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Scelte metodologiche per la lettura dello spazio

3.1 I l m etodo Per c ammInamento Per la comPrensIone del luogo

Pagina a fronte: Constant Nieuwenhuys, New Babylon. In basso: la drammaticità dell’esperienza sensoriale del movimento all’intero di una scena urbana, nei dintorni della Chiesa di Westminster. (Da G. Cullen, Il Paesaggio Urbano).

Lo spazio parla, e parla anche quando non vo- gliamo ascoltarlo.1

È già stato sottolineato quanto la connotazione culturale di ciascun individuo risulti decisiva sulla diversa percezione sensoriale degli spazi. L’esperienza legata alla conoscenza dei luoghi, oltre ad essere vincolata dal filtro sociale è, so- prattutto, un’esperienza individuale dalla quale il singolo utente elabora le informazioni acquisite selezionandone alcune rispetto ad altre. Lo spazio contiene gli stati relazio- nali, i simboli e segni a cui ciascuna cultura, ciascun grup- po sociale e ciascun individuo attribuiscono significati, li contiene indipendentemente dal fatto che un individuo sia presente in quel luogo o meno. È lo stesso individuo che, nel suo processo di analisi e figurazione dello spazio, at- tribuisce un significato agli elementi più e meno rilevante rispetto a quello che assegnerebbero, agli stessi elementi, altri individui. Per questa ragione il paesaggio figurato è espressione, o rappresentazione, di questo filtro analitico puramente individuale.2

L’esperienza vissuta dall’individuo rimane univoca e ir- ripetibile espressione di quell’ambiente in quel preciso istante. Il paesaggio viene così configurato nei diversi tempi in cui l’uomo lo vede, lo attraversa, lo esperisce e ne dà una sua rappresentazione, prima mentale, poi grafica. Pertanto la singola esperienza produrrà una delle molte- plici immagini mentali3 di quello spazio: una delle tante

configurazioni e rappresentazioni della realtà percepita ed elaborata dal singolo passante.

La sommatoria delle sensazioni, delle esperienze visive tradotte in stimoli più facilmente figurabili e trasmissibili alla comunità, determina l’immagine più prossima e ogget- tiva di quello spazio; più prossima ma mai completamente raggiungibile, poiché la sua oggettivazione determinereb- be la non esistenza della varietà culturale e, quindi, della realtà stessa. Elaborare una sintesi delle varie esperienze risulta un’operazione necessaria, condensando in un unico

Gordon Cullen, Westminster Regained, ovvero una serie di illustrazioni del 1949 raffiguranti proposte progettuali migliorative del paesaggio nei pressi di Westminster. Tra i paesaggi urbani rappresentati anche la Victoria Tower e l’Embankment.

sistema di intermediazione culturale un sistema comunica- tivo carico di significati possibilmente il più comprensibile e inequivocabile per la comunità.4

Più un ambiente risulta complesso, maggiori saranno le operazioni di codifica necessarie; può del resto accadere che un solo punto di vista all’interno di uno spazio non sia sufficiente per esprimere i rapporti spaziali tra gli elemen- ti, spesso non è nemmeno sufficiente alla loro corretta e completa identificazione .

Il movimento aumenta la possibilità di estendere la cono- scenza di quello specifico luogo, poiché alla visione si ag- giunge la componente spazio-temporale capace di attivare meccanismi automatici di telerilevamento che amplifica- no le capacità sensoriali e figurative dell’utente.5 Grazie

alla molteplicità dei punti di vista l’individuo si orienta e domina lo spazio, sviscerandone le qualità non comprese dallo stazionamento in un unico punto di vista .

Se dunque immaginiamo la città come un grande corpo fisico e prendiamo metaforicamente come esempio l’ago- puntura, sappiamo che ci sono dei punti lungo i meridiani dove si attiva l’energia. Allo stesso modo mi piace pensare al fatto che, come fotografo, in fondo mi muovo come cer-

cando dei punti nello spazio fisico dove collocare il centro di osservazione e da dove poi proiettare lo sguardo.[..] Quando mi trovo in un luogo che non conosco ho bisogno di posizionarmi per poter costruire un rapporto tra me e lo spazio, per poter leggere e capire il luogo attraverso la sua forma.6

L’approccio dinamico consente di vedere il luogo non più come immagine bidimensionale di volumi, ma come spazi tridimensionali caratterizzati da velocità e pause, da sti- moli percettivi concorrenti in uno stesso luogo ma conti- nuamente mutevoli, aumentando il fattore soggettivo nella definizione dei significati. Quando il pedone attraversa lo spazio urbano, lo scenario che gli si prospetta si palesa attraverso una serie di momenti singolari, di esperienze univoche e rivelatrici.7

Tali esperienze sequenziali e progressive si esplicano at- traverso elementi o stati relazionali da codificare al fine di una loro descrizione e trasposizione di significati attra- verso codici o segni anche grafici. Lo spazio analizzato risulta così composto da elementi e relazioni tra essi non dissociabili e non analizzabili singolarmente, poiché le im- pressioni che sono capaci di determinare sullo spettatore

G. E. Debord, La Guide Psychogéographique de Paris, Discours sur les Passions de l’Amour.

La mappa psicogeografica, così come altri studi similari pubblicati dal bollettino dell’Internazionale Situazionista a partire dal 1958, è finalizzata a studiare gli effetti dell’ambiente geografico (in questo caso di quello parigino), sul comportamento affettivo degli individui. La psicogeografia, che si riallaccia al filone del determinismo ambientale noto già a metà Ottocento, analizza quindi le relazioni univoche tra ambiente e natura, e in particolare nell’influsso che la natura/architettura esercita sull’uomo che percorre quello spazio.

Concepita come una mappa pieghevole simile a quelle turistiche, in realtà la strana guida è un invito a perdersi nella città. La Parigi rappresentata è esplosa in pezzi, una città la cui unità è distrutta e in cui si riconoscono soltanto frammenti del centro storico che fluttuano in uno spazio vuoto, provenienti dalla carta storica di Turgot, nella quale gli edifici sono rappresentati in assonometria.

Colui che virtualmente usufruisce di questa carta per muoversi all’interno della città è tenuto a seguire le frecce rosse che indicano le direzioni di ingresso ai quartieri, capaci di collegare tra loro le unità di ambiente e le zone omogenee determinate in base a rilievi psicogeografici. ‘La città è stata passata al vaglio dell’esperienza soggettiva, misurando su se stessi e confrontando con gli altri quegli affetti e quelle passioni che si determinano attraverso la frequentazione diretta dei luoghi e l’ascolto delle proprie pulsioni. La delimitazione delle parti, le distanze tra le placche e gli spessori dei vettori sono frutto di sperimentati stati d’animo ottenuti errando in un terreno passionale oggettivo.’ Testo tratto da Un accampamento nomade alla scala planetaria, le mappe psicogeografiche, in Arti Civiche: Costant.

Serie di fotografie statiche di uno stesso elemento architettonico acquisito in movimento. Il principio del movimento attorno ad un elemento architettonico è il medesimo utilizzato per la metodologia di rilevamento tramite acquisizione fotografica tridimensionale da molteplici punti di vista. risultano istantanee e irripetibili. Questo permette all’es-

sere umano di rendersi costantemente conscio della posi- zione che assume all’interno dello spazio, di dominarlo, di renderlo controllabile e conoscibile, identitario. L’utente entra continuamente, in ciascuna delle posizio- ni che assume durante il movimento lungo il percorso, in rapporto con lo spazio, definendo costantemente ele- menti a lui vicini ed immediatamente identificabili (un qui) e individuando spazi sequenziali più lontani dalla sua posizione ancora non completamente compresi (un là).8 Il processo di identificazione del qui dell’utente

risulta fondamentale, poiché è istinto innato dell’uomo quello di provare curiosità per l’inesplorato, di uscire dalla posizione appena assunta in cui ha già effettuato un processo di codifica dello spazio, e muovere verso un inesplorato, percepito dalla vista, capace di stimolare un movimento esplorativo in quella direzione piuttosto che verso altri luoghi. Gli elementi da cui il pedone viene at- tratto e verso i quali tenderà a muoversi realizzano effetti drammatici nella scena, come i landmark che si stagliano

nell’omogeneità del tessuto, prefigurando scenari ina- spettati. La drammaticità spaziale si traduce in elementi plastici tridimensionali agli occhi del disegnatore; a lui spetta il compito di tradurre tali relazioni immateriali tra gli elementi in sistemi figurabili attraverso l’utilizzo del segno grafico .

Il disegno diviene il primo linguaggio capace di tradurre gli stimoli visivi provenienti dall’ambiente in segni gra- fici che raccontino l’esperienza dell’individuo all’interno di un luogo, in quel preciso spazio e in quel tempo. La mappa mentale che ogni individuo che percorre lo spazio è capace di elaborare sarà composta da sistemi fisici materiali e immateriali, che lo stesso individuo, attraverso il segno, sarà in grado di condividere con la comunità.

La capacità espressiva di associare certi segni ad oggetti prevede la progettazione di un sistema romantico di rac- chiudere nella modalità di sintesi riferimenti utili per la decodifica del linguaggio grafico operata dai destinatari dell’immagine.9

3.2 lascomPosIzIonesemantIcadellosPazIoPerl’acquIsIzIonedIgItale

Daniel Alain, Disegno, 1955. Vignetta pubblicata nel ‘The New Yorker Magazine, Inc.[..]’Perchè epoche e popoli diversi hanno rappresentato il mondo visibile in modi tanto differenti? Può ac- cadere che i dipinti che noi ammettiamo come aderenti al vero ap- paiono alle generazioni future inattendibili come le pitture egizie ai nostri occhi?[..] Tratto da E.H. Gombrich, Arte e Illusione, pag.17. Il progresso è quello del saper procedere dall’in-

definito al definito, non dalla sensazione alla percezione. Non impariamo ad avere percezioni ma a diffe-

renziarle.10 La produzione di immagini primitive, al pari dei primi disegni che un bambino è in grado di elaborare, partono dal concetto che viene rappresentato ciò che resta sedi- mentato nella memoria dell’individuo. Le impressioni dei sensi vanno a costituire la base su cui si struttura un linguaggio di archetipi e di forme tipiche stilizzate, esprimendo uno dei più efficaci esempi di semplifica- zione della complessità delle forme e degli oggetti. La memoria è capace di far emergere i soli aspetti caratte- ristici di uno spazio o di oggetti secondo la loro imma- gine più tipicizzata.11

L’artista primitivo, al pari del fanciullo, parte da que- ste immagini della memoria. Tenderà a rappresentare quindi il corpo umano frontalmente, i cavalli di profilo e le lucertole dall’alto.12

Il disegno o la rappresentazione grafica di quel determi- nato luogo risulterà espressione del dialogo tra soggetto e oggetto, e sarà tanto più semplificata quanto più sarà radicata come modello nel bagaglio della memoria del disegnatore. La selettività della memoria, specialmen- te nei soggetti adulti, può aiutare a rendere più facile il processo identificativo e semplificativo dello spazio. L’incapacità di riprodurre tutto quello che viene vissuto come esperienza quotidiana fin nel minimo dettaglio, spinge colui che si appresta a schematizzare lo spazio ad usare artifici simbolici, a ricorrere a forme che egli conosce, o crede di conoscere, poiché tali modelli espri- mono schemi precostituiti e sedimentati ormai acquisiti dall’esperienza.

La conoscenza, anche superficiale, dei meccanismi che la nostra mente è capace di strutturare per sedimentare

i ricordi e le esperienze sensoriali nella sfera della me- moria, e valutarne la limitatezza o l’esattezza dei detta- gli o di alcuni macro elementi che sorprendentemente il cervello è o non è stato in grado di registrare, è una con- dizione essenziale per poter definire le nostre personali strategie e i metodi da porre in atto per poter condurre le ulteriori operazioni di conoscenza e rilevamento del paesaggio.13

Il nostro modo di indagare lo spazio prevede una na- turale semplificazione delle complessità scomponendo lo spazio in forme elementari, derivate dai meccanismi mnemonici di quegli elementi, che vengono estrapolati, analizzati, geometricamente figurati e, successivamen- te, riposizionati nello spazio (anch’esso semplificato) attraverso specifici rapporti di collocamento. La scom- posizione, prima mentale e poi grafica, in forme è sia frutto di fenomeni culturali legati ai sistemi classici di

DISEGNI DI OLIVIA 4 ANNI DISEGNI DI TOMMASO 7 ANNI DISEGNI DI GIOELE 10 ANNI DISEGNI DI ALICE 12 ANNI UN UOMO UN CA VALLO UNA LUCER TOLA UNA CASA

rappresentazione14, sia parte di quell’esperienza indivi-

duale che porta ad attingere dal settore mnemonico a quelle forme tipizzate che ormai l’individuo domina e riconosce nel suo “archivio conoscitivo” dello spazio . Così, esplorando un luogo nuovo, riaffiorano alla men- te, perché radicate nei livelli inconsci della memoria, le immagini fotograficamente registrate e le forme di luo- ghi già esplorati, un archivio della memoria al quale at- tingiamo costantemente e sempre virtualmente presente nella codificazione dei nuovi paesaggi.15

La sommatoria delle forme, siano esse semplici o com- plesse, determina la configurazione decodificata di quello specifico luogo.

Questo procedimento è filtrato in parte dalla conoscen- za della geometria dei solidi e dei volumi ai quali gli og- getti possono essere assimilati e dalle modalità rappre- sentative grazie alle quali le modalità di scomposizione dello spazio possono subire declinazioni.16 Questo si-

gnifica che ogni spazio può essere scomposto in manie- ra diversa da individuo a individuo, sia a seconda delle conoscenze “geometriche” e al background mnemonico di ciascuno, sia in funzione del tempo e del contesto culturale in cui questo processo viene realizzato. Così l’evoluzione della tecnica e quella della produzione ar- tistica, legata alla rappresentazione dello spazio, ha in- fluenzato le modalità di lettura dello spazio stesso e la sua conseguente analisi per la rappresentazione. Infatti la scomposizione del paesaggio in forme geome- triche può avvenire sia a livello di macro strutture gene- rali, quali ad esempio la disposizione di edifici attorno ad una piazza o l’andamento di un filare di alberi lungo ad una strada carrabile, fino all’analisi di impercettibili strutture microscopiche che si aggregano, componendo la materia stessa di cui sono costituiti gli elementi .17

Ovviamente tutto ciò che non è apprezzabile visiva- mente non è di nostro interesse nel disegno del paesag- gio, anche se è proprio dalle strutture geometriche, che governano le logiche compositive degli elementi della natura, che dipendono le forme e le qualità del macro- cosmo.

Il paesaggio viene così geometrizzato, reso individua- bile e quindi privato di quelle componenti che, per la complessità dei suoi stati relazionali, erano capaci di provocare sensazioni univoche e individuali sul singolo individuo, capace di generare l’immagine paesaggio di

Per le teorie della sagoma uno stimolo è riconosciuto quando ne vi- ene realizzato il confronto (template matching) con una versione stan- dard dello stesso stimolo depositata nella memoria dell’osservatore. La mente opera un’analisi di alcuni elementi essenziali dello stimolo, e confronta il risultato dell’analisi con una sorta di inventario deposi- tato in memoria .

Sopra: Teoria di I. Biederman (1987-90) che descrive le componenti primitive detta Geoni sulla cui base, e attraverso regole determinate, possono essere composti i singoli oggetti di cui il paesaggio è costi- tuito.

Sopra: Sistemi di discretizzazione delle complessità dello spazio sec- ondo la Teoria di Marr (1982). Le teorie computazionali indicano quali sono le componenti essenziali o primitive e le regole che portano al riconoscimento percettivo di uno stimolo. Questo, secondo Marr, in accordo con le attuali conoscenze neurofisiologiche e neuropsico- logiche sulla visione, avviene dapprima sulla base dell’individuazione di caratteristiche 2D; successivamente dal riconoscimento di carat- teristiche di profondità e tridimensionalità e forme elementari (coni, quadrati, ecc) percepite dal solo punto di vista dell’osservatore; nella terza fase l’oggetto viene percepito nella sua terza dimensione, man- tenendo le sue caratteristiche formali da qualsiasi posizione lo si os- servi. Mentre le prime due fasi sono indipendenti da una conoscenza pregressa, la terza può essere usata in base del riconoscimento top- down.

uomo

braccio

avambraccio mano

quella specifica esperienza. Il delimitare mentalmente e graficamente un oggetto complesso attraverso un se- gno che lo configuri come una forma chiusa e ben de- finita è tutt’altro che una privazione di significati. Per Heidegger, che esamina il concetto di limite attraverso al concetto di luogo delimitato da orizzontamenti o da direzioni corrispondenti alle entità di cielo e terra, la delimitazione non è ciò su cui una cosa si arresta, ma come i greci riconobbero, è ciò da cui una cosa ini- zia la sua presenza.18 Così la linea grafica che separa

concettualmente un oggetto dall’altro al fine di render- lo geometricamente figurabile, non toglie significato a quell’oggetto, lo rende maggiormente interpretabile, lo carica di uno scenario di interpretazioni possibili che in- dirizzeranno colui che ricomporrà le forme per ristabili- re quei significati o altri nuovi. Così la separazione de- gli elementi architettonici dalle superfici murarie, quali cornicioni o architravi di porte e finestre, rende l’utente maggiormente consapevole della conformazione dello spazio e degli oggetti che ne fanno parte, permettendo di costruire una struttura che aggrega l’elemento rileva- to agli altri sistemi capace di agevolare la lettura seman- tica dello spazio. E’ quindi importante, come esercizio di analisi, approssimare la scomposizione ad un livello che spesso coincide con l’approccio tecnologico delle strutture architettoniche per legare geometrie e rappor- ti compositivi a sistemi funzionali, individuando dalle geometrie dei volumi architettonici alle modanature dei sistemi decorativi vincolati allo spazio architettonico.19

Il passaggio dalla rappresentazione grafica a quella fo- tografica, e la più radicale trasposizione della rappre- sentazione alla sfera del digitale, ha necessariamente, con vantaggi e svantaggi, implicato un diverso approc- cio allo spazio. Il movimento attorno ad un oggetto può essere limitato, o notevolmente incrementato, a seconda dello strumento di rilievo al quale ci affidiamo e al gra- do di dettaglio che vogliamo analizzare.

La struttura mentale così costituito sarà in grado di tor- nare paesaggio quando, con la stessa logica con cui è stato scomposto, verrà riconfigurato in una nuova strut- tura, estremamente semplificata perché discretizza- ta negli elementi costitutivi, e pertanto simile ma non identica alla prima immagine di quel paesaggio. Sarà esattamente questa nuova configurazione l’oggetto di analisi sul quale porre attenzione.

Discretizzazione in forme geometriche di un chiostro

Individuazione degli elementi costituenti dello spazio, ovvero comp- rensione delle caratteristiche bidimensionali di ciascun oggetto.

Scomposizione di ciascun elemento in forme primitive tridimen- sionali, mendiante riconoscimento top-down, dalle quali vengono valutate caratteristiche quantitative e qualitative necessarie per l’organizzazione della campagna di acquisizione digitale. F. Babarit.

3.3 lafotografIacomestrumentodIraccontodell’esPerIenzaquotIdIana

“Una singola idea della mente umana può costruire città. Un’idea può trasformare il mondo e riscrivere tutte le regole”. Ispirato da Inception (Christopher Nolan, 2010), Victor Enrich, artista spagnolo, con una laurea in architettura e una specializzazione sulla progettazione in 3D, si è cimentato in un progetto di architettura impossibile. Ha scelto un edificio, l’hotel NH München Deutscher Kaiser di Monaco e ne ha fatto un paradosso architettonico proponendo 88 versioni differenti, utilizzando fotografia e grafica 3D.

La mia visione del mondo era una visione foto- grafica, come ritengo sia più o meno per tutti, non crede? Non vediamo mai le cose, le vedia-

mo sempre attraverso uno schermo.20 Ritenuto dal momento della sua invenzione fino alla fine del secolo scorso il frutto di tradizioni derivanti maggior- mente dall’ambito tecnico piuttosto che estetico, il mezzo fotografico fu inevitabilmente considerato un elemento esterno intervenuto a sconvolgere il corso della pittura.21

Tanto fu malvista la nuova tecnologia di produzione di im- magini ai suoi albori da venir ben presto considerata come un’usurpatrice della funzione rappresentativa fino a quel momento assunta dalla pittura. La funzione documentativa della pittura venne messa in crisi, a vantaggio della mag- gior affidabilità e corrispondenza visiva tra il reale e l’im- magine impressa donata dallo strumento fotografico. Così la pittura, e più in generale l’espressione grafica dell’Ar- te tradizionale, si orientò sempre più verso l’astrazione dell’immagine fino a giungere ad una nuova interpretazio- ne ed alla messa in discussione della realtà stessa. Nono- stante lo scetticismo iniziale, generato soprattutto da una schiera di alcuni pittori, ben presto le potenzialità offerte in ambito di rappresentazione da questo strumento furono ben visibili a tutti, tanto da fare della macchina fotografica un immancabile mezzo di comunicazione in diversi ambiti da una molteplicità di utenza e con vari livelli di specificità