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I

l primi tre appuntamen-ti della stagione 2019 de I

Manifesti di Crema hanno fatto

registrare un bilancio più che positivo. Dopo la serata di apertura con il filosofo Umber-to Galimberti che molti hanno ascoltato stando in piedi (an-che i muretti del chiostro non sono bastati!), i due appunta-menti successivi con Andrea Moro e Lucilla Granata han-no attirato un buon numero di persone consapevoli della qualità della proposta. Vener-dì 14 giugno Moro, linguista e

scrittore, si è confrontato con Gianni Bassi iniziando una riflessione sul linguaggio come grande dono, mistero che permette non solo di comunicare – aspetto che è proprio anche degli animali, ovviamente – ma di pronunciare la parola ‘io’ che rivela una autocoscienza che ci di-stingue. Come nasce nella testa di un bimbo la lingua che lo inserisce nella comunità dove vive? Come mai il cervello dei bambini compren-de subito le grammatiche linguistiche e meno la matematica sebbene le prime siano state definite più complesse della seconda? È stato stu-diato che l’apprendimento della lingua non nasce per imitazione ma è ‘iscritto’ nel Dna. Scientificamente sono state create grammatiche artificiali, ‘impossibili’: ebbene il cervello si rifiutava di apprenderle! Il linguaggio viene imparato prima della pubertà, ben più difficile in età adulta. Se poi un bambino da 0 a 5-6 anni venisse a contatto con più lingue parlate quotidianamente queste verrebbero apprese tutte con facilità. “Per annullare un popolo la prima cosa che le dittature fanno è impedirne l’uso” ha dichiarato Moro che si è ampiamente fermato su questi aspetti che hanno effettivamente incuriosito e colpi-to i presenti prima di passare a presentare il suo romanzo di esordio, immediato vincitore del Premio Flaiano Il segreto di Pietramala, un gial-lo ‘affiorato’ dalle caselle creative dell’autore: “Posso dire che parte dell’ispirazione per il libro io l’abbia tratta dal De Vulgari Eloquentia di Dante, un’opera meravigliosa e immensa che riflette appunto sulla ricerca di un ‘volgare’ ossia una lingua che non fosse il latino, illustre, diffusa e che potesse essere considerato al pari del dotto latino. Una lingua dunque al centro del narrato così come la lingua del paesino corso ormai disabitato e abbandonato di Pietramala è al centro del mio giallo”. Il libro racconta le vicende di Elia Rameau, giovane lin-guista di Parigi incaricato di studiare la lingua di Pietramala, antico insediamento sulle montagne della Corsica che nasconde tre misteri: è stato abbandonato all’improvviso secoli prima, ogni traccia di lingua scritta è stata cancellata e nel cimitero non ci sono tombe di bambini. Inizia un viaggio avventuroso che porta Elia a Manhattan a scoprire il segreto della lingua di Pietramala, una lingua... minacciosa! Seb-bene la pioggia abbia costretto relatori e pubblico a spostarsi sotto i chiostri la serata è riuscita molto bene, merito di Moro e Bassi brillanti interlocutori che non hanno mancato di coinvolgere e affrontare temi importanti con leggerezza e qualche sorriso.

Terzo appuntamento sabato 15 quando nella suggestiva cornice dei chiostri del Sant’Agostino, Bassi ha intervistato la giornalista e scrittrice Lucilla Granata che ha presentato il libro Chicco Evani. Non

chiamatemi Bubu. “Non è solo la storia del calciatore del grande

Mi-lan, ma soprattutto la bella storia di un uomo che può appassionare anche le persone che non masticano di calcio” questa la premessa de-gli interlocutori. Granata, già biografa di Alberto Tomba, un giorno ha pranzato con Evani a Cremona: l’ex rossonero che ha chiuso la carriera alla Sampdoria e ora è assistente di Mancini in Nazionale le ha confessato che voleva fare un libro di appunti personali sparsi qua e là. “Il titolo parte da quel soprannome, Bubu, che a causa della sua zazzera bionda gli avevano affidato a Milanello quando ci era arrivato a 14 anni. Odiava quel soprannome ma per rispetto anche dei tifosi che lo chiamavano così, non l’ha mai confessato” ha spiegato Granata aggiungendo “la prefazione è di Arrigo Sacchi l’allenatore che gli ha dato di più sia calcisticamente che umanamente. Ci sono anche mol-te mol-testimonianze di colleghi calciatori diventati poi amici che fanno emergere non solo il grande giocatore con precisione chirurgica e con grande visione di gioco, ma anche l’umanità di Evani che ha vissuto tantissime glorie con il Milan di Sacchi, di Berlusconi e degli olandesi (Gullit e Van Basten), ma che ha sperimentato anche la retrocessio-ne in B del club milaretrocessio-nese e la sconfitta retrocessio-nella finale dei Mondiali Usa ’94. Come dice lui, si impara più dalle sconfitte che dalle vittorie”. Con questo libro “Bubu” ha chiuso un cerchio ha detto ancora Gra-nata: “La morte precoce del padre, il dubbio se continuare o meno la carriera calcistica. La sua, una famiglia numerosa di gran lavoratori poco avvezzi a dirsi ‘ti voglio bene’. Lui a sua volta, calciatore atipico rispetto agli odierni latin lover: Una moglie e quattro figli con cui ha replicato praticità e poche smancerie. Con questo libro fa pace con se stesso e vuol dire a tutti quanto gli vuole bene”. Grande uomo Evani che potrà avere anche un futuro ad allenare ragazzini come ha già fatto con le giovanili del Milan dimostrando di saperci fare!

M. Zanotti e F. Daverio