Adeodato Malatesta, chiesa esterna delle domenicane, Modena 1841
olio su tela, cm 230 x 160
Bibliografia: C. M. Belle 1841 pp. 187-189; Dandolo 1841; Lambertini 1844, pp. 1073-1074; Selvatico 1844, p. 482; Malatesta 1858; Gozzoli 1882; Cronaca locale 1882, p. 570; Catalogo della Esposizione 1886; Crespellani 1887, p. 181; Asioli 1905, pp. 85, 86, 136, 102, 136, 284, 364, 443; Callari 1909, pp. 188-89; Soli 1974, p. 30; Guandalini 1993, pp. 227-233; Un tempio 1987; Garuti 1994, pp. 323-346; Poppi 1998, pp. 134-135.
Restauro: 1998 laboratorio Marta Galvan con contributo della Soprintendenza di Modena e Reggio Emilia.
La pala d’altare delle domenicane fu la prima importante commissione di pittura sacra che Adeodato Malatesta ricevette dopo il suo rientro a Modena da Roma nel 1840. L’artista aveva già alla spalle significative realizzazioni che, nell’ambito dell’arte devozionale, gli avevano assicurato una discreta notorietà.
Il tema è quello di una Sacra conversazione, con la Madonna e il bambino in trono e due Santi ai lati. Nella parte destra Luigi, il giovane santo della nobile famiglia Gonzaga; già a dieci anni fece voto di castità conducendo una vita di penitenza e digiuni e all’età di quattordici, davanti a un’immagine della Madonna del Buon Consiglio, conservata nella chiesa del collegio Imperiale dei gesuiti di Madrid, maturò la decisione di entrare nella Compagnia di Gesù (Guillermo Pons, Le litanie della Vergine Maria, Paoline, Torino 2003, p.66); Maria è dunque rappresentata come colei che mostra il cammino e illumina le menti dei fedeli. Morto a soli 23 anni, contagiato dai malati di peste che aiutava durante l’epidemia a Roma nel
1591, fu santificato nel 1726. Presenza importante in questo luogo di devozione e di educazione, in quanto protettore di studenti e giovani, egli è qui facilmente riconoscibile per la giovane età e gli abiti da religioso con la cotta sopra la veste talare nera, nonostante siano assenti i suoi attributi iconografici principali come il crocifisso e il giglio (che tiene però in mano nel disegno preparatorio) e a volte anche il teschio e un flagello.
A sinistra, troviamo San Alfonso Maria de’ Liguori. Egli fu un intellettuale e avvocato napoletano poi dedicatosi alla vita religiosa e missionaria, fondatore della Congregazione del Gesù Redentore tutt’oggi esistente. Nominato Vescovo, morì poi nel 1787; venne santificato nel 1839 e nominato Dottore della chiesa da Pio IX nel 1871. Si può suggerire che la scelta di San Alfonso sia stata dettata dalla sua devozione mariana (scrisse un libro di mariologia, Le glorie di Maria, nel 1750) e dalla vicina santificazione.
Nel dipinto, lo si ritrova appunto con in mano Le glorie di Maria e nell’altra il bastone pastorale (nel disegno tiene in mano solo un rosario) e sulle spalle ricurve a causa dell’artrosi, porta un piviale riccamente decorato. A lui è attribuito il canto popolare «Tu scendi dalle stelle»; non è azzardato ipotizzare, dunque, che gli angioletti che cantano sotto al trono della Madonna e il Bambino stiano intonando proprio questo inno.
Nel disegno preparatorio (studio a matita e biacca su carta, mm 255 x 191, al Museo Civico di Modena, 1841 circa), quadrettato per l’ingrandimento in scala, la Madonna appare fortemente ispirata ai modelli raffaelleschi, come la Madonna del Baldacchino in Palazzo Pitti; infatti, nel 1841 Malatesta era appena rientrato dal soggiorno fiorentino. Nella pala finita il gruppo della sacra conversazione è più impostato invece su un modello compositivo ricalcante soluzioni venete quattrocentesche, memore degli esempi belliniani visti durante il soggiorno veneziano appena trascorso. Il volto della Madonna rimane Raffaellesco, il suo atteggiamento, quello del Bambino e l’ideazione architettonica dell’edicola sembrano invece derivare dalla Madonna in trono con dieci santi e tre putti cantanti di Giovanni Bellini, che Malatesta vide nella cappella della Vittoria nella chiesa dei santi Giovanni e Paolo a Venezia, distrutta nel 1867. Dallo stesso dipinto Malatesta aveva desunto anche l’ordine compositivo e la concezione spaziale. Nelle aperture del baldacchino uno scorcio su un cielo azzurro attraversato dall’arcobaleno simbolo dell’Immacolata e della Redenzione, presente anche nella pala di Ludovico Carracci con la Vergine Assunta che fino al 1783 occupava l’altare principale delle chiesa. Il dipinto testimonia, anche per registro cromatico, il momento di forse maggior adesione al Purismo: direzione in cui le frequentazioni veneziane con Pietro Estense Selvatico e Peter Cornelius avevano indirizzato il giovane pittore modenese e che riceverà ulteriori stimoli dall’esperienza romana, dal 1837 al 1839. L’opera divenne subito un modello per gli altri pittori modenesi, tanto che Alfonso Chierici, all’esposizione dell’Accademia Atestina del 1841, presentò una Vergine in trono con san Francesco e il beato Torello nella cui impostazione quattrocentesca si individua chiaramente l’influenza malatestiana. Anche lo scrittore Tullio Dandolo, sulle pagine della Gazzetta
privilegiata di Milano, il 14 novembre 1841 commentava positivamente la pala delle domenicane : «è una composizione all’antica, quali costumavano farne Francia, Perugino, Bellino... in questa Madonna... è una quiete solenne, una morale soavità, che ci trasporta al felice Quattrocento». Lo stesso Malatesta dimostra di considerare quest’opera un’importante testimonianza delle proprie scelte stilistiche, decidendo di esporla alla mostra di Brera del 1844, insieme ad altri importanti dipinti tra cui il Tobia e tre ritratti; qui la pala non ricevette però buona accoglienza, forse a causa di un pubblico ormai abituato all’acceso cromatismo veneto della pittura di Hayez e ostile alle tematiche puriste, desideroso di una pittura illusionisticamente perfetta e piacevolmente decorativa, in particolare nella descrizione di ricchi accessori. I rischi di incomprensione da parte del pubblico milanese per un’opera così austera furono previsti da Giovanni Galvani, inviato a Milano per seguire l’allestimento dei dipinti modenesi nelle sale dell’Accademia Braidense. Scriveva questi all’artista il 20 settembre 1844: «non la credo intesa dalla moltitudine avvezza qui ai velluti, ai rasi alle pellicce ed alle seducenti bellezze; ed il maschio suo pennello veneziano può sembrar scuro in faccia agli smalti ed agli specchi di quella scuola». Ma ancor più gravi erano le critiche che venivano dallo stesso campo purista e in particolare da Selvatico, il quale liquidava così la pala delle domenicane: «quantunque dipinta bene e segnata con severo stile, mostra forse una troppo ligia imitazione del ‘400; e que’ puttini nudi che cantano ai piedi del trono, sebbene coloriti con verità, non offrono la bellezza celestiale degli angeli».