• Non ci sono risultati.

La macchia d‘inchiostro, il matrimonio e la nuova vita da ―vignaiuolo‖

Nel documento Sciascia, la polemica e l'incognita Courier (pagine 166-173)

5. Paul Louis Courier

6.5 La macchia d‘inchiostro, il matrimonio e la nuova vita da ―vignaiuolo‖

Passando da Milano scrive a Clavier, il 16 ottobre 1809, e gli comunica che andrà a Firenze per un mese dove progetta una ispezione nell‘abbazia di Firenze, e va a vedere i manoscritti che da lì a poco, sarebbero stati trasferiti alla Laurenziana. Le Pastorali di Longus, che voleva tradurre da molto tempo attirano la sua attenzione. Torna a Firenze nel 1809 e si reca nella Laurenziana ed è qui che entra in scena il custode della biblioteca, Francesco Del Furia, un uomo grasso e florido, basso e con due occhi da miope, la figura grottesca di un vecchio sapiente d‘operetta. ―Peraltro perfetto funzionario, devoto a tutti i regimi, erudito stimato, accademico della Crusca e sciocco, come se ne possono trovare in tutte le accademie del mondo‖, sottolinea Arbelet nel tramandare l‘episodio. Il bibliotecario, che da quattro anni studiava questo manoscritto, sul quale Courier aveva fatto a colpo d‘occhio la sua scoperta, era rimasto colpito solo dalle favole di Esopo, ivi contenute, e non si era accorto della parte più interessante. Quando Courier glielo rivela, ne resta sorpreso e non gradisce l‘idea di pubblicare, ad opera di un francese per di più, questo testo sconosciuto. E Courier, nel pamphlet nato proprio da questo episodio, scriverà ―non ho mai visto un pedante arrabbiato, non potreste immaginare cos‘è, se degli sguardi potessero mordere avrei passato un brutto quarto d‘ora‖ ma in realtà il custode lo aiutò a copiare e collazionare questo manoscritto poco leggibile. Furia con il suo assistente Bencini leggeva e Courier scriveva, poi per i passaggi che gli altri non avevano capito era lui che dettava a loro. Quando il

167

lavoro d‘insieme finì sopravvenne l‘evento: c‘era sulla tavola un calamaio, riempito d‘inchiostro di cattiva qualità, per sua natura denso, Courier con una sbadataggine ricoprì con un foglio sporco il manoscritto per ricopiarlo e gli lasciò una grossa macchia che copriva alcune parole per alcune righe. ―Confesso che questo danno mi parse molto piccolo‖ dice Courier, dichiara con disinvoltura, ―è un devoto che si comporta con leggerezza con i propri dei‖, commenta Gaschet. Ma il Del Furia giudicò altrimenti la cosa, non solo per la sua anima da bibliotecario ma anche per rifarsi del torto subito e disse: ―A un così orribile spettacolo il sangue mi si gelò nelle vene e per diversi istanti avrei voluto parlare ma la voce si fermò in gola e un timore ghiacciato si impossessò delle mie membra stupite‖. Il libraio parigino Renouard che viaggiava in Italia si intromise nella vicenda. Aveva incontrato Courier e si era interessato alla scoperta, promettendo di pubblicare il testo nuovo con la traduzione. Per annunciare ai lettori il libro, l‘11 novembre 1809, annunciava nella gazzetta universale di Firenze la scoperta e la pubblicazione. Lui stesso aveva visto il Del Furia, il manoscritto e la macchia d‘inchiostro e si era offerto di scollare dal testo il foglio macchiato, si era tanto esposto che alcuni finirono per attribuirgli la scoperta e la macchia. Il 6 febbraio 1810 Renouard scriveva di aver appena letto, nel Corriere milanese del 23 gennaio, una cronaca fiorentina ispirata dal bibliotecario della Laurenziana. Vi si accusava l‘onesto libraio già tornato a Parigi, di un orribile gesto di vandalismo. Secondo il racconto fornito dal De Furia, per restare il solo possessore del frammento, l‘avido libraio aveva volontariamente macchiato d‘inchiostro

168

tutta la parte inedita, e di un inchiostro indelebile, sconosciuto alla biblioteca, dunque perfidamente portato dal miserabile. Renouard fu colpito dal racconto e domandò a Courier di intervenire, ma Paul-Louis gli rispose ridendone, e assicurando all‘editore di essere pronto a dichiarare che era colpa sua, e non aveva avuto complici. Courier gli indica come unica soluzione, nella lettera del 3 marzo 1810:

Vi invio per posta la traduzione completa stampata qui. Non si poteva diversamente. La nostra prima idea era folle. Il pezzo riesumato doveva apparire al suo posto, e credo che ne converrete162

Con l‘idea di pubblicarlo a Firenze, perse il suo miglior alleato. Ne avrebbe potuto avere un altro e potente che le intenzioni di Del Furia avrebbe soffocato. La Gran duchessa Elisa, per il tramite del prefetto di Firenze, gli avevo lasciato intendere che poteva dedicargli la scoperta ma Paul-Louis, cattivo cortigiano non intendeva piegarsi. Sotto un governo assoluto la minima indipendenza è pari a una rivolta. Del Furia scrisse un‘accusa contro Courier, dichiarando di aver commesso il gesto volontariamente, i poteri pubblici si intromisero, si scrisse a Parigi; la traduzione di Dafni e Cloe, che era appena apparsa a Firenze, e il testo stampato a Roma, furono entrambe sequestrate e Courier fu convocato. Fin lì Courier si era tenuto distante dalla faccenda, ma quando intervenne il prefetto si adirò. E sotto forma di una lettera a M. Renouard, libraire scrisse e fece clandestinamente stampare il primo dei suoi Pamphlet. Era un‘audace rivolta contro l‘autorità che gli aveva intimato di non

169

scrivere niente, era soprattutto la più virulenta diatriba contro tutti i suoi nemici e tra tutti lo sfortunato Furia, che egli rese per secoli grottescamente illustre. Ma questo accanimento lo danneggiò. ―si crede – dice Courier – che io non parlo abbastanza civilmente delle persone che mi vogliono far impiccare‖. Nel mondo degli uomini di lettere abituati a rivestire di belle frasi i loro sentimenti meno ameni questa rude e franca animosità dispiacque. La sua polemica aspra condita da frasi molto dure gli alienò l‘amicizia di saggi e amici. Secondo Arbelet, Courier non avrebbe macchiato il testo perché non ne avrebbe avuto vantaggi. Aveva la copia del manoscritto, un editore pronto a pubblicarlo e quindi poteva essere il primo a renderle note, per cui distruggere il solo documento che provava l‘autenticità del suo testo era rischiare di diminuire il valore della sua scoperta. E la migliore prova è che appena prodottasi la macchia gli italiani pubblicarono che l‘edizione di Courier non meritava nessuna fede. Furia accusò falsamente Courier di una truffa ai danni della sua fiducia, avendo utilizzato un inganno vergognoso. Tutto questo aveva turbato la sua vita di dilettante e l‘aveva indisposto nei confronti degli italiani. Arbelet giudica che il comportamento degli italiani fu una sorta di ritorsione nei confronti della stessa Francia e per questo non gradirono l‘operato di Courier che gliene aveva dato modo. Per cui la diatriba di Furia ebbe fino agli italiani di Parigi larga eco e successo e Courier seppe ben mostrare nella sua lettera che egli era stato solo la vittima occasionale di quest‘odio nascosto verso i francesi. Ma il suo modo di amare l‘Italia non fu affatto disturbato da questa frizione con gli italiani. Fuggì a Roma con il suo bagaglio leggero, dove

170

trascorse l‘inverno tra il 1810 e il 1811, ―sei mesi tra i migliori della sua vita‖. La primavera precedente lo aveva visto nella Sabina e questa nuova lo trovò tra i monti Albani, ad Albano, Frascati e Rocca di Papa. Nel 1812 rivede Napoli, poi, dimenticando a Roma un amante disse per sempre addio a questo paese, dove sembrava avesse voluto fissare il suo destino e tornò a vivere in Francia, per la sua infelicità e la sua gloria. Tornato a Parigi, si scopre un affascinante e incallito celibe di 42 anni. Erminia aveva 18 anni, era graziosa e benfatta. Dei tratti armoniosi, una fisionomia dolce, una voce che piaceva, e dei begli occhi brillanti con pupille d‘oro Per un artista come lui la bellezza era tutta uguale, dalle statue alle donne. Che ella avesse in più pure dello spirito e dei talenti (dipingeva e altro), che fosse stata cresciuta tra gente dotta, questa figlia di Clavier sembrava la compagna giusta per un ellenista. Senza dubbio Paul-Louis riflettè su tutte queste cose. Ma forse l‘aspetto, la carnagione fresca e gli occhi dorati della ragazzina furono gli argomenti decisivi. A tutti questi punti si aggiungeva l‘innocenza ed è lui stesso che lo dichiara scrivendo a sua cognata dal giorno dopo. Minette (questo era il soprannome affettuoso che le aveva dato Paul-Louis), non prese Courier come marito perché lo trovava un bel ragazzo ma egli sembrava pieno di attenzioni, rideva e scherzava sempre. Ella poteva attendersi ad un marito paterno verso la sua giovane sposa che le avrebbe reso la vita divertente, cedendo ad ogni minimo capriccio. Mentre Paul-Louis si sposava cadde l‘Impero, ma le sconfitte della Francia non lo preoccupavano. Courier, prima di Tolstoj, si era persuaso che tattica e strategia non hanno ruolo nel successo delle battaglie,

171

―Plutarco ad oggi mi fa morire al ridere – disse un giorno – non credo più ai grandi uomini‖. Napoleone o Luigi XVIII per lui erano tutt‘uno . Paul-Louis si sposò il 12 maggio 1814, due mesi più tardi era in giro, sorpresissimo di essersi lui stesso incatenato, trattava i doveri coniugali come trattò quelli di soldato. In seguito a qualche litigio lasciò Parigi per la Turenna e la Turenna per la Normandia, dove si esercitava a nuoto in mare aperto e cullato dalle onde, e dimenticava i suoi dispiaceri. Poi, la sera, le scriveva dolcezze del tipo: ―Tu puoi solo parlare con grazia, io vedo in ogni tua parola un tuo gesto, il tuo sguardo e il tuo parlare così dolce…‖, ma egli le dichiarava anche: ―se Dio mi ha creato burbero, burbero devo vivere e morire. Peraltro, vuoi che te lo dica? Sono vecchio adesso, non posso più cambiare. Sei tu che potresti correggerti se qualche cosa ti mancasse per piacere‖. Avendo così fatto vedere a sua moglie un piacevole avvenire, questo abile marito le annunciava che sarebbe partito, non per Parigi, dove stava, ma per Rouen, Amiens. Poco mancò si dice che egli non prese un battello per il Portogallo. Courier aveva la proprietà della Filoniere vicino Luines, era abbastanza perché non si distruggesse la tradizione paterna. Tornando lì, nei luoghi d‘infanzia, si potrebbe dire che l‘anima di suo padre fu stranamente ritornata a vivere nel suo cervello di ellenista e uomo di lettere e si decise a vivere sfruttando le sue terre. Comprò 250 ettari della foresta di Larçai, poi la fattoria della Chavonniere. Ed è qui che si stabilisce nel 1818, chiudendosi con sua moglie, benché tre anni prima le avesse scritto: ―In fede io non credo che tu possa in un paese come quello starci una settimana senza morirne‖. Di fatto non è ella che vi morì.

172

I turangesi sono ameni ma non accoglienti, ogni classe sociale era chiusa tra le mura e non frequentava i vicini. E all‘inizio della Restaurazione era peggio che mai. La Chavonniere era una brutta fattoria e Erminia alloggiava a piano terra dove meditava nella solitudine ai piaceri della campagna mentre il marito viveva in mansarda, sopra la cucina. In verità sacrificava spesso i greci al suo nuovo mestiere voleva apprendere i metodi per fertilizzare boschi e vigne. Mediocre agronomo aveva ereditato dal padre l‘aspra e sordida economia che è virtù della campagna e sorvegliava sempre i domestici, perseguitava i paesani che saccheggiavano le sue proprietà. Come il padre era un proprietario duro e un vicino scomodo, divenne amaro come era sempre stato, ma in questo luogo crebbe il suo disappunto e lo fece litigare con tutti. Ciò tuttavia Erminia, che dovette più tardi trovare segrete consolazioni si scopriva fattoressa, questa figlia di accademico si adattava meglio di quanto si sarebbe potuto credere alla sua nuova sorte. Quando suo marito era assente, doveva conferire con gli ufficiali giudiziari e i notai di cui Paul- Louis aveva bisogno senza fine, ed era lei al mattino che riceveva i rapporti delle guardie e dava gli ordini agli operai o che con occhio esperto, troppo esperto forse, osservava i giovani contadini venuti a lavorare per la vendemmia o il raccolto. La si vedeva nei giorni della fiera come un‘amazzone farsi sellare il suo piccolo cavallo rosso e andare a vendere mucche e maiali alla fiera di Cormery. La sera la trascorreva leggendo romanzi e sognando i bei corpi asciutti e atletici dei giovani contadini che lavoravano per lei.

173

Nel documento Sciascia, la polemica e l'incognita Courier (pagine 166-173)