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Gian Piero Bona

L ' I N D U S T R I A L E D O D E C A F O N I C O IL '900 DI ALBERTO BRUNI TEDESCHI

pp. 381, € 17, Marsilio, Venezia 2003

L

I industriale dodecafonico è un ritratto a tutto tondo dedicato a uno dei per-sonaggi più eccentrici del mondo musicale italiano novecentesco, Alberto Bruni Tede-schi. Il suo destino venne segnato da una doppia appartenenza (simile per certi aspetti al-l'iter, altrettanto particolare, di Riccardo Guali-no): al mondo dell'arte e a quello dell'industria, di cui fu esponente di spicco. Il libro di Gian Piero Bona, che collaborò con lui per il testo di quello che resta forse il suo lavoro più noto per il teatro, Il diagramma circolare, ne ricostruisce minuziosamente l'esistenza, a partire dal raccon-to del complicatissimo padre

Virginio, con cui ebbe sempre una relazione complessa.

Sullo sfondo di una

Dina-sty subalpina senza

esclusio-ne di colpi, balza in primo piano una fisionomia sfaccet-tata, cosi come la consegna al lettore la bella foto di Hel-mut Newton del 1992 che il-lustra la copertina. Una per-sonalità complessa, quindi, definita da una serie di in-contri fondamentali, tra cui quelli con Giorgio Federico Ghedini e Hermann Scher-chen, maestri, diversissimi eppure affini per funzione, del suo sentire musicale,

op-pure Pietro Accorsi, antiquario d'elezione, di cui Bruni Tedeschi fu a lungo cliente e amico e da cui acquistò buona parte degli oggetti che costituirono la sua ampia collezione. Il profilo è preciso, sia pure con qualche indugio eccessivo, ma non riesce sempre a rendere giustizia, con alcune semplificazioni improbabili, al lato "do-decafonico" dell'industriale, ovvero all'autore di quella musica che Massimo Mila definì "di ferro e di cemento" e che rivela una sua pecu-liarità precisa e non occasionale nel panorama postbellico.

Ciò è evidente in opere come le Variazioni per

orchestra, nella Messa per la missione di Nyondo e

in specie nella relazione con la scena, dal lontano

Villon del 1941 tenuto a battesimo da

Gianan-drea Gavazzeni e Giulietta Simionato a Paolo, la

giusta causa e una buona ragione, di cui esiste

an-che un film interpretato da Charles Aznavour,

Secondatto, Il mobile rosso, ispirato alla sua

pas-sione per il collezionismo, elenco a cui vanno aggiunti i balletti Diario marino e

Dia-rio,

t\W% 'ine, vero e

pro-prio congedo dall'esistenza, concluso poco prima della morte. Il volume reca come epigrafe programmatica una bella definizione di Stefan Zweig su Stendhal, per cui "simili nature ti fan capire di più della" molteplice stratifica-zione dell'anima e come i mo-ti più opposmo-ti e discordi si tocchino all'estremità ultime dei nervi e come l'infanzia già aduni in sé, foglia su foglia, le cose più volgari e più sublimi, brutalità e delicatezza".

Per non factum, sed genitum, omnia facta, sed non genita.

rio in una riflessione collettiva sulla musica di Ravel; ma basta leggere la prima risposta del compositore e la prima contro-replica del critico per capire che i due stavano studiandosi come Clint Eastwood e Lee van Cleef in un famoso film di Sergio Leo-ne. Solo che in questo caso la dotazione e la perizia balistica non venivano saggiate crivellan-do di colpi il cappello del con-tendente più anziano, ma sotto-ponendo a un esame paziente le reazioni non sempre composte di quello più giovane.

La corrispondenza relativa al "caso Ravel" era già stata analiz-zata da Giorgio Pestelli in uno studio apparso nel volume col-lettaneo dedicato a Berio nel 1995, curato anch'esso da Resta-gno ed edito da Edt; le novità del carteggio proposto adesso da Archinto sono dunque da ricer-care altrove. Utile a restituire il

clima di un'epoca domi-nata dal dibattito sul rap-porto fra arte astratta e sua comprensione è la lettera del 23 novembre 1959, in cui si precisa la presa di distanza di Berio dall'estremismo di alcu-ne posizioni suicide; in-telligente quanto venata da perfidia sottile è quel-la del 6 luglio 1968, in cui Berio inquadra in questi termini la con-testazione studentesca, da lui spe-rimentata oltreoceano: " [Per contestare] ci vuole coraggio e in-telligenza; il coraggio di contesta-re le cose, i luoghi, le persone che detengono effettivamente il mal-potere - l'intelligenza di contesta-re con modi sufficientemente sot-tili ed efficaci (...) L'altra soluzio-ne è il fucile. Quello che voglio dire (...) è che un individuo come Nono dovrebbe starsene a casa in attesa dell'assegno trimestrale da Los Angeles (USA) e non squali-ficare il movimento dei giovani con la sua presenza infantile. Po-trà uscire se c'è da prendere il fu-cile: ma vedrai che quel giorno rvrà la colite".

Strali di questo tipo si cerche-rebbero invano nelle lettere di D'Amico, scrittore dotato di franchezza spesso rude ma mai offensiva (il che vuol dire tutto meno che inoffensiva). Si veda il modo in cui i due recepiscono il libro più discusso di quegli anni, l'einaudiana Fase seconda di Ma-rio Bortolotto. Certo, a differen-za di Berio, D'Amico non vi è implicato direttamente: ma lo sti-le dei due si rivela anche qui inti-mamente (il che è altro da

"profondamente") diverso. Chis-sà, ora che Berio ha raggiunto il "nemico" di una vita, di cosa sta-ranno discutendo, lassù. •

alberto.rizzuti@tiscalinet.it

A. Rizzuti è ricercatore in storia della musica all'Università di Torino

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