• Non ci sono risultati.

Materi, Forma e ilemorfismo

Nel documento Oggetti fittizi: un'indagine metafisica. (pagine 168-200)

Nel capitolo precedente ho fornito una caratterizzazione dei concetti sortali connotandoli come nozioni analoghe ai generi e le specie di cui parla Aristotele nelle

Categorie, ovvero come tipi di entità. Come si è visto, caratteristica fondamentale dei

concetti sortali è quella di avere ad essi associati dei criteri d’identità, ovvero dei principi metafisico-semantici che consentono di stabilire in cosa consiste l’identità tra due oggetti che istanziano lo stesso sortale e delle procedure che consentono di contarne le istanze. Si è anche adottata la convenzione, in accordo con quanto propone Lowe, di riservare il termine ‘oggetto’ per entità per le quali è possibile formulare chiare condizioni d’identità e dunque per entità che cadono sotto un qualche concetto sortale. Ho anche abbracciato l’idea di Lowe secondo cui la dipendenza ontologica potrebbe essere intesa in termini di dipendenza relativa all’identità. Da questo punto di vista, date due entità x e y, se l’identià di x dipende da quella di y, allora l’esistenza del primo dipende da quella del secondo. Ciò pare essere valido, per quanto riguarda l’entità dipendente (il nostro y), sia che essa sia un oggetto sia che sia un’entità che non possiede chiare condizioni d’identità come può essere un modo o proprietà individuale sia che sia un oggetto. In quest’ultimo caso, la dipendenza di un tipo di oggetto da un altro si manifesta nel fatto che la formulazione del criterio d’identità del primo contiene un riferimento al secondo.

La realtà pare così configurarsi come una struttura gerarchica consistente di entità dipendenti ed entità da cui altre entità dipendono. Ovviamente un ruolo non esclude l’altro. Si è visto tuttavia come questo modo d’intendere la dipendenza ontologica comporti l’ammissione di un livello ontologico fondamentale, ovvero un livello che funge da fondamento per gli altri, ma che non è sua volta fondato oppure che è autofondato. Ciò significa che le entità che si trovano su questo piano della realtà non dipendono per la loro identità da altri tipi di entità appartenenti ad altri livelli. Sono dunque entità che dipendono solo da loro stesse per la loro identità. Lowe, come si è visto, le chiama sostanze. Per esse non sarebbero formulabili criteri d’identità non circolari poiché questi, per essere informativi, dovrebbero contenere il riferimento ad entità più fondamentali. Potremmo quindi definire l’estensione del termine ‘oggetto’ dicendo che un oggetto è una sostanza o

un’entità i cui criteri d’identità contengono il riferimento ad entità che dipendono da qualche sostanza. Questa formulazione pare corretta se si ammette, come pare plausibile, che la relazione di dipendenza ontologica sia transitiva (se x dipende da y e y da z, allora x dipende da z) in alternativa si può tentare di riformulare il tutto definendo l’ancestrale della dipendenza ontologica. Il termine ‘entità’ o ‘essere’ diviene dunque, ammettendo la possibilità che in alcuni casi la dipendenza ontologica sia riflessiva come pare fare Lowe, sinonimo di ‘x tale che esiste una sostanza y da cui x dipende per la sua identità’. Si noti che nulla vieta, che x e y siano identici, anzi, se si aggiunge la condizione per cui x e y debbano essere identici, si ottiene una formula che solo le sostanze possono soddisfare.

La possibilità di ammettere oggetti fittizi nella nostra ontologia risulta quindi, assumendo quanto ho detto sopra, subordinata al reperimento di criteri d’identità per queste entità se, come intendo fare, si vuole proporre la tesi che essi sono oggetti (nel senso tecnico di Lowe). L’oggettualità dei ficta mi pare plausibile alla luce del fatto che sembra possibile contare i personaggi di un racconto e che, come mostrato, ciò presuppone che sia possibile decidere la verità o falsità di ‘Il fictum x è identico al fictum y’. Più complicato è decidere se sia possibile stabilire l’identità di personaggi che compaiono in storie diverse e se sia possibile proporre una teoria plausibile secondo la quale storie diverse possano avere personaggi uguali. Chi scrive ritiene che un personaggio possa mantenere la propria identità anche passando da una storia ad un’altra, ma per sostenere una simile tesi è necessario fornire una spiegazione plausibile di come questo possa avvenire. Al fine di fare ciò, mi occuperò in questo capitolo di espandere quanto solo accennato in chiusura del capitolo precedente relativamente alla costituzione, ovvero la relazione che sussiste tra un oggetto e la materia (o ciò che svolge tale ruolo) di cui è fatto. Mi occuperò quindi di fornire una caratterizzazione generale della dottrina dell’ilemorfismo concentrandomi in particolare sul caso degli artefatti ed adottando a tal riguardo l’impostazione proposta da Simon J. Evenine (2016). Passerò poi nel capitolo successivo a proporre una teoria degli oggetti fittizi concepiti come artefatti astratti à la Evnine e dotati quindi di un aspetto material e di uno e formale (quest’ultimo in un senso che andrà meglio specificato).

1. Ilemorfismo e costituzione.

L’ilemorfismo è la dottrina di matrice aristotelica secondo la quale le sostanze materiali sarebbero composte da materia e forma. Aristotele introduce tale dottrina nella

Fisica nel tentativo di fornire una spiegazione del fenomeno del mutamento (De Anna,

2010, p. 47). Se infatti due oggetti sono uguali solo se hanno le stesse proprietà, allora dovremmo concludere che la foglia che è prima verde e poi rossa in realtà non è la stessa foglia perché c’è una proprietà che una ha e l’altra no. L’ilemorfismo consente di salvare la nostra intuizione per cui c’è un’unica foglia che è prima verde e poi rossa e non due oggetti diversi. La spiegazione consiste nell’ammettere che il mutamento che avviene riguarda una caratteristica non essenziale della foglia, ovvero il colore. Finché la foglia manterrà le sue caratteristiche essenziali potremo affermare con verità che essa continua ad esistere. Certo il problema si può risolvere introducendo un indicatore temporale e dicendo che la foglia è verde a t e non verde a t + 1, ma ciò non ci aiuterebbe a stabilire a che condizioni è possibile sostenere che uno stesso oggetto continua ad esistere nel tempo. Non sembra infatti plausibile sostenere che una stessa cosa sia un albero a t e un mucchio di cenere a t + 1. Diremmo piuttosto che l’albero non esiste più e al suo posto ci ritroviamo con un mucchio di cenere. Questo perché l’albero ha subito una mutazione tale da perdere quelle caratteristiche che sono essenziali per gli alberi. Col linguaggio dell’ilemorfismo, ha perso la sua forma sostanziale, ovvero quel principio che strutturava la materia dell’albero e che ne faceva il tipo di cosa che era.

Un altro fenomeno di cui una spiegazione in chiave ilemorfica sembra dare ragione in modo convincente è il fatto che gli organismi acquisiscono e cedono materia continuamente senza che ciò determini una perdita della loro identità. Se identificassimo infatti un albero con la sua sola materia, dovremmo concludere che ogni volta che questa viene sostituita anche solo in parte ci ritroveremmo con un albero diverso e ciò è chiaramente poco plausibile. La spiegazione che l’ilemorfismo può fornire consiste nell’affermare che un ente continua ad esistere finché, anche al mutare della sua materia, la sua forma sostanziale persiste.

L’ammissione di una relazione di costituzione concepita come distinta dall’identità tra un oggetto e ciò di cui questo è costituito tuttavia non implica necessariamente

l’adozione di una posizione genuinamente ilemorfica. Va precisato sin da ora che se per posizione genuinamente ilemorfica s’intende una teoria del tutto aderente a quella proposta da Aristotele e Tommaso, allora quasi nessuno dei filosofi che oggi si professano ilemorfisti potrebbero in effetti considerarsi tali e ciò perché da un lato la nozione di forma così come l’aveva concepita Aristotele viene oggi guardata con sospetto a causa della sua incompatibilità con la visione della realtà che sembra emergere alla luce di quanto ci insegnano le scienze naturali (Evnine, 2016), dall’altro per certi problemi che paiono sorgere nei confronti della nozione di materia prima che spesso, a causa di una prospettiva influenzata dal pensiero lockiano, è assimilata al concetto di particolare spoglio . Come 100

sostiene Marmodoro (2013), molti autori contemporanei che si professano ilemorfisti ritengono che tale dottrina necessiti per poter essere sostenuta coerentemente di essere rivista e corretta e dunque che sia necessario abbandonare quegli aspetti che vengono ritenuti difficilmente difendibili (emblematico a tal proposito è il titolo dell’articolo di Michael Rea (2011) “Hylomorphism Reconditioned” il quale abbandona la nozione di materia prima).

La radice del problema che accomunerebbe gli autori che Marmodoro prende in considerazione nel suo articolo (2013) consisterebbe in un’interpretazione errata di come materia e forma costituirebbero un’unità nella dottrina aristotelica originale. Le proposte prese come riferimento critico (Rea (2011), Koslicki (2008) e Lowe (2011)) sarebbero accomunate dal fatto d’intendere la costituzione ilemorfica in chiave mereologica e da ciò scaturirebbero poi tutti i problemi che renderebbero necessaria una riformulazione dell’ilemorfismo. Ovviamente la questione riguardante la presunta problematicità della nozione di forma rispetto al sapere scientifico non sono considerate da Marmodoro, ma non escludo che questo sia un contrasto appianabile (si veda Jaworski (2016) che utilizza numerosi esempi presi dalle scienze per elucidare la nozione di struttura).

Il problema, secondo Marmodoro, risiede tuttavia nell’attribuzione ad Aristotele da parte degli autori che critica di una dottrina che lei definisce “Ilemorfismo mereologico” (Mereological Hylemorphism). Secondo questa prospettiva, le sostanze non

La questione relativa al fatto che Aristotele accettasse o meno la nozione di materia prima è dibattuta. Per

100

una presentazione della questione si veda Ainsworth (2016), per una posizione critica rispetto alla necessità di attribuire la dottrina della materia prima ad Aristotele si vedano Charlton (1972) e (1983).

sarebbero altro che la somma mereologica di materia e forma, ma ciò rende del tutto incomprensibile come la forma possa svolgere un ruolo unificante all’interno del composto ilemorfico. Una somma mereologica non è infatti niente di più e niente di meno che la somma delle parti, come ad esempio un mucchio di pietre non è che la somma delle singole pietre di cui è fatto. Un composto ilemorfico pare invece avere un’unità che va al di là della semplice somma delle parti e tale unità è il risultato dell’azione che la forma esercita sulle parti. Anzi, si potrebbe dire che le parti devono la loro identità al tutto di cui sono parti e non viceversa, sono infatti parti di qualcosa e quindi questo qualcosa non può dipendere per la sua identità dalle parti come in una somma mereologica poiché altrimenti ci staremmo muovendo in un circolo. Inoltre, se ammettessimo che un a sostanza è la somma mereologica di materia e forma, non potremmo spiegare il ruolo unificatore svolto dalla forma e dovremmo assumere l’esistenza di un ulteriore principio che unifica materia e forma, ma in questo modo pare inevitabile cadere in un regresso all’infinito.

Il problema principale del concepire le sostanze come somme mereologiche di materia e forma, ritengo, consiste nel partire dai costituenti per arrivare al tutto secondo quello che potremmo definire un processo bottom-up. Ovvero, la sostanza viene concepita come unione di materia e forma come se questi due elementi potessero esistere indipendentemente l’uno dall’altro. Pare che, in questa prospettiva, la spiegazione del perché esiste una data sostanza dipenda dall’esistenza dei suoi due costituenti, ma la direzione della spiegazione, per così dire, dovrebbe essere opposta: la materia e la forma di qualcosa esistono perché esiste questo qualcosa. Possiamo dire che l’approccio corretto è di tipo top-down ovvero, bisogna partire dalla sostanza per poi distinguere in essa un componente formale ed uno materiale. Con le parole di Oderberg (2007, p. 81):

“Quindi ci sono svariati modi per comprendere la sostanza, tutti convergenti sulla sua definizione come un composto di materia prima e forma sostanziale. Possiamo analizzare la sostanza nei suoi componenti, ma non dovremmo aspettarci di essere in grado di definire quei componenti in termini che non fanno riferimento, esplicitamente o implicitamente, alla sostanza stessa. E questo dimostra che la sostanza è una categoria fondamentale dell'essere - analizzabile in

termini di parti che non esistono mai o in nessun luogo separatamente da essa, ma non analizzabile nei termini di qualcosa che possa essere veramente compreso indipendentemente da essa.”101

La forma di Socrate e la materia di Socrate sono entità che designiamo utilizzando espressioni funzionali e ciò sembrerebbe suggerire che in qualche modo dipendano da ciò che viene assunto come argomento di tali espressioni. Secondo l’approccio classico, non può infatti esistere materia che non sia in qualche modo informata così come non può esistere una forma che non sia realizzata in un sostrato materiale. Al contrario, una somma mereologica non ha un principio di unificazione formale e quindi in questo caso è corretto concepirla come qualcosa la cui identità ed esistenza dipendono dagli elementi che la costituiscono.

In una sostanza come un organismo vivente le parti non mantengono, secondo la dottrina dell’ilemorfismo classico, un’identità indipendente dall’organismo stesso proprio perché ciò che sono viene determinato dall’appartenenza all’organismo di cui fanno parte e dal ruolo funzionale che svolgono all’interno di esso. Un esempio comune riguarda l’assimilazione del cibo: un pezzo di pane non mantiene la sua identità quando viene digerito, ma viene in qualche modo assorbito e diventa parte dell’organismo che l’ha ingerito. Il pezzo di pane, potremmo dire, perde la sua identità e ne riceve una nuova come parte di un tutto, smette di essere pane e diviene carne, ossa, sangue etc… Nel caso invece di una parte che appartiene ad un tutto e ne viene separata, avviene qualcosa di analogo: la parte smette di essere una parte e diviene qualcos’altro. Un piede separato dalla persona a cui appartiene, si potrebbe dire che smette di essere un piede proprio perché non può più svolgere le funzioni che gli sono proprie nel contesto del tutto di cui faceva parte. Da questo punto di vista, il piede separato dal corpo si dice piede solo per analogia. Da questo punto di vista, il problema di come la forma e la materia diano vita ad un tutto non sembrerebbe porsi. Questo perché, come sostiene Marmodoro (2013, p. 17), la forma non è una parte del tutto, non è un elemento fra gli altri, ma è un’operazione di unificazione che trasforma le parti in un tutto. Ancora con le parole di Marmodoro (2013, p. 18): “Una

“So there are a number of ways of understanding substance, all converging on its definition as a compound

101

of prime matter and substantial form. We can analyse substance into its constituents, but we should not expect to be able to define those constituents in terms that do not refer, explicitly or implicitly, back to substance itself. And this just shows that substance is a fundamental category of being – analysable into parts that do not ever or anywhere exist separately from it, but not analysable into anything that can truly be understood apart from it.”

sostanza non è le sue parti (che una delle parti sia una forma o no); e non è le sue parti più una forma (di un tipo ontologico diverso da quello delle parti). Una sostanza è tutte le sue parti, re-identificate.” 102

Nel capitolo precedente ho fatto ampiamente riferimento al lavoro di Lowe per quanto riguarda i concetti sortali e i relativi criteri d’identità. Tale impostazione è frutto di un approccio ontologico fortemente ispirato a quanto Aristotele sostiene nelle Categorie e quindi da un modo di concepire la realtà in qualche modo mediato dalle nostre pratiche linguistiche. Come già accennato tuttavia, la prospettiva cambia nel momento in cui ci si sposta su un terreno più genuinamente metafisico e questo avviene in Aristotele con l’introduzione della dottrina dell’ilemorfismo proposta nella Fisica e in seguito nella

Metafisica. Si potrebbe dire che mentre il principio di sostanzialità su base linguistica

proposto nelle Categorie fa sì che risulti una sostanza tutto ciò che può considerarsi appartenente a qualche concetto sortale, lo stesso non è scontato quando ci si muova su un terreno puramente metafisico. Questo non toglie la validità di quanto sostenuto nel capitolo precedente, tuttavia, oggetti che da un punto di vista della predicazione risultano sostanze potrebbero poi non rivelarsi tali sul piano metafisico. Il cadere sotto un qualche concetto sortale sarebbe quindi una condizione necessaria ma non sufficiente per poter considerare qualcosa una sostanza.

Nella terminologia di Lowe sono sostanze quegli oggetti che dipendono da loro stessi per la propria identità e ciò sembra in qualche modo discostarsi dal criterio di sostanzialità proposto nelle Categorie. Tuttavia, Lowe pare annoverare tra le sostanze oggetti come gli artefatti i quali sono, almeno per chi scrive, certamente oggetti, ma ritengo dipendano per la loro identità da entità di tipo diverso, ovvero coloro che li hanno creati. Il termine ‘statua’, da questo punto di vista, esprime certamente un concetto sortale e quindi le statue si possono considerare oggetti che possiedono chiare condizioni d’identità, tuttavia, mi pare sensato ammettere, tali condizioni siano da formulare facendo riferimento agli scultori che hanno lavorato i materiali da cui ha preso forma la statua.

“A substance is not its parts (whether one of the parts is a form or not); and it is not its parts plus a form

102

Prima di proseguire con l’approfondimento della dottrina dell’ilemorfismo e della declinazione che Evnine (2016) ne offre, ritengo sia opportuno indicare brevemente a che punto il mio pensiero e quello di Lowe prendono sentieri divergenti. Questo, credo, sia doveroso perché nel capitolo precedente ho attinto ampiamente dal lavoro svolto da Lowe sui concetti sortali condividendone le intuizioni di base. Volendo tuttavia proporre una teoria ilemorfica degli oggetti fittizi, si rende necessario fornire una motivazione per cui non seguire Lowe nel rigettare la nozione di materia e con essa l’ilemorfismo.

Lowe ammette che nelle sostanze composte, ovvero le sostanze che possiedono delle parti, queste ultime siano dipendenti per la loro identità dal tutto di cui sono parti. Ciò ritengo sia corretto e coerente con la distinzione sopra introdotta fra composto ilemorfico e somma mereologica. Nell’identificare qualcosa come parte di qualcos’altro, sembra che si debba presupporre appunto l’esistenza del tutto di cui la parte è parte. Secondo la dottrina dell’ilemorfismo classico, una sostanza è un tutto che è tale in virtù dell’azione unificatrice che la forma compie sulle parti. Tale unificazione avviene nel momento in cui una certa materia, che è solo potenzialmente un K, viene attualizzata in modo da diventare appunto un K. Nel divenire un K, come illustrato sopra, la materia viene re-identificata, assume una nuova identità che è appunto parassitaria rispetto a quella del tutto che è il K in questione e questa nuova identità dipende anche dalla funzione che le parti svolgono all’interno del tutto. Secondo questo modo di vedere le cose dunque, le parti di un cane esistono solo se esiste il cane di cui sono parti; nel momento in cui il cane cessa di essere, dipendendo l’identità delle parti da quelle del tutto, perdono la loro identità anche le parti; smettono dunque di essere parti di cane perché non esiste più il cane di cui erano parti.

La prospettiva di Lowe pare essere diversa, come già accennato, egli rifiuta la nozione di materia prima e accetta invece solo una nozione di materia prossima che, in quanto tale, è una nozione relativa. Da questo punto di vista non si più parlare di materia in senso assoluto, ma solo di qualcosa che svolge il ruolo funzionale di materia nel momento in cui va a costituire qualcos’altro. Ad esempio, i mattoni svolgono il ruolo della materia rispetto ad una casa, ma sono a loro volta costituiti da altri materiali che svolgono il ruolo della materia rispetto ai mattoni. I mattoni sono quindi la materia prossima della casa e, ad

Nel documento Oggetti fittizi: un'indagine metafisica. (pagine 168-200)

Documenti correlati