« Luigi Einaudi collezionista », è il tema propostomi; ma in verità, i collezionisti sono stati due: Luigi ed Ida, profondamente uniti, oltre che nella vita, anche nei gusti, nella scelta e nell'amore delle cose delle quali desideravano di essere circondati e rallegrati. Mi si è fatto l'onore, con troppa benevolenza, di parlare degli Einaudi collezionisti; ma in realtà, io non sono stato un frequentatore della casa; sono andato da loro solo poche volte con l'occhio indiscreto del curioso e in veste di questuante per chiedere prestiti per le mostre del Museo Civico di Torino; e tengo subito a dire che ogni volta nel 1937 e nel 1938 in occasione delle rassegne del barocco e del gotico, e particolarmente per la seconda del barocco nel 1963, ho trovato non solo gentile accoglienza, ma ampia comprensione ed una liberalità, che si esprimeva quasi in leti-zia nel pensiero di contribuire ad una inileti-ziativa di cultura ed in più ad una glorificazione dei particolari generi d'arte da loro prediletti. Ed è sul filo dei ricordi, alcuni dei quali vivissimi ancora, che cercherò di ricomporre il quadro delle cose d'arte viste ed ammirate in casa Einaudi qui a Torino, più di recente a Dogliani. È inutile dire che le predilezioni e le scelte di Luigi ed Ida Einaudi si sono rivolte quasi esclusivamente alle cose d'arte maggiore e soprattutto d'arte minore del Piemonte, ricer-cate, prenotate ed acquistate presso gli antiquari torinesi dal vecchio Mentore Pozzi di via Maria Vittoria al maggior loro fornitore Pietro Accorsi; ma anche nei negozi d'antichità di Roma e di altre città, che essi non mancavano mai di visitare con occhi attenti e perspicaci.
All'ospite che entrava in casa Einaudi, la predilezione per le cose d'arte del Piemonte la mostrava già subito l'arredamento con i bellis-simi mobili, quali il lungo tavolo, uno dei più architettonicamente com-posti ed armoniosi che io abbia mai visto della falegnameria
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quecentesca del Piemonte; i sei pregevoli seggioloni coevi decorati di fini intagli; un raro cassone aostano con pannelli scolpiti a pergamena, e per il '700 lo splendido, tipico armadio ad intarsio di legni pregiati e di avorio dell'ebanista Pietro Piffetti. E al mobilio ben si accordavano, a fare ambiente, tele settecentesche con vigorosi santi del casalese Pie-tro Francesco Guala, e con deliziosi paesaggi di Vittorio Amedeo Cigna-roli; e, con spicco più alto, a rappresentare la scultura lignea del '400 piemontese, un mirabile gruppo di santo guerriero a cavallo; e per tempi più recenti, il busto originale dell'economista Adam Smith, che model-lato dal torinese Carlo Marocchetti ed omaggio (come mi ha raccontato Marziano Bernardi) del pronipote dello scultore all'economista Luigi Einaudi, questi teneva, in grande onore, sul suo tavolo di lavoro.
E furono certo la stessa fedeltà e lo stesso amore per le cose d'arte della propria terra, gli intimi moventi, che hanno spinto i due Einaudi, forse fin da quando erano giovani sposi, ad applicarsi appassionatamente a riunire una raccolta di un genere d'arte minore, che avevano chissà quante volte studiato ed ammirato nelle ammassate vetrine del vecchio Museo Civico: le porcellane dette di Vinovo dal castello, dove re Vit-torio Amedeo III aveva concesso si insediasse la fabbrica di questi bei prodotti. E accresciuta pezzo su pezzo in forse più che cinquant'anni con la stessa intelligenza e l'eguale perseveranza che il senatore metteva nell'accrescimento della sua biblioteca, si formò la grande, meravigliosa raccolta, che costituì la gioia e diciamo pure l'orgoglio dei collezionisti Einaudi. Ed era un ben giustificato orgoglio: anche per il direttore, come ero io, di un museo che conserva, ed in parte espone la maggior collezione esistente delle porcellane di Vinovo, trovarmi, come mi sono trovato quel giorno del giugno 1963, di fronte all'insieme della raccolta Einaudi tutta riunita a Dogliani, è stato uno spettacolo ed un godimento senza pari, nel considerare, ammirando, il numero dei pezzi, oltre due-cento, la scelta accurata e rappresentativa di tutta la produzione, con esemplari rari e alcuni anche unici, tutti bellissimi e, per di più, perfetti di conservazione. E confesso che è stata per me una gioia ed una com-mozione quando, dalle trepide mani di donna Ida, che quasi di ciascun pezzo conosceva la storia ed il modo dell'acquisto, quelle preziose por-cellane passavano alle mie per la scelta da portare alla mostra del ba-rocco. Trentacinque furono gli esemplari prescelti che la somma libe-ralità di donna Ida mi concesse di esporre al nome di Luigi Einaudi e suo: e posso dire che si trattava di esemplari d'eccezione che comple-tavano sotto il riguardo documentario, la conoscenza, e soprattutto ac-crescevano con alto arricchimento d'arte la valutazione delle porcellane vinovesi.
LUIGI EINAUDI COLLEZIONISTA 49 Due, come è noto, sono i periodi di produzione delle porcellane di Vinovo: il primo sotto la direzione dell'arcanista alsaziano Pietro An-tonio Hannong, che impiantata nel settembre del 1776 la fabbrica con ottimi criteri tecnici, adatte attrezzature e con abili artisti e lavoranti nostrani e stranieri, dovette però nel 1779 cessare la produzione e la-sciar vendere a vile prezzo all'asta parte dei 20.000 pezzi giacenti; il secondo sotto la guida esperta del valente medico e chimico Vittorio Amedeo Gioannetti, che scoperta una nuova formula per ottenere la por-cellana con l'uso di terre nostrane, già nel 1780 riattivava, con il con-senso e l'aiuto reali gli impianti e, riaccesi i forni, mantenne attiva, sia pure con varia fortuna, la produzione fino alla sua morte nel 1815. Di queste due produzioni, che essendosi giovate degli stessi modelli e degli stessi artisti, si distinguono quasi unicamente per il diverso aspetto della porcellana, un po' giallina quella dell'Hannong, bianchissima la succes-siva del Gioannetti, la collezione Einaudi numera preziosi e rappresen-tativi esemplari. Del tempo dell'Hannong mi si lasci ricordare, fra i tanti, almeno una sontuosa zuppiera ed il suo piatto di notevole bellezza per la modellazione barocca e per la fine decorazione dipinta a mazzi di fiori, fra i quali spicca la tipica rosa propria a tutto il Vinovo; ed inoltre la ben modellata statuetta che, comune nel biscuit, ma unica nella porcel-lana colorata, raffigura, assisa su un masso, una giovinetta seminuda che tiene in grembo un fascio di fiori.
Ed anche per il successivo più lungo periodo del dottor Gioannetti, è da dire che solo la tenacia e la passione di collezionisti, può aver data agli Einaudi la ventura di trovare ed acquisire alla loro raccolta, non solo molti, ma tanti stupendi e rari pezzi degni di qualsiasi grande museo; e cito qui, solo ad esempio, le due caffettiere decorate a monocromo car-mino, l'una con la allegra raffigurazione di un girotondo campestre di nobili dame; l'altro con piacevoli paesaggi alla Cignaroli; paesaggi che, miniati a punta di pennello entro medaglioni, ritornano ad ornamento di una magnifica zuppierina e del suo piatto, segnati tutti e due dalla marca di Vinovo (una V sormontata da croce) in oro, propria delle por-cellane riservate ai servizi di corte. E fabbricata certamente per il re era stata anche una coppia di vasi dell'ultimo '700, pezzi unici (e gli Einaudi li avevano preziosissimi), che fregiati dell'aquila reale sabauda e deco-rati di motivi neoclassici, il Gioannetti aveva contraddistinto, oltre che con la consueta marca del Vinovo, con le iniziali del suo nome.
Ed anche ad uno, come me, che frequentava negozi di antiquari ed ha avuto occasione di vedere altre raccolte private di Vinovo, vien fatto di chiedersi come gli Einaudi abbiano potuto riunire la numerosa e, direi, spettacolare serie di gruppi e di statuine del Vinovo, che eguaglia,
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se pure non supera quella del Museo Civico, specialmente per l'insieme dei gruppi e delle statuine, difficilissimi da trovare in porcellana dipinta, e che attraenti per i soggetti e per i bei colori, sono rappresentati nella raccolta da esemplari pregevoli, sempre rari, alcuni anche unici, fra i quali spiccano, anche per valore d'arte, oltre alla statuina già ricordata, il mirabile gruppo della malatina svenuta cui un medico mascherato tasta il polso; l'altro del piccolo pifferare e della contadinella che si incurva su di lui in ammirato ascolto; le statuette delle stagioni, del mendicante coperto di stracci, dell'infreddolito spazzacamino, dell'uomo con la lan-terna magica, del cacciatore e tante altre con figure tratte per lo più dal mondo degli umili. E solo un contrattempo ha impedito che i due mas-simi capidopera della prima fabbrica dell'Hannong, modellati (ed uno anche firmato) dallo scultore Carlo Tamietti: una allegoria sabauda a più figure, ed il miracolo della caccia di sant'Uberto (quest'ultimo quo-tato ben cento lire nell'asta del 1779) non si aggiungessero alla serie degli Einaudi: la persona che ne era, chissà come, in possesso, non trovò l'antiquario abituale fornitore dei nostri collezionisti, ed andò al Museo Civico che ne fece subito l'acquisto. Non passò naturalmente molto che l'allora Presidente e donna Ida venissero al museo per conoscere e gu-stare i due straordinari pezzi miracolosamente ritrovati del loro caro Vinovo. Di quel Vinovo, che concludendo, posso affermare che è splen-didamente documentato per tutti i tempi della produzione, per ogni tipo di forme e di decorazione nella raccolta Einaudi, che tuttora conservata integra dai figli, pur fatta, come è, di preziosi, ma piccoli oggetti, è an-ch'essa una ammirevole, perfetta costruzione di amore, di intelligenza e di tenacia creata, come tante altre più grandi e alte, del nostro indimenticabile Consocio.
-LUIGI FIRPO