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di Andrea Fabiano, che, oltre agli aspetti amministrativi e drammaturgico-letterari, pongono altresì l’attenzione sul processo di musicalizzazione che investe la Comédie Italienne soprattutto a partire dagli anni Cinquanta e poi sotto la direzione di Papillon de la Ferté39: prospettiva importante poiché getta finalmente luce chiara su quelle scelte drammaturgiche e politiche culturali che contribuirono al processo di trasformazione della Comédie Italienne nell’Opéra Comique. Ma si pensi anche agli interventi di Paola Ranzini40 e poi ai lavori di Silvia Spanu Fremder che completano il quadro, sul versante della drammaturgia italiana dei comici della Comédie Italienne tra il 1762 e il 1780, testimoniando di quei transferts culturali tra Italia e Francia anche durante la seconda metà del Settecento, e andando a focalizzarsi poi sull’attività attorico-autoriale di singoli personaggi come Antonio Cristoforo Mattiuzzi, detto Collalto41

Gli studi qui indicati offrono ormai un panorama importante dell’attività degli italiani in Francia sia dal punto di vista della ricostruzione storica degli eventi e degli attori, che dal punto di vista letterario. Ma a tutto ciò va aggiunto un altro aspetto fondamentale che di fatto caratterizza l’esperienza dei nuovi Italiens a Parigi nel Settecento, distanziandoli dai predecessori seicenteschi, e che inquadra la critica e la storiografia contemporanea non solo nel contesto della storia di una troupe e della rinascita e sviluppo dell’istituzione della Comédie Italienne; né solo nel suo universo drammaturgico, nel processo di innesto e mutua trasmigrazione di forme, temi, soggetti dalle commedie a canovaccio italiane al repertorio francese di testo o viceversa (all’interno

.

39 Andrea, Fabiano, Histoire de l’opéra italien en France (1752-1815): Héros et héroïnes d’un roman

théâtral, Paris, CNRS Éditions, 2006, e particolarmente pp. pp. 48-61; Id., La Comédie-Italienne di Parigi: un teatro dell’instabilità e del “papillotage”, in Instabilità e metamorfosi dei generi nella letteratura barocca, ed. Simona Morando, Venezia, Marsilio, 2007, pp. 287-298; Id., Nell’ipotalamo del teatro: osservazioni sulla drammaturgia dei testi goldoniani rappresentati alla Comédie-Italienne di Parigi, in

«Esperienze letterarie», 3-4 (luglio-dicembre 2007), pp. 102-119; Id., Buone figliuole deviate, manipolate,

tradotte: i libretti goldoniani a Parigi nel Settecento, in «Problemi di critica goldoniana», 14 (luglio 2009),

Ravenna, Longo Editore, pp. 207-220; Id., Gli allestimenti goldoniani alla Comédie-Italienne tra autorialità

ed attorialità, in «Problemi di critica goldoniana», 16 (2009), pp. 239-250 Id., La drammaturgia goldoniana alla Comédie-Italienne, in Parole, musica, scena, lettura. Percorsi nel teatro di Carlo Goldoni e Carlo Gozzi, ed. Giulietta Bazoli e Maria Ghelfi, Venezia, Marsilio, 2009, pp. 261-270; Id., Le théâtre musical à la

Comédie Italienne, in L’invention des genres lyriques français et leur redécouverte au XIXe siècle, ed. Agnès

Terrier e Alexandre Dratwicki, Lyon, Symétrie, 2010, pp. 225-238.

40 Paola Ranzini, Il pubblico parigino di Carlo Goldoni. Note per uno studio da farsi, in «Esperienze

letterarie», 3-4 (2007), pp. 229-247; Id., I canovacci goldoniani per il Théâtre Italien secondo la

testimonianza di un “Catalogo delle robbe” inedito, in «Problemi di critica goldoniana», 9 (2002), pp. 7-168.

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Silvia Spanu Fremder, Le répertoire et la dramaturgie de la Comédie-Italienne de Paris durant la seconde

moitié du XVIIIe siècle, Thèse de doctorat en études italiennes, sous la direction d’Andrea Fabiano,

Université Paris-Sorbonne, 2010; La mémoire des comédiens italiens du roi. Le Registre de la Comédie

Italienne a la Bibliothèque-Musée de l’Opéra (Th. Oc. 178), ed. Silvia Spanu, nota introduttiva di Andrea

Fabiano, «Les savoirs des acteurs italiens», collection numérique dirigée par Andrea Fabiano, IRPMF, 2007; Antonio Collalto, Les Trois Jumeaux vénitiens: Comédie italienne en quatre actes, représentée pour la

première fois le 7 décembre 1773 par les Comédiens Italiens ordinaires du Roi, ed. Silvia Spanu Fremder,

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stesso del teatro italiano o nella relazione con gli altri teatri parigini), piuttosto che allo sviluppo di forme di spettacolo originali come potranno essere i fuochi d’artificio o i

ballets-pantomimes. Ma si concentra su quell’aspetto, cui abbiamo accennato all’inizio,

che, proprio presso gli Italiani in stanza a Parigi, alimentò, quando non ingenerò, quell’ampia e importante discussione sulle teoriche della recitazione, specialmente fondata sul principio di una pluriennale e precipua pratica scenica, che avrebbe portato all’autonomia artistica e teorica dell’arte attoriale. Ci riferiamo naturalmente allo sviluppo della trattatistica sulla recitazione che vide a cavallo tra Sei e Settecento l’alba di un’inedita fioritura, nel tentativo di dissociare l’arte dell’attore da quella dell’oratore, ovvero dalle poetiche e dalle arti pittoriche. Questa trattatistica trovò tra la rue Française (dimora dei Riccoboni a Parigi) e la rue Mauconseil (dove sorgeva l’Hôtel de Bourgogne) i luoghi di una felice discussione con gli esiti noti dei trattati di Luigi Riccoboni, Dell’Arte

rappresentativa (1728) e le Pensées sur la déclamation (1738), e di François Riccoboni,

l’Art du Théâtre (1750), fino a giungere al Garrick ou les acteurs anglois (1769) di Michel Sticotti, testo da ricollegare all’esperienza dei comici italiani a Parigi non fosse altro che per i legami parenterali dell’autore con alcuni membri della compagnia parigina di Lelio.

Tale trattatistica andava a contribuire alla definizione dell’attore in quanto artista à

part entière, ma era a sua volta anche il frutto di una più ampia riflessione su scala europea

sull’attore stesso e l’oggetto della sua arte. La quale riflessione, in particolare a Parigi (ma anche ad esempio a Londra), prendeva in conto da un lato i mutamenti della società e il suo rapporto con la figura dell’attore, e dall’altro le avverse istanze religiose, così come la nascita della nuova critica sugli attori e la recitazione42. Essa prendeva in conto, infine, la nascita di una nuova coscienza dell’attore stesso, sia nei termini di autocoscienza, e quindi di rappresentazione e autocelebrazione, che di coscienza collettiva da parte del pubblico e della critica, tutti elementi che contribuirono a portare l’arte attoriale a una dimensione di autonomia inedita e quindi alla realizzazione di una teoresi possibile. Gli studi di Maria Ines Aliverti, all’intersezione tra testimonianze iconografiche e poetiche attorno agli attori inglesi e francesi del Settecento, sono chiarificatori di tutti questi aspetti43

42 Su questi temi torneremo ampiamente nella Quarta Parte.

. Aspetti che ci permettono di comprendere meglio la possibilità, durante la prima metà del Settecento, di una teoria per l’arte attoriale a metà via tra le arti figurative e poetiche, ma rivendicando

43

Maria Ines Aliverti, Il ritratto d’attore nel Settecento francese e inglese, Pisa, ETS, 1986; Id., Teatro e arti

figurative nella trattatistica della prima metà del Settecento: i presupposti di una teoria della figurazione teatrale, «Biblioteca Teatrale», n. s., n. 19-20 (luglio-dicembre 1990), pp. 125-139; Id., Poesia fuggitiva sugli attori nell’età di Voltaire, Roma, Bulzoni, 1992; Id., La Naissance de l’acteur moderne: L’acteur et son

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una nuova e sua propria specificità e autonomia linguistica e artistica: «c’est de la prise en charge de cette spécificité par un sujet que surgit l’acteur moderne»44

I lavori quindi di Luigi Riccoboni e poi di François, su cui avremo modo di tornare lungamente nella quarta parte della nostra tesi, proiettano e traslano la pratica scenica degli attori italiani in Francia, e in qualche modo anche il loro lavoro drammaturgico (basti pensare alle numerose parodie performative dei comici italiani a discapito dei francesi o alle loro parodies dramatiques, che contestano in termini di pratica scenica o di poetica teatrale l’operato dei colleghi Romains), su un livello fino ad allora inedito e cioè quello teorico, nell’alveo dell’ampia discussione sullo statuto (artistico e sociale) d’attore. Tale traslazione porterà parimenti con sé la specificazione teorica di un’estetica recitativa propria agli italiani e nettamente opposta a quella dei francesi, andando a dimostrare sul piano speculativo una realtà di fatto e cioè la pluridecennale differenza di stile recitativo tra gli Italiens della rue Mauconseil e i Romains de la rue Fossées Saint Germain. Questo aspetto legato alla teoria sulla recitazione dimostra dell’ennesimo livello di scambio culturale tra italiani e francesi nel corso del Diciottesimo secolo, oltre quello della pratica scenica e quello drammaturgico. Allo stesso tempo esso chiama a sé la necessità, per ogni indagine seria, di allargare lo sguardo verso orizzonti storico teorici che non si limitino al solo contesto degli italiani a Parigi o alla speculazione italiana sulla recitazione, ma vadano a intrecciare contesti produttivi e speculativi diversi. In questa direzione, sono importanti alcuni recenti esiti storico-critici come il fondamentale lavoro sull’Esthétique du tableau di Pierre Frantz

.

45

, benché particolarmente incentrato sulla seconda metà del secolo, ma i cui postulati estetici hanno radici profonde anche nella prima parte del Settecento, o quelli più specificatamente dedicati alla trattatistica, di cui ci limitiamo a citare i lavori dell’ultimo decennio come l’edizione di Dell’Arte rappresentativa a cura di Valentina Gallo, e il lavoro di Sarah Di Bella, L’expérience théâtrale dans l’œuvre théorique de Luigi

Riccoboni, strettamente legati agli studi riccoboniani di Lelio père46, ma anche l’edizione dei Sept traités sur le jeu du comédien curata da Sabine Chaouche47

44

Id., La Naissance de l’acteur moderne, cit., p. 12.

; e infine, ma soprattutto, i capitali interventi di settore di Claudio Vicentini, al cui apice vi è La teoria

della recitazione, volume apparso nel 2012, che per la prima volta conduce un esame di

45 Pierre Frantz, L’Esthétique du tableau dans le théâtre du XVIIIe siècle, Paris, PUF, 1998.

46 Luigi Riccoboni, Dell’arte rappresentativa, ed. Valentina Gallo, Paris, IRPMF, «Les savoirs des acteurs

italiens», collection numérique dirigée par Andrea Fabiano, 2006; Sarah Di Bella, L’expérience théâtrale

dans l’œuvre théorique de Luigi Riccoboni: Contribution à l’histoire du théâtre au XVIIIe siècle, suivie de la

traduction et l’édition critique de Dell’Arte Rappresentativa de Luigi Riccoboni, Paris, Champion, 2009.

47 Sept traités sur le jeu du comédien et autres textes: De l’action oratoire à l’art dramatique (1657-1750),

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tutta la trattatistica sull’arte della recitazione dai greci al Settecento, prendendo in conto tutta la speculazione europea48

Ora, tutti gli studi che abbiamo finora ricordato rivelano le varie angolature attraverso cui si è guardato all’esperienza plurisecolare dei comici italiani in Francia. Ognuno degli aspetti studiati, siano essi storici, legati alle pratiche sceniche, drammaturgici, ovvero teorici, getta luce sull’altro e da questo si nutre in termini di nuove significazioni contestuali. Così, la drammaturgia rappresenta un oggetto di studio in quanto monumento di poetiche, generi, stili e poi soggetti, temi e motivi riguardanti il repertorio della Comédie Italienne e il suo rapporto con il teatro italiano d’origine (si pensi allora al repertorio italiano proposto da Luigi Riccoboni tra il 1716 e il 1726 o, ad esempio, ai canovacci di Veronese, di Dionisio Gandini, o di Antonio Collalto nella seconda parte del secolo), con quello francese di prosa (Comédie Française) o musicale (Opéra e Opéra- Comique), ovvero con i teatrini meno formalizzati delle fiere parigine; ma allo stesso tempo essa può divenire funzionale, in quanto documento, alla scoperta della pratica scenica degli attori, soprattutto quando si tratta di opere composte dagli stessi attori della compagnia, ma anche da quegli autori che scrissero specificatamente per quegli attori (Marivaux su tutti). Tra le battute dei personaggi, più o meno trasparenti

. Sono studi che iniziano a fornire un supporto valido per la riflessione attorno a questa urgenza teorica, che investe, insieme ai savants e i philosophes, gli attori italiani a Parigi, primi nella categoria dei professionisti ad accedere al dominio della speculazione teorica in merito alla recitazione, liberi dalle pastoie della poetica (letteraria) del teatro e dagli orizzonti dell’oratoria.

49

48 Claudio Vicentini, La teoria della recitazione: Dall’antichità al Settecento, Venezia, Marsilio, 2012. Sugli

altri studi di settore si veda la Quarta Parte.

, è possibile allora intravedere gli interpreti che li recitarono e derivarne quindi ipotesi di un’arte attorica viva, multiforme e proteiforme. La pratica scenica, a sua volta, illumina la trattatistica sulla recitazione, in particolare quando si tratta di quei trattati che sono scritti proprio da attori praticanti che rivendicano, lo vedremo, una possibile teoresi solo sulla base dell’esperienza personale, denunciando più o meno esplicitamente la traslazione sul piano teorico di un sapere pragmatico maturato in decenni d’attività pratica. Ma è valido anche il contrario e cioè quanto la trattatistica, a sua volta, getti luce sulla pratica scenica e su una precisa estetica recitativa, proprio per lo stesso legame intrinseco tra la scrittura teorica e la pratica attoriale stabilita dagli attori-autori-teorici. La ricostruzione storica della vita e dell’attività degli attori infine, inseriti nei réseaux di formazione, culturali,

49 Mutuiamo l’espressione dal celebre capitolo di Claudio Meldolesi: Il personaggio trasparente, in Id., Gli

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intellettuali e sociali in cui essi operarono, può aiutare a chiarire, a monte di tutto, tempi di attività, periodi di concepimento e maturazione di opere drammaturgiche e teoriche, come anche influenze culturali e approcci artistici diversificati.

È nell’intreccio di questi elementi, e quindi all’incrocio di tutti gli studi letterari e storici presentati, all’insegna di una interdisciplinarietà che leghi prospettive storiche e teatrali ad approcci letterari, sulla scia di quanto già Virginia Scott prospettava un trentennio fa50

50 «The time has come to apply theatrical rather than literary criteria to the sudy of the commedia dell’arte in

Paris in the seventeenth century in order to describe the troupe, its theatres, its repertory, and its performance style»: Virginia Scott, The Commedia dell’Arte, cit., p. 9.

, che si può cogliere la reale posizione e il reale apporto degli artisti della Comédie Italienne in generale, e in particolare nel corso del Diciottesimo secolo. All’incrocio di tutti questi aspetti e di tutte queste angolazioni critiche e teoriche, che offrono ormai una base pregressa e contestuale solida di riflessione e un quadro teorico ben consolidato, che intende porsi il nostro lavoro di tesi su François Antoine Valentin Riccoboni, attore-autore e teorico del teatro, che a nostro avviso rappresenta il paradigma di tutta l’evoluzione del teatro degli Italiens in Francia e allo stesso tempo il prisma attraverso cui osservare quell’esperienza nelle sue direttrici estetiche, poetiche e teoriche. Uno studio che si propone di indagare la reale portata di questo personaggio, nel contesto degli scambi culturali tra Italia e Francia, in quello del teatro della Comédie Italienne di Parigi, ma anche, più in generale, nel contesto del teatro francese ed europeo del Diciottesimo secolo sotto la spinta di nuovi impulsi spettacolari e drammaturgici provenienti da più parti del continente; nel contesto infine dell’emergenza della speculazione teorica sulla recitazione. E ciò non per la pur interessante ricostruzione di un personaggio particolarmente trascurato dalla storiografia e dalla critica, come vedremo a breve, ma per interrogarci, e provare a dare alcune risposte, su questioni che ci sembrano rilevanti. Intanto quali legami con l’Italia e i suoi avi possono ravvisarsi nella vita e nell’attività di François? In che modo François operò all’interno del sistema teatro francese e franco italiano? Quali sono le reali eredità di cui egli si fece carico soprattutto in rapporto al padre, ma anche alla tradizione del professionismo italiano, sia in termini biografici, che poetici, che teorici? E poi, diversamente, quali altre influenze sono ravvisabili all’interno della sua produzione drammaturgica? Quale fu, ad esempio, il peso dell’attività parodica e musicale di Pierre François Biancolelli, erede dei modelli drammaturgici e spettacolari dell’ancienne Comédie Italienne, sulla scrittura di François? Quale dunque l’importanza relativa all’esperienza più generale dei comici italiani in Francia tra Sei e Settecento?

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Quale ancora il peso della teoria e delle sperimentazioni sul ballet-pantomime, provenienti in particolare dall’Inghilterra? E ancora, in che modo François giunse alla scrittura teorica? Quanto, della propria attività pratica, attorica, coreutica e autoriale, è ravvisabile all’interno dell’Art du Théâtre? Quale fisionomia assume dunque la nozione di attore- autore relativamente a François, che fu anche maître de ballets e ballerino? E infine, dal punto di vista teorico, quale fu il contesto in cui si colloca la sua speculazione? Quali i legami teorici con gli altri trattati coevi? Quale dunque la sua posizione di attore-autore- teorico nel secolo dei Lumi?

Rispondere a queste domande significherà naturalmente non soltanto cercare di liberare la figura di François da sedimentazioni e giudizi storici spesso non corretti e dovuti alla generale trascuratezza nei suoi confronti cui accennavamo più sopra, ma anche cercare di comprendere il reale apporto del nostro attore nel contesto dello sviluppo del teatro italiano nel Settecento, in particolare nel quadro teatrale francese ed europeo, in un secolo determinato da profondi cambiamenti non soltanto su un piano meramente teatrale e sociale, ma anche teorico e filosofico. Significherà comprendere meglio lo statuto d’attore- autore che caratterizza gran parte dell’esperienza dei comici italiani, anche nelle loro peregrinazioni e permanenze europee e parigine. Significherà dimostrare quanto François Antoine Riccoboni possa esser preso a paradigma sia di tutta la storia e l’attività artistica della nouvelle Comédie Italienne (almeno fino al 1764), sia dell’incontro tra italiani e francesi, in termini sociali, letterari, artistici e teorici: paradigma dell’incontro estetico, drammaturgico e poetico di due mondi da più di un secolo in reciproco e proficuo scambio culturale. Significherà insomma indagare quanto la tradizione italiana, nei suoi vari aspetti, possa convergere nella figura di un solo attore-autore-teorico e quanto questi possa essere a sua volta una chiave di lettura delle proiezioni di tali direttrici nel contesto della Francia e dell’Europa del Settecento, prisma, appunto, attraverso cui leggere i vari livelli di un operato artistico e le risultanti di quest’operato sul piano della cultura d’appartenenza, d’origine e d’adozione.

Lelio negletto: per uno stato dell’Arte

Come dicevamo, François Riccoboni è stata una figura particolarmente negletta dalla storiografia e dalla critica letteraria. Nulla si sapeva fino ad oggi della sua vita, della sua formazione attoriale, della sua concreta esperienza teatrale, e molto poco della sua

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opera di autore per il teatro, di cui solo la parte relativa alle parodie di opéras ha trovato un qualche riscontro significativo in studi comunque generali e di genere51

Laconiche sono le notizie contenute nelle celebri raccolte di Auguste Jal, Émile Campardon, e poi Luigi Rasi

. Anche il celebre trattato L’Art du Théâtre à Madame*** è stato in fondo poco studiato e, troppo spesso, solo in quanto ritenuto, per ammissione dello stesso Diderot, come un precedente significativo delle ben note tesi esposte dal filosofo nel suo Paradoxe sur le comédien. L’analisi del volume, apparso nel 1750, e destinato a porsi come punto di inizio della tradizione antiemozionalista sull’arte dell’attore, è stata in qualche modo guidata da una sorta di lettura “a posteriori”, generalmente asservita dalla critica settecentesca alla “spiegazione” del Paradoxe e quindi viziata da interpretazioni, anch’esse “a posteriori”, poco rispettose a nostro avviso dei dati intrinseci e contestuali.

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La mancanza di interesse su François Riccoboni può avere naturalmente molte ragioni. Sicuramente egli è stato schiacciato da presenze “ingombranti” e in primo luogo certamente proprio quella del padre, e forse proprio a causa di quel monumento eretto da Courville, che rischia talvolta di costringere in un filtro “Leliocentrico” tutta la lettura dell’esperienza della nouvelle Comédie Italienne, così come ogni indotto di quell’esperienza, nei suoi aspetti spettacolari, ma anche teorici. Del resto talvolta la storiografia e la critica più recente non hanno dissociato le figure di padre e figlio, cadendo forse nel tranello del nome d’arte Lelio portato da entrambi: nell’edizione della

Correspondance di Voltaire apparsa nella collezione Bibliothèque de la Pléiade di

Gallimard, all’indice dei Noms de personnes et de personnages appare un solo «Riccoboni (Louis-André)»

, savants dell’ultima parte dell’Ottocento che hanno setacciato archivi italiani e francesi sulle tracce degli italiani nati o adottati in Francia. La memoria più importante di François Riccoboni, restava ancora affidata essenzialmente agli accenni che Xavier de Courville gli consacra nel suo lavoro su Riccoboni padre.

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Si pensi ad esempio ai lavori citati sulle parodie di opéra o sulle parodie di tragedie.

, a cui vengono attribuite tutte le notizie contenute nell’epistolario di

52 Auguste Jal, Dictionnaire critique de biographie et d’histoire: Errata et supplément pour tous les

dictionnaires historiques d’après des documents authentiques inédits, deuxième édition corrigée et

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