In questa sezione mi occuperò delle posizioni realiste di matrice meinonghiana. Introdurrò le caratteristiche fondamentali di questa dottrina e ne metterò in luce le principali differenze con l’impostazione metaontologica di Quine con cui si pone in netta contrapposizione. In particolare mi soffermerò sul cosiddetto principio d’indipendenza dell’essere dall’essere determinato e sul principio di comprensione. Proporrò una formulazione del principio di comprensione ingenuo, quello incorporato nella dottrina originale di Meinong, passerò a considerare in seguito alcuni dei problemi generati da tale formulazione e infine andrò ad esporre alcune posizioni neo-meinonghiane particolarmente significative mostrando come gli autori che le propongono tentino di emendare il principio ingenuo nel tentativo di evitarne alcune conseguenze paradossali. Mostrerò infine alcuni problemi che emergono relativamente al tema degli oggetti fittizi anche all’interno delle posizioni neo-meinonghiane. Vale la pena precisare che, essendo i ficta considerati oggetti non esistenti per eccellenza dai meinonghiani, qualunque critica investa la nozione stessa di oggetto inesistente o il principio di comprensione per oggetti, investirà anche la concezione meinonghiana degli oggetti fittizi. Tenterò anche di mostrare alcune problematiche che sorgono nel momento in cui si considerino gli oggetti fittizi come una sottocategoria degli oggetti non esistenti e nello specifico come il fare ciò ci costringa a rivedere alcune intuizioni profondamente radicate.
1. La teoria meinonghiana ingenua
Come già accennato in precedenza, gli autori (neo-)meinonghiani che si occupano di oggetti fittizi identificato questi ultimi con un sottogruppo dei cosiddetti oggetti meinonghiani, ovvero oggetti non esistenti. Si potrebbe dire che i personaggi immaginari che popolano racconti, romanzi e storie dell’orrore, sono oggetti non esistenti per antonomasia. Cosa diremmo infatti ad un bambino che, per una serie di circostanze, abbia visto Nightmare - Dal profondo della notte e non volesse addormentarsi per paura d’incontrare nei suoi sogni il terribile Freddy Krueger? “Non devi avere paura, era solo un film! Freddy Krueger non esiste!” Sembrerebbe infatti che l’enunciato ‘x non esiste’ sia
reso vero da ogni sostituzione della x con il nome di un oggetto (puramente) fittizio . 19
Tuttavia ci sono enunciati contenenti, ad esempio, il termine ‘Freddy Krueger’ che sono veri e nei quali si attribuiscono delle proprietà al mostruoso personaggio partorito dalla mente di Wes Craven. Ad esempio ‘Freddy Krueger terrorizza i ragazzi di Elm street’ pare essere in un qualche senso vero, ma come può conciliarsi con la verità di ‘Freddy Krueger non esiste’? A ben vedere, il personaggio in questione non terrorizza solo i bambini fittizi di Elm Street, ma potrebbe benissimo darsi che un bambino reale abbia paura di Freddy Krueger. Come possiamo avere paura di ciò che non esiste? Come possiamo pensare ciò che non esiste? Come possiamo parlare di ciò che non esiste? Secondo la teoria dell’oggetto proposta da Alexius Meinong, gli stati intenzionali sono sempre diretti verso un qualche oggetto, ma c’è di più, l’oggetto verso cui sono diretti deve in un qualche senso esserci, deve essere “là fuori”. In altre parole, i nostri stati intenzionali sarebbero sempre diretti verso qualche oggetto e se l’oggetto in questione, come il nostro Freddy Krueger, non esiste, allora avremo a che fare con un oggetto non esistente. La tesi meinonghiana consiste infatti nell’accettare l’idea per cui alcuni oggetti non esistono e nel fare ciò si pone in netta contrapposizione rispetto all’assunto quineano per cui l’esistenza è una proprietà logica posseduta da tutto. Per Quine, si ricordi, è vero l’enunciato ‘tutto esiste’. Basterà quindi negare tale enunciato per ottenere la tesi fondamentale della dottrina meinonghiana. Inoltre, i meinonghiani ritengono che possiamo riferirci ad oggetti non esistenti, possiamo quantificare su di essi e possiamo esprimere degli enunciati veri su di essi . Com’è facile 20
intuire, se si ammette la possibilità di quantificare su non esistenti, si contraddice un altro dogma dell’approccio metaontologico quineano, ovvero l’idea che l’esistenza possa essere espressa mediante la quantificazione. Infatti i meinonghiani concepiscono l’esistenza come una proprietà ascrivibile ad individui e non come una proprietà di secondo livello, ovvero una proprietà di proprietà. Alcuni individui possiedono tale proprietà, mentre altri non la possiedono e dunque è vero di qualche oggetto che questo non esiste.
Questo è quello che Voltolini e Kroon chiamano “nonexistence datum” (riferimento SEP).
19
Sainsbury caratterizza la dottrina meinonghiana come la congiunzione delle seguenti tesi: (MO) Alcune
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cose non esistono; (MN)Alcuni nomi propri si riferiscono a cose che non esistono e possono essere usati per affermare veirà su tali cose; (MQ) Alcune quantificazioni spaziano su cose che non esistono e e possono essere usate per affermare verità su tali cose; (MF) Personaggi, luoghi ed altre cose fittizie, sono sono fra le cose che non esistono[…] (Sainsbury, 2009, pp. 45-46)
Sebbene un oggetto possa non esistere, ciò non toglie che possiamo formulare enunciati veri su di esso e non semplicemente gli enunciati esistenziali negativi singolari, ma vere e proprie attribuzioni di proprietà come nel caso di Freddie Krueger. Dal punto di vista meinonghiano, ‘Freddie Krueger è un sadico’ e ‘Freddie Krueger non esiste’ sono entrambi veri e ciò non costituirebbe alcun problema poiché la verità di ‘Freddy Krueger non esiste’ non implica la verità di ‘‘Freddy Krueger’ non denota’. Per rendere conto di ciò bisogna introdurre il celebre assunto di Meinong per il quale l’essere (Sein) di un oggetto, il suo status ontologico, è indipendente dal suo essere in un certo modo (Sosein), dal suo possedere delle proprietà. Questo assunto prende appunto il nome di principio d’indipendenza (PI) del sein dal sosein. Lo status ontologico di Freddy Krueger sarebbe quindi indipendente dal suo possedere proprietà e ciò spiegherebbe come possiamo allo stesso tempo negarne l’esistenza e attribuirgli certe caratteristiche. Il fatto inoltre che i termini che fungono da soggetto negli enunciati esistenziali negativi possano essere considerati denotanti, consente di mantenere la composizionalità del linguaggio anche per questo tipo di espressioni. Come Berto e Plebani (2014, p. 100) sottolineano, la prospettiva meinonghina, ben si sposa con un progetto descrittivista in ambito ontologico poiché, una volta accettata l’idea per cui ci sono cose che non esistono, sarebbe possibile rendere conto di tutta una serie di nostri discorsi ed intuizioni ad essi sottostanti, senza ricorrere a complesse e a volte discutibili parafrasi.
La tesi fondamentale della dottrina meinonghiana consiste quindi nell’ammettere che alcuni oggetti non esistono o, per usare le parole paradossali di Meinong, che “Ci sono oggetti per cui è vero che non ci sono tali oggetti”. Per rendere quest’espressione intelligibile è necessario introdurre il tema della quantificazione meinonghiana. Come visto in precedenza, l’impostazione di Quine considera la quantificazione come ontologicamente carica e in questi termini la frase di Meinong non è altro che una contraddizione. Tuttavia, le due occorrenze di ‘ci sono’ nell’enunciato preso in considerazione, hanno letture diverse. La prima occorrenza esprime una quantificazione non ontologicamente carica, la seconda invece esprime la quantificazione nel senso in cui la intende Quine. I quantificatori meinonghiani sono spesso espressi utilizzando ‘𝚺’ per il quantificatore particolare e ‘𝚲’ per
il quantificatore universale . Le variabili vincolate da questi quantificatori spaziano su un 21
dominio sia di esistenti che di non esistenti. A partire da essi è possibile definire i quantificatori classici (‘! ’ e ‘! ’) grazie all’impiego di un predicato di esistenza ‘E!(x)’:
• xFx =def 𝚺x(E!x Fx)
• xFx =def 𝛬x(E!x ⊃Fx)
Come si può vedere, i quantificatori classici sono concepiti come una restrizione dei quantificatori meinonghiani. Tenendo questo in mente, possiamo ora comprendere quello che Meinong intendeva dire con la sua frase paradossale sopra riportata:
• 𝚺x! ! y(x=y)
Ovvero, per qualche oggetto non esiste un oggetto a d esso identico.
Abbiamo visto come i meinonghiani, siano in grado di definire la quantificazione classica come una restrizione di quella meinonghiana impiegando un predicato d’esistenza ‘E!’. Come va inteso questo predicato? Che proprietà esprime? L’idea è che quello d’esistenza sia un predicato di primo livello che esprime una proprietà consistente nel possesso di poteri causali. Esistere significherebbe quindi possedere poteri causali. È facile dunque intuire cosa intenda un meinonghiano quando afferma che Freddy Krueger non esiste, sta affermando che il nostro personaggio bruciacchiato non possiede poteri causali. Come ben sottolineano Berto e Plebani (2014, p. 106), un’obiezione salta subito alla mente: cosa dire degli oggetti astratti che pur non avendo poteri causali vengono detti esistere? Nella sua teoria originale, Meinong distingue due tipi di non esistenza, ciò che esiste concretamente (esiste) e ciò che esiste in modo astratto (sussiste). Dunque possiamo dire che la somma di due con tre esiste, ma il più grande numero dispari no. Ci sono autori meinonghiani come Richard (alias Sylvan) Routley e Graham Priest che sottoscrivendo
∃ ∀
∃ ∧
∀
¬∃
Così almeno fa Berto (2012), Priest (2005) opta per ‘𝔖’ (quantificatore particolare) e ‘𝔘’ (quantificatore
21
una dottrina chiamata Noneism rifiutano l’idea che ci siano due tipi di esistenza (concreta ed astratta), e ammettono che esistono solo gli oggetti concreti, tutto il resto non esiste, ovvero tutti gli oggetti non concreti sono oggetti non esistenti. Questo potrebbe presentare dei problemi nel momento in cui si tenti di distinguere oggetti astratti considerati esistenti come l’insieme dei numeri naturali ed insiemi che non possono esistere come l’insieme di tutti gli insiemi che non appartengono a se stessi . 22
A questo punto è utile fare una precisazione. Molti ritengono, sulla scorta di quanto scrive Quine nel celebre “On What there Is”, che la dottrina meinonghiana preveda che ci siano oggetti che esistono ed oggetti che sono, laddove l’essere sarebbe una sorta di esistenza dilavata. Tuttavia questa non è la dottrina né di Meinong né di molti neo-meinonghiani (Sebbene alcuni, come Edward Zalta, la sottoscrivano). Meinong non solo distingue esistenza e sussistenza, ma abbraccia la posizione, ripresa dai noneisti, che gli oggetti non esistenti non abbiano alcuna forma d’essere, siano dei puri “nienti”. La dottrina a cui fa riferimento Quine, come mostra chiaramente Priest (2005), è quella sostenuta dal Russell dei Principles of Mathematics, non certo quella di Meinong, né tantomeno quella di Priest e Routley per i quali ‘Essere’ ed ‘Esistenza’ sono termini sostanzialmente sinonimi. Si consideri il seguente passo tratto da Russell (1903, p. 449):
“[. . .] menzionare qualcosa significa dimostrare che è. L'esistenza, al contrario, è una prerogativa di solo alcuni tra gli esseri. Esistere è avere una relazione specifica con l'esistenza - una relazione, tra l'altro, che l'esistenza stessa non ha.” 23
Commentando questo passaggio Priest scrive:
“Anche Meinong pensa che alcuni oggetti non esistano. Utilizza il termine "sussistere" (besteht) per alcuni di questi — essenzialmente, quelli che chiameremmo oggetti astratti. Ma alcuni oggetti inesistenti non hanno alcuna forma di essere: non esistono né sussistono. Semplicemente non sono (hanno Nichtsein).” (Priest, 2005, p. 106) 24
Paradossalmente il paesaggio descritto da un meinonghiano come Routley è ben più desertico di quello che si può osservare attraverso le lenti del cannocchiale quineano
Si veda il capitolo 7 di Priest 2005 per una possibile risposta.
22
“[. . .]to mention anything is to show that it is. Existence, on the contrary, is the prerogative of some only
23
amongst beings. To exist is to have a specific relationship to existence—a relation, by the way, which existence itself does not have.”
“Meinong, too, thinks that some objects do not exist. He also uses the term ‘subsist’ (besteht) for some of
24
these—essentially, those that we would call abstract objects. But some non-existent objects have no form of being at all: they neither exist nor subsist. They simply are not (they have Nichtsein).”
poiché il primo sostiene che esistano/ci siano solo entità concrete, mentre Quine ammetteva l’esistenza di oggetti astratti come gli insiemi. Tuttavia, Quine rimprovera il suo uomo di paglia Wyman , il filosofo fittizio che in “On What there Is” 25
rappresenterebbe le posizioni di Meinong, di sovrappopolare il suo universo di entità indesiderate. Per usare ancora una volta le parole di Priest:
“Gli oggetti inesistenti non sovrappopolano alcun universo, semplicemente perché non esistono, in alcun senso della parola. Un noneista, che accetta solo oggetti concreti, ha un universo molto scarno. Sono, infatti, platonici come lo stesso Quine che sovrappopolano il mondo con oggetti astratti esistenti che offendono il senso estetico in questione, così come il solido senso della realtà di Russell.” (Priest, 2005, p. 108) 26
Veniamo ora ad un punto di centrale importanza, ovvero la questione del principio di comprensione per oggetti . Insieme al principio di indipendenza, il principio di 27
comprensione rappresenta il nucleo fondamentale di qualsiasi teoria meinonghiana, nel proporne una formulazione, mi rifarò a quanto riporta Berto (2012, p. 102) che esprime il principio in questo modo:
(PC) Per qualsiasi condizione 𝛂[x] con una variabile libera x, qualche oggetto soddisfa esattamente 𝛂[x].
Dunque, una condizione 𝛂[x] è sostanzialmente un gruppo di proprietà e il nostro (PC) ci dice che qualunque sia il gruppo di proprietà che costituisce la condizione 𝛂[x], qualche oggetto soddisfa tutte e sole tali proprietà. Come spiega Priest (2005, p. vii), il principio di comprensione (Priest lo chiama principio di caratterizzazione:
Characterization Principle) ci serve a spiegare come sappiamo ciò che sappiamo sui non
esistenti, ad esempio, sappiamo che Sherlock Holmes è un detective perché viene così caratterizzato. Come sottolinea Berto (2010, p. 103), il principio vale a-priori e appunto
“Wyman’s overpopulated universe is in many ways unlovely. It offends the aesthetic sense of us who have
25
a taste for desert landscapes.” (Quine, 1948)
“The non-existent objects do not overpopulate any universe, just because they do not exist, in any sense of
26
the word. A noneist, who takes only concrete objects to exist, has a very spare universe. It is, in fact, platonists such as Quine himself who overpopulate the world with existent abstract objects that offend the aesthetic sense in question, as well as Russell’s robust sense of reality.”
Mi rifaccio qui alla terminologia di Berto (2010) che, sulla scia di quanto sostiene Parsons (1980), propone
27
di chiamare il principio ‘principio di comprensione per oggetti’ in analogia al principio di comprensione per insiemi.
spiega come veniamo a sapere le cose che sappiamo su certi oggetti che non esistono poiché con i non esistenti non possiamo interagire causalmente e dunque non possiamo vederli, toccarli etc…
Va subito precisato che (PC) nella sua formulazione originaria presenta tutta una serie di problematiche che porteranno gli autori neo-meinonghiani a doverlo in qualche modo modificare. Berto parla, riprendendo un’analogia molto azzeccata proposta da Parsons (1980, p. 31), di “principio di comprensione non ristretto” in riferimento al principio di comprensione così com’era inizialmente concepito nella teoria ingenua degli insiemi. Con le parole di Parsons:
“C’è un parallelo qui con i paradossi della teoria degli insiemi. Il principio di comprensione non ristretto della teoria ingenua degli insiemi dice che per qualsiasi formula aperta c’è un insieme contenente esattamente quelle cose che soddisfano la formula. Prendendo come formula ‘X ∉ X’ quindi si ha “l’insieme di Russell”, che è un membro di se stesso se e solo se non è un membro di se stesso .” (Parsons, 1980, p.31) 28
Come si vedrà in seguito, il principio di comprensione non ristretto per oggetti avrà un destino simile, sebbene molto meno glorioso, al suo analogo per insiemi. Così come nella teoria degli insiemi si sono dovute imporre delle restrizioni sulle condizioni che potevano essere soddisfatte, lo stesso è avvenuto nel caso del principio di comprensione per oggetti. I due modi principali in cui i filosofi hanno emendato (PC), come spiega chiaramente Berto (2010, p. 104), sono una restrizione sulle proprietà che possono costituire le condizioni 𝛂[x], oppure la specificazione del modo in cui gli oggetti possono possedere le proprietà con cui vengono caratterizzati.
Prima di presentare alcune teorie meinonghiane derivanti dall’imposizione di restrizioni su (PC) e sottolineare come ciò impatti sulla concezione meinonghiana dei ficta, esporrò ora alcuni dei problemi principali generati dal principio originale. Alcune delle critiche più celebri sono state mosse da Bertrand Russell e una di queste consiste nell’osservare che se non si impongono restrizioni sulle proprietà che possono caratterizzare gli oggetti, allora possiamo anche considerare insiemi di proprietà non compatibili con la conseguenza di generare oggetti contraddittori. Si ricordi infatti che
“There is a parallel here with the paradoxes of set theory. The unrestricted comprehension principle of
28
naive set theory says that for any open formula there is a set consisting of exactly those things which satisfy the formula. Taking the formula to be ‘X ∉ X’ then yields “the Russell set”, which is a member of itself if and only if it isn’t a member of itself.”
(PC) afferma che per ogni 𝛂[x], ∑x𝛂[x]. Parsons (1980, p. 38) ricostruisce in questo modo l’argomento di Russell:
(1) Il quadrato rotondo è rotondo Assunzione (2) Il quadrato rotondo è quadrato Assunzione
(3) (x) (x è quadrato ⊃ ∼ (x è rotondo)) . ? 29 (4) ∼ (Il quadrato rotondo è rotondo) Da (2), (3) (5) Il quadrato rotondo è rotondo &
∼ (Il quadrato rotondo è rotondo) Da (1), (4)
La replica di Meinog all’obiezione di Russell consiste nel sostenere che il principio di non contraddizione, essendo un principio logico, ha validità nell’ambito del possibile, ma siccome abbiamo a che fare qui con oggetti impossibili, il problema non si porrebbe.
Russell accetta la replica di Meinong, ma propone un altro argomento che costituisce un problema ben più grave. Se infatti, come abbiamo detto, i meinonghiani considerano l’esistenza come una proprietà di primo livello e (PC) non prevede restrizioni sulle proprietà che possono entrare a far parte delle condizioni che caratterizzano gli oggetti, allora sorge un grosso problema. Si consideri il caso in cui 𝛂[x] sia (x è una montagna & x è d’oro & x esiste), immediatamente, per (PC), segue che qualcosa soddisfa tale condizione, ma ciò è empiricamente falso poiché non esiste alcuna montagna d’oro. In questo modo possiamo dimostrare l’esistenza di qualsiasi cosa, anche del mio milione di dollari in banca! Tuttavia la triste realtà è che una conclusione del genere non è accettabile. La situazione è tuttavia peggiore di quanto si possa pensare, come ha mostrato Priest (2005, p.), se prendiamo come condizione 𝛂[x], x = x & B, possiamo dimostrare letteralmente qualsiasi cosa, infatti avremo 𝚺x[x = x & B], da qui, in pochi passi, è possibile ottenere B. Ciò rende ovviamente la teoria triviale poiché ci permette di dimostrare tutto e il contrario di tutto. Inoltre, come sottolinea Berto (2012, pp. 127-128), se per la teoria degli insiemi è stato possibile mantenere il principio di comprensione non ristretto andando ad adottare logiche alternative che consentissero di non rivitalizzare la
Rispetto alla premessa (3), Parsons osserva che perché l’argomento funzioni, bisogna che il quantificatore
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sia sufficientemente ampio da comprendere il quadrato rotondo, ma perché allora dovremmo ritenerla vera? (Parsons, 1980, p. 38)
teoria abbandonando la legge di Scoto , la stessa strategia non si può adottare per (PC) 30
poiché esso ci consente di derivare conclusioni inaccettabili senza ricorrere all’ausilio di alcuna legge logica.
Un problema ulteriore di (PC) consiste nel fatto che prevede che gli oggetti possiedano esattamente le proprietà che definiscono la condizione 𝛂[x]. Ciò significa che dato qualsiasi insieme di proprietà, qualche oggetto soddisfa tutte e sole le proprietà appartenenti all’insieme, ma questo potrebbe essere più problematico di quanto sembri ad una prima occhiata. Si consideri infatti l’insieme costituito da una sola proprietà, per usare l’esempio di Reicher (2019), la proprietà di essere blu. Ora la nostra condizione 𝛂[x] sarà identica a x è blu. Dunque, per (PC), non solo c’è un oggetto che è blu, ma che ha tale proprietà come sua unica. Come Reicher sottolinea, tale oggetto non è né la proprietà stessa, né l’insieme contenente la proprietà, ma un oggetto che la esemplifica. Ma come può qualcosa avere la proprietà di essere blu, ma nessun’altra? Parrebbe darsi il caso che se qualcosa è blu, allora è colorato, ma questo non è vero per il nostro oggetto. Ciò sembrerebbe fare del nostro oggetto blu un oggetto impossibile. Con le parole di Reicher:
“Ogni oggetto esistente ha infinite proprietà. Ogni oggetto esistente è un oggetto completamente determinato (o, in breve: un completo). Oggetti come il blu o il rotondo e blu sono oggetti determinati in modo incompleto (o, in breve: incompleti).” (Reicher, 2019) 31
Gli oggetti esistenti sono quindi completi e possiedono un’infinità di proprietà, oggetti incompleti come l’oggetto blu, saranno quindi necessariamente inesistenti. Come sottolinea sempre Reicher, la completezza di un oggetto non è sufficiente a garantirne l’esistenza. L’esempio che propone riguarda la copia esatta di una persona esistente tranne per un dettaglio, ad esempio il colore degli occhi (e ovviamente l’esistenza), è evidente che la mia copia con gli occhi azzurri non esiste sebbene sia un oggetto completo. La questione tuttavia non è risolta così, ovvero ammettendo che alcuni oggetti non esistenti sono