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Santa Caterina da Siena e Santa Rosa da Lima

Luigi Manzini (Modena 1805- Modena 1866), chiesa esterna delle domenicane, Modena

1838

olio su tela, cm 206 x 141

bibliografia: Sossaj 1841, p. 44; Soli 1974, III, p. 29; Guandalini 1993, p. 227- 233; Ferriani 1998, p. 191.

Opera commissionata nel 1838 a Luigi Manzini per l’altare destro della chiesetta delle monache domenicane, poco prima della sua ristrutturazione su progetto dall’architetto ducale Giovanni Lotti nel 1847.

Artista fecondo, attivo nella vicina Accademia Atestina prima come allievo e poi come professore, il Manzini assume l’impostazione di matrice reniana impressa dall’Accademia Atestina nei primi decenni dell’Ottocento, attuandone una rivisitazione attraverso i modi del settecentesco Antonio Consetti: egli pare infatti guardare alle varie Madonne col bambino consettiane sparse nelle chiese modenesi, dalla Madonna del Rosario con san Domenico nella sagrestia di san Domenico alla Madonna con santa Rosa da Lima sull’altare maggiore della stessa chiesa delle domenicane.

Il Sossaj nella seconda edizione della sua guida di Modena (1841, p.44) intitolò il dipinto Santa Caterina da Siena che raccomanda l’educandato diretto da santa Rosa

da lima alla beata Vergine del Rosario e a san Domenico in gloria; l’opera infatti, illustra in maniera quasi didascalica l’unione dei due istituti femminili che formarono il nuovo educandato delle suore domenicane rappresentando con un movimento ascendente la preghiera trasmessa alla Vergine da santa Rosa per il tramite di santa Caterina e poi di san Domenico (che tiene in mano una pergamena con l’iscrizione latina «Obsecro ut fiat duplex spiritus meus» versione modificata di un passo del profeta Elia nel secondo Libro dei Re: «Obsecro ut fiat duplex spiritus tuus in me» ovvero «Io ti scongiuro affinchè il doppio del tuo spirito passi in me»).

Santa Caterina da Siena è convocata per rappresentare il collegio delle orfane omonime, che, fondato nel 1563, venne soppresso con lo stesso atto del 1816 e fatto confluire nel nuovo educandato di cui Santa Rosa era titolare.

Questo, creatosi dapprima in una casa privata di Modena nel 1690 presso un gruppo di terziarie domenicane, fu chiuso in età napoleonica e venne restituito con decreto del Duca nel 1816 all’antica finalità di educazione delle fanciulle di classe non disagiata, unendovi ora l’alloggio e la cura di una ventina di orfanelle del soppresso collegio di Santa Caterina con sede nell’edificio già convento delle monache della Madonna.

L’azione si svolge in un ambiente vuoto e senza tempo in cui Santa Caterina accompagna alla nuova sede una sua orfanella che tiene gli occhi bassi e le mani congiunte in segno di umiltà; Santa Rosa interrompe dunque una lezione per indicare santa Caterina alle educande e quelle alle sue spalle posano il lavoro della trina sull’apposito tombolo e si sporgono per prestarle attenzione.

Per la composizione della zona inferiore Manzini attinge alla pittura classica d’azione e di storia della propria formazione accademica disponendo le figure su piani paralleli scalati in profondità, ma la accosta ad una parte alta in cui le figure fluttuano in uno spazio indefinito rimandando ancora alla tradizione locale di Antonio Consetti. Il linguaggio di marca accademica è però ravvivato da una tenerezza affettiva, negli sguardi e nei volti delle protagoniste nei quali si riconosce la stilizzazione fisionomica propria dell’autore: gli occhi sporgenti, il naso un poco allungato, le fronti alte e convesse.

Le epidermidi sono rese brillanti da caratteristiche lumeggiature a tocchi e le vesti valorizzate dai colori accesi fuoriusciti da una tavolozza di consueto intensa e lucida e dall’uso di decisi contrasti cromatici.

La pratica del cucito e del ricamo si richiama gli attributi agiografici di santa Rosa da Lima oltre a rappresentare un particolare di verismo storico (la bambina che ha appena smesso di cucire ricorda le scene di genere degli interni con cucitrici realizzate anche in Emilia soprattutto a partire da Giuseppe Maria Crespi) insieme all’invenzione dei costumi delle educande derivati da un suo gusto “trombadour” per il romanzo che avrebbe poi meglio espresso nella sua attività principale di pittore di sipari per il teatro.

La medesima idea compositiva del gruppo della Madonna col bambino si riscontra in altri saggi del foltissimo corpus del Manzini, che spesso replicava creazioni figurative particolarmente apprezzate. Ad esempio, nel dipinto con Santa Caterina e santa Rosa che offrono la chiesa delle monache domenicane alla Vergine e san Domenico

(probabilmente è un bozzetto, un’idea precedente) e in quello con la Madonna del Rosario sullo sfondo del Calvario con le tre croci entro una cornice di gigli e fiori, che si trovavano all’interno del convento di Modena ed ora trasferiti entrambi in quello di Mondovì, o nella Madonna del rosario della raccolta d’arte della provincia di Modena, commissionata dall’educandato delle povere zitelle o di san Paolo di Modena, fondato da Francesco IV d’Este nel 1816 (Martinelli Braglia 1998, p. 129).

Il dipinto in esame ne esemplifica le fonti figurative e la cifra di stile. Fonti che si individuano in particolare nel Seicento emiliano con docenti quali Geminiano Vincenzi, Giuseppe Fantaguzzi e l’incisore Giuseppe Asioli.

Al curriculum del Manzini mancò la parentesi di studio in Firenze, tappa pressochè d’obbligo per gli artisti degli Stati Estensi, venendo meno la possibilità di aperture su più allargati orizzonti culturali e determinando così il ripiegarsi sui modelli figurativi della tradizione locale.

Madonna del Buonconsiglio (con i santi Alfonso dè Liguori e