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Il mondo rurale nel quale Luigi Einaudi è cresciuto conservava an-cora intatti i caratteri di una società d'altri tempi, che rendeva possibile l'esercizio dell'agricoltura come attività complementare a quella princi-pale che, di solito, si svolgeva nelle città.

Chi aveva il culto della proprietà rustica, come condizione essenziale per il pieno esercizio della libertà civile e politica, trovava nell'agricol-tura tradizionale, fondata sulla collaborazione fra il proprietario fon-diario, portatore di capitale, e la famiglia contadina, portatrice di lavoro, un mondo che gli consentiva di svolgere un'attività economica non disgiunta dai piaceri della vita campestre.

In questo mondo, che si può dire sia continuato ininterrottamente sino all'inizio del recente grande esodo rurale, va vista l'esperienza di Luigi Einaudi come agricoltore.

Invero, per Luigi Einaudi l'esercizio dell'agricoltura, prima di essere un fatto economico, era un modo, non ozioso, di prendere salutare con-tatto con la natura: non la caccia, non la pesca ma la coltivazione della buona terra offriva a Lui i fondamentali piaceri a cui, fin dalla prima giovinezza, usava ricorrere per interrompere un'intensa attività di ricerca e di studio, che subito apparve quasi prodigiosa. La conquista della terra è una costante della sua vita: conquista nel senso pieno della parola, poiché non si trattava soltanto di acquisire un patrimonio di terre, ma, soprattutto, di avviarle pazientemente a forme più intense di coltiva-zione, cosicché gli uomini vi potessero vivere in forma più civile, senza venir meno al rispetto per la natura.

Egli non era un agricoltore della domenica. Il suo non era un hobby ma un serio impegno, al quale si dedicava con pazienza operosa. E direi

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che dell'agricoltura Egli conosceva profondamente le difficoltà e sapeva apprezzare i gravi sacrifici che essa impone ai lavoratori dei campi.

Conosceva profondamente la vita del mondo rurale e molte pratiche agricole, anche manuali, non gli erano estranee. Il loro esercizio gli dava serenità spirituale e contribuiva, in maniera sostanziale, all'equilibrio biologico di un Uomo che trovava nel contatto diretto con le piante e col terreno un modo congeniale per rinnovare le sue immense risorse di energia.

Direi che Egli « sentiva » profondamente le piante. Non aveva reale dimestichezza con gli animali. Sostanzialmente Egli era viticultore, e soltanto viticultore. Il suo entusiasmo, mentre si accendeva in forma toccante di fronte ai suoi colli vitati, ai suoi stupendi filari di viti, che gli venivano incontro quando ritornava dalla città, raramente si manife-stava quando qualcuno di noi, estatico, gli illustrava la stupenda bellezza dei monumentali, bianchi manzi della coscia, orgoglio degli allevatori piemontesi.

L'agricoltura era il suo modo di oziare operando, di riposare lavo-rando; in Lui si incarnava l'affermazione di Leonardo secondo la quale il riposo è mutar fatica. Anche quando affrontava lunghi, minuti, per altri noiosi conteggi intesi a giudicare l'utilità di contrarre mutui per rinnovare o costruire case, stalle, fienili, o piantare nuovi vigneti, l'espres-sione del suo volto tradiva un intimo e profondo compiacimento. I fatti dell'agricoltura non lo annoiavano mai: le teorie, soprattutto quelle degli intellettuali agricoli, sì.

Ricordo che nell'estate del 1930 accompagnai, a Dogliani, Giovanni Lorenzoni, il quale stava compiendo una ricerca sulla formazione della piccola proprietà coltivatrice nell'Italia post-bellica: arrivammo da Mi-lano sull'imbrunire, "dopo aver girovagato tutto il giorno, come due goliardi, attraverso la pianura padana risicola ed i colli del Monferrato; e, scesi di macchina, subito iniziò, fervida, una serrata discussione nella quale la diversa formazione di Einaudi e Lorenzoni, che pur apparte-nevano alla stessa generazione, nutrivano gli stessi ideali, insegnavano le stesse materie all'Università, apparve, a me, luminosa ed ammonitrice.

Giovanni Lorenzoni, alla cui memoria rivolgo con profondo rispetto un commosso pensiero, era uno studioso di politica agraria: Einaudi era anche un agricoltore. Lorenzoni teorizzava; Einaudi, ben piantato sulla terra, riconduceva, con affettuosa ostinazione, il discorso sui fatti: ma non i grandi fatti della storia, bensì i piccoli fatti della vita quotidiana del proprietario coltivatore.

Certo Luigi Einaudi aveva letto i grandi testi che ancor oggi formano la base dell'economia e della politica agraria. Ma in Lui, come

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tore, non vi era niente di libresco. Quando era in campagna e affrontava l'esame di problemi agricoli si sentiva subito che Egli era un agricoltore come gli altri, che diffidava del nuovo, che temeva l'insidia burocratica, che sapeva quanto fosse impotente la tecnica di fronte ai capricci del clima, alla violenza della grandine, alla malizia degli uomini. In quei momenti era soltanto un agricoltore che conosce le scadenze dei tributi e dei mutui fondiari e che sa quanto sia variabile il prezzo dei prodotti alla raccolta. Come agricoltore Egli ha costruito un'azienda esemplare; ha pro-dotto vini celebrati; ha contribuito, in maniera rilevante, a dimostrare che la qualità e la genuinità di un prodotto riesce ad imporsi sul mer-cato. Ma ciò è avvenuto dopo decenni di sofferti risparmi, investiti in una delle contrade più belle ma più difficili del nostro Paese.

La Sua fede nella terra non fu mai scossa. Le avversità del clima, la crudezza del terreno, le gravi difficoltà economiche che attraversò l'Italia, specialmente dal 1929 al 1934, lo trovarono sereno e incrollabile nella difesa della sua agricoltura, dei suoi poderi, del suo mondo rurale, nel quale vedeva una ideale forma di vita.

La sua viva curiosità non era per la tecnica agricola, ma per la realtà dell'agricoltura. Ciò mi apparve chiarissimo quando, non ancora con-clusa la seconda guerra mondiale, Egli giunse a Roma ed io usavo accom-pagnarlo, a fine settimana, nella visita di aziende agricole del Lazio, dell'Umbria e della Toscana. In quelle occasioni, approfondiva vere e proprie ricerche e redigeva appunti precisi. Una mattina, a Brolio, nelle vigne circostanti al castello dei Ricasoli, sostenne, con tecnici eminenti, una vittoriosa discussione viticola, sgominando e incantando tutti con pedestri e sorprendenti argomenti.

Egli era, dunque, un serio agricoltore. Amava la tradizionale società rurale che la rivoluzione industriale doveva distruggere: e perciò amava la mezzadria di un amore così profondo da renderlo quasi cieco di fronte alle sue carenze; ma soprattutto amava la sua terra di Dogliani, che gli dava speranza anche nei giorni più bui, che gli forniva la quotidiana cer-tezza di un lavoro che nessuno avrebbe mai potuto togliergli: il lavoro dell'agricoltore.

Luigi Einaudi ha avuto la rara fortuna di racchiudere in sé talenti di regola disgiunti: la eccezionale attitudine al lavoro intellettuale e il gusto per la semplice vita campestre. Penso che non avrebbe potuto vivere così a lungo, così bene, con tanto vigore fisico ed intellettuale, con tanta pazienza e con tanto coraggio, se non avesse trascorso gran parte della sua esistenza in campagna, non da ozioso ma come un agri-coltore che adempie ai suoi doveri con puntigliosa precisione, per acqui-sire il diritto a vivere la sua vita in una società di uomini liberi.

ALESSANDRO PASSERIN D'ENTRÈVES