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Trattamento delle cisti ossee solitarie con Metilprednisolone Acetato (MPA): nostra esperienza

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Indice

CAPITOLO 1

Introduzione...3

CAPITOLO 2

Generalità...5

CAPITOLO 3

Ezio-patogenesi...8

CAPITOLO 4

Anatomia...12

Anatomia delle ossa lunghe...13

CAPITOLO 5

Anatomia patologica...18

Macroscopica...18

Microscopica...20

CAPITOLO 6

Diagnosi...22

Quadro clinico...22

Indagini diagnostiche...24

Diagnosi differenziale...33

(3)

CAPITOLO 7

Prognosi...35

Trattamento...39

Resezione subtotale con o senza innesto...41

Tecniche di trattamenti percutanei...42

CAPITOLO 8

Materiali e metodi...49

Risultati...56

CAPITOLO 9

Discussione...59

CAPITOLO 10

Conclusioni...65

BIBLIOGRAFIA...69

(4)

CAPITOLO 1

Introduzione

Le cisti ossee sono state descritte per la prima volta nel 1876 da Wirchow (1) ma solo nel 1903 Heineke ne fece la prima descrizione radiologica (2). Tuttavia la patologia ha radici antiche come dimostrato dai ritrovamenti di una cisti ossea nei resti di un femore di un bambino vissuto in età medievale e descritti nel 1987 da Lagier e altri (3).

I primi però a coniare il termine “cisti ossea solitaria” e fornire una concisa e chiara descrizione delle caratteristiche patologiche e radiografiche della lesione furono Jaffe e Lichtenstein (4) nel 1942, essi considerarono le cisti ossee solitarie come un'entità diversa dalle altre lesioni fibrocistiche, come venivano precedentemente classificate.

La cisti ossea solitaria fu da allora considerata come una displasia dell'osso, a carattere paraneoplastico, insorgente nell'infanzia o nell'adolescenza, costituita da una cavità cistica endossea localizzata di regola a livello della metafisi delle ossa lunghe, ma reperibile anche in altri distretti scheletrici e confinata in una singola zona del corpo.

Cisti multiple furono però ritrovate in alcuni pazienti e riportate nel 1964 da Sadler e Rosenhain (5) che descrissero, in un loro articolo, lesioni cistiche nell'omero prossimale e nella tibia insorte contemporaneamente, in un bambino di 10 anni.

Le cisti ossee solitarie, o giovanili furono trattate fino al 1973 con metodo cruento. Nel 1973 il Professor Oscar Scaglietti portò avanti una ricerca biochimica sul liquido contenuto nelle cisti ottenuto tramite trattamento cruento. L'analisi chimica

(5)

rivelò che la composizione del liquido era indistinguibile da quello trasudatizio dei tessuti, così confermò ciò che era stato osservato da Villani nel 1956 (6) e Cohen nel 1960 (7).

Sulla base di queste osservazioni Scaglietti cominciò a ricercare gli effetti, sulle cisti giovanili, dei corticosteroidi in microcristalli.

L'obiettivo era quello di esaminare le conseguenze di un possibile

riassorbimento del liquido della cisti in analogia con gli effetti ottenuti in caso di trasudato di un articolazione.

Fu scelto il Depo-Medrol perché era una sospensione microcristallina di acetato di Methylprednisolone, relativamente insolubile e, pertanto con un prolungato effetto farmacologico (8).

Da allora l'impiego di methylprednisolone è stato il trattamento più usato per la terapia delle cisti ossee solitarie giovanili.

Scopo di questa tesi è descrivere l'esperienza svolta presso la clinica ortopedica nel trattamento delle cisti ossee giovanili dal 1980 al 2006.

(6)

CAPITOLO 2

Generalità

Le malattie pseudo-tumorali dell'osso sono forme morbose di tipo displasico, ad eziologia sconosciuta, che presentano frequenti similitudini cliniche ed istologiche con i tumori ossei.

Tra esse sono comprese:

1. le alterazioni cistiche solitarie dello scheletro, 2. le istiocitosi,

3. l'osteolisi progressiva teleangectasica.

Le alterazioni cistiche solitarie dello scheletro costituiscono un gruppo di affezioni a carattere displasico, la cui caratteristica fondamentale è rappresentata dalla esistenza di una cavità cistica all'interno di un osso e comprendono:

● la cisti ossea giovanile ● la cisti ossea aneurismatica ● la cisti mucosa

(7)

La cisti ossea giovanile è una displasia dell'osso, a carattere para-neoplastico, insorgente nell' infanzia o nell' adolescenza costituita da una cavità cistica endossea localizzata alla metafisi delle ossa lunghe.

La cisti aneurismatica dell'osso è una lesione solitaria, di natura non neoplastica, costituita da una cavità cistica, a carattere ematico, suddivisa da sepimenti in cavità minori, con pareti rivestite da tessuto connettivo (non endoteliale).

La cisti mucosa è una lesione cistica dell'osso, identica alle cisti mucose delle parti molli (capsule, tendini, menischi), di natura iperplastico-regressiva, dovuta a trasformazione mucoide del connettivo.

(8)

La cisti epidermoide intraossea è una lesione pseudo-tumorale benigna, caratterizzata da inclusione nell'osso di cellule squamose in lenta evoluzione espansiva.

(9)

CAPITOLO 3

Ezio-patogenesi

La cisti ossea giovanile è costituita da una cavità cistica endossea, localizzata di regola a livello delle ossa lunghe, ma reperibile anche in altri distretti scheletrici.

Fig. 3/1: Rx Cisti ossea giovanile del femore Fig. 3/2: Rx cisti ossea giovanile dell'omero

Si localizza preferibilmente alla metafisi di ossa lunghe, in particolare alla metafisi prossimale dell'omero (50% dei casi), del femore e della tibia.

La cisti predilige il sesso maschile con un rapporto che varia da 2:1 a 3:1 a secondo delle statistiche ed insorge in epoca infantile o adolescenziale, anche se sono descritti casi in tutte le età, dal lattante all'adulto, con incidenza massima tra i 3 e i 14 anni (età media 9 anni).

(10)

Fig. 3/3: Cisti ossea aneurismatica: localizzazione delle lesioni (rosso) ed incidenza per decade di vita (blu)

L'eziopatogenesi è sconosciuta,ma sono state proposte molte teorie.

Un teoria molto accreditata è quella proposta da Jaffe (4) che considerava un trauma locale con conseguente ematoma all'origine della formazione della cisti ossea.

Secondo Jaffe e coll. con la liquefazione dell' ematoma un fluido espandibile riempie la cavità risultante. Il fluido, che è considerevole dentro la cavità, alla fine diviene sieroso chiaro, povero di proteine e non permette una normale ossificazione. Jaffe quindi vede nel trauma un momento determinante ma non inteso come raccolta ematica, bensì come causa di una distrofia ossea zonale con difetto di ossificazione encondrale.

Una teoria comunemente citata è quella proposta da Cohen nel 1960 (7).

Studiò il fluido della cisti di 6 bambini che avevano subito trattamento per cisti ossee giovanili e si accorse che di questo fluido quattro campioni assomigliavano a

(11)

plasma e due a sangue. Cohen propose che il principale fattore eziopatogenico fosse il blocco del drenaggio del liquido interstiziale e il rapido rimodellamento dell'area dove c'era stato un difetto di ossificazione.

La teoria quindi considera la cisti come l'esito di una lesione precedente: sostiene che la formazione cistica ha insorgenza in un area, in cui precedentemente esisteva un focolaio di tessuto fibroso; questo, in una zona di intenso riassorbimento osseo come quella metafisaria, sarebbe seguito dal blocco dei vasi sinusali, che porterebbe ad un accumulo di liquido interstiziale nel contesto dell'area fibrosa.

Chigira (9) e un gruppo di ricercatori giapponesi nel 1983 studiarono la pressione interna in 7 pazienti con cisti solitaria e la trovarono più alta (range 2-7mmHg) rispetto alla normale pressione controlaterale del midollo.

La pressione parziale di ossigeno nel fluido nelle stesse cisti fu trovata impressionantemente più bassa di quella di vene e arterie presa contemporaneamente.

Questi autori suggerirono che una ostruzione possa essere una probabile causa di tali cisti ossee. Tali teorie vascolari sono state sostenute anche più recentemente da alcuni autori (Gebhart) (10).

Mirra (11) ipotizzò che le cisti ossee solitarie rappresentano un area con resti congeniti di membrana sinoviale, supportò la sua ipotesi notando che entrambi i tipi di cellule sinoviali: tipo A (macrophagelike) e tipo B (fibroblastlike) erano presenti nel rivestimento delle cisti. Questa descrizione somiglia a quella di una cisti intraossea sinoviale.

Secondo questa teoria per effetto di un trauma nella vita fetale, piccoli frammenti di tessuto sinoviale penetrerebbero in vicinanza della placca metafisaria,

(12)

dando luogo alla secrezione di liquido simile alla sinovia.

Nel 1989 Shindel et al (12) riportarono l'incremento dei livelli di prostaglandine E2 nel fluido delle cisti di 7 dei loro pazienti e teorizzarono che questo poteva aiutare a spiegare gli effetti dell' iniezione di steroidi in queste lesioni.

Gerasimov e un gruppo di ricercatori russi (13) sottolinearono che il fluido possedeva un aumento dell'attività degli enzimi lisosomiali a seconda se la cisti si fosse trovata in stato di attività o di latenza. Questi autori enfatizzarono il ruolo che alcuni enzimi possano avere nella formazione della corrosione della cavità cistica.

Secondo Komiya e altri ricercatori giapponesi (14) alti livelli di radicali liberi dell' ossigeno sono stati trovati nel fluido della cisti ossea. Alcuni radicali liberi sono citotossici, e possono essere generati durante lo stato ischemico seguito all' ostacolo del liquido interstiziale drenato dalla cisti. Alcuni ricercatori giapponesi suggeriscono che tale ossigeno possa contribuire alla distruzione ossea, però la riproduzione di questi risultati in altri centri non si è più ripetuta.

Recentemente un gruppo di ricercatori brasiliani hanno trovato specifiche anomalie genetiche in un paziente pediatrico con cisti ossea solitaria alla parte distale del femore destro. Vayego (15) e coll. hanno fatto il loro primo articolo nel 1996. L'analisi citogenetica inizialmente dimostrò aberrazione completa dei cromosomi 4, 6, 8, 12, 16, e 21. Ulteriori studi sullo stesso paziente (con cisti ossee ricorrenti) hanno rivelato specifiche mutazioni associate a sostituzioni di amminoacidi (arginina prò triptofano, arginina prò serina) (Vayego-Lourenco, 2001) (16).

(13)

CAPITOLO 4

Anatomia

Alla nascita la maggior parte delle epifisi è ancora allo stadio cartilagineo, l'ossificazione delle ossa lunghe si compie nella vita post natale, in tempi ben determinati.

(14)

Anatomia delle ossa lunghe

Le ossa lunghe, cioè quelle in cui il diametro maggiore è disposto in senso verticale, costituiscono la maggior parte dello scheletro degli arti e comprendono:

1. Diafisi centrale, formata da un tubo cilindrico più o meno spesso, cavo al suo interno (cavità midollare), circondato da un manicotto fibroso (periostio)

2. Epifisi, formate da tessuto spugnoso ricoperto da una cartilagine jalina (cartilagine articolare), che costituiscono le estremità, prossimale e distale, dell'osso e si articolano con le ossa vicine.

3. Metafisi: una prossimale e una distale, che corrispondono al tratto in cui l'epifisi si unisce alla diafisi, da cui è separata dalla cartilagine coniugale.

Le modificazioni delle cellule cartilaginee conducono ad una progressiva crescita del volume cellulare, alla produzione di sostanza fondamentale e quindi all'allontanamento delle cellule tra loro, alla vacuolizzazione citoplasmatica, alla calcificazione della sostanza intercellulare, alla distruzione cellulare ad opera degli endoteli vasali e quindi alla comparsa del nucleo di ossificazione.

(15)

Nelle epifisi non raramente l'ossificazione avviene per nuclei multipli:

il loro numero, la sede, e l'epoca di comparsa sono caratteri ben definiti e fissi per ogni distretto epifisario.

La crescita epifisaria avviene soprattutto con un meccanismo di apposizione pericondrale di nuovi strati cellulari periferici. Una volta iniziato il processo di ossificazione, le cellule poste ad una certa distanza dal nucleo osseo mantengono ancora la loro capacità di dividersi e dare così un accrescimento interstiziale. Si formano in tal modo nuove cellule cartilaginee che verranno poi distrutte dal progredire del nucleo di ossificazione; perciò, contemporaneamente al suo accrescimento aumenta anche il volume del nucleo epifisario, almeno fino a quando la velocità di crescita delle cellule cartilagenee è superiore a quella dell'accrescimento del nucleo.

(16)

Quando la capacità di accrescimento di quest'ultimo supera quella delle cellule cartilagenee, che vengono distrutte in misura maggiore di quante non se ne producano, il nucleo di ossificazione epifisaria guadagna gradualmente i confini periferici dell'epifisi e raggiunge il pericondrio, il quale cessa la sua azione proliferativa e, nella zona epifisaria non articolare, si tramuta in periostio.

Fig 4/5: Dentello di ossificazione: A) Nella zona dove l'epifisi cartilaginea (1) trapassa nella metafisi (2) ed inizia il processo di ossificazione, si spinge un cuneo di tessuto mesenchimale (3), il dentello di ossificazione, ricco di vasi, che, da un lato, esercita una azione osteoclastica verso l'osso neoformato per ridurne il calibro e, dall'altro, ha attività fibroblastica e si continua con il periostio. B) Rappresentazione schematica del preparato con riquadro delimitante la parte riprodotta in A: tra epifisi (1) e metafisi (2), con le trabecole ossee (3) originate dal periostio (4) si incunea il dentello di ossificazione (5)

La parte cartilaginea rivolta verso la diafisi costituisce la fisi, cioè un disco cartilagineo metafisario, che permane attivo per tutto il tempo dell'accrescimento osseo.

(17)

ossificazione, il cosiddetto dentello di ossificazione o encoche di Ranvier, in cui si ha una forte penetrazione di formazioni vasali, che vanno da un lato alla metafisi e dall'altro all'epifisi; questo dentello sembra deputato a provvedere gli elementi cellulari per l'accrescimento apposizionale trasversale del piatto epifisario (secondo alcuni autori avrebbe invece solo la funzione di anello di contenzione dell'accrescimento trasversale della cartilagine coniugale.).

Fig. 4/6: Piastra di crescita Fig. 4/7: Sezione a forte ingrandimento che dimostra le cellule del solco di ossificazione di Ranvier che apparentemente “fluiscono” nella cartilagine a livello della zona di riserva, contribuendo in tal modo all'aumento in larghezza della piastra di crecita

Subito al di sotto si trova la ghiera pericondrale, che circonda a mò di anello la cartilagine di accrescimento, estendendosi dallo strato maturativo fino alla metafisi, a

(18)

livello circa della zona dove si osserva il rimaneggiamento strutturale delle trabecole metafisarie; la sua superficie periferica è rivestita da periostio, quella interna è in rapporto, tramite uno strato cellulare osteoblastico, con la parte più periferica delle colonne seriate e delle trabecole ossee metafisarie. La ghiera esercita, da una parte, la funzione di contenzione meccanica delle colonne seriate e, dall'altra provvede al progressivo modellamento osseo, funzionando come organo regolatore morfogenetico della corretta evoluzione della forma e dei rapporti tra epifisi , metafisi e diafisi delle ossa lunghe.

L'ossificazione epifisaria dalla parte rivolta verso la superficie articolare non arriva sino al limite estremo del modello cartilagineo, ma si arresta ad una certa distanza poiché permane in questa posizione, anche a sviluppo completo, lo strato della cartilagine articolare. (17)

(19)

CAPITOLO 5

Anatomia patologica

Macroscopica

La cisti ossea giovanile è per definizione unica; solo eccezionalmente sono state segnalate localizzazioni doppie .(5) (18)

La sede abituale è a livello della regione metafisaria delle ossa lunghe; con l'accrescimento osseo si assiste però al progressivo spostamento verso la diafisi.

La cisti più frequentemente viene ritrovata in corrispondenza dell' estremo prossimale dell'omero (54% di tutte le lesioni) e del femore ( 23%). Il 12 % è equamente distribuito tra metafisi distale del femore, prossimale della tibia e calcagno; seguono a distanza le altre ossa, tra cui il perone, l'ileo, le coste e le piccole ossa tubulari delle estremità; assai rare le localizzazioni clavicolari, sacrali, pubiche, ischiatiche e mandibolari.

Fig. 5/1: Cisti ossea giovanile: sede delle lesioni (nero=frequente; punteggiato=poco; bianco=raro)

(20)

Fig. 5/2: Distribuzione anatomica della cisti ossea giovanile (Wiler)

La cisti si presenta come una tumefazione ossea fusiforme, ricoperta da periostio facilmente distaccabile, con corticale ossea assottigliata (aspetto a “guscio d'uovo” o “papiraceo”), molle e depressibile, ma senza soluzioni di continuità (se non fratturata).

La cisti ha un evoluzione naturale per cui passa da una fase attiva, nella quale la lesione progredisce, ad una fase latente, in cui la lesione appare stabilizzata. La cisti aumenta di volume durante l'accrescimento, divenendo inattiva, o latente, al raggiungimento della maturità scheletrica.

Le cisti attive si sviluppano prima dei 10 anni di età, continuano ad accrescersi durante tutto il periodo di osservazione e sono frequentemente associata ad una frattura.

Le cisti in fase latente si ritrovano in pazienti di oltre 12 anni e sono meno frequentemente complicate da fratture. (17)

(21)

Microscopica

All'interno la cisti è formata da una cavità, solitamente unica, talvolta sepimentata da setti fibrosi, riempita da liquido leggermente vischioso, chiaro o verde giallastro a bassa viscosità, con composizione simile a quella del siero ematico; la sua parete è ricoperta da un sottile strato di tessuto connettivo lasso, poco vascolarizzato, di tipo fibroso, che si scolla facilmente, lasciando allo scoperto una superficie ossea rugosa.

Caratteristicamente, la cisti confina con la cartilagene metafisaria ed occupa buona parte della metafisi; è dotata di capacità espansiva, presenta un sottile rivestimento corticale, col suo contenuto liquido, comprime le trabecole metafisarie in accrescimento, così da riassorbirle mano a mano che si formano, determinando, nel contempo, una pressione sulla cartilagine fertile, che può andare in contro a modesti ritardi di crescita.

La cisti è considerata attiva quando si sviluppa e si accresce nei pressi della cartilagene di coniugazione.

In una cisti in fase attiva si nota la presenza di una membrana mesoteliale circondata da un sottile orletto di osso reattivo. La parete interna dell'orletto, a contatto con la membrana, è spesso rivestita da una rete di osteoclasti. Tra la membrana e gli osteoclasti è interposto un foglietto di tessuto areolare contenente fibroblasti e cellule giganti plurinucleate.

(22)

di latenza.

Le cisti latenti presentano una membrana più spessa, con scarsa attività osteoclastica sottostante, scarse cellule giganti e una maggior quantità di osso reattivo.

Le cisti vengono separate dalla cartilagine metafisaria da uno spazio di 1-2 cm e presentano una parete ossea più spessa di quella delle cisti attive; possono persistere immodificate o diminuire di volume, presentano fenomeni di guarigione o di ossificazione e sono meno frequentemente complicate da fratture. (17)

(23)

CAPITOLO 6

Diagnosi

Quadro clinico

Le cisti ossee solitarie causano raramente dolore a meno che non sia complicata da una frattura; la sintomatologia è quindi assai scarsa e può rimanere asintomatica per tutta la vita e la sua presenza può essere rivelata occasionalmente nel corso di un esame radiologico eseguito per altri motivi.

Raramente la cisti può ingrossarsi fino a determinare una tumefazione palpabile, ciò può verificarsi nei segmenti superficiali, come il polso, l'ileo ed i raggi metacarpo-falangei. A livello omerale e femorale possono esserci, anche indipendentemente da episodi fratturativi, un accorciamento dell'arto apprezzabile clinicamente; solo nel calcagno può comparire dolore al carico, dovuto alla presenza di microfratture.

Vere e proprie fratture patologiche insorgono frequentemente, in circa il 70% dei casi, a livello delle ossa lunghe, in seguito a traumi modesti, talvolta per semplice contrattura muscolare in corrispondenza dell'omero o per semplice azione del carico in corrispondenza del collo femorale; abitualmente la frattura è incompleta, limitandosi alla sola infrazione della corticale.

(24)

Fig. 6/1: Cisti complicata da frattura

La frattura probabilmente insorge sempre nell'osso spugnoso delle metafisi e si espande lentamente finchè venga ad occupare l'intero diametro della regione midollare e si estende attraverso la diafisi verso la parte media della diafisi. Come si slarga essa erode lentamente la corticale ma senza stimolare la formazione di osso apposizionale dalla sua superficie esterna. Occasionalmente, una cisti può essere riscontrata nella zona medio-diafisaria dell'osso sebbene Aegerter e Kirkpatrick (1968) (19) abbiano pensato che in questa sede la cisti derivi da una cisti originata dalla regione metafisaria che si sia estesa coinvolgendo più della metà della diafisi e successivamente sia guarita parzialmente. Come l'osso si accresce, la cisti tende a muoversi verso il centro della diafisi sebbene, strettamente parlando, si tratti di una apparenza e non di un vero movimento della cisti.

La sintomatologia della frattura è sfumata, con dolore piuttosto modesto, tumefazione lieve e, raramente impotenza funzionale.

(25)

Indagini diagnostiche

1. RX: La cisti appare come una lesione radiotrasparente, a contorni ben delineati, posta nella parte centrale dell'osso, con tendenza all'espansione, che assottiglia la corticale sino a renderla una sottile linea opaca, ma senza interromperla.

Fig. 6/2: Cisti ossea solitaria

L' immagine cavitaria è uniloculare, talvolta apparentemente sepimentata, per l'irregolare spessore e le rugosità della sua parete, che possono determinare immagini radiopache simulante la presenza di sepimenti. I radiogrammi di una cisti ossea giovanile mostrano un'area osteolitica in sede metafisaria centrale, con aspetto simmetrico, solitamente priva di setti ossei o di loculazioni. La

(26)

metafisi appare soffiata, con un assottigliamento della corticale che predispone alle fratture.

Fig. 6/3: Assottigliamento della corticale che predispone alle fratture.

La cisti in fase attiva ha una larghezza che può essere uguale alla metafisi ed anche maggiore, determinandone il rigonfiamento; solo eccezionalmente può invadere l'epifisi; di regola essa si estende verso la diafisi, raggiungendo una lunghezza doppia della larghezza e terminando con un tronco di cono.

Nel prosieguo di tempo la cisti perde il suo contatto con la placca epifisaria, poiché migra verso la diafisi sotto la spinta nel nuovo osso normale formato dalla placca epifisaria stessa.

(27)

Fig. 6/4: Migrazione della cisti verso la diafisi

Esiste perciò un chiaro rapporto tra età del soggetto ed attività della cisti, nel senso che, nel periodo puberale questa si ritrova sempre migrata verso la diafisi e diventa inattiva (“fase latente”); e poiché la diafisi è più stretta della metafisi, la cavità cistica perde la sua immagine a tronco di cono, assumendone una ovalare, con orletto sclerotico sul versante diafisario; l'osso assume a questo livello un aspetto fusiforme o “soffiato”.

(28)

L'insorgenza di una frattura patologica modifica questi aspetti radiologici. Generalmente si tratta di una infrazione della corticale assottigliata e non di una interruzione completa. E' quasi sempre presente il segno altamente caratteristico, del “fallen-fragment sign”(20), per cui un lembo di corticale, rimanendo aderente al periostio, cade all' interno della cavità, determinandovi un' ombra radiopaca.

Fig. 6/6: “fallen-fragment sign”

I processi riparativi prendono origine da questo frammento, in corrispondenza del quale inizia la reazione periostale e la formazione del callo, che si compie anche all' interno della cavità cistica, obliterandola parzialmente; la cisti può

(29)

tuttavia rimanere attiva nella sua parte non obliterata e progredire ulteriormente, per cui può ripetersi un secondo e, talvolta anche terzo episodio fratturativo. 2. ESAME CITOLOGICO: la cisti contiene fluido giallastro, simile al plasma, ed è

possibile la presenza di sangue non coagulato. Sono presenti quantità elevate di PGE2.

Fig. 6/7: Fluido prelevato dalla cisti

3. ESAME ISTOLOGICO di una cisti attiva rivela la presenza di una membrana mesoteliale circondata da un sottile orletto di osso reattivo.

4. La TC si dimostra utile nel definire la densità della lesione anche se è una metodica diagnostica poco utilizzata.

(30)

focolai a intensità di segnale ridotta sulle immagini in T1 ed aumentata sulle immagini in T2, è scarsamente specifica, potendo simulare il quadro di una neoplasia maligna o di una infezione.

Secondo diversi autori però la diagnosi di cisti ossee con MRI è estremamente semplice. La cisti viene vista come una depressione omogenea con alta intensità di segnale in T1 e T2. Una linea di bassa intensità in T2 dentro la cavità rappresenta un setto fibrotico o calcifico.(21) Questo rappresenta un dato importante in quanto è stato visto che l'esito del trattamento è influenzato dal grado di localizzazione della lesione .(22) (23) (24)

Fig. 6/8: MRI con mezzo di contrasto

Nelle risonanze con mezzo di contrasto, si può osservare che l'accrescimento è limitato alla membrana cistica e questo permette la differenziazione con altre lesione ossee benigne dei bambini. Un differente comportamento si osserva in

(31)

caso di frattura dell'osso sulla cisti.

L' estensione della lesione può essere dimostrata molto bene grazie alla caratteristica di multiplanarità dell' MRI e all' eccellente risoluzione di contrasto del tessuto.(25)

Fig. 6/9: MRI

L' importanza della risonanza magnetica risiede nel fatto che con questa metodica è facile riuscire a capire precocemente la prognosi della cisti dopo intervento con corticosteroidi. L' identificazione del tessuto riparato è plausibilmente un precoce marker del processo di guarigione e la sua presenza è considerata un indicatore prognostico di guarigione.

L'alta risoluzione di contrasto dell' MRI delinea la porzione residua cistica come una cavità luminosa nelle immagini in T2. L'assenza di accrescimento tessutale

(32)

nella cavità cistica indica che essa non risponde alla terapia e che quindi c' è bisogno di un altro trattamento, quindi l' MRI permette di individuare il punto più appropriato per un eventuale futura iniezione.

In conclusione l'ottimale visualizzazione del tessuto riparato (con immagini con mezzo di contrasto) e la porzione cistica residua ( immagini in T2) indica l' MRI come un effettivo strumento per valutare precocemente la riuscita di un intervento con corticosteroidi in una cisti ossea. (26)

6. La SCINTIGRAFIA OSSEA mostra un aumento della captazione del radioisotopo intorno ai margini della cisti, anche se è in genere meno sensibile delle tecniche radiologiche.

7. All' ANGIOGRAFIA, il mezzo di contrasto non penetra all' interno della cavità cistica, ed è presente in quantità assai modesta nei tessuti molli circostanti. Il reperto di un liquido paglierino all' agoaspirazione conferma la diagnosi di cisti ossea solitaria.

8. Per determinare lo stato di attività della cisti può venire impiegata la MANOMETRIA. Una pressione interna uguale o maggiore di 30 cm di H2O denota una cisti in fase attiva. Un mezzo di contrasto iniettato in una cisti attiva viene drenato nel circolo venoso entro pochi minuti. Le cisti latenti contengono un liquido più viscoso, con una pressione (non pulsante) simile alla pressione venosa (6-12 cm di H2O). Tali cisti sono scarsamente comunicanti con il circolo

(33)

venoso: il mezzo di contrasto, conseguentemente, viene eliminato con maggiore lentezza.

(34)

Diagnosi Differenziale

Gli aspetti clinico radiografici della cisti ossea giovanile sono altamente caratteristici.(17)

La diagnosi differenziale va discussa soprattutto con:

● la CISTI OSSEA ANEURISMATICA, che differisce per la sede eccentrica, l'

usura della corticale e la predilezione per la parte distale delle ossa lunghe, per le ossa piatte e per le vertebre.

La cisti aneurismatica ha un incidenza 3-4 volte inferiore rispetto alla cisti ossea giovanile; colpisce soprattutto l' adolescenza ed è rara prima dei 5 anni.

(35)

● l' ENCONDROMA, che predilige le ossa tubulari delle estremità , ma può

osservarsi anche nelle metafisi delle ossa lunghe, dove assottiglia meno la corticale e presenta quasi sempre, all' interno dell'immagine litica, ombre calcifiche;

● DISPLASIA FIBROSA MONOSTATICA, in cui la localizzazione è eccentrica,

multiloculata e meno radiotrasparente, a “vetro smerigliato”.

.

(36)

● il TUMORE GIGANTOCELLULARE, nel quale la lesione è epifisaria, la sede

eccentrica, l'aspetto multiloculato, e la corticale erosa.

(37)

CAPITOLO 7

Prognosi

La prognosi della cisti ossea solitaria solitamente è buona, infatti può andare incontro spontaneamente alla guarigione. Una volta migrata in direzione diafisaria e diventata inattiva essa può permanere silente anche per tutta la vita oppure può guarire (passando attraverso una trasformazione fibrosa, che poi ossifica fino a ridare all'osso la sua conformazione normale) o inglobarsi e confondersi, durante la sua migrazione, nel canale midollare.

L' unica vera complicanza è costituita dalla frattura patologica, che si riscontra nel 73% dei casi, in pieno benessere e per traumi modesti: la sede d'elezione è rappresentata dalla metafisi superiore dell'omero (64,2%), seguita a distanza dal collo del femore (28,5%) e dalla metafisi inferiore della tibia (7,1%).

La frattura insorge nel punto di maggiore svasamento della cisti, laddove la parete è più sottile; lo spostamento non esiste o è modesto; la consolidazione avviene in tempo normale.

Alcuni autori ritengono che la frattura possa essere il primum movens della guarigione per effetto dello svuotamento della cavità cistica (27), altri sostengono che la frattura favorisca la guarigione della cisti, perché la callificazione può obliterare parzialmente la cavità cistica stessa; la maggioranza però è contraria a giudicare definitiva una tale evoluzione, ritenendo che in simili circostanze si possa ottenere al massimo una guarigione parziale e temporanea, che condiziona quanto prima la comparsa di recidive.

(38)

Neanche il trattamento chirurgico corretto della frattura può ovviare del resto al al rischio di comparsa di recidive, tanto è vero che tale evenienza è stata riscontrata in circa la metà dei casi operati (17).

E' quindi verosimile ritenere che la tecnica ed il materiale impiegato per il trattamento della frattura, indipendentemente dalla sede della cisti e del suo momento evolutivo, non esercitino alcuna influenza sul decorso della cisti stessa, ma che la possibilità di una sua recidiva. Di conseguenza si ritiene che l'esito della malattia sia legato al cosiddetto “genio evolutivo” della cisti stessa.(17)

E' altresì vero che studi dimostrano che il tempo di guarigione, così come la comparsa di complicanze possa essere influenzata dal tipo di terapia utilizzata per il trattamento della cisti.

Secondo alcuni studi l' iniezione di midollo osseo porta a guarigione completa nel 67% dei casi; il 17% dei pazienti ha una guarigione parziale e il 16% non risponde al trattamento.(29)

Secondo De Sanctis,(27) l'uso di chiodi flessibili intramidollari porta ad una percentuale di guarigioni complete del 65,9% ,mentre il 34% dei pazienti da lui trattati con tale metodica ha una guarigione parziale.

Un altro intervento molto utilizzato per la cura delle cisti ossee solitarie è l'iniezione di metilprednosolone acetato. Alcuni studi hanno dimostrato che con questa tecnica possiamo ottenere il 67%-96% di complete guarigioni, il 13% di ricomparsa di recidive mentre il 6% delle cisti non risponde al trattamento.(30)

Analizzando la relazione tra l' età dei pazienti e la loro risposta al trattamento terapeutico risulta che la completa guarigione della cisti viene maggiormente raggiunta

(39)

nei pazienti più giovani, di età non superiore agli 11 anni, rispetto a quelli più grandi, vicini al termine della crescita ossea.(8)

Altri studi dimostrano che la localizzazione della cisti influenza in modo considerevole la prognosi(28).

(40)

Trattamento

Il trattamento della cisti ossea deve essere improntato sulla prevenzione delle fratture patologiche e, in caso di cisti già complicate da fratture, dalla necessità di consentire rapidamente una riparazione della cisti.

Il trattamento di elezione è stato per molto tempo quello chirurgico tradizionale che aveva come scopo:

1. asportare adeguatamente la corticale per esplorare tutta la cavità cistica; 2. asportare totalmente la membrana che riveste la parete della cisti;

3. ristabilire la comunicazione della cavità con il canale midollare per permettere la successiva vascolarizzazione;

4. evitare di danneggiare la cartilagine epifiso-metafisaria;

5. rispettare il periostio per permettere la successiva riparazione della breccia ossea.

Il semplice curettage era la procedura più frequentemente praticata; esso però, soprattutto nei soggetti di età inferiore a 10 anni, è seguito da recidiva con una frequenza che varia, nelle diverse casistiche, dal 30% al 50%. L' aggiunta di trapianti ossei, indicata soprattutto nelle cisti di maggiori dimensioni, non migliora i risultati, indipendentemente dal tipo di trapianto usato.

Le ragioni di questi insuccessi vanno ricercate nelle difficoltà che la superficie rugosa della parete cistica oppone all' asportazione completa della membrana fibrosa ed alla scarsa vascolarizzazione dell'osso sclerotico limitrofo, che ostacola i processi riparativi. Per questo alcuni autori raccomandano di asportare uno strato di osso (31), in modo da renderlo idoneo all' attecchimento dei trapianti; altri associano colla di fibrina

(41)

(32); altri ancora ricorrono alla resezione sub-totale o addirittura totale sottoperiostea mediante diafisectomia sostituita da innesto osseo (33), ma questi interventi sono da considerarsi sproporzionati ed applicabili eventualmente solo ad alcuni segmenti ossei, come il perone; infine altri, sempre nell' intento di evitare recidive, trattano le pareti con cloruro di zinco e fenolo ( Neer; Boseker) (34) (18) od alcool oppure riempiendo la cavità con metacrilato.

Quando è presente una frattura, se questa è completa,scomposta e irriducibile con manovre esterne, si impone l' atto operatorio per consentire la riduzione, questa viene fatta contemporaneamente al trattamento della cisti. Quando la frattura è incompleta, vi sono Autori che preferiscono attendere la consolidazione prima di operare, per evitare il rischio di trasformarla in completa; altri invece intervengono subito, ritenendo che i processi riparativi possano ostacolare la pulizia totale della cavità.

Solitamente la frattura è solo modicamente scomposta e spesso è sufficiente la riduzione per manovre esterne e l' applicazione dell' apparecchio gessato. Qualche volta, dopo la frattura, si assiste ad un certo miglioramento e riduzione della cavità cistica, purtroppo solo temporaneo. Nei casi in cui l' esito dell' intervento è positivo, la cisti obliterata viene sostituita da osso denso, che persiste lungamente e solo dopo molti anni assume un aspetto normale.

La terapia chirurgica può essere divisa in tradizionale e procedure percutanee. Il successo delle varie procedure può essere molto variabile.

Nel 1973 Neer e coll. (35) videro che le percentuali per riconoscere o meno la guarigione di UBC potessero essere abbastanza ingannevoli se l' obliterazione completa

(42)

della ciste fosse stato il test di verifica per il successo dell'intervento. Essi credevano che la vera verifica si potesse fare osservando la ricomparsa e l' ingrandimento della cisti, con espansione e assottigliamento della corticale e la possibilità che si verifichi una possibile frattura.

L'aspetto chiave dei sistemi di percentuale di Neer che hanno come scopo di valutare la risposta al trattamento sono riportati di seguito:

● Eccellente

● Alterazione residua ● Rioperare

RESEZIONE SUBTOTALE CON O SENZA INNESTO

Nel 1962, Fahey e O'Brien (33) introdussero una tecnica per il trattamento di UBC che essi riferirono come una resezione sub totale con innesto. La tecnica comportava l' esposizione del periostio della cisti e di una porzione dell' osso sano adiacente seguito dalla rimozione da due terzi a quattro quinti della cisti. La corticale dell' osso innestata veniva raccolta dalla cresta iliaca o dalla tibia degli stessi pazienti e veniva usata per riempire lo spazio cistico.

In media, dopo circa quattro anni di follow-up, Fahey e O'Brien riportarono una percentuale di successo dell' intervanto del 95% (19/20).

Considerarono l' operazione la procedura di scelta per cisti in stato di latenza e per quei pazienti che ripresentavano cisti dopo un intervento chirurgico tradizionale (Farrey,1973). Un paziente può o aver bisogno di ripetere l'innesto per raggiungere la

(43)

guarigione o non presenta nessun tipo di complicazioni con questa tecnica.

Nel 1977, McKay e Nason (31) riportarono un simile intervento con resezione sub totale per UBC ma senza inesto osseo. La lora tecnica produsse una percentuale di successi del 90% (19/21) (definita come una completa obliterazione della cisti). Non riportarono nessun tipo di complicazione infettiva o neurocircolatoria, ma 3 dei loro pazienti riportarono disturbi nella crescita ossea, e 7 fratture ossee durante la procedura.

La resezione sub totale e l'innesto osseo quindi rimangono un opzione per il trattamento delle UBC. La procedura certamente comporta un alto grado di morbidità chirurgica.

TECNICHE DI TRATTAMENTI PERCUTANEI Alcune tecniche sono state proposte alla chirurgia tradizionale:

1. la criochirurgia (Marcove) (36) che però si avvale di una tecnica sofisticata e complessa e perciò non sempre applicabile

2. il trattamento locale con corticosteroidi (Scaglietti,1974) (8)

Quest' ultimo metodo è basato sul presupposto che i corticosteroidi in microcristalli in sospensione, a lento assorbimento, usati localmente, determinerebbero la distruzione del rivestimento connettivale della parete cistica, favorendo l' osteogenesi riparativa; ha avuto un largo seguito ( Bocchi (37); Campanacci (38); Corrado (39); De Palma (40); Mastragostino (41); Simone (42); Zanchini (43).) e si avvale dell'iniezione all'interno della cisti di metilprednisolone acetato (mg 40), ripetuta ogni 2-3

(44)

mesi per tre volte.

Lo strumentario è minimo: a seconda dello spessore della parete cistica si utilizza un sottile tre-quarti, munito di mandrino coassiale a punta ed a vite, manovrabile a mano, oppure un agocannula con apice a fresa e mandrino opportunamente sagomato adatto ad essere montato su un perforatore a mano; in anestesia generale e sotto controllo amplioscopico si infiggono due sottili tre-quarti nella cavità cistica in modo da drenare il liquido cistico; si rimuove quindi un tre-quarti si inietta attraverso l' altro il preparato cortisonico; estratto l'ago si esegue fasciatura compressiva.

(45)

Nelle cisti complicate da frattura è preferibile confezionare inizialmente un apparecchio gessato da portare 30 giorni prima di procedere all' introduzione del corticosteroide, in attesa che la ricostituzione della continuità del segmento osseo interessato impedisca l'eventuale fuoriuscita del cortisone nello spessore delle parti molli. Questa metodica dà buoni risultati (il tempo medio di guarigione radiografica della cisti è di circa sei mesi) e può essere ripetuta anche in caso di recidiva. La guarigione completa si osserva nel 26% dei casi, la guarigione incompleta nel 43%, le recidive nel 20% e le mancate risposte nell' 11% (Capanna) (44); le recidive reinfiltrate rispondono positivamente nel 90% dei casi; le cisti che già inizialmente non risentono della terapia non guariscono neanche con un secondo ciclo di infiltrazioni, per cui quando non si ottiene alcun effetto terapeutico è consigliabile la soluzione chirurgica.

Una seconda possibilità di terapia farmacologica locale è rappresentata dalla calcitonina (De Bastiani) (32). Il protocollo terapeutico comprende l'introduzione, in anestesia locale, sotto amplificatore di immagine, di un grosso ago tipo tre-quarti; aspirato il liquido intracistico si inoculano in cavità, a seconda dell'età del soggetto, 200-300 Unità MRC di calcitonina sintetica di salmone prescolata con 2 ml di colla di fibrina umana preparata utilizzando la trombina a 4 U.I.; l'iniezione intracistica viene praticata ad intervalli settimanali per 5 settimane e l'intero ciclo viene ripetuto dopo 60 giorni, ove necessario, previo controllo radiografico (Letizia) (45). Quest'ultima tecnica non ha trovato ampia diffusione.

(46)

Un'altra terapia non invasiva nel trattamento della cisti ossea solitaria giovanile è rappresentata dalla singola infiltrazione per via percutanea di midollo osseo autologo (Delloye) (46); (Lokiec) (47). La tecnica consiste nell'aspirare il contenuto fluido della cisti, e nella infiltrazione di midollo osseo aspirato dalla parte posteriore della cresta iliaca.

I risultati sembrano favorevoli specie nelle cisti uniloculate e di piccole dimensioni (Kose) (48). Le casistiche non sono ampie come quelle di pazienti trattati con la tecnica di Scaglietti. La tecnica può essere applicata dopo un'attenta selezione dei pazienti da sottoporre al trattamento.

3. Killian e coll.(49) descrissero l' uso della demineralizzazione della matrice ossea per via percutanea, non usando steroidi. Nove dei loro 11 pazienti guarirono completamente a due anni dall'intervento

4. Iniezione di tessuto osseo autologo (BMI) (47) (29).

Il BMI è una procedura operatoria abbastanza semplice che deve essere eseguita in anestesia generale in una sala operatoria asettica. Il paziente viene messo supino sul tavolo operatorio. Il midollo osseo viene aspirato dalla cresta iliaca con l' aiuto del fluoroscopio. Due aghi spinali vengono messi all'interno della cavità cistica; uno per l'iniezione del midollo osseo e l'altro per l'aspirazione del fluido cistico. Il fluoroscopio viene usato per garantire un corretto posizionamento degli aghi. Un liquido di contrasto viene iniettato all'interno della cavità cistica allo scopo di delinearne i confini. La cisti viene accuratamente ripulita mediante l'utilizzo di comune soluzione salina. Il midollo precedentemente prelevato dalla cresta iliaca

(47)

viene iniettato all'interno della cavità cistica precedentemente ripulita. Se la cisti è multiloculata tutti i setti vengono distrutti oppure vengono utilizzati aghi aggiuntivi per assicurarsi di intervenire con il BMI su tutte le sezioni della cisti.

5. Trattamento con chiodi intramidollari.

Prima dell'inserimento dei chiodi deve essere eseguita una biopsia percutanea sotto il controllo di un intensificatore di immagine. Viene fatta una piccola incisione per scoprire la corticale ossea e tramite un intensificatore di immagine localizzato il punto esatto nel quale praticare il foro per ottenere una adeguata quantità di tessuto per la biopsia.

Dopo la biopsia i bambini che presentano lesioni agli arti superiori vengono messi supini sul tavolo operatorio e le eventuali fratture patologiche vengono ridotte manualmente. I pazienti con lesione al femore vengo posizionati su un lettino operatorio in modo da rendere più agevole la riduzione della frattura, la localizzazione accurata della cisti e il posizionamento ottimale dei chiodi.

Vengo usati dei chiodi flessibili con un diametro da 2,0 a 3,5 millimetri e da tredici a trentacinque centimetri di lunghezza.

Il diametro e la lunghezza dei chiodi vengo selezionati in base a misurazioni fatte con una radiografia antero-posteriore prima dell'intervento, prendendo in considerazione un ingrandimento dell'immagine radiografica.

La lunghezza dei chiodi viene verificata con un intensificatore di immagine dopo il loro posizionamento sulla superficie anteriore dell'osso

(48)

corrispondente.

Il diametro invece viene deciso in modo che due chiodi possano occupare due terzi del canale midollare.

La corticale dell'osso viene esposta e, sotto il controllo di un intensificatore di immagine, vengono praticate due incisioni nella regione distale dell'osso coinvolto, medialmente e lateralmente.

Entrambi i chiodi vengono fatti passare attraverso la cisti, uno per volta. Le fisi prossimali e distali vengono accuratamente evitate. Nella parte distale dell'osso i chiodi vengono lasciati sporgenti.

(49)

La stabilità del fissaggio è verificata ruotando l'arto e cercando qualunque movimento dei frammenti ossei sotto un intensificatore di immagine. L'incisione viene chiusa a strati. Muscoli e tessuto sotto cutaneo vengono usati per ricoprire la parte prominente dei chiodi.(27) (50)

(50)

CAPITOLO 8

Materiali e Metodi

Dal 1980 al 2005, presso la Clinica Universitaria di Pisa sono stati trattati 92 pazienti, di cui 63 maschi e 29 femmine, mediante introduzione endocavitaria di acetato di metilprednisolone (MPA) per un totale di 162 trattamenti.

L’età dei pazienti era compresa fra 20 mesi e 21 anni, con una media di 12 anni. Di questi 45 ( 48%) presentavano cisti all’omero, 20 ( 22%) al femore, 9

( 10%) al perone, 6 ( 7%) al calcagno, 5 ( 6%) alla tibia, 4 ( 4%) al radio, il restante 3 (3%) alla mano.

Grafico 8/1: Frequenza delle cisti in base alla sede

O m e ro F e m o re P e ro n e C a lc a g n o T ib ia R a d io M a n o 0 5 10 15 20 25 30 35 40 45 Casi

(51)

Il sesso più colpito è stato in tutti i distretti quello maschile con rapporto 2:1 (63 maschi e 29 femmine), dai dati raccolti non risulta esserci un lato dominante.

Grafico 8/2: Incidenza in base al sesso

La tecnica attuata è stata sempre quella descritta da Scaglietti che prevede: in rigorosa asepsi e sotto controllo amplioscopico l’introduzione nella cavità cistica di due tre-quarti, quindi svuotamento del liquido cistico, rimozione di un tre-quarti ed iniezione attraverso il secondo di 80 mg di acetato di metilprednisolone (2 cc di Depo-Medrol).

Maschi 63

(52)

Fig. 8/1: Fasi dell'intervento con iniezione di MPA

Con quali modalità l'acetato di metilprednisolone agisca nel processo di riparazione delle cisti ossee non è noto.

Ricerche sperimentali dimostrano un effetto inibente dei corticosteroidi sulla formazione di callo osseo, e ciò esclude una azione diretta osteogenetica del cortisone (Clein e Kowalewski (51); Koskinen (52); Kostenszsky e Olah (52)). Inoltre la scarsa conoscenza della patogenesi delle cisti non contribuisce a considerare la possibilità di una diretta azione del cortisone sulla noxa patogena iniziale. L'acetato di metilprednisolone interferisce, secondo alcuni autori (54), sulle condizioni anatomiche locali che favoriscono il mantenimento e l' ingrandirsi della lesione. I fattori che condizionano il persistere delle cisti e determinano il suo accrescimento sono due:

● La membrana connettivo fibrosa che delimita la cavità

(53)

La parete cistica agisce come ostacolo biologico e meccanico ai tentativi di riparazione dell' osso circostante. In caso di fratture patologiche, inoltre, la sua interposizione tra i frammenti può essere la causa della mancata riparazione ( Fineschi) (55).

La difficoltà di rimuovere chirurgicamente in maniera completa tale tessuto patologico può spiegare l' alta percentuale di recidive dopo intervento di svuotamento o borraggio della cavità. Questo è il motivo che ha indotto alcuni Autori (Witt et al; Sanguinetti) (56) (57) a considerare insufficiente il classico intervento di curettage ed innesto osseo ed a preferire un procedimento chirurgico più radicale (resezione subtotale della cisti).

Anatomopatologicamente tale membrana è costituita da un tessuto fibroconnettivale ricco di cellule di tipo istiocitario e fibrocitario. Pertanto non si discosterebbe istologicamente da altri tipi di membrane di rivestimento in corso di versamenti sierosi non infiammatori oppure di igromi semplici, vale a dire in corso di qualsiasi processo di natura microtraumatica il cui esito sia un incistamento (regredibile dopo aspirazione e sensibile all' azione del cortisone topico).

E' noto che il cortisone esercita una influenza negativa sul tessuto connettivo. L' impiego locale di corticosteroidi determina alterazioni trofiche del derma (Pariser e Murray; Di Stefano e Nixon) (58) (59); in campo terapeutico l' uso topico del cortisone porta alla completa regressione di cheloidi cicatriziali (Boggio Robutti; Patrono) (60) (61). Inoltre studi sperimentali ( Pratt e Aronow; Beliner e Nabors; Gray et al.) (62) (63) (64) hanno dimostrato che il cortisone esercita effetti di inibizione sui fibroblasti in vitro.

(54)

E' probabile pertanto che nelle cisti ossee l' azione dell' acetato di metilprednisolone si esplichi sulla membrana connettivo fibrosa, secondo quanto supposto da Scaglietti. Questo autore ritiene che i corticosteroidi in microcristalli, determinando una distruzione del rivestimento connettivale della cisti, permettono l' insorgere di un processo osteogenetico. Con la distruzione della parete cistica, cioè, verrebbero rimossi gli ostacoli che si oppongono ad una ripresa del processo di riparazione da parte del tessuto osseo circostante la cavità.

Il secondo fattore condizionante il persistere e l' accrescersi della cisti ossea (sotto la spinta della noxa patogena che ne ha determinato l'insorgenza) è la presenza di liquido nella cavità.

Gli esami chimici ed enzimologici del liquido cistico (Villani; Cohen; Scaglietti) (6) (7) (8) miranti all' individuazione di eventuali sostanze che potessero determinare biochimicamente la distruzione del tessuto osseo e, di conseguenza, l'ingrandimento della cisti, non hanno portato alcun contributo. Pertanto l'azione del liquido contenuto nella cisti deve considerarsi puramente meccanica: esso cioè è responsabile del progressivo allargamento della lesione attraverso un meccanismo di riassorbimento osteoclastico da pressione nei confronti del tessuto osseo circostante. Ciò è in accordo con quanto sostenuto da Fineschi (55) che ritiene “inguaribile la cavità finché questa è colma di liquido, finché, cioè, esercita sul tessuto osseo circostante una azione di pressione”. Tale effetto di usura permane immutato anche in presenza di sangue nella cavità. E' osservazione di tutti, infatti, che nelle cisti ossee il sangue, già presente nella cavità per microtraumatismi ripetuti o che si forma in seguito a fratture patologiche o a ripetute aspirazioni, non coagula ma persiste allo stato fluido continuando nella sua

(55)

azione di usura da pressione sull' osso vicino.

Tessari e Zaffaroni (65) ritengono che la scarsa coagulazione del sangue contenuto nelle cisti sia da attribuire alla presenza nel liquido cistico di un sistema capace di opporsi alla formazione di coaguli o in grado di lisarli. Questi autori, studiando il liquido prelevato al momento dell' intervento da cisti ossee giovanili, hanno riscontrato che la proprietà attivante la fibrinolisi del liquido è superiore a quella del plasma.

Tale fenomeno di mancata coagulazione non è caratteristico unicamente delle cisti ossee, ma si osserva anche nei versamenti ematici nelle cavità articolari e nelle cavità sierose dell' organismo. E' altresì noto che la plasmina, presente nel liquido sinoviale, può ostacolare, con il medesimo meccanismo di dissoluzione del coagulo, il processo di riparazione di alcune fratture endoarticolari. Ciò è stato rilevato, ad esempio, nelle fratture mediali del collo del femore nelle quali la eventuale mancata consolidazione può essere attribuita anche ad un attivo processo fibrinogenolitico da parte della plasmina (Harrold, Cecchini) (66) (67).

I corticosteroidi determinano uno stato di ipercoagulabilità mediante una azione di inibizione della fibrinolisi.( Kwain, Renauld, Isacson) (68) (69) (70).

Il procedimento può essere ripetuto più volte a distanza di due o tre mesi dalla prima iniezione a seconda del grado di riparazione della cavità patologica.

In 40 dei 92 pazienti ( 43%) la cisti era complicata da frattura patologica recente, questi sono stati trattati inizialmente con confezionamento di un apparechio gessato per 30 gg, per ottenere una ricostruzione , sia pure approssimativa, della continuità del segmento osseo interessato, quindi successiva iniezione di MPA.

(56)

Dopo i 30 gg di immobilizzazione in gesso non abbiamo mai osservato segni radiografici, sia pure iniziali, di guarigione della lesione cistica tali da rendere superfluo il trattamento cortisonico; solo in un caso trattato con fissatore esterno dopo un mese non abbiamo introdotto MPA, per l’esiguità della cisti e perché ai controlli radiografici seriati sembrava volgere verso la guarigione; a distanza di 2 anni la RM ha però dimostrato la presenza della stessa area cistica latente.

Nelle cisti dell’arto inferiore specialmente localizzate al collo del femore, siamo soliti, dopo trattamento con MPA, fare osservare al paziente un periodo di scarico di circa 4 settimane.

Tutti i nostri piccoli pazienti, dopo trattamento con MPA, sono stati studiati con radiografie standard seriate a 3-6-12 mesi ed ogni anno con un follow-up di 5 anni.

A tutti i pazienti è stato eseguito l’esame citologico del liquido cistico.

Alcuni pazienti sono stati valutati con RM che oltre a confortarci nella diagnosi nei casi dubbi, è stata di enorme importanza nel rivelarci a tre mesi dalla prima iniezione di cortisone la responsività al trattamento della cisti e quindi del paziente (26).

(57)

Risultati

Abbiamo valutato i nostri dati con la classificazione di Neer che divide l’evoluzione della lesione dopo trattamento con corticosteroide in 4 stadi: I° guarigione totale, II° guarigione con residui minori di 3 cm, III° recidiva, IV° nessuna risposta al trattamento e considera soddisfacente i risultati di I° e II°.

Tabella 8/1: Classificazione di Neer

La guarigione è avvenuta in tutti i piccoli pazienti in un range di tempo che và da minimo di un anno ad un massimo di tre anni.

(58)

Fig. 8/2: Rx Cisti prima dell'intervento Fig. 8/3: Rx a tre anni dall'intervento (guarigione completa)

Nel 65 % dei casi, 60 pazienti, abbiamo ottenuto la guarigione con una sola iniezione di MPA, mentre nel 35 % dei casi, 32 pazienti, è stato necessario ripetere il trattamento più volte, in 21 pazienti ( 23%) due volte, in 7 pazienti ( 7%) tre volte, in 2 pazienti ( 2%) quattro volte, in 3 pazienti ( 3%) rispettivamente cinque, sei e sette volte.

(59)

Grafico 8/3: Numero dei trattamenti necessari per raggiungere la guarigione completa

Abbiamo osservato che nel 91.3 % dei casi, 84 pazienti, i risultati sono stati buoni con regressione della lesione fino allo stadio I° e II° della classificazione di Neer, abbiamo avuto solo 8,7 % di recidive, 8 pazienti, che con ulteriori iniezioni di MPA sono anch’essi guariti. Non abbiamo avuto nessun caso non responsivo alla terapia.

1 2 3 4 5 6 7 0 10 20 30 40 50 60 Pazienti

(60)

CAPITOLO 9

Discussione

Sebbene siano relativamente rare, le cisti sono state ampiamente trattate nella letteratura scientifica.

Le cisti ossee giovanili possono essere complicate da frattura patologica o da imminenti fratture dovute alla corticale che si presenta sottile; le cisti inoltre tendono a persistere o a recidivare anche dopo che sono state trattate. Questo spiega la vasta variabilità di metodi per raggiungere la guarigione.

Alcuni autori notarono differenze tra i vari trattamenti per la cura delle cisti ossee giovanili, in particolare tra l'iniezione di midollo osseo (BMI) e l'iniezione di steroide.

Lokiec et al. valutarono gli effetti di una singola iniezione percutanea di midollo osseo dalla cresta iliaca, questo veniva iniettato per via percutanea all' interno della cavità cistica per stimolare la formazione di osso nella cisti con elementi osteogenici nel midollo osseo autologo.(47)

Lokiec et al. riportarono la guarigione completa di tutti i loro 10 pazienti trattati con tale metodo, sostenendo che questo tipo di intervento poteva essere risolutivo.

Negli studi di Yadow et al.(29), di otto pazienti da loro trattati con iniezione di midollo osseo, sei (75%) avevano richiesto un solo intervento per la completa guarigione. Ciò suggeriva che BMI poteva promuovere la guarigione delle cisti ossee solitarie più precocemente rispetto all' iniezione di corticosteroidi.

(61)

bambini e delle famiglie.

L'uso del BMI come intervento primario veniva supportato dalle osservazioni dimostranti che la progressiva guarigione delle cisti ossee giovanili si aveva entro tre mesi dopo le iniezioni, la necessità di un' altro trattamento era quindi bassa.

Su un altro campione di undici pazienti trattati, si è avuta guarigione entro tre mesi dal trattamento della cisti, e solo quattro (36%) richiesero un trattamento addizionale. Yadow et al., complessivamente nel corso dei loro studi, ottennero che il 67% dei pazienti trattati aveva guarigione completa, il 17% una guarigione parziale , il 16% non rispondeva al trattamento; più di un'iniezione era richiesta nel 42% dei pazienti.

Anche Chang et al. (71) usarono l'iniezione di midollo osseo senza distruzione meccanica della ciste, su un campione di 14 pazienti, di questi, 8 dovettero ripetere il BMI dopo un periodo di tre mesi, notando quindi una percentuale del 57% di comparsa di recidive dopo la prima iniezione e il 63% dopo la seconda iniezione.

Compararono i risultati ottenuti dopo l' iniezione di midollo osseo con quelli ottenuti dopo l' iniezione di steroidi e conclusero che non c'era nessun vantaggio tra l'uso dei due diversi approcci terapeutici.

Tuttavia Scaglietti, usando l'iniezione intracistica di steroidi nel trattamento delle cisti ossee giovanili, notò che nel 55% dei casi i pazienti guarivano completamente e le recidive delle lesioni erano rare.

Campanacci, usando la stessa procedura, riportò il 67%-96% di complete guarigioni, con una percentuale del 13% di ricomparsa di recidive e del 6% di cisti che non rispondevano al trattamento.(30)

(62)

intervento, il 45% di essi presentavano alcuni miglioramenti in seguito alle iniezioni (ispessimento della corticale, formazione di alcune aree con osso neoformato ed evidenze di riparazione di piccole aree nella cisti).

L'analisi di un altra serie di pazienti studiati da Scaglietti rivelava che la completa riparazione della cavità cistica veniva osservata soprattutto nei pazienti più giovani, non più grandi di 11 anni, che presentavano lesioni localizzate alla metafisi, vicino alla linea epifisaria; in quelli più grandi, vicini al termine della crescita ossea, osservarono l'arresto del processo osteolitico e la persistenza di alcune parti della cisti.

Ciò fece concludere che la guarigione dipendeva dal tipo di intervento adottato per il trattamento della cisti, ma in particolar modo dall'età del paziente, facendo sostenere agli autori che per poter predire il reale ruolo di un intervento sulla cisti era necessario aver studiato un ampio numero di pazienti, non uniformi in età e caratteristiche della lesione come dimostrato anche da Hashemi-Nejal e Cole (28) che usando lo stesso metodo di iniezione di MPA in 32 pazienti notarono buoni risultati in tutti i 19 pazienti con cisti all' omero e alla fibula, ma solo in 9 su 13 pazienti con lesione al femore e alla tibia; confermando che il ruolo dell' MPA dipendeva anche dalla localizzazione della cisti.

Alcuni autori comunque affermano che perforazioni multiple attraverso la parete della cisti, dentro la cavità midollare, possono essere molto più importanti del materiale iniettato.

Diversi studi pubblicati riportavano l'uso di fili di Kirschner, chiodi intramidollari o viti cannulate nelle cisti per permettere la continua decompressione o il drenaggio del fluido contenuto nella cisti.

(63)

Tramite altri studi fu visto che usando i fili di Kirscher, 15 su 23 pazienti (65%) avevano però bisogno di operazioni successive. (72) (73) (74)

Santori et al.(75) dichiararono che tutti i loro 10 pazienti con cisti ossee erano guariti dopo l'inserimento di chiodi intramidollari.

Roposch et al. (50) usarono questo metodo in 32 pazienti. Una sostituzione dei chiodi fu necessaria in nove pazienti (28%), perché i chiodi erano divenuti troppo piccoli in seguito alla crescita ossea.

De Sanctis analizzò 56 bambini (27), dopo l' inserimento di chiodi intramidollari, il 31% guariva completamente mentre nel 16% dei casi rimanevano dei residui radiolucenti alla verifica radiografica. Di questi pazienti 14 dovettero rimuovere i chiodi intramidollari in seguito alla crescita,ma nessuno ebbe recidive della cisti dopo rimozione.

Esaminando i risultati in letteratura, (76) (77) i trattamenti, creando comunicazioni tra la cavità della cisti e il canale midollare, sembrerebbero dare migliori risultati della sola iniezione di qualsiasi sostanza anche se uno svantaggio di questi studi è proprio l'incapacità di separare gli effetti del trattamento del perforamento della cisti da quelli dovuti alle iniezioni di steroidi o midollo osseo.

I risultati ottenuti nelle varie casistiche dimostrano comunque una indubbia azione dell'acetato di metilprednisolone nelle cisti ossee giovanili.

Ciò è ancora più valido se si considera che altre terapie non sempre si sono dimostrate soddisfacenti in particolar modo per le complicanze postoperatorie. Infatti, l'uso di innesto osseo per riempire la ciste è spesso seguito dal rallentamento della crescita con formazione di deformità secondarie, come per esempio, il presentarsi della

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coxa vara dopo il trattamento di una cisti del femore.(Scaglietti).

McKay e Nason riportarono che 3 su 21 pazienti trattati con BMI presentarono disturbi della crescita ossea.

Oppenheim e Galleno, (78) studiarono 37 pazienti trattati con tecniche di chirurgia aperta (35 curettage con innesto osseo e 2 resezioni totali o subtotali di periosteo) e 20 pazienti trattati con iniezione di corticosteroidi. Notarono che la percentuale di complicazioni era del 38% nel gruppo che aveva subito intervento di curettage, mentre il gruppo di pazienti che avevano subito iniezioni di corticosteroidi avevano solo un 5% di complicazioni. (78) Questa differenza di percentuale di complicanze è statisticamente significativa (P<0.02).

Oppenheim e Galleno notarono infatti una percentuale di complicazioni per BMI, che includeva coxa vara, arresto della crescita epifisaria, e accorciamento dell' arto. Quindi stabilirono che la procedura aveva un' alta percentuale di morbidità e conclusero che il curettage con innesto osseo non poteva essere considerato il trattamento di scelta per le cisti ossee solitarie.

Il maggior svantaggio di tecniche chirurgiche, come la resezione totale e subtotale, sono il danno alla fisi, una grande perdita di sangue durante l'intervento, fratture intra-operatorie ed un prolungato periodo di immobilizzazione dopo l'intervento chirurgico. (79)(33)(31)(80)

Curettage, criochirurgia e riempimento osseo o sostituzione di osso sono stati descritti come metodi per indurre formazione di osso nella cisti (33) (81)

Mentre i suddetti metodi sono mirati al consolidamento delle cisti, non provvedono però all' immediata stabilizzazione. Questo è importante per il carico osseo,

(65)

specialmente considerando che una larga percentuale di cisti presenta una frattura. La frattura è una complicanza abbastanza grave in sede intraoperatoria, infatti sono stati riportati diversi studi in letteratura tra i quali quello di Scaglietti che, su 163 pazienti con cisti ossee che erano stati trattati con MPA, solo 3 presentarono una frattura patologica durante l'intervento, permettendo comunque di continuare il trattamento con iniezione. In uno studio di Yandow invece, i pazienti che hanno subito questa complicanza intraoperatoria trattati con BMI sono stati 4 su 12.

(66)

CAPITOLO 10

Conclusioni

Alla luce dei dati bibliografici e dai risultati della nostra casistica possiamo confermare l'effetto positivo dell' impiego dell' MPA nel processo di guarigione delle cisti ossee solitarie giovanili.

Dei 92 pazienti da noi trattati con introduzione endocavitaria di acetato di metilprednisolone abbiamo ottenuto la guarigione più o meno completa della cisti nel 100 % dei pazienti in un tempo variabile da 1 a 3 anni.

In 60 casi (65 %) è stata sufficiente una sola iniezione di MPA, in 32 casi (35 %) invece è stato necessario ripetere il trattamento, altresì è necessario rilevare però che la ripetizione del trattamento cortisonico per più volte mirava alla riparazione di piccole aree cistiche residue.

Dopo qualche mese dall'iniezione di questo steroide, abbiamo visto che le cisti dei nostri pazienti si riempivano di tessuto rossiccio-grigiastro che, con esame istologico, si dimostrava tessuto edematoso fibroblastico con attiva proliferazione di tessuto osteoide nella parete della cisti.

I cambiamenti radiografici notati nei vari intervalli erano abbastanza costanti. Dopo tre mesi si manifestava una opacità uniforme della cavità osteolitica e un margine trasparente rimaneva nelle vicinanze della parete cistica.

Con il tempo l'iniziale opacità tendeva a crescere. La formazione di nuovo osso era evidente dentro la cavità mentre la parete ossea appariva ispessita.

Figura

Fig.   3/3:   Cisti   ossea   aneurismatica:  localizzazione   delle   lesioni   (rosso)   ed  incidenza per decade di vita (blu)
Fig.   5/1:   Cisti   ossea   giovanile:   sede   delle   lesioni   (nero=frequente; punteggiato=poco; bianco=raro)

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