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di Lorenzo Tanzini *

Lo studio dei volgarizzamenti di opere letterarie nel XIIIe nei primi de-

cenni del XIVsecolo1si presta a una serie di chiavi di lettura, nella pro-

spettiva di uno studio globale della cultura italiana del tardo Medioevo. Gli studi pionieristici di Cesare Segre, proseguiti dagli anni Cinquanta fino a tempi molto recenti2, rappresentano in questo senso il punto di ri-

in G. Cavallo, C. Leonardi, E. Menestò (a cura di), Lo spazio letterario del medioevo. 1. Il medioevo latino, vol. III, La ricezione del testo, Salerno, Roma 1995, pp. 271-98.

3. Segre, I volgarizzamenti, cit., p. 281, laddove osserva che la «complementarità an- che fattuale dell’attività letteraria “creativa” e del volgarizzamento è importante per la ret- ta impostazione del problema delle traduzioni».

4. A. Calzona, F. P. Fiore, A. Tenenti, C. Vasoli (a cura di), Il volgare come lingua di

cultura dal Trecento al Cinquecento. Atti del convegno internazionale (Mantova, 18-20 otto- bre 2001), Olschki, Firenze 2003; N. Bray, L. Sturlese (a cura di), Filosofia in volgare nel me- dioevo. Atti del Convegno (Lecce, 27-29 settembre 2002), Féderation Internationale des In-

stituts d’études médiévales, Louvain-la-Neuve 2003, nel quale cfr. soprattutto l’introdu- zione di L. Sturlese, Filosofia in volgare, pp. 1-14, in cui rivendica un ruolo non esclusiva- mente ancillare dei testi filosofici in volgare, quasi si trattasse solo di riduzioni per laici.

ferimento essenziale e l’orientamento interpretativo che ha saputo dare a quella congerie di testi a lungo noti come esempi linguistici una dignità culturale di primo piano per la storia letteraria. Si è osservato, in parti- colare, come il lavoro di traduzione dal latino e la scrittura per così dire “creativa”, originale, rappresentino due volti diversi dell’attività cultu- rale di autori pienamente in grado di padroneggiare i due registri lin- guistici a seconda degli obiettivi e del pubblico3. Allo stesso tempo, si è

riconosciuto nel volgarizzamento non già un’operazione meramente strumentale, di mediazione di contenuti “alti” presso ceti fino ad allora lontani dalla fruizione di opere di dottrina, ma piuttosto un’opera di pie- na originalità, che nel formulare il testo latino in un registro differente ne “riscriveva” in un certo senso i contenuti rispetto all’ambiente dei de- stinatari, andando così a contribuire a un nuovo filone di cultura4. A

questo proposito vecchi steccati, quali quelli che separano laicato e cul- tura ecclesiastica, o letteratura poetica, retorica e filosofica, finiscono per attenuarsi, suggerendo il quadro di una intensa circolazione di testi di natura diversa ma ugualmente capaci di incontrare gli interessi dei ceti dirigenti del mondo dei Comuni italiani. Ed è proprio questa prospetti- va socio-culturale a rappresentare probabilmente uno degli ambiti di ri- cerca ancora promettenti: il problema, cioè, dei destinatari, di coloro per i quali l’opera di volgarizzamento venne realizzata. Alla luce della ric- chissima tradizione di studi sulla società del mondo urbano dell’Italia tardo-medievale (e della Toscana in particolare, che di quel fenomeno della scrittura volgare rappresenta il caso quantitativamente di gran lun- ga più cospicuo) sarebbe oggi assolutamente insoddisfacente una lettu- ra dei volgarizzamenti nei termini banali di una traduzione di testi lette- rari per un ceto “borghese” di mercanti lontani dalla cultura letteraria latina. La complessità e le tensioni delle società urbane del tempo si

5. J. M. Powell, Albertanus of Brescia. The Pursuit of Happiness in the Early Thir-

teenth Century, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1992; A. Ghisalberti, Al- bertano da Brescia e la genesi dell’umanesimo civile europeo, in “Studi umanistici piceni”,

15, 1995, pp. 53-62; F. Spinelli (a cura di), Albertano da Brescia. Alle origini del razionalismo

economico, dell’Umanesimo civile, della Grande Europa, Grafo, Brescia 1996; i temi lega- ti all’etica economica sono stati enfatizzati fortemente, anche oltre il ragionevole, nei sag- gi di O. Nuccio, dei quali cfr. almeno Albertano da Brescia: razionalismo economico ed epi-

stemologia dell’“azione umana” nel ’200 italiano, Università degli Studi “La Sapienza”, Ro-

ma 1997. L’unica edizione critica attualmente disponibile è quella di Albertano da Brescia,

Liber de doctrina dicendi et tacendi. La parola del cittadino nell’Italia del Duecento, a cura

di P. Navone, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, Firenze 1998, per la quale cfr. anche P. Na-

vone, La Doctrina loquendi et tacendi di Albertano da Brescia. Censimento dei manoscritti, in “Studi medievali”, serie III, 35, 1994, pp. 895-930; per gli altri due trattati si deve ricor-

rere ad Albertani Brixiensis Liber consolationis et consilii ex quo hausta est fabula de Me-

libeo et Prudentia, ed. T. Sundby, Havniae 1873 e De amore et dilectione Dei et proximi et aliarum rerum et de forma vitae, ed. S. L. Hiltz, Ph.D. Diss., University of Pennsylvania,

Philadelphia 1980. Per il trattatello sul parlare e tacere, che vedremo più da vicino, cfr. an-

esprimono pienamente nell’ambito delle scelte culturali dei loro ceti di- rigenti, e quindi anche il lavoro del volgarizzamento risponde a obietti- vi, esigenze e contesti differenti a seconda dei luoghi e dei tempi. Di con- seguenza parlare genericamente di volgarizzamento, data questa mul- tiforme rilevanza culturale, non è sufficiente a connotare l’orientamento di iniziative che rispondono a contesti molto diversi.

In queste pagine si tenterà di focalizzare proprio il problema dei de- stinatari delle opere di volgarizzamento, intesi non tanto come singoli beneficiari delle opere, quanto come loro riferimento socio-politico. L’attenzione verterà dunque non su elementi di storia linguistica e nep- pure propriamente di storia letteraria, quanto piuttosto sul problema dei meccanismi di recezione e diffusione delle opere volgarizzate e sulle sen- sibilità politiche che in quelle opere si esprimevano, per poi tentare, an- dando oltre i testi di natura letteraria, una lettura della funzione del vol- gare come “parola utile”, strumento di formazione politica dei ceti poli- tici delle città comunali nella prima metà del XIVsecolo.

1

L’esempio di Albertano da Brescia e i suoi volgarizzamenti tra Due e Trecento

Come spunto d’analisi fondamentale si adotterà qui quel fortunatissi- mo insieme di testi che è il codice dei trattati latini di Albertano da Bre- scia5. Non è difficile spiegare perché un’opera del genere meriti un’at-

che C. Casagrande, Parlare e tacere. Consigli di un giudice del secolo XIII, in E. Becchi (a cura di), Storia dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1987, pp. 165-79. Una grande quantità di testi e studi su Albertano e la sua fortuna sono accessibili dal sito http://free- space.virgin.net/angus.graham/Albertano.htm.

6. Ne sono testimoni i suoi sermoni: cfr. L. F. Fé d’Ostiani (a cura di), Sermone ine-

dito di Albertano giudice di Brescia, Favoni, Brescia 1874; M. Ferrari (a cura di), Sermones

quattuor, Fondazione Ugo da Como, Lonato 1955.

tenzione speciale nella prospettiva che vorremmo seguire. Nella re- cente ondata di studi sulla cultura politica del Duecento italiano, non vi è probabilmente nessuna figura che sia stata fatta oggetto di atten- zioni tanto spiccate, adoperata in ambiti di ricerca assai diversi (da lin- guisti come da storici delle istituzioni e della politica) e caricata di si- gnificati finanche eccessivi come crocevia di grandiose trasformazioni della cultura occidentale. Di certo i tre trattati del nostro, il De doctri-

na dicendi et tacendi, il Liber consolationis et consilii e il Liber de amo- re Dei et proximi, si pongono in una posizione mediana tra diversi am-

biti tematici e tipologie letterarie: l’opera devozionale di ispirazione re- ligiosa, il trattato di retorica, la narrazione letterario-filosofica e il ma- nuale di “etica pubblica”. L’autore, del resto, era figura in grado di re- lazionarsi con tutte queste diverse tipologie: giudice fermamente con- vinto del cruciale ruolo pubblico del professionista del diritto, uomo politico che visse intensamente e dolorosamente le vicende della sua città negli anni Trenta e Quaranta del secolo, finendo prigioniero del- le forze federiciane a Cremona, e infine uomo di intensa fede e since- ri scrupoli religiosi, probabilmente impegnato in una confraternita di laici nella sua città natale6, Albertano riversò nei suoi trattati una ri-

flessione etica dall’interno della tumultuosa vita cittadina del Duecen- to italiano.

Non è questa la sede per riprendere le tematiche legate alla genesi e ai contenuti della sua opera, che nella nostra prospettiva funge qui da prologo verso il tema centrale della ricezione volgare. Vale la pena però richiamare una suggestione tratta dagli studi di chi ha analizzato la sua proiezione presso il pubblico duecentesco, che lo onorò già pri- ma della fine del secolo di una tradizione manoscritta incredibilmente ricca non solo a sud delle Alpi. I trattati di Albertano sono pressoché contemporanei della grande esperienza retorica e letteraria della Sum-

ma di Pier delle Vigne, cioè della maggiore e di certo più controversa

7. Il suggerimento per un confronto è in C. Villa, Progetti letterari e ricezione euro-

pea di Albertano da Brescia, in Spinelli (a cura di), Albertano da Brescia, cit., pp. 57-67.

8. Sulla quale cfr. ora la monumentale opera di B. Grévin, Rhétorique du pouvoir mé-

diéval. Les Lettres de Pierre de la Vigne et la formation du langage politique européen (XIIIe-

XVesiècle), École Française de Rome, Roma 2008.

9. Era il contesto in cui erano nate, generalmente per mediazione degli ordini men- dicanti, esperienze religiose laicali di devozione “militante” nel senso delle strategie pa- pali: cfr. M. Gazzini, Fratres e milites tra religione e politica. Le Milizie di Gesù Cristo e

della Vergine Maria nel Duecento, in “Archivio storico italiano”, 162, 2004, pp. 3-78; d’al-

tra parte è proprio negli anni del pontificato di Innocenzo IV(1243-1254) che il papato, nel

contesto della lotta mortale con Federico II, elabora un approccio assai meditato ai regi- mi politici comunali, nel quale il realismo politico si univa alla capacità di formulare nei termini delle dottrina canonistica l’identità giuridica delle istituzioni municipali: cfr. L. Baietto, Il Papa e le città. Papato e comuni in Italia centro-settentrionale durante la prima

metà del secolo XIII, CISAM, Spoleto 2007.

denza cronologica suggerisce una contrapposizione non soltanto stili- stica7. Se infatti l’opera di Pier delle Vigne8, esplicitamente formulata

come opera “imperiale”, creazione di una retorica del potere tutta orientata a esaltare i diritti della maestà del re di Sicilia e imperatore, mette capo a un tipo di prosa latina ostentatamente “alta” e “difficile”, quasi inaccessibile nella sua leggendaria oscurità, Albertano (che pure non mancava, presumibilmente, dei mezzi retorici legati alla sua cul- tura di causidico) è portatore di un modello di latino piano, privo dei tecnicismi del dictamen, che assume la dichiarata impostazione didat- tica, quasi paternalistica, come orientamento di fondo sia contenuti- stico che stilistico. E in connessione con questi caratteri, Albertano mostra un orientamento indubitabilmente guelfo nelle sue scelte poli- tiche e nella sua ispirazione culturale di fondo. Se i riferimenti politici nei suoi tre trattati sono pressoché assenti, la testimonianza dei suoi sermoni lo colloca in quell’ambito di laici devoti politicamente inte- grati nei regimi guelfi verso i quali la stessa politica papale di guida cul- turale dei ceti dirigenti urbani guardava con attivo interesse9. Alberta-

no e Pier delle Vigne, insomma, sembrano rappresentare due milieux culturali lontani e contrapposti, non solo per i referenti politici a cui più o meno esplicitamente si richiamano, ma anche per le scelte di co- municazione culturale: l’uno che accentua gli elementi di elitario, pro- fessionale tecnicismo curiale, l’altro proiettato a un ammaestramento certamente colto ma potenzialmente aperto, pensato per i ceti dirigenti del mondo comunale. Dovremmo riprendere il paragone andando avanti nell’analisi.

10. D. Barca, Le traduzioni romanze del “Liber de Arte loquendi et tacendi” di Alber-

tano da Brescia, tesi di dottorato in Scienze letterarie, Università di Roma III, 1995. Senza

entrare nell’ambito delle versioni francesi, andrà però ricordato che una versione parzia- le e rielaborata del De doctrina dicendi atque tacendi venne inglobata all’interno dell’ope- ra maggiore di Brunetto Latini: cfr. Tresor, a cura di P. G. Beltrami et al., Einaudi, Tori- no 2007, pp. 466-87, e sul testo P. Torri, Edizione critica del volgarizzamento di Brunetto

Latini della “Doctrina de arte loquendi et tacendi” di Albertano da Brescia. Uno scavo nel- la tradizione del Tresor, tesi di dottorato in Filologia romanza, Università di Perugia, 1994. 11. F. Selmi (a cura di), Dei trattati morali di Albertano da Brescia. Volgarizzamento

inedito fatto nel 1268 da Andrea da Grosseto, Romagnoli, Bologna 1873; una seconda edi-

zione parziale del medesimo testo è in D. Santagata (a cura di), Il fiore degli ammae-

stramenti di Albertano da Brescia scritti da lui in latino negli anni 1238-1246, volgarizzati nell’anno 1268 da Andrea da Grosseto, Tipografia delle scienze, Bologna 1875, mentre Se-

gre (a cura di), Volgarizzamenti, cit., sulla base di una tradizione manoscritta più ampia di quella presa in considerazione da Selmi, edita una parte del De doctrina loquendi al- le pp. 139-71.

12. Il De amore Dei manca infatti quasi del tutto dal manoscritto pistoiese che tra- manda il testo nella versione più antica: l’edizione di riferimento è S. Ciampi (a cura di),

Volgarizzamento dei trattati morali di Albertano giudice di Brescia da Soffredi del Grazia notaro pistojese fatto innanzi al 1278, Allegrini & Mazzoni, Firenze 1832, che si segnala an-

che per l’accurata introduzione sulla complessa situazione manoscritta dell’opera; sul ma- noscritto cfr. anche la scheda in G. Murano, G. Savino, S. Zamponi (a cura di), I mano-

scritti medievali della provincia di Pistoia, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, Firenze 1998, pp.

93-4, scheda 185. Il testo venne redatto direttamente in Francia, mentre Soffredi si trova- va a Provins, e di lì a poco trascritto a Pistoia da un notaio suo concittadino, come recita l’incipit di uno dei trattati: «libro de la doctrina del dire e del tacere facto d’Albertano giudicie di Brescia de la nostrada di Sancta Aghata nel MCCXLVdel mese di dicembre e stralactato di latino in volghare per mano di ser Soffredi del Grathia in Provino di Santo Aiuolo e scricto per Lamfrancho ser Iacopi del Bene notaio di Pistoia socto li anni domi- ni MCCLXXVIIIdel mese d’abrile ne la sezta indictione».

1.1. L’Albertano volgare...

L’elemento che però rende Albertano interessante ai nostri occhi è la ric- chezza e la straordinaria precocità della sua fortuna nei volgarizzamenti italiani10. Intorno al 1290 circolavano in Italia almeno quattro volgariz-

zamenti integrali dell’opera del giudice bresciano, tutti redatti da autori diversi che avevano lavorato più o meno indipendentemente l’uno dal- l’altro. Il primo è ritenuto quello di Andrea da Grosseto, un intellettua- le probabilmente laico, che lavorò al suo volgarizzamento quando si tro- vava in Francia, approntando un testo in una prosa fiorentina estrema- mente matura ed elegante, compiuto nel 126811. Pochi anni dopo, presu-

mibilmente nel 1275, il notaio pistoiese Soffredi del Grazia, anch’egli in Francia, realizzò la sua versione, conservatasi mutila di uno dei trattati12.

13. Si tratta della versione – con ogni probabilità tratta da tre diversi codici ora per- duti, ma si vedano le osservazioni infra, p. 194 – che si legge nella vecchissima edizione

Tre trattati d’Albertano giudice da Brescia: il primo della dilezion d’Iddio e del prossimo, e della forma del’onesta vita: il secondo della consolazione e de’ consigli: il terzo delle sei ma- niere del parlare, scritti da lui in lingua latina dall’anno 1235 in fino all’anno 1246, e trasla- tati ne’ medesimi tempi in volgar fiorentino, riveduti dallo ’Nferigno accademico della Cru- sca [Bastiano de’ Rossi], Giunti, Firenze 1610, poi ristampata varie volte; relativamente al più breve dei tre trattati la versione della Crusca venne riprodotta anche in Trattato di Al-

bertano giudice del parlare e del tacere, a cura di D. A. V., In nozze Zustinian Recanati-Ba-

glioni, Tipografia Alvisopoli, Venezia 1830.

14. È questo il cosiddetto codice Bargiacchi della BNCF, sul quale cfr. S. Panunzio, Il

codice Bargiacchi del volgarizzamento italiano del “Liber consolationis et consilii” di Alber- tano da Brescia, in AA.VV., Studi di filologia romanza offerti a Silvio Pellegrini, Liviana, Pa-

dova 1971, pp. 377-419 e la cui versione del volgarizzamento è ora edita in F. Faleri, Il vol-

garizzamento dei trattati morali di Albertano da Brescia secondo il “codice Bargiacchi” (BNCF II.III.272), in “Bollettino dell’Opera del Vocabolario italiano”, 14, 2009, pp. 187-368. Sulla

lingua del codice cfr. A. Castellani, Pisano e Lucchese, in Id., Saggi di linguistica e filolo-

gia italiana e romanza (1946-1976), vol. I, Salerno, Roma 1980, pp. 283-326 (ed. or. 1965). 15. Oggetto di vari studi ed edizioni parziali: M. Barbi, D’un antico codice pisano-luc-

chese di trattati morali, in AA.VV., Raccolta di studi critici dedicata ad Alessandro D’Anco-

na, Barbera, Firenze 1901, pp. 241-59; N. Zingarelli, I trattati di Albertano da Brescia in dia- letto veneziano, in E. Percopo, N. Zingarelli, Studi di Letteratura italiana, vol. III/1, Gian-

nini, Napoli 1901, pp. 151-92.

16. G. Fatini, Andrea da Grosseto, in “Bullettino senese di Storia patria”, 15, 1933, pp. 56-72.

rentino, ancora degli anni Settanta, oggi non testimoniato dai mano- scritti e forse parziale13, e uno attribuito agli anni intorno al 1288, lingui-

sticamente di area pisana14. Ancora prima della fine del secolo si cono-

scono tuttavia altri esempi di volgarizzamento dei singoli trattati ad ope- ra di autori anonimi15. La ricca tradizione di studi filologici e linguistici su questi testi ci esime dal trattarne partitamente le caratteristiche. Ci si limiterà qui a segnalare un problema, cioè quello dei contesti sociali in cui certi testi nascevano.

Se si escludono per ovvi motivi gli autori anonimi, di cui è difficile anche solo immaginare le relazioni, gli unici casi davvero significativi possono essere quelli di Andrea da Grosseto e Soffredi del Grazia. So- prattutto il secondo, per la verità, perché di Andrea, ritenuto a lungo un chierico, poi riconosciuto come laico legato ad ambienti dell’emigrazio- ne (politica o commerciale) italiana in Francia, le notizie biografiche so- no disperatamente scarse16. Di ser Soffredi sappiamo invece che visse a

lungo in Francia ed ebbe incarichi di rilievo come notaio dei mercanti toscani alle fiere della Champagne, comparendo come estensore di al-

17. G. Zaccagnini, Nuove notizie intorno a Soffredi del Grazia, in “Giornale storico della Letteratura italiana”, 83, 1924, pp. 210-6; R. Piattoli, Ricerche intorno a Soffredi del

Grazia notaio e letterato pistoiese del secolo XIII, in “Bullettino storico pistoiese”, 76, 1974,

pp. 3-18, che oltre a mostrare in documenti l’esistenza in vita di Soffredi almeno nel 1298, e a richiamarne la presenza molto frequente dagli anni Settanta tra i mercanti italiani nel- la Champagne, edita un bel documento del 2 marzo 1278 in cui Soffredi è a Parigi e redi- ge sottoscrivendo con suo signum e sigillo l’importante testo dei patti tra l’ufficiale regio e tutti i consoli dei mercanti lombardi e toscani. Sul contesto linguistico in cui Soffredi e il suo copista opera cfr. P. Manni (a cura di), Testi pistoiesi della fine del Dugento e dei pri-

mi del Trecento, con introduzione linguistica, glossario e indici onomastici, Accademia del-

la Crusca, Firenze 1990.

18. Ora al centro di un rinnovato interesse degli studi con una torsione non solo filo- logica ma anche storico-politica: cfr. in particolare I. Maffia Scariati (a cura di), A scuola

con ser Brunetto. Indagini sulla ricezione di Brunetto Latini dal Medioevo al Rinascimento. Atti del convegno (Basilea, 8-10 giugno 2006), Edizioni del Galluzzo, Firenze 2008. Sui ri-

svolti concreti della vicinanza a simili ambienti sociali cfr. comunque infra, pp. 183-7. 19. Si pensi alle Moralités des philosophes-Moralium dogma philosophorum, alle Vies

des Pères-Vitae Patrum, ai Faits des Romains e altri, su cui cfr. Romanini, Volgarizzamen- ti, cit., p. 385 e tabelle allegate al testo; cfr. anche C. Segre, La traduzione come fenomeno

culturale. Primi secoli, in Calzona, Fiore, Tenenti, Vasoli (a cura di), Il volgare come lin- gua di cultura, cit., pp. 1-8. Si ricordi peraltro che dal francese venne volgarizzato negli stessi anni (presumibilmente nel 1288) il De regimine principum di Egidio Colonna: cfr. P. Di Stefano, Preliminari per un’edizione critica del “Livro del governamento dei re e dei prin-

cipi”, in “Medioevo romanzo”, 9, 1984, pp. 65-84.

cuni importanti documenti per conto dell’intera comunità dei “Lom- bardi” nei territori del re di Francia17. La sua esperienza, quindi, è quel-

la di un professionista della scrittura abituato al servizio dell’élite mer- cantile toscana: un’élite che a sua volta trovava nella costante frequenta- zione degli ambienti francesi uno stimolo all’elaborazione culturale. Non si dimenticherà, in proposito, quanto i soggiorni castigliani e fran-

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