• Non ci sono risultati.

Marsili e l’arte della guerra

Capitolo 2 – L F Marsili “philosophe non pas dans le cabinet”

2.2 Marsili e l’arte della guerra

Nel vasto teatro della Terra appena l’umanità cominciò a dilattarsi che subito sbandì il vivere innocente e pacifico, non attendendo che a suscitare discordie, emulazioni, contrasti, fomentati o dalla contrarietà de’ genii o dalla diversità degl’interessi, da competenze ingiuste che, per sostentarle, volsero accimentarsi a dessolare non solo le sostanze loro, ma anche vedere la distruzzione dell’uno e dell’altro, macchiando la terra col sangue umano.

Conosciuto alora da popoli inevitabile questo disordine ben sovente o per causa propria, o per genio, o per troppa animosità de’ confinanti, furono obligati di cominciare con l’arte a mettersi in tal postura o di ben diffendersi, o di sicuramente offendere e ridurre a metodo, a regola queste operazioni e applicarle secondo richiedono i vantaggi della natura dategli in quei tali siti e la loro abilità e forza che poterono temere nell’inimico.179

Marsili non tardò, appena entrato al servizio degli imperiali, a cimentarsi con l’arte della guerra, nelle sue estrinsecazioni architettoniche e nelle sue applicazioni ossidionali, sia sotto forma di difesa che di attacco, dimostrando da subito le sue acute capacità di osservazione. La sua attività militare gli consentì di sfruttare le sue conoscenze ed osservazioni in materia di fortificazioni, fatte durante i primi viaggi, adattandole ai vari contesti bellici.

Ciò che è bene notare è che Marsili non s’irrigidì sugli insegnamenti delle maggiori opere in materia di fortificazione, presentati sotto forma di metodi, per fortificare una piazza o anche per attaccarla, ma trasse da essi alcuni principi che andava applicando caso per caso alle condizioni dei luoghi, con lo scopo di sfruttarne le qualità intrinseche.

Così, ad esempio, nella relazione intorno al fiume Raab e le sue fortificazioni, fatta per il duca Carlo di Lorena, egli premette molte considerazioni di tipo generale sull’importanza che ha l’elemento dell’acqua nella guerra, sulla massa d’acqua delle correnti “che è il principale elemento da considerarsi in un fiume di frontiera”, sulla guidabilità dei fiumi in

179 BUB Ms. 53, cit., cc. 368-385 Lettera del Marsili a S. M. Casarea in cui gli propone un miglioramento del cannone,

rapporto con la “la natura plastica e vegetale” delle sponde e con la “qualità dei fondi”, sul necessario intervento dell’arte là dove non interviene la natura.180

Dalle considerazioni di carattere generale passa poi a quelle particolari intorno al fiume Raab. Ne studia il corso, la portata, la velocità, la natura delle sponde e del letto in rapporto con le operazioni militari.

Scrive:

Li fondi che per la loro qualità possono rendere un fiume temuto da nemici, sono nel Raab di tre sorti, secondo la qualità dei terreni adiacenti; che hora sono di sabia massime verso la montagna, ed in parte anche giaroso, e nella pianura fangoso, putrido; per questo ne guadi di siti in pianura già notati, ancorché l’acqua sii scarsa, ad ogni modo vi vogliono forti et assuefatti cavalli per speditamente passare.181

In base a queste osservazioni, Marsili rese conto dello proposte relative ai lavori da eseguire per la difesa, in virtù dei quali venivano migliorate le caratteristiche proprie del fiume nei riguardi delle operazioni militari concernenti, cioè, la funzione di ostacolo o di manovra. Tali proposte consistevano innanzitutto nella soppressione di diversi ponti mantenuti dalle popolazioni al solo scopo di transito; nel mantenimento di altri a scopo difensivo atti a funzionare da elementi di manovra. A custodia di essi era previsto un presidio di 500 uomini, all’interno di un forte, eretto sulla sponda amica con corpo di guardia e cavalleria; sulla sponda opposta, invece, erano proposti dei trinceramenti capaci di tenere soggetti gli accessi con postazioni di tiro. Per i guadi, in corrispondenza di sponde basse, si provvedeva con trinceramenti e le rampe d’accesso delle sponde ripide dovevano essere distrutte. Inoltre veniva stabilito un perfetto sistema di vigilanza per mezzo di pattuglie di cavalleria e prescritto che in ogni luogo presidiato fosse tenuto un cannone per dare l’allarme. Scrive a tale riguardo Marsili:

“Al sentire questi sbarri ognuno che sarà capace di portare armi, sotto pena della

vita, sarà obbligato a correre a quelli tali posti li saranno toccati nella ripartizione”.182

180 BUB Ms. 53, cit.,cc. 145-204, cit., c. 148.

181 BUB Ms. 53, cit., cc. 109-129 Mia spedizione per la difesa del fiume Rab (1683), c. 110. 182 Ibidem, c. 122.

L’impresa sul fiume Raab, che non riuscì a causa delle defezioni ungheresi, non è che il primo di una serie di interventi di Marsili: l’assedio di Buda, la difesa della piazza di Strigonia e di Vicegrado, l’assedio della piazza di Neuhausel, l’assedio e la difesa di Belgrado, il piano di difesa della piazza di Peter Varadino, l’assedio di Landau sono le situazioni belliche in cui meglio si esplicò l’azione militare di Marsili.

Sul modo di fortificare le varie piazze Marsili si rifaceva a quanto si era affermato nelle cosiddette scuole di fortificazione derivate dall’arte italiana, intorno alla quale si raggrupparono i vari metodi e sistemi propugnati dagli italiani, dai tedeschi, dagli olandesi e dai francesi.

Così dalla scuola italiana, i cui maestri del Rinascimento affermarono le nuove forme difensive, apprese le caratteristiche dei primitivi fronti bastionati, l’impiego dei rivellini e delle strade coperte con piazze d’armi di saliente e di rientrante, studiandone i particolari e ritraendone anche i piani di maggior rilievo; egualmente dalla scuola tedesca constatò l’adozione dei fronti tenagliati e delle cinte multiple; dalla scuola olandese rilevò il largo impiego di fossi acquei, i mezzi per sottrarre le murature alla vista dell’assediante e l’impiego di linee di difesa successive per facilitare le comunicazioni; dalla scuola francese, che si può considerare come la continuazione di quella italiana, trasse nuove disposizioni d’impiego dei bastioni, l’introduzione dei coprifaccia, delle tenaglie e delle traverse.

Egli fece anche una interessante raccolta di numerosi piani di fortezze progettate e costruite dai più eminenti ingegneri militari di tutte le nazioni, facilitandone lo studio anche con modelli, eseguiti alla perfezione.

Marsili pur convenendo con altri uomini del suo tempo che, nella pluralità dei casi una piazza bene organizzata e difesa, potrà capitolare solo quando si cinga d’assedio e si proceda passo a passo, tuttavia quando fosse possibile agire in modo più spedito servendosi del bombardamento, o cogliendo la piazza di sorpresa, o anche attaccandola di viva forza, era sempre il sistema preferibile per guadagnar tempo e risparmiare uomini e materiali. Il metodo di attaccare una piazza forte sistematicamente era stato concretizzato dal generale francese Vauban, verso la metà del ‘600, metodo che venne adottato da tutti gli eserciti europei.

Quando Vauban propose il suo metodo, tutte le piazze fortificate erano sprovviste degli elementi di cui è cenno nelle scuole di fortificazione, dove il Marsili attinse in larga parte.

Il Marsili nei suoi procedimenti d’attacco non deroga dall’applicazione del metodo Vauban, e difatti fa avanzare le truppe assalitrici al coperto, mediante approcci a zig-zig; costruisce collegamenti per riunire gli approcci e per postare le artiglierie sulle direttrici del tiro verso il fronte preso di mira, compiendo così tutte le operazioni fino allo spalto per poi procedere alla discesa nel fosso e quindi all’assalto tramite brecce, aperte in precedenza nei muri di scarpa.

Di natura insofferente agli indugi, Marsili pensò, studiando le proposte di Coêhorn, olandese contemporaneo e emulo del Vauban, che l’impiego dei mortai unitamente a quello dei cannoni, postati convenientemente in batterie protette ed a distanza di tiro efficace, non poteva non dare buoni risultati, quando l’azione del fuoco si fosse condotta con la massima efficienza. Con tale convinzione egli concludeva che il metodo di Vauban si sarebbe di molto semplificato e reso più spedito quando, specialmente i lavori di copertura, si fossero eseguiti con rapidità su tracciati razionali, rispetto ai fronti delle opere cinte di assedio. Il Marsili riteneva, in sostanza, che se le artiglierie fossero state in grado di colpire col fuoco intenso quelle dell’avversario, rendendole inservibili e rovinando i parapetti dei fronti attaccati, le ulteriori operazioni sarebbero state avvantaggiate e l’assedio sarebbe risultato di minor durata.

Dallo studio delle proposte sorte nelle varie scuole della fortificazione, Marsili trasse gli elementi, che secondo i suoi criteri, potevano servire agevolmente per la difesa di una piazza, in armonia con i mezzi di offesa allora in uso. Egli evidentemente non si scostò dall’applicazione dei fronti, a tracciato bastionato-tenagliato, così raccomandato da tutti i maestri di fortificazione. Per tutti gli altri particolari fu portato a seguire più il metodo del Coêhorn che si caratterizzava per la cinta bastionata con tenaglia, rivellino e controguardie; la cinta alta o principale era poi separata dalla cinta bassa, o secondaria, per mezzo di un ampio fosso asciutto difeso da gallerie di rovescio e casamatte poste negli orecchioni dei bastioni, i cui fianchi erano curvilenei.

Il contributo che Marsili diede all’arte militare non è riscontrabile solo nella sua esperienza diretta sui territori asburgici: nella sua opera Stato militare dell'Imperio Ottomanno,

incremento e decremento del medesimo, che sarà pubblicata solo dopo la sua morte, nel

1732, ma che aveva già completato durante l’impegno militare, egli traccia un affresco dell’impero Ottomano, dove, in particolar modo, la seconda parte è originale per i suoi contenuti, condotta su materiali, la cui raccolta costò a Marsili un faticoso lavoro prima nella capitale dell’impero, a Costantinopoli, e poi durante le campagne asburgiche.

Essa si compone di XXVII capitoli nei quali l’autore, dopo aver premesso poche considerazioni sulla manifesta decadenza di alcuni corpi dell’esercito, inizia a trattare dell’esercito ottomano, dei suoi metodi tattici, strategici e di fortificazione, e ne fa uno studio profondamente critico sia in rapporto con i fatti bellici, le operazioni d’assedio e le operazioni di difesa a cui egli assistè nella campagna fra Austria e Turchia, sia con le nuove teorie e progressi dell’arte della guerra.

Marsili comincia col descrivere l’armamento dei Turchi, che importa conoscere per formarsi un concetto esatto delle loro operazioni di guerra. Distingue le armi difensive e offensive, e le une come le altre suddivide in più categorie, a seconda della forma e anche della materia con cui sono fabbricate. Perciò sono passati in esame elmi, scudi, manopole, maglie di ferro, aste, frecce, archi, sciabole, pugnali, moschetti e fucili che “ànno per lo più le canne intarsiate di argento, con rapporti in qualche loco di grano di corallo rosso, facendo pompa ciascuno, e più degli altri quelli del Cairo, di avere armi con tali ornamenti. Ugualmente ornano le casse con avorio, madreperla e corallo”.183 Marsili parla quindi di

cannoni, mortai, bombe, mine “la cui arte fu appresa dai turchi nel lungo esercizio, ch’ebbero nella espugnazione di Candia con l’abilità del buon numero d’operai, che ànno per le miniere loro diverse sparse per l’impero, ed anche di alcuni minatori armeni, avendo in uso la Porta di trattarli con privilegi e con paghe assai buone”.184

Dopo un lungo e minuzioso esame di tutto ciò che riguarda le armi e i costumi dell’esercito ottomano, nel cui ordinamento non si scorge ancora alcun segno di quelle innovazioni che la scienza militare viene introducendo nei maggiori eserciti d’Europa, Marsili passa a discorrere delle operazioni di guerra dei turchi, ossia della castrametazione, della marcia, della battaglia, dell’assedio e della difesa di una piazza, e ne tratta con approfondita conoscenza.

Si noti in che modo Marsili espone le ragioni, per le quali ha creduto di far precedere lo studio sull’accampamento a quello sulla marcia, e si veda da dove egli derivava l’importanza che attribuiva alla castrametazione:

Pare che la prima operazione dovess’essere quella della marcia; ma siccome tutte le marcie, che sono fatte avanti che segua l’unione dell’esercito non sono che a pezzi e senza veruno strett’ordine militare, che si comincia a praticare allo

183 Cfr. L. F. Marsili, Stato militare dell'Imperio Ottomanno, incremento e decremento del medesim. Del signore conte

di Marsigli dell'Academia reale delle scienze di Parigi, e di Monpelieri, e della Societa reale di Londra, e fondatore dell'Instituto di Bologna, Haya, 1732, cap. V, p. 7.

quando è fatta l’unione di tutto l’esercito in sito comodo e non tanto esposto al nemico, e siccome allora si dà principio all’ordinata castrametazione, che forma quel campo, da cui partono per andare a intraprendere l’ostilità o per mettersi in istato di difesa, per ciò comincio dall’accampamento dei Turchi. Questa parte detta della castrametazione è una delle più difficili ed importanti, stante la scelta del loco a proposito, richiedendosi e comodi e sicurezza. I comodi sono acqua, foraggi e legna. Al primo si può assistere con l’arte per somma necessità cavando pozzi; ma gli altri bisogna sieno dati dalla natura nella superficie della terra. La sicurezza può aversi per la natura e per l’arte. Per quella con fiumi, selve, paludi e monti aspri, che coprano il dosso e i fianchi del campo, e per questa o con trinceramenti di terra o con tagliate di boschi.185

Come si legge Marsili riconosce sin dalle prime mosse la multiforme influenza che la natura esercita sulla guerra.

Fra questi requisiti debb’essere l’osservanza di tante leggi, ed in specie universali, alle volte anco particolari, che richieggono certi disegni del Generale, proprio alle congionture. Le universali sono di avere terreno sufficiente da distribuire a reggimenti a piedi, a cavallo, all’artiglieria, a viveri, agli uffiziali d’ogni corpo, e generalità, e loro bagagli, ed uscir con comodo dal campo per potersi l’esercito formare in battaglia avanti del nemico […].186

I Turchi, abili nella scelta del sito, curavano più la sicurezza dei campi che la loro disposizione. I campi, a causa della gran mole del bagaglio che l’esercito portava, erano molto ampi e, come si desume dai disegni con cui Marsili accompagna le sue pagine, avevano quasi sempre la stessa forma, irregolare, e spesso anche molto disordine all’interno.

Sino alla campagna del 1687 gli ottomani seguirono il metodo di chiudersi fra linee di cavalleria di avanguardia e retroguardia e di cingere il campo principale con una linea tutta di cavalli.

185 Ibidem, cap. XXI, p. 73. 186 Ibidem.

Le guardie ben disposte attorno di un campo, che stia a fronte del nemico, sono il fondamento del suo riposo e della sua sicurezza, e i turchi con questa parte tanto essenziale si precautionano non solo con le descritte vanguardie e retroguardie composte di più mila uomini, ma il campo ha le sue proprie disposte in truppe di cavalleria assai ben postate in diverse distanze l’una dall’altra, e per tenere queste svegliate durante la notte, continuamente girano fra il campo e le medesime guardie tamburi, cavalcando i tamburini e battendo quelli di continuo con più parole di lode a Dio, a Maometto, al Sultano.187

Pronti al comando com’erano, i turchi si disponevano sempre celermente alla partenza e l’ingombrante bagaglio non gli era d’intralcio.

La stessa celerità e destrezza dimostravano nelle marce:

Questo esercito è assai sollecito nelle marcie ed atto a sostenerle più lunghe, che non fa il nostro, effetto del buon nodrimento degli uomini e dei cavalli, nei quali impiegano miglior governo che noi, onde nascono la robustezza de’ corpi loro e la tolleranza delle fatiche.188

Tuttavia, spesso la mancanza di conoscenza dei territori rendeva le marce disordinate, situazione che in più di un’occasione li portò alla sconfitta.

Per quanto riguarda il combattimento i turchi non seguivano un metodo costante: spesso agivano alla cieca, attaccando con impeto frontalmente, limitandosi alle scorrerie e agli stratagemmi, ma senza mai riuscire nel loro intento principale, ch’era quello di stancare il nemico e ridurlo ad abbandonare le posizioni conquistate.

Né ebbero cognizioni dell’arte di fortificare e difendere le piazze fino alla guerra con Leopoldo d’Austria.

Avendo i turchi eretto e dilatato il loro vasto impero felicemente fino alla guerra di Vienna, poco curarono il pensiero della difesa con precauzioni attorno alle conquiste, che andavano di tempo in tempo facendo, parendo loro che fossero bastantemente difese quando erano divenute parti dell’eimpero ottomano.

187 Ibidem, cap. XXI, p.77. 188 Ibidem, cap. XXII, p. 105.

Da ciò nacque il disprezzo fra loro della bell’arte della fortificazione attorno alle loro piazze, che sufficientemente le credettero in istato con le riparazioni della breccie, se pur le facevano. Dalle cognizioni ed arte di ben munire una piazza ne viene anche l’altra della difesa dentro di essa, e questo impero come quello, che dal suo nascere fino al tempo dell’assedio di Vienna non ebbe mai occasione di fare una reale difesa, per ciò ne pure l’ebbe di stabilire un qualche metodo.189