Sono state prese in esame in chiave retrospettiva, 75 pazienti affette da carcinoma endometriale e sottoposte a staging chirurgico per via laparoscopica robot assistita presso il Reparto di Ginecologia II Ospedaliera della Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa, nel periodo compreso tra Aprile 2008 ed Aprile 2014.
Come gruppo di controllo, sono state valutate 60 pazienti sottoposte alla medesima stadiazione, nello stesso periodo di tempo e presso la stessa unità operativa, attraverso chirurgia laparotomica.
Per ogni gruppo è stato quindi analizzato un sottogruppo con BMI superiore a 30 Kg/m2.
Tutte le pazienti, affette da adenocarcinoma endometriale di tipo endometrioide diagnosticato su biopsia endometriale, sono state inquadrate in fase preoperatoria, mediante visita ginecologica, Pap-test, ecografia trans-vaginale (eseguita sempre dallo stesso ecografista specialista in ginecologia), TC torace-addome-pelvi e, nel 20% dei casi, anche RMN pelvi, dosaggio CA125 e valutazione anestesiologica. Nell’87% dei casi, era stata inoltre eseguita anche isteroscopia diagnostica o operativa.
La stadiazione delle pazienti era stata eseguita in accordo alle linee guida della Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia, FIGO 2009.
Criteri di inclusione per i due gruppi erano rappresentati da assenza di interessamento linfonodale (valutato mediante RMN e/o TC-scan), assenza di malattia extrauterina.
Criteri di esclusione per i due gruppi, erano costituiti da diagnosi istologica di adenocarcinoma endometriale non endometrioide o la presenza di uno stadio clinico superiore al II in base alla classificazione FIGO.
Tutte le pazienti sono state sottoposte ad antibiotico profilassi (Cefoxitina 2 g endovena in unica dose) ed a terapia a base di eparina a basso peso molecolare pre- e post- intervento (Fragmin 5000 UI, per via sottocutanea) per 15-30 giorni.
Tutte le procedure chirurgiche sono state eseguite in anestesia generale. Sono stati valutati età, peso, body mass index (BMI), stadio, tipo istologico, e grading tumorale, tempo operatorio impiegato (console time), perdite ematiche intra-operatorie, trasfusioni di sangue, numero dei linfonodi asportati, stadio patologico, degenza ospedaliera, complicanze intra-operatorie e post-operatorie, sopravvivenza globale, sede e tipo di recidiva. Informazioni riguardanti le pazienti sono state ottenute dai registri ospedalieri, dalle cartelle o telefonando direttamente alle stesse.
La tecnica utilizzata per l’isterectomia addominale totale extrafasciale, è stata quella classica, eseguita dallo stesso operatore specialista in chirurgia ginecologica oncologica.
Alla fine dell’intervento, è stato posizionato un drenaggio pelvico in aspirazione rimosso dopo 24-48 ore ad eccezion fatta per soggetti con BMI superiore a 30 Kg/m2, per i quali è stato posizionato drenaggio sottocutaneo in aspirazione, rimosso in 10°-14° giornata.
Per quanto riguarda invece l’intervento eseguito mediante chirurgia robotica, ci si è avvalsi del sistema Da Vinci Sr (Dipartimento Multimediale di Chirurgia Robotica, Ospedale di Cisanello, Pisa) con l’utilizzo di quattro bracci, avvalendosi di un Grasper traumatico posizionato sul quarto braccio del robot, al fine di effettuare la mobilizzazione uterina senza l’ausilio di un manipolatore uterino. Anche per le pazienti sottoposte a chirurgica robotica, l’intervento è stato eseguito sempre dallo stesso chirurgo, con eccellente esperienza laparoscopica.
Le pazienti sono state posizionate in Trendelenburg (circa 35-40°). Il pneumoperitoneo è stato ottenuto con ago di Verres sovraombellicale o ombelicale in base alle dimensioni dell’utero. Solo in 7 casi, a causa di una pregressa chirurgia longitudinale mediana, è stata utilizzata tecnica di Hasson, con posizionamento di ago di Verres nel quadrante superiore esterno sinistro.
Dopo l’induzione dell’anestesia generale, un sondino naso-gastrico è stato inserito dall’anestesista per evitare traumi gastrici, per poi essere rimosso dallo stesso alla fine dell’intervento.
Gli accessi robotici utilizzati (Fig. 1) sono stati ombelicale o sovraombellicale da 12 mm per l’ottica 30°, due accessi laterali da 8 mm per i bracci robotici ed uno in fossa iliaca destra di 1 cm all’interno della spina ischiatica superiore per il quarto braccio. E’ stata inoltre realizzata un’ulteriore porta accessoria da 12 mm, a carico del quadrante superiore destro, per consentire l'aspirazione, l’irrigazione, l'inserimento di aghi e di grasper da parte dell’assistente.
È stato sempre utilizzato un side docking posizionando il carrello robotico a lato destro della paziente.
La pressione di CO2 utilizzata durante il posizionamento dei trocar, è stata di 15 mmHg,
mentre durante l’intervento di 8-9 mmHg.
Come strumenti, sono stati adoperati EndoWrist forbici monopolari, pinza bipolare fenestrata e pinza da presa Cadier per il quarto braccio e portaaghi robotici (Institutive Surgical, Inc.).
In tutti i casi è stata eseguita isterectomia radicale tipo1 sec. Querleu-Morrow, con invio di utero ed annessi ad esame istologico estemporaneo per valutare il grado di infiltrazione ed il grading della neoplasia. Sulla base della ‘frozen section’, è stata eseguita linfoadenectomia pelvica. In tutte le pazienti operate con tecnica robotica, prima di procedere all’isterectomia, è stata visualizzata bilateralmente l’arteria uterina, successivamente legata all’origine con endoclips.
Tutti i pezzi sono stati rimossi per via vaginale, tranne in un caso per cui si è ricorsi ad una mini Pfannnenstiel a causa dell’eccessivo volume uterino. La cupola vaginale è stata suturata con Maxoon 2/0 in continua. Il catetere vescicale è stato rimosso in prima giornata.
La definizione di ‘tempo operatorio’ adottata nella nostra esperienza, è quella che comprende il tempo intercorso tra l’incisione e la chiusura della cute (‘skin-to-skin’), mentre a parte è stato valutato il tempo di assembramento della strumentazione robotica (‘docking time’).
FIGURA 1: Gli accessi robotici e side docking.
Il follow-up è stato eseguito mensilmente per i primi 3 mesi, poi ogni 3 mesi per i primi 2 anni, ogni 6 mesi per 3 anni, e successivamente una volta all’anno.
Analisi Statistica
Per le variabili categoriche sono stati applicati il test del Chi-quadro e il test di Fisher. Per l'analisi statistica dei dati, è stato utilizzato il test t di Student per dati appaiati per le variabili continue. Variabili non-parametriche sono state espresse come mediana. La malattia libera da ricorrenza è stata definita (DSF) come il periodo intercorrente tra chirurgia e data della prima recidiva. La sopravvivenza globale (OS) è stata calcolata come periodo intercorrente tra la data dell’intervento e la data della morte. I dati sui pazienti vivi sono stati aggiornati all’ultimo follow-up. Un valore di P < 0.05 è stato considerato statisticamente significativo.
RISULTATI
Nel periodo compreso tra Aprile 2008 ed Aprile 2014, 135 pazienti venivano arruolate nello studio e sottoposte a staging chirurgico per carcinoma endometriale. Sessanta pazienti (48.3%) venivano trattate mediante approccio laparotomico e 75 pazienti (58.7%) attraverso chirurgia robotica. Le caratteristiche delle pazienti sono riportate in tabella 4.
L’età media delle pazienti appartenenti al gruppo laparotomico ed a quello robotico, era rispettivamente di 68.5 anni (con un range compreso tra 38 ed 88 anni) e 65 anni (con un range di 38-84 anni).
Il valore medio del Body Mass Index (BMI) era invece di 31 Kg/m2 (con range compreso tra 18 e 59) e di 28 Kg/m2 (range tra 18 e 60).
Trentacinque pazienti del gruppo di controllo ‘laparotomico’, presentavano un BMI superiore a 30 Kg/m2 e di queste 7 presentavano BMI superiore a 40 Kg/m2. Nel gruppo robotico invece, 27 pazienti presentavano BMI maggiore di 30 kg/m2 e di queste 8 maggiore di 40 Kg/m2.
L’età media ed il BMI, sono risultati essere simili nei due gruppi. Allo stesso modo, nessuna differenza significativa è stata riscontrata in merito allo stadio ed al grading, anche se le pazienti del gruppo di controllo avevano caratteristiche prognostiche peggiori infatti 16 (26.6%) pazienti nel gruppo laparotomico presentavano spazi linfonodali positivi a differenza del gruppo robotico, dove le pazienti con spazi linfonodali positivi erano solo 5 (6.6%).
Venti pazienti sottoposte a chirurgia laparotomica e 25 pazienti sottoposte a chirurgia robotica, presentavano pregressa chirurgia addominale.
Tutte le pazienti, sono state sottoposte ad isterectomia radicale tipo A1 sec Querleu- Morrow. In base all’esame istologico estemporaneo, 50 pazienti operate mediante chirurgia laparotomica (83.3%), sono state sottoposte a linfoadenectomia pelvica sistematica.
Di queste, 6 hanno subito anche linfoadenectomia lomboaortica, in seguito ad un riscontro di positività dei linfonodi pelvici all’esame istologico estemporaneo o per segnalazione di linfonodi bulky paraaortici alla TC.
Al contrario, nel gruppo ‘robotico’, in 55 casi (73%) è stata effettuata linfoadenectomia pelvica, mentre in nessun caso si è ricorso a linfoadenectomia lomboaortica.
In 3 casi di chirurgia laparotomica, è stato eseguito anche un intervento di riduzione di laparocele ed in un caso di colecistectomia.
Nessun caso di isterectomia radicale robotica con linfadenectomia pelvica è stato convertito in laparotomia.
La perdita ematica media, è stata di 380 ml (con un range compreso tra 30 e 1200 ml) nel gruppo laparotomico, e 55 ml (tra 20 e 900 ml) nel gruppo robotico, risultando quindi significativamente minore nel gruppo robotico (p<.0002).
In 9 casi nel gruppo sottoposto a laparotomia (15.8%) ed in 2 casi in quello sottoposto a chirurgia robotica, si è dovuti ricorrere ad emotrasfusione.
La media dei tempi operatori, per il gruppo robotico è risultata pari a 155 min (range compreso tra 90 e 470 min), con un ‘console time’ di 115 min (range da 90 a 400 min).
Da notare che sia il tempo medio di allestimento del robot (7 min con un range di 3-25 min) che quello operatorio, sono andati progressivamente decrescendo all’aumentare del numero di procedure (figura 2).
FIGURA 2: Learning curve
Al contrario, i tempi operatori nel gruppo di controllo ‘laparotomico’, risultavano significativamente più lunghi (p<.001) con una mediana di 210 minuti (range tra 85 e 480 min).
Per quanto riguarda invece il numero di linfonodi asportati, risultava sostanzialmente sovrapponibile tra i due gruppi, con una mediana di 25.5 (range 18-46) nel gruppo laparotomico e di 20 (range 11-40) (p<.07). Solo 4 pazienti, sia nel gruppo robotico che in quello laparotomico, presentavano linfonodi pelvici positivi all’esame istologico definitivo.
La degenza mediana post-operatoria, risultava di 6 giorni (con un range compreso tra 3 e 15 giorni) nel gruppo laparotomico contro i 3 giorni (range 2-13 giorni) del gruppo robotico, con una durata significativamente inferiore in quest’ultimo (p<.00009).
‘Outcome’ chirurgici, quali perdite ematiche, tempi operatori, giorni di degenza e linfonodi asportati, sono stati presi in considerazione anche ogni dieci interventi effettuati dallo stesso operatore (Figura 2).
Analizzando i risultati sotto questo profilo, possiamo vedere come dopo venti casi si verificava una notevole riduzione dei tempi operatori e delle perdite ematiche associato un aumento del numero di linfonodi asportati.
Le complicanze intraoperatorie si sono verificate nel 6.7% degli interventi di chirurgia robotica. Nel dettaglio, si è trattato di una lesione ureterale e di tre episodi di lesioni a carico della vena iliaca esterna, risoltesi intraoperatoriamente. Per quanto riguarda invece il gruppo sottoposto a laparotomia, l’8.3% delle pazienti è andata incontro a complicanze, consistenti in quattro lesioni vascolari intraoperatorie.
Riguardo alle complicanze postoperatorie, queste si sono verificate nel 25% (corrispondente a 15 casi) del gruppo laparotomico, in termini di nove deiscenze di sutura, tre deiscenze di cupola, una fistola ureterale, una ipoestesia gambe bilaterale, un linfedema asintomatico ed uno scompenso cardiaco acuto che ha richiesto trasferimento in UTIC. Nel gruppo robotico invece, le complicanze postoperatorie, hanno interessato il 16 % dei casi (12 pazienti). Si è trattato di sei deiscenze di cupola, due linfoceli (dei quali uno sintomatico che è stato drenato sotto guida ecografica), tre casi di neuropatia periferica femorale da posizione ed un’ernia di Richter. La chirurgia robotica si è confermata più vantaggiosa, anche quando i dati sono stati analizzati considerando le pazienti con BMI superiore a 30 Kg/m2 (tabella 5).
È stata infatti riscontrata una riduzione della durata della degenza (passando dai sei giorni del gruppo laparotomico a due giorni (p<.00005)) e dei tempi operatori (da 225 a 172.5 minuti p< .002), della entità delle perdite ematiche (da 450 ml a 50 ml p<.00002) pur mantenendo inalterata la qualità della radicalità chirurgica (con una media di linfonodi asportati pari a 25 del gruppo laparotomico contro 22.5 di quello robotico; p<.15). Se valutiamo le complicanze intraoperatorie, venivano riscontrate nel 10.3% dei casi del gruppo laparotomico contro il 4.3% di quello robotico, mentre per quanto riguarda le complicanze postoperatorie, si passava dal 24.5% delle pazienti operate ‘tradizionalmente’ al 16.6% di quelle trattate con l’ausilio del robot (Tabella 5), con una netta prevalenza per queste ultime (71% dei casi), di deiscenze ed infezione della sutura chirurgica.
Si è rivelato invece sovrapponibile, il numero delle pazienti che hanno ricevuto un trattamento adiuvante, con 18 pazienti (37.5%) appartenenti al gruppo laparotomico e 19 pazienti (32.7%) a quello robotico.
La durata media del follow-up, è stata di 40.6 mesi (con un range di 4-60 mesi) per le pazienti che avevano subito un intervento di laparotomia contro i 30 mesi (dai 3 ai 42 mesi) di quelle del gruppo robotico, giustificato dal fatto che i primi interventi di chirurgia robotica nella nostra unità operativa, sono stati effettuati nei primi mesi del 2009.
Complessivamente 7 (5,1 %) pazienti sono andate incontro a recidiva (4 nel braccio robotico e 3 nel braccio laparotomico) le cui caratteristiche clinico patologiche sono riportate in tabella 6.
Tutte le pazienti del braccio robotico avevano sviluppato una recidiva a distanza dopo un tempo mediano di 12, 18, 20 e 52. Mentre per quanto riguarda la pazienti del braccio laparotomico, la recidiva era stata a distanza tranne una che invece aveva sviluppato recidiva su cupola vaginale dopo 7 mesi che era stata recuperata con trattamento di salvataggio (RT esterna più brachiterapia).
Nessuna differenza significativa per quanto riguarda la sopravvivenza è stata osservata tra i due gruppi di pazienti, infatti la percentuale di sopravvivenza stimata a 3 anni era del 97% per il braccio robotico e dell’93% per il gruppo laparotomico (p=.501).
DISCUSSIONE
La chirurgia robot-assistita rappresenta l'ultima innovazione nel campo della chirurgia mini-invasiva. In ginecologia, questa tecnologia ha trovato diverse applicazioni, nei settori delle patologie ginecologiche benigne, della medicina riproduttiva, dell'uroginecologia, e dell'oncologia.
I sostenitori della chirurgia ginecologica robot-assistita ritengono che la strumentazione Endo-Wrist, il posizionamento ergonomico, e il sistema di visione ad alta definizione tridimensionale siano dei significativi miglioramenti rispetto allo strumentario della chirurgia laparoscopica, con quattro gradi di libertà e un laparoscopio bi-dimensionale, che richiedono al chirurgo operatore di fermarsi in ogni parte di una procedura. I costi, la mancanza di feedback tattile sono i limiti di tale chirurgia.
Gli studi pubblicati in Letteratura riportano outcome chirurgici migliori rispetto alla chirurgia laparotomica.
I nostri dati risultano essere in linea con la Letteratura evidenziando come la chirurgia robotica nel trattamento del carcinoma endometriale early stage presenti migliori out come rispetto alla chirurgia laparotomica in termini di minor perdite ematiche, minor ospedalizzazione a parità di radicalità chirurgica.
Per quanto riguarda i tempi operatori i nostri dati presentano una significativa riduzione dei tempi robotici rispetto ai laparotomici.
Questi dati si discostano dai dati riportati in Letteratura (tabella 1, tabella 2); in effetti molti pazienti sottoposti a chirurgia tradizionale venivano sottoposti anche a linfoadenectomia aortica e inoltre presentavano un BMI maggiore rispetto alla pazienti sottoposte a chirurgia robotica.
Anche nella nostra esperienza i tempi operatori sia di docking sono andatia diminuire con l’aumentare delle procedure, cosi come il numero di linfonodi sono aumentati con l’aumentare delle procedure robotiche effettuate fino a raggiungere un plateau dopo solo 20 procedure.
Da questo emerge come sia breve la learning curve in chirurgia robotica rispetto alla laparoscopia infatti i dati in Letteratura mostrano che sono necessarie 20-24 procedure per abbattere i tempio operatori ed acquisire la proficienza (79) mentre in laparoscopia occorrono più di 100-125 procedure per ottenere una diminuzione dei tempi operatori con incremento della radicalità (80).
Questo ha determinato la più facile diffusione della chirurgia robotica rispetto alla laparoscopica basti pensare che in USA solo 8% dei ginecologi oncologi chirurghi utilizzano routinariamente la laparoscopia nello staging del carcinoma endometriale.
Nel nostra Unità Operativa invece negli ultimi anni tutti gli interventi per carcinoma endometriale early stage vengono indirizzati verso un approccio robotico a meno che non vi siano controindicazioni anestesiologiche importanti o che vi siano documentati segni preoperatori di malattia linfonodale o addominale.
A differenza di quanto descritto dal LAP2 per la chirurgia laparoscopica che riportava una percentuale di conversione del 25,8% (44), nella nostra casistica non abbiamo avuto se non un caso di mini Pfannenstiel effettuata per asportazione del pezzo per eccessivo volume uterino. I dati presenti in Letteratura nei riguardi della chirurgia robotica presentano una percentuale di conversione che varia dal 2,9% (48) al 5,3% (50) al 3,8% (51). In particolare De Nardis (50) evidenzia come la conversione 3 casi su 56 sia stata dovuta al l’incapacità di controllare il sanguinamento durante la linfoadenectomia pelvica. Un altro vantaggio della chirurgia robotica è la gestione delle complicanze; in effetti l’alta percentuale di conversione in laparoscopia è legata a lesioni accidentali dei vasi durante la linfoadenectomia. Nella nostra casistica si sono verificati tre casi di lesioni alla vena iliaca esterna che sono stati risolti intraoperatoriamente senza conversione grazie all’ausilio di Bulldog endoscopici o di utilizzo del quarto braccio robotico come clamp durante la sutura. Solo in un caso le perdite totali ematiche sono state di 800 cc e d è stata necessaria trasfusione. Ovviamente la chirurgia robotica in questi casi presenta notevoli vantaggi per una facilità nel effettuare sutura dei vasi che risulta essere estremamente difficile in laparoscopia. Dall’altra parte però pensiamo che in un caso la lesione della vena sia stata provocata da una eccesiva tensione applicata dagli strumenti robotici durante le manovre di dissezione dovuta alla mancanza di feedback tattile. Abbiamo riportato un caso di danno ureterale nel braccio robotico 0,17% che è stato riconosciuto intraoperatoriamente e riparato mediante anastomosi ureterale termino-terminale previa apposizione di stent JJ.
È importante sottolineare come questa complicanza si sia verificata nelle prime procedure robotiche effettuate dall’operatore.
Nel gruppo laparotomico sono state riportate 4 lesioni vascolari intraoperatorie con 3 trasfusione intraoperatorie.
Il nostro tasso di complicanze intraoperatorie robotiche corrisponde a quello riportato in letteratura che varia dal 0,7% al 6,2% e in nessun caso si è ricorsi a conversione laparotomica. Il LAP2 invece riporta una percentuale di complicanze intraoperatorie del 8% per il braccio laparoscopico e del 10% laparotomico non statisticamente significativa (p=0.061), sottolineando invece una maggiore percentuale di lesioni vascolari nel braccio robotico rispetto a quello laparotomico (1,8% vs 0,8%). I nostri dati presentano percentuale di complicanze intraoperatorie sovrapponibili di 6,7% nel braccio robotico e di 8,3% in quello laparotomico dovute essenzialmente in entrambi i gruppi a lesioni vascolari venose.
Le complicanze postoperatorie sono state di 16,5 % per il braccio robotico e di 23 % in
quello laparotomico. I dati in Letteratura riportano una percentuale di complicanze
postoperatorie che varia dal 7,5% al 16,1% per interventi robotici contro i 27,5% -36%
per la laparotomia mentre se analizziamo i dati del LAP2 viene riportata una
percentuale del 21% nel braccio laparotomico versus 14% in quello laparoscopico (44).
Da notare come la maggior parte delle complicanze sia siano verificate per entrambi i
Le differenze maggiori sono legate alle deiscenze ed infezione della ferita nel gruppo
laparotomico (9 casi di cui 5 con BMI maggiore di 30 Kg/m2) contro nessun caso nel
braccio robotico.
In sei casi del gruppo robotico (7.1 %) si è presentata deiscenza di cupola di cui tre casi
hanno necessitato di risutura per via vaginale. Tutti i casi si sono presentati con
sanguinamento intorno alla 22-30 giornata post intervento ed due casi in presenza di
BMI maggiore di 30 kg/m2. Nel gruppo laparotomico invece si è verificato solo un caso
in seguito ad infezione 2% che non ha richiesto reintervento. Il più alto tasso di
deiscenze di cupola sia nella chirurgia mininvasiva laparoscopica che robotica è dato
riportato in vari studi (81), in particolare Boggess (48) riporta una percentuale intorno
4,1% in chirurgia robotica. Abbiamo modificato nel tempo la sutura della cupola
vaginale: attualmente viene fatta una sutura in doppio strato con filo “monofilamento”
(Maxoon 2-0) prendendo almeno 5 mm. Inoltre si incide la vagina con forbice
monopolare a 40 w.
Uno dei due casi di linfocele è stato drenato sotto guida ecografica. La paziente aveva
un BMI di 30 kg/m2. Due casi di linfoceli non sintomatici si sono verificati nel gruppo
laparotomico, le pazienti presentavano BMI di 25 Kg/m2 ed i linfonodi pelvici asportati
corrispondevano rispettivamente a 30 e a 35. In Letteratura la percentuale di linfedema
o linfoceli dopo linfoadenectomia pelvica in ginecologia oncologica varia molto dall’1
al 37% (82,83). Alcuni studi segnalerebbero una relativa maggiore incidenza di
Ciò probabilmente dovuto a una maggior dissezione linfonodale soprattutto negli spazi
otturatori intorno alla vena circonflessa iliaca profonda (84). Nela nostra casistica non
abbiamo riportato tali differenze; i vasi linfatici venivano chiusi con clips.
Una paziente ha sviluppato un ernia di Richter su accesso robotico fossa iliaca sinistra dopo rimozione di drenaggio intraperitoneale. La paziente è stata sottoposta a re- intervento in VI giornata ampliando l’incisione del trocar per liberare la porzione di ansa del tenue erniata senza subire resezione intestinale.
L’ernia di Richter è un’evenienza rara che si verifica nel 1% (85-88) dei casi anche se la percentuale di casi diminuisce al diminuire del diametro del trocar utilizzato ed è pari all’0-0.09% negli accessi inferiori ai 10 mm (89-92). Per questo abitualmente la fascia negli accessi robotici da 8 mm non viene suturata. Dopo questa complicanza, favorita