (p. 335).

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al contrario, amplia l’intelletto kantiano affinché la critica non si limiti alle categorie intellettive, ma deduca anche quelle «storiche». Si palesa allora il complesso disegno diltheyano, che si inoltra nel campo fino a quel momento nascosto di una logica che dia giustificazione del tempo e della storia. Intel- lettualità della percezione sensoriale e esterna significa per Dilthey chiarire definitivamente: tutto ciò che scopriamo riflettendo sui processi della coscien- za non può che essere correlato in sé in una struttura di processi intellettivi; tali processi intellettivi sono ciò che abbiamo come campo di ricerca, ma non esauriscono l’oggetto d’esperienza. Rimangono disgiunti dal dato, che è sempre presupposto dai nostri processi coscienti e che «non abbiamo la benché minima coscienza della sua origine».17. Dato da una parte, processi

intellettuali dall’altra: con la precisazione però che solo l’analisi e l’astrazione ci presentano un dato immediato, puro. Di per sé il dato che noi troviamo non può che essere sempre correlato nella struttura intellettiva che lo mette in relazione a tutto il resto dei processi intellettivi. Si apre così una prospettiva nuova per la filosofia tedesca, portata qui a esperimento da Dilthey: un cambio di sguardo sugli oggetti e sul modo di fare esperienza. L’oggetto di per sé esiste ed è presupposto dai processi intellettivi della coscienza. Non importa però qui l’«in sé» dell’oggetto (non abbiamo la benché minima coscienza della sua origine), ma il «come» del suo essere:

Sarebbe inaudito se il nocciolo: «colore blu» non stesse in relazione a qualche intento che io ho in mente nel compiere questa astrazione.18

Si apre così un mondo logico di intenzioni, correlazioni, processi coscienziali, consci e inconsci, e un modo di ricercare di Dilthey che anche a detta di Husserl anticipa il metodo fenomenologico. Non solo per l’uso della descrizione come modalità di ricerca, quanto per la visione che Dilthey presenta nelle sue ricerche. I suoi tentativi sono fin da questo testo volti a mostrare un modo di procedere nell’analisi dell’esperienza interna e esterna, anticipando l’epoché husserliana proprio a partire dagli strumenti a lui congeniali, figli del suo tempo. Proprio quindi dal re-immettere nella ricerca filosofica i concetti di dato, fatto, esperienza, intelletto.

Mettendo in crisi il concetto di dato Dilthey fa sue le ricerche di Helmholtz, criticando così l’impostazione contemporanea della psicologia del suo tempo di lavorare sui dati della coscienza interna come se fossero immediati, puri. Criticandone l’impostazione, Dilthey mostra come ogni dato sia già di per sé, come abbiamo visto, correlato, strutturato, intenzionato nel suo apparirci. Ne consegue la non trasparenza e immediatezza dei dati, anche di quelli interni, della coscienza. E, ancora, le «illusioni» della coscienza, dovute a errori nei collegamenti del dato immediato nel pensiero. Questi errori sono spiegati da Dilthey per esempio a partire dal ricordo, che è sempre meno intenso dell’attuale percepire. Il dolore in gioventù appare più tenue di quello del presente, e questo per la spiegazione psicologica e scientifica «della nostra

17 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 294 (p. 334). 18 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 295 (p. 335).

60 capitolo ii

incapacità di riprodurre sentimenti con la stessa intensità».19 Questa è una

prima classe di illusioni. La seconda classe di illusioni riguarda il tempo:

Noi giudichiamo la durata dei nostri stati propri notoriamente sempre in modo erroneo. Il tempo ci sembra quindi straordinariamente lungo (si dilata) quando dobbiamo subire qualche dolore o sopportare e mantenere una qualche tensione della volontà. Esso si dilata anche, benché in grado minore, quando attendiamo una persona o una cosa. In grado ancora minore, quando ci annoiamo. Per contro, esso si accorcia per lo più quando siamo impegnati in una occupazione periodica, regolare, molto gradevole, come per esempio quando giochiamo al whist. In grado minore, esso si abbrevia in un lavoro molto piacevole. Un influsso costante sembra essere qui esercitato dal fatto che la coscienza del tempo e della successione ha, in questi casi, diversi gradi e diversi criteri di misura.20

Terza classe è rappresentata da errati collegamenti introdotti tra gli stati attuali e passati e le loro cause. in questa casistica rientrano le errata valuta- zioni sulle proprio motivazioni. Perché è importante qui per Dilthey chiarire la natura del «dato» e l’intellettualità dell’esperienza? Perché in questo modo l’esperienza stessa, base di partenza di ogni scienza, può essere compresa nella sua natura particolare, di modo che sia possibile finalmente fare scienza su di essa, anche per quell’esperienza quotidiana e storica che la vita è. Solo con queste analisi sarà possibile fondare le scienze dello spirito, ovvero trovare la struttura dello spirito di modo da adeguarne metodo e scienza. Non a caso Dilthey dopo aver introdotto queste convinzioni riguardo l’intellettualità del- l’esperienza ne sottolinea l’importanza per la psicologia, la critica storiografica e la teologia. La teologia, esemplifica qui Dilthey, si basa proprio da una parte sulla teoria dell’esperienza interna (l’esperienza di fede), dall’altra sulla critica e l’ermeneutica storica (storia della chiesa, ermeneutica del testo biblico): «in ultima istanza, il fondamento di ogni teologia è la teoria e la critica dell’espe- rienza religiosa interna».21 Diviene così chiaro che una errata interpretazione

di cosa l’esperienza interna sia non può che portare a una errata fondazione della teologia. I teologi, aggiunge Dilthey, trattano le esperienze religiose come datità semplici, immediate, e prosegue: «innumerevoli errori della teologia poggiano su questo fatto».22

L’errore si fa qui gnoseologico, certo, ma allo stesso tempo «ontologico». Che cos’è il dato? Qual è la sua composizione, la sua natura? Che ne è del- l’esperienza di vita? Bisogna fare innanzitutto chiarezza su ciò che è verità, certezza, e illusione. Con la crisi del «dato», con il mostrarsi della struttura intellettiva nella sua continua e incessante elaborazione di dati, con l’emergere dei processi intellettivi Dilthey procede con l’unico scopo di fare chiarezza di ogni fondazione scientifica. Fondare scientificamente non può che porta- re innanzitutto a ricercare il terreno saldo e sicuro. La natura del dato ha mostrato come esso non possa in definitiva essere il punto di partenza della scienza, quale essa sia, se si cade nell’illusione di volerlo assumere come dato immediato. Emerge con forza il problema quindi degli atti che portano e emer-

19 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 295 (p. 335). 20 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 296 (p. 336). 21 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 296 (p. 336). 22 GS XIX; FSS Leben und Erkennen, p. 296 (p. 336).

logica della vita 61

sione il dato. Questa struttura, qui appena accennata, è qui di fondamentale importanza.

Orbene, le sensazioni e le esperienze interne di stato sembrano mostrarci però che alcune sono esterne, un «di fuori», mentre le altre sono interne, un «di dentro». È così possibile selezionare due tipi di dati immediati: nella mol- teplicità delle sensazioni è dato immediatamente un «di fuori», mentre nella sequenza degli stati, un «di dentro». La dottrina diltheyana dell’intellettualità delle sensazioni vuole superare questa dualità, poiché l’approfondimento dell’intellettualità insegna a distinguere, dall’immediatamente dato, i processi che vi si allacciano.

Un «Io» senza un «Altro», un «di fuori» senza un «di dentro», sono parole senza senso. Ciò è da ricondurre in ultima analisi al fatto che non può esserci un Sé come esperienza, dalla quale, poi, nascerebbe un Altro, un «di fuori» come esperienza. L’uno deve essere così nuclearmente indipendente quanto l’altro. Ci prepariamo a non trovare, nel dato, alcuna differenza nel modo di essere dato.23

2.2 validità

La teoria della conoscenza si ritrova così a una biforcazione. La prima par- te della sua ricerca dovrà indagare le specie di collegamento occorrenti nel pensiero cosciente secondo il loro carattere, origine, estensione. Si deve con- statarne quindi il valore conoscitivo di essi. L’altra parte della ricerca deve considerare secondo contenuto, carattere e origine ciò che così viene collegato, separato e ordinato. Ci si trova così di fronte al concetto di validità. Ogni criterio di validità è dato per Dilthey in un movimento di evidenza immediata, che chiama accorgersi [Innewerden], «in cui un fatto interno è la per la coscienza. Qui l’esser-ci, il comparire-alla-coscienza, sono per me la stessa cosa. Qui rappresentare e fatto coincidono. Ogni criterio di validità è tratto da qui».24I

fatti interni divengono così reali in quanto validi per me. Il dolore che sento è un fatto obiettivo, ed è possibile ricondurlo a cause obiettive, fisiche, che possono altresì essere sottoposte a discussione in rapporto alla loro realità, «ma lo stato interno di cui mi accorgo è, appunto, un fatto psichico in quanto

c’è per me».25Ogni fatto di cui ci si accorge è un fatto di coscienza, ed ognuno

di tali fatti, in quanto fatti di coscienza, è una effettualità. È quindi indifferente che al contenuto della sensazione corrisponda una realità esterna.

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