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Il manoscritto e le edizioni

Nota al testo

1. Il manoscritto e le edizioni

Il manoscritto autografo di Donato è conservato presso la Biblioteca del Seminario di Udine44. Non risultano altri testimoni. Si tratta di un quaderno cartaceo composto da cinque fascicoli misti a carte sciolte, rilegati assieme da una copertina cartonata con dorso in pelle (di produzione recente). Si contano, in tutto, 89 carte (numerate a matita in alto a destra) e sette fogli di guardia (quattro all’inizio e tre alla fine), che con tutta probabilità sono stati allegati in sede di restauro (la numerazione a matita comprende anche due fogli di guardia finali). Le carte misurano 302 x 212 mm. L’intestazione, Giovanni Battista

Donato | Scritti varii in versi ed in prosa | 1559-1599, è stata tracciata da Giuseppe Vale

sul recto del secondo foglio di guardia. Vale racconta di aver trascritto questo titolo nella prima carta interna, e ricorda la dicitura di un’etichetta posta da Vincenzo Joppi nel 1888 (Gio. B. Donato 1566 – Rime Friulane) che è probabilmente stata smarrita45.

Il tipo di carta utilizzata presenta una filigrana, che disegna un’ancora dentro un cerchio, collocata al centro della parte sinistra del foglio e un contrassegno con sigla PC, situato nell’angolo in basso a destra del medesimo foglio. Tali marche sono riconducibili ai tipi dal 567 al 571 riportati nel repertorio di Briquet, il quale collega le filigrane che presentano un’ancora disegnata con un tratto sottile e stilizzato alla produzione veneziana della seconda metà del XVI secolo46.

I fogli di guardia non hanno filigrana, tranne il primo (con i bordi ripiegati perché di dimensioni maggiori rispetto alle altre carte) che presenta anche le rigature e riporta la trascrizione di un Aneddoto del 1832. Si tratta della copia di un sonetto caudato attribuito a Pietro Zorutti, noto col titolo La bella di Tolmino (ma del quale Zorutti negava di essere

44 G. B. Donato, Scritti varii in versi ed in prosa 1559-1599, cart., sec. XVI, ms. della Biblioteca del Seminario di Udine, Fondo Cernazai, coll. 287, mm 302x212, carte IV-89-III (numerate a matita). Una segnatura precedente, posta in alto a destra sul primo e sul secondo foglio di guardia risulta Ms 28. Un’altra, non visibile oggi, è ms N. 7466, e viene segnalata da Quarti, cfr. G. A. Quarti, La battaglia di Lepanto, cit., p. 118.

45 Vale afferma di averla annotata di suo pugno (Vale: 11); con tutta probabilità la numerazione delle carte è invece di mano dello Joppi.

46 C. M. Briquet, Les filigranes. Dictionnaire historique des marques du papier, Hildesheim, Zürich-New York, Georg Olms Verlag, 1991 [rist. anast. di Leipzig, Verlag von Karl W. Hiersemann,1923], I (A-Ch), p. 41.

l’autore): componimento che, d’altra parte, presenta un’ampia diffusione manoscritta.47 Questo foglio sembra essere stato inserito tra le guardie in un secondo momento, per poi essere rilegato insieme alla coperta.

La prima carta appare molto rovinata e macchiata: con tutta probabilità essa in origine fungeva da copertina del quaderno.48 L’inchiostro in alcune pagine si presenta sbiadito (alle cc. 1r e 1v, 58v, 59r, 74r, 78v, 79r, 86v, 88v, 89r), rendendo faticosa la lettura, soprattutto delle cc. 1 e 86v, anche con la lampada di Wood, a cui si è ricorso spesso. Sono presenti toppe di restauro, che in alcuni casi ostacolano la lettura, alle cc. 35, 36, 48, e da c. 86 a c. 89.

Il manoscritto è giunto alla Biblioteca del Seminario di Udine con l’acquisizione del fondo Cernazai49. Dopo il terremoto del 1976 venne trasferito a Roma per essere restaurato, ed è stato riportato in Friuli nel 1984, in occasione della mostra intitolata

Società e cultura nel Cinquecento nel Friuli Occidentale.50

Nel complesso la scrittura e l’impaginazione ordinate, la scarsa presenza di varianti d’autore, fanno pensare che si tratti di una stesura in bella copia degli oltre 150 testi inviati ai vari corrispondenti, una sorta di copialettere. La datazione, registrata solo per alcuni componimenti, permette di collocare il lavoro di stesura tra il 1559 e il 1599.

Da notare però che l’ordine con cui si presentano i componimenti non rispetta l’ordine cronologico di composizione. Di fatto, i primi testi sono quelli trascritti nella seconda carta: solo una volta esauriti tutti i fascicoli e i fogli a disposizione l’autore ha iniziato a riempire anche gli spazi rimasti bianchi, a partire dalla prima carta che presenta infatti un testo datato 1597 (CL) e tre testi del 1599 (CLI-CLIII).51 Questi sono anche i componimenti in cui si concentrano di più le varianti d’autore. Oltre che per la datazione, questi testi sono facilmente individuabili poiché sono stati redatti da una mano meno ferma

47 In questo caso la filigrana rappresenta un quadrupede (una leonessa), però la figura non è identificabile nei tipi catalogati da Briquet. Il testo si legge in Le poesie friulane di Pietro Zorutti, ristampa completa dell’edizione Bosetti curata da Bindo Chiurlo, premessa di R. Pellegrini, Udine, Del Bianco, 1990, pp. 181-182. Vale non dà indicazioni riguardo a questo foglio, anzi, scrive di aver annotato l’intestazione «nella prima pagina della carta interna», cfr. Vale: 11.

48 Di questo avviso è anche Pellegrini 2003: 169.

49 Nel 1881 la famiglia Cernazai donò l’intera biblioteca al Seminario Arcivescovile di Udine, cfr. E. Rossi, Tra erudizione e collezionismo: la passione bibliofilica di Pietro Cernazai (1804-1858), Tesi di laurea in museologia e storia del collezionismo, Università degli Studi di Udine, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Conservazione dei beni culturali, Rel. D. Levi, a. a. 1996-97, p. 141 e segg.

50 Cfr. Società e cultura nel Cinquecento nel Friuli Occidentale. Catalogo della mostra, Pordenone, ex Teatro Sociale 27 luglio 1984-13 gennaio 1985, a cura di P. Goi, Pordenone, Edizioni della Provincia, 1985.

Tesi di dottorato di Laura Nascimben, discussa presso l’Università degli Studi di Udine

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e con un inchiostro più scuro rispetto a quello utilizzato per trascrivere i componimenti nella prima parte del quaderno, soprattutto dalla c. 2 alla c. 38r.

In particolare, la parodia del Pater noster (II) trascritta alle cc. 3v-4r con inchiostro marrone è stata cassata, pare, con lo stesso inchiostro nero con cui sono trascritti i testi risalenti agli anni ’90. Lo stesso accade per il sonetto CXLI, dove però la redazione e le cancellature sono svolte con inchiostro chiaro, ora quasi illeggibile. Il sonetto CLV presenta inoltre due redazioni che mostrano diverse correzioni e varianti, copiate su due fogli diversi, rispettivamente alla c. 16v e alla c. 27v, con una nota redazionale significativa alla c. 16v: «Reportada avanti», che ne segnala quindi la stesura in bella copia, peraltro ricorretta, rintracciabile alla c. 27v. L’ultimo testo datato (CLVI) risale al 24 novembre 1599 ed è trascritto alla c. 61r; a esso sembra fare seguito il testo CLVII trascritto alla c. 86v, datato 1599, ma senza indicazioni cronologiche più precise; entrambi sono indirizzati allo stesso destinatario (Nicolò Antonio Medici). Questo fa pensare che i componimenti siano stati trascritti in periodi diversi, anche a distanza di tempo; solo per gli ultimi anni il momento di copiatura pare cronologicamente vicino alla data di stesura. In riferimento alla confezione del quaderno, si vede, per esempio, che la c. 79 è stata inserita tra due fogli perché il componimento che viene trascritto alla c. 78v continua alle cc. 80r e v (CXXIV).

Per quel che riguarda la progettualità di Donato, sembrano interessanti poi altri due note autografe: quella riferita al testo del 1597 trascritto sulla prima carta che spiega che la poesia «va registrada nel fin del libro appresso li altri» (CL); e quella alla c. 71r del quaderno, in calce a un capitolo in pedantesco sul tema dell’amore in età senile, in cui l’autore annota: «Segue, Lassami a pas Amoor» (CIX). Tale appunto rimanda a un componimento che si trova alla c. 53r (inviato a Pietro Mestrense di Portogruaro), dedicato allo stesso tema, che incomincia con il verso «Lassami a paas, Amoor, lassami a paas» (LXX). Si tratta di deboli indizi che fanno però meditare su un probabile progetto d’autore finalizzato a una possibile ‘forma canzoniere’, di cui quest’autografo potrebbe rappresentare solo una tappa redazionale (ma in uno stadio abbastanza avanzato).

L’opera di Donato si legge attraverso due edizioni, una parziale e pressocché diplomatica, priva di traduzione, allestita da Giuseppe Vale e pubblicata tra il 1924 e il 1925, e una quasi integrale, con traduzione e note di commento, curata da Ariego Rizzetto e stampata nel 1997. La pubblicazione di Vale è stata la fonte di molti studi sul friulano, rientra per esempio tra gli spogli del Nuovo Pirona, tra i testi di riferimento per la

compilazione del Dizionario Storico Etimologico Friulano, ma risulta incompleta per un quadro generale dell’opera dell’autore, e quasi esclusivamente concentrata sui testi friulani.L’edizione di Rizzetto, dopo un’attenta frequentazione del manoscritto, appare nel complesso insoddisfacente e poco scientifica. I criteri di trascrizione sono elencati in modo incompleto solo per l’italiano e il friulano, le note al testo sono pressocché prive di riferimenti ai repertori critici e lessicografici di riferimento, il glossario, suddiviso per lingue, non presenta i rinvii ai testi.

L’opera di Donato è stata poi esaminata in diversi saggi da Pellegrini (raccolti in Pellegrini 2003: 169-259), fornendo diversi lavori preparatori a un’edizione critica tuttora in via di allestimento.

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