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Diagnosi Differenziale

CAPITOLO 8 Materiali e MetodiMateriali e Metod

Dal 1980 al 2005, presso la Clinica Universitaria di Pisa sono stati trattati 92 pazienti, di cui 63 maschi e 29 femmine, mediante introduzione endocavitaria di acetato di metilprednisolone (MPA) per un totale di 162 trattamenti.

L’età dei pazienti era compresa fra 20 mesi e 21 anni, con una media di 12 anni. Di questi 45 ( 48%) presentavano cisti all’omero, 20 ( 22%) al femore, 9

( 10%) al perone, 6 ( 7%) al calcagno, 5 ( 6%) alla tibia, 4 ( 4%) al radio, il restante 3 (3%) alla mano.

Grafico 8/1: Frequenza delle cisti in base alla sede

O m e ro F e m o re P e ro n e C a lc a g n o T ib ia R a d io M a n o 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 Casi

Il sesso più colpito è stato in tutti i distretti quello maschile con rapporto 2:1 (63 maschi e 29 femmine), dai dati raccolti non risulta esserci un lato dominante.

Grafico 8/2: Incidenza in base al sesso

La tecnica attuata è stata sempre quella descritta da Scaglietti che prevede: in rigorosa asepsi e sotto controllo amplioscopico l’introduzione nella cavità cistica di due tre-quarti, quindi svuotamento del liquido cistico, rimozione di un tre-quarti ed iniezione attraverso il secondo di 80 mg di acetato di metilprednisolone (2 cc di Depo- Medrol).

Maschi 63

Fig. 8/1: Fasi dell'intervento con iniezione di MPA

Con quali modalità l'acetato di metilprednisolone agisca nel processo di riparazione delle cisti ossee non è noto.

Ricerche sperimentali dimostrano un effetto inibente dei corticosteroidi sulla formazione di callo osseo, e ciò esclude una azione diretta osteogenetica del cortisone (Clein e Kowalewski (51); Koskinen (52); Kostenszsky e Olah (52)). Inoltre la scarsa conoscenza della patogenesi delle cisti non contribuisce a considerare la possibilità di una diretta azione del cortisone sulla noxa patogena iniziale. L'acetato di metilprednisolone interferisce, secondo alcuni autori (54), sulle condizioni anatomiche locali che favoriscono il mantenimento e l' ingrandirsi della lesione. I fattori che condizionano il persistere delle cisti e determinano il suo accrescimento sono due:

● La membrana connettivo fibrosa che delimita la cavità

La parete cistica agisce come ostacolo biologico e meccanico ai tentativi di riparazione dell' osso circostante. In caso di fratture patologiche, inoltre, la sua interposizione tra i frammenti può essere la causa della mancata riparazione ( Fineschi) (55).

La difficoltà di rimuovere chirurgicamente in maniera completa tale tessuto patologico può spiegare l' alta percentuale di recidive dopo intervento di svuotamento o borraggio della cavità. Questo è il motivo che ha indotto alcuni Autori (Witt et al; Sanguinetti) (56) (57) a considerare insufficiente il classico intervento di curettage ed innesto osseo ed a preferire un procedimento chirurgico più radicale (resezione subtotale della cisti).

Anatomopatologicamente tale membrana è costituita da un tessuto fibroconnettivale ricco di cellule di tipo istiocitario e fibrocitario. Pertanto non si discosterebbe istologicamente da altri tipi di membrane di rivestimento in corso di versamenti sierosi non infiammatori oppure di igromi semplici, vale a dire in corso di qualsiasi processo di natura microtraumatica il cui esito sia un incistamento (regredibile dopo aspirazione e sensibile all' azione del cortisone topico).

E' noto che il cortisone esercita una influenza negativa sul tessuto connettivo. L' impiego locale di corticosteroidi determina alterazioni trofiche del derma (Pariser e Murray; Di Stefano e Nixon) (58) (59); in campo terapeutico l' uso topico del cortisone porta alla completa regressione di cheloidi cicatriziali (Boggio Robutti; Patrono) (60) (61). Inoltre studi sperimentali ( Pratt e Aronow; Beliner e Nabors; Gray et al.) (62) (63) (64) hanno dimostrato che il cortisone esercita effetti di inibizione sui fibroblasti in vitro.

E' probabile pertanto che nelle cisti ossee l' azione dell' acetato di metilprednisolone si esplichi sulla membrana connettivo fibrosa, secondo quanto supposto da Scaglietti. Questo autore ritiene che i corticosteroidi in microcristalli, determinando una distruzione del rivestimento connettivale della cisti, permettono l' insorgere di un processo osteogenetico. Con la distruzione della parete cistica, cioè, verrebbero rimossi gli ostacoli che si oppongono ad una ripresa del processo di riparazione da parte del tessuto osseo circostante la cavità.

Il secondo fattore condizionante il persistere e l' accrescersi della cisti ossea (sotto la spinta della noxa patogena che ne ha determinato l'insorgenza) è la presenza di liquido nella cavità.

Gli esami chimici ed enzimologici del liquido cistico (Villani; Cohen; Scaglietti) (6) (7) (8) miranti all' individuazione di eventuali sostanze che potessero determinare biochimicamente la distruzione del tessuto osseo e, di conseguenza, l'ingrandimento della cisti, non hanno portato alcun contributo. Pertanto l'azione del liquido contenuto nella cisti deve considerarsi puramente meccanica: esso cioè è responsabile del progressivo allargamento della lesione attraverso un meccanismo di riassorbimento osteoclastico da pressione nei confronti del tessuto osseo circostante. Ciò è in accordo con quanto sostenuto da Fineschi (55) che ritiene “inguaribile la cavità finché questa è colma di liquido, finché, cioè, esercita sul tessuto osseo circostante una azione di pressione”. Tale effetto di usura permane immutato anche in presenza di sangue nella cavità. E' osservazione di tutti, infatti, che nelle cisti ossee il sangue, già presente nella cavità per microtraumatismi ripetuti o che si forma in seguito a fratture patologiche o a ripetute aspirazioni, non coagula ma persiste allo stato fluido continuando nella sua

azione di usura da pressione sull' osso vicino.

Tessari e Zaffaroni (65) ritengono che la scarsa coagulazione del sangue contenuto nelle cisti sia da attribuire alla presenza nel liquido cistico di un sistema capace di opporsi alla formazione di coaguli o in grado di lisarli. Questi autori, studiando il liquido prelevato al momento dell' intervento da cisti ossee giovanili, hanno riscontrato che la proprietà attivante la fibrinolisi del liquido è superiore a quella del plasma.

Tale fenomeno di mancata coagulazione non è caratteristico unicamente delle cisti ossee, ma si osserva anche nei versamenti ematici nelle cavità articolari e nelle cavità sierose dell' organismo. E' altresì noto che la plasmina, presente nel liquido sinoviale, può ostacolare, con il medesimo meccanismo di dissoluzione del coagulo, il processo di riparazione di alcune fratture endoarticolari. Ciò è stato rilevato, ad esempio, nelle fratture mediali del collo del femore nelle quali la eventuale mancata consolidazione può essere attribuita anche ad un attivo processo fibrinogenolitico da parte della plasmina (Harrold, Cecchini) (66) (67).

I corticosteroidi determinano uno stato di ipercoagulabilità mediante una azione di inibizione della fibrinolisi.( Kwain, Renauld, Isacson) (68) (69) (70).

Il procedimento può essere ripetuto più volte a distanza di due o tre mesi dalla prima iniezione a seconda del grado di riparazione della cavità patologica.

In 40 dei 92 pazienti ( 43%) la cisti era complicata da frattura patologica recente, questi sono stati trattati inizialmente con confezionamento di un apparechio gessato per 30 gg, per ottenere una ricostruzione , sia pure approssimativa, della continuità del segmento osseo interessato, quindi successiva iniezione di MPA.

Dopo i 30 gg di immobilizzazione in gesso non abbiamo mai osservato segni radiografici, sia pure iniziali, di guarigione della lesione cistica tali da rendere superfluo il trattamento cortisonico; solo in un caso trattato con fissatore esterno dopo un mese non abbiamo introdotto MPA, per l’esiguità della cisti e perché ai controlli radiografici seriati sembrava volgere verso la guarigione; a distanza di 2 anni la RM ha però dimostrato la presenza della stessa area cistica latente.

Nelle cisti dell’arto inferiore specialmente localizzate al collo del femore, siamo soliti, dopo trattamento con MPA, fare osservare al paziente un periodo di scarico di circa 4 settimane.

Tutti i nostri piccoli pazienti, dopo trattamento con MPA, sono stati studiati con radiografie standard seriate a 3-6-12 mesi ed ogni anno con un follow-up di 5 anni.

A tutti i pazienti è stato eseguito l’esame citologico del liquido cistico.

Alcuni pazienti sono stati valutati con RM che oltre a confortarci nella diagnosi nei casi dubbi, è stata di enorme importanza nel rivelarci a tre mesi dalla prima iniezione di cortisone la responsività al trattamento della cisti e quindi del paziente (26).

Risultati

Abbiamo valutato i nostri dati con la classificazione di Neer che divide l’evoluzione della lesione dopo trattamento con corticosteroide in 4 stadi: I° guarigione totale, II° guarigione con residui minori di 3 cm, III° recidiva, IV° nessuna risposta al trattamento e considera soddisfacente i risultati di I° e II°.

Tabella 8/1: Classificazione di Neer

La guarigione è avvenuta in tutti i piccoli pazienti in un range di tempo che và da minimo di un anno ad un massimo di tre anni.

Fig. 8/2: Rx Cisti prima dell'intervento Fig. 8/3: Rx a tre anni dall'intervento (guarigione completa)

Nel 65 % dei casi, 60 pazienti, abbiamo ottenuto la guarigione con una sola iniezione di MPA, mentre nel 35 % dei casi, 32 pazienti, è stato necessario ripetere il trattamento più volte, in 21 pazienti ( 23%) due volte, in 7 pazienti ( 7%) tre volte, in 2 pazienti ( 2%) quattro volte, in 3 pazienti ( 3%) rispettivamente cinque, sei e sette volte.

Grafico 8/3: Numero dei trattamenti necessari per raggiungere la guarigione completa

Abbiamo osservato che nel 91.3 % dei casi, 84 pazienti, i risultati sono stati buoni con regressione della lesione fino allo stadio I° e II° della classificazione di Neer, abbiamo avuto solo 8,7 % di recidive, 8 pazienti, che con ulteriori iniezioni di MPA sono anch’essi guariti. Non abbiamo avuto nessun caso non responsivo alla terapia.

1 2 3 4 5 6 7 0 10 20 30 40 50 60 Pazienti

CAPITOLO 9

Discussione

Sebbene siano relativamente rare, le cisti sono state ampiamente trattate nella letteratura scientifica.

Le cisti ossee giovanili possono essere complicate da frattura patologica o da imminenti fratture dovute alla corticale che si presenta sottile; le cisti inoltre tendono a persistere o a recidivare anche dopo che sono state trattate. Questo spiega la vasta variabilità di metodi per raggiungere la guarigione.

Alcuni autori notarono differenze tra i vari trattamenti per la cura delle cisti ossee giovanili, in particolare tra l'iniezione di midollo osseo (BMI) e l'iniezione di steroide.

Lokiec et al. valutarono gli effetti di una singola iniezione percutanea di midollo osseo dalla cresta iliaca, questo veniva iniettato per via percutanea all' interno della cavità cistica per stimolare la formazione di osso nella cisti con elementi osteogenici nel midollo osseo autologo.(47)

Lokiec et al. riportarono la guarigione completa di tutti i loro 10 pazienti trattati con tale metodo, sostenendo che questo tipo di intervento poteva essere risolutivo.

Negli studi di Yadow et al.(29), di otto pazienti da loro trattati con iniezione di midollo osseo, sei (75%) avevano richiesto un solo intervento per la completa guarigione. Ciò suggeriva che BMI poteva promuovere la guarigione delle cisti ossee solitarie più precocemente rispetto all' iniezione di corticosteroidi.

bambini e delle famiglie.

L'uso del BMI come intervento primario veniva supportato dalle osservazioni dimostranti che la progressiva guarigione delle cisti ossee giovanili si aveva entro tre mesi dopo le iniezioni, la necessità di un' altro trattamento era quindi bassa.

Su un altro campione di undici pazienti trattati, si è avuta guarigione entro tre mesi dal trattamento della cisti, e solo quattro (36%) richiesero un trattamento addizionale. Yadow et al., complessivamente nel corso dei loro studi, ottennero che il 67% dei pazienti trattati aveva guarigione completa, il 17% una guarigione parziale , il 16% non rispondeva al trattamento; più di un'iniezione era richiesta nel 42% dei pazienti.

Anche Chang et al. (71) usarono l'iniezione di midollo osseo senza distruzione meccanica della ciste, su un campione di 14 pazienti, di questi, 8 dovettero ripetere il BMI dopo un periodo di tre mesi, notando quindi una percentuale del 57% di comparsa di recidive dopo la prima iniezione e il 63% dopo la seconda iniezione.

Compararono i risultati ottenuti dopo l' iniezione di midollo osseo con quelli ottenuti dopo l' iniezione di steroidi e conclusero che non c'era nessun vantaggio tra l'uso dei due diversi approcci terapeutici.

Tuttavia Scaglietti, usando l'iniezione intracistica di steroidi nel trattamento delle cisti ossee giovanili, notò che nel 55% dei casi i pazienti guarivano completamente e le recidive delle lesioni erano rare.

Campanacci, usando la stessa procedura, riportò il 67%-96% di complete guarigioni, con una percentuale del 13% di ricomparsa di recidive e del 6% di cisti che non rispondevano al trattamento.(30)

intervento, il 45% di essi presentavano alcuni miglioramenti in seguito alle iniezioni (ispessimento della corticale, formazione di alcune aree con osso neoformato ed evidenze di riparazione di piccole aree nella cisti).

L'analisi di un altra serie di pazienti studiati da Scaglietti rivelava che la completa riparazione della cavità cistica veniva osservata soprattutto nei pazienti più giovani, non più grandi di 11 anni, che presentavano lesioni localizzate alla metafisi, vicino alla linea epifisaria; in quelli più grandi, vicini al termine della crescita ossea, osservarono l'arresto del processo osteolitico e la persistenza di alcune parti della cisti.

Ciò fece concludere che la guarigione dipendeva dal tipo di intervento adottato per il trattamento della cisti, ma in particolar modo dall'età del paziente, facendo sostenere agli autori che per poter predire il reale ruolo di un intervento sulla cisti era necessario aver studiato un ampio numero di pazienti, non uniformi in età e caratteristiche della lesione come dimostrato anche da Hashemi-Nejal e Cole (28) che usando lo stesso metodo di iniezione di MPA in 32 pazienti notarono buoni risultati in tutti i 19 pazienti con cisti all' omero e alla fibula, ma solo in 9 su 13 pazienti con lesione al femore e alla tibia; confermando che il ruolo dell' MPA dipendeva anche dalla localizzazione della cisti.

Alcuni autori comunque affermano che perforazioni multiple attraverso la parete della cisti, dentro la cavità midollare, possono essere molto più importanti del materiale iniettato.

Diversi studi pubblicati riportavano l'uso di fili di Kirschner, chiodi intramidollari o viti cannulate nelle cisti per permettere la continua decompressione o il drenaggio del fluido contenuto nella cisti.

Tramite altri studi fu visto che usando i fili di Kirscher, 15 su 23 pazienti (65%) avevano però bisogno di operazioni successive. (72) (73) (74)

Santori et al.(75) dichiararono che tutti i loro 10 pazienti con cisti ossee erano guariti dopo l'inserimento di chiodi intramidollari.

Roposch et al. (50) usarono questo metodo in 32 pazienti. Una sostituzione dei chiodi fu necessaria in nove pazienti (28%), perché i chiodi erano divenuti troppo piccoli in seguito alla crescita ossea.

De Sanctis analizzò 56 bambini (27), dopo l' inserimento di chiodi intramidollari, il 31% guariva completamente mentre nel 16% dei casi rimanevano dei residui radiolucenti alla verifica radiografica. Di questi pazienti 14 dovettero rimuovere i chiodi intramidollari in seguito alla crescita,ma nessuno ebbe recidive della cisti dopo rimozione.

Esaminando i risultati in letteratura, (76) (77) i trattamenti, creando comunicazioni tra la cavità della cisti e il canale midollare, sembrerebbero dare migliori risultati della sola iniezione di qualsiasi sostanza anche se uno svantaggio di questi studi è proprio l'incapacità di separare gli effetti del trattamento del perforamento della cisti da quelli dovuti alle iniezioni di steroidi o midollo osseo.

I risultati ottenuti nelle varie casistiche dimostrano comunque una indubbia azione dell'acetato di metilprednisolone nelle cisti ossee giovanili.

Ciò è ancora più valido se si considera che altre terapie non sempre si sono dimostrate soddisfacenti in particolar modo per le complicanze postoperatorie. Infatti, l'uso di innesto osseo per riempire la ciste è spesso seguito dal rallentamento della crescita con formazione di deformità secondarie, come per esempio, il presentarsi della

coxa vara dopo il trattamento di una cisti del femore.(Scaglietti).

McKay e Nason riportarono che 3 su 21 pazienti trattati con BMI presentarono disturbi della crescita ossea.

Oppenheim e Galleno, (78) studiarono 37 pazienti trattati con tecniche di chirurgia aperta (35 curettage con innesto osseo e 2 resezioni totali o subtotali di periosteo) e 20 pazienti trattati con iniezione di corticosteroidi. Notarono che la percentuale di complicazioni era del 38% nel gruppo che aveva subito intervento di curettage, mentre il gruppo di pazienti che avevano subito iniezioni di corticosteroidi avevano solo un 5% di complicazioni. (78) Questa differenza di percentuale di complicanze è statisticamente significativa (P<0.02).

Oppenheim e Galleno notarono infatti una percentuale di complicazioni per BMI, che includeva coxa vara, arresto della crescita epifisaria, e accorciamento dell' arto. Quindi stabilirono che la procedura aveva un' alta percentuale di morbidità e conclusero che il curettage con innesto osseo non poteva essere considerato il trattamento di scelta per le cisti ossee solitarie.

Il maggior svantaggio di tecniche chirurgiche, come la resezione totale e subtotale, sono il danno alla fisi, una grande perdita di sangue durante l'intervento, fratture intra-operatorie ed un prolungato periodo di immobilizzazione dopo l'intervento chirurgico. (79)(33)(31)(80)

Curettage, criochirurgia e riempimento osseo o sostituzione di osso sono stati descritti come metodi per indurre formazione di osso nella cisti (33) (81)

Mentre i suddetti metodi sono mirati al consolidamento delle cisti, non provvedono però all' immediata stabilizzazione. Questo è importante per il carico osseo,

specialmente considerando che una larga percentuale di cisti presenta una frattura. La frattura è una complicanza abbastanza grave in sede intraoperatoria, infatti sono stati riportati diversi studi in letteratura tra i quali quello di Scaglietti che, su 163 pazienti con cisti ossee che erano stati trattati con MPA, solo 3 presentarono una frattura patologica durante l'intervento, permettendo comunque di continuare il trattamento con iniezione. In uno studio di Yandow invece, i pazienti che hanno subito questa complicanza intraoperatoria trattati con BMI sono stati 4 su 12.

CAPITOLO 10

Conclusioni

Alla luce dei dati bibliografici e dai risultati della nostra casistica possiamo confermare l'effetto positivo dell' impiego dell' MPA nel processo di guarigione delle cisti ossee solitarie giovanili.

Dei 92 pazienti da noi trattati con introduzione endocavitaria di acetato di metilprednisolone abbiamo ottenuto la guarigione più o meno completa della cisti nel 100 % dei pazienti in un tempo variabile da 1 a 3 anni.

In 60 casi (65 %) è stata sufficiente una sola iniezione di MPA, in 32 casi (35 %) invece è stato necessario ripetere il trattamento, altresì è necessario rilevare però che la ripetizione del trattamento cortisonico per più volte mirava alla riparazione di piccole aree cistiche residue.

Dopo qualche mese dall'iniezione di questo steroide, abbiamo visto che le cisti dei nostri pazienti si riempivano di tessuto rossiccio-grigiastro che, con esame istologico, si dimostrava tessuto edematoso fibroblastico con attiva proliferazione di tessuto osteoide nella parete della cisti.

I cambiamenti radiografici notati nei vari intervalli erano abbastanza costanti. Dopo tre mesi si manifestava una opacità uniforme della cavità osteolitica e un margine trasparente rimaneva nelle vicinanze della parete cistica.

Con il tempo l'iniziale opacità tendeva a crescere. La formazione di nuovo osso era evidente dentro la cavità mentre la parete ossea appariva ispessita.

regolarmente; con la completa scomparsa della cavità osteolitica rimaneva solo un area sclerotica in contrasto con l'osso circostante.

In altri casi il processo di riparazione non progrediva con l'obliterazione della cisti, una o più piccole cavità rimanevano e potevano persistere o portare a una nuova estensione della lesione, in questi casi la ripetizione dell'iniezione era seguita dalla ripresa della formazione ossea dentro la cisti.

Abbiamo osservato inoltre che non era sufficiente nei casi complicati da frattura sfruttare il solo svuotamento traumatico della cisti, sintetizzando la frattura senza eseguire l’iniezione di MPA, perché malgrado la guarigione della frattura e la momentanea riabitazione della cisti ossea a distanza di tempo si verificava la comparsa di recidiva.

Nei casi in cui la lesione si trovava nella metafisi, in vicinanza della linea epifisaria, la lesione era “separata” dalla linea epifisaria stessa dopo trattamento con corticosteroidi, e con il tempo progressivamente migrava verso la diafisi. Questo è stato interpretato da noi, così come fu interpretato da Scaglietti et al (8), come indicativo di una minor aggressività della cisti.

In nessun caso si sono manifestati danni secondari alla linea epifisaria causati dall' iniezione del metilprednisolone acetato.

Sulla base della nostra esperienza, i pazienti devono essere osservati fino al termine del loro accrescimento osseo prima di poter valutare i risultati finali del trattamento, infatti alcune cisti possono recidivare.

In particolar modo abbiamo notato che recidivano più frequentemente le cisti che vengono diagnosticate per la prima volta nei pazienti più grandi, vicini al termine

della crescita ossea. In questi pazienti generalmente osserviamo l'arresto del processo osteolitico e la persistenza di alcune parti della cisti (Gradi 2 di Neer).

Questa osservazione è concordante con quella fatta da Scaglietti nei suoi studi(8).

Anche per noi, così come riportato nei dati ottenuti da Hashemi-Najal e Cole (28), la localizzazione delle cisti influenza in modo considerevole la prognosi dopo trattamento con MPA, però le cisti da noi osservate che recidivano più frequentemente sono quelle localizzate all'omero e al femore; rispettivamente il 57% e il 17% del totale

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