• Non ci sono risultati.

Il seguente lavoro si basa sulla revisione dei referti istologici dei pazienti operati dalla U.O di Neurochirurgia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana nel triennio 2013-2016. Da tali referti siamo andati a selezionare esclusivamente pazienti operati per glioma cerebrale di basso grado. Per individuare i gliomi a basso grado ci siamo rifatti alla classificazione WHO delle neoplasie cerebrali. Essa prevede la stratificazione delle neoplasie sulla base del grading istologico. Nello specifico va ad individuare 4 classi progressive di gliomi. L’assegnazione del grado di malignità si basa su come la massa appare all’esame microscopico. I criteri che in tale setting vengono utilizzati sono rappresentati dalla atipia cellulare, dal tasso di crescita (indice mitotico), dal tasso di morte delle cellule e dal potenziale di diffusione, quest’ultimo valutato in base ai margini del tumore e al flusso ematico. I tumori di grado I vengo identificati in quanto entità a lenta crescita e dall’aspetto istologico pressoché normale. Quelli di grado II, sebbene conservino un ritmo di crescita basso, iniziano ad avere atipie istologiche e mostrano tendenza alla progressione e recidiva. Infine nei gradi III e IV facciamo ricadere quelle neoplasie francamente maligne che mostrano atipie cellulari, infiltrazione dei margini e processi di neo vascolarizzazione importanti.

Delle neoplasie prese in considerazione abbiamo valutato i principali parametri immunoistochimici e come essi si distribuiscono, per poter poi

44

effettuare un confronto con quelli che sono i dati della letteratura. I parametri che vengono presi principalmente in considerazione sono rappresentati dal MIB-1/Ki-67 e dal GFAP. Il ki67 è una proteina nucleare non istonica espressa da un gene presente sul braccio lungo del cromosoma 10 di cellule in proliferazione, che in laboratorio viene analizzata mediante immunoistochimica, utilizzando specifici anticorpi monoclonali come appunto il MIB-1. Essa rappresenta un indice di proliferazione della neoplasia e nei gliomi di basso grado tendenzialmente si mostra inferiore al 5%. Il GFAP è una proteina fibrillare acida che rappresenta la componente essenziale di cui sono costituiti i filamenti intermedi degli astrociti. La sua rilevazione è indice della presenza di componenti astroicitarie nel contesto della lesione, le quali possono essere sia di natura neoplastica sia di natura reattiva. In accordo con la visione attuale, espressa proprio dall’ultima classificazione WHO del 2016, quando possibile, abbiamo cercato anche di individuare i profili molecolari dei vari tumori. In questo contesto abbiamo posto particolare enfasi al grado di metilazione del promoter MGMT, alla presenza della codelezione 1p-19q. e alle mutazioni puntiformi nei geni IDH 1 e IDH2.

Da questa revisione siamo arrivati ad ottenere un totale di 62 pazienti sottoposti a procedura neurochirurgica per lesione gliale di basso grado. Individuati i pazienti, analizzando le cartelle cliniche inserite nel database Facile web, siamo risaliti alle generalità degli stessi, alla loro condizione clinica pre operatoria, e alle tecniche di imaging effettuate prima e dopo l’intervento. Infine abbiamo effettuato un follow-up telefonico, con media a 30 mesi, per valutarne le condizioni cliniche. Per dare obiettività alla valutazione delle condizioni cliniche ci siamo avvalsi della scala di Karnofsky (Karnofsky performance status scale). Questa è una scala di valutazione della qualità di vita del paziente che tiene conto di:

45

• Limitazione dell’attività • Cura di se stessi

• Autodeterminazione

Figura 16 Karnofsky performance scale

Al termine di tutto, per l’analisi statistica dei dati e la realizzazione delle rappresentazioni grafiche sono stati utilizzati i software MS Excel 2016 e NCSS 11.

46

4. Risultati

Il totale del campione di studio è di 62 pazienti. Di questi 36 (58,06%) sono maschi, mentre 26 (41,94%) sono femmine. L’età media è di 51,05 anni (minimo 14-massimo 80 anni), l’età mediana è di 52,5 anni.

Il follow-up medio è di 30 mesi (minimo 4-massimo 50 mesi).

Secondo la classificazione istologica utilizzata il 52,3% dei pazienti presenta l’astrocitoma diffuso, il 17,74% presenta oligodendroglioma, l’11,29% l’astrocitoma pilocitico, il 4,84% mostra l’ependimoma, il 4,84% presenta il subependimoma, il 6,45% l’oligoastrocitoma e l’1,61% l’astrocitoma pilomixoide.

Figura 17 Istotipi

In 6 casi su 62 (3,72%) si registravano tracce di elementi anaplastici (WHO III) nella compagine delle lesioni a basso grado.

Dei pazienti in studio è 42 sono stati sottoposti ad intervento di resezione tumorale (67,74%), mentre 20 hanno effettuato biopsia (32,26%).

53%

18%

11%

5%

5%

6%

2%

Astrocitoma diffuso Oligodendroglioma Astrocitoma pilocitico Ependimoma Subependimoma Oligoastrocitoma Astrocitoma pilomixoide

47

Del totale dei pazienti 10 (6,2%) venivano operati come recidiva di una precedente neoplasia gliale.

Dei pazienti trattati 3 (1,86%) hanno presentato una recidiva di neoplasia. In tutte le neoplasie il MIB-1 non è risultato mai superiore al 5%.

La positività al GFAP ha rappresentato una costante.

In 15 referti è stata analizzata la metilazione del promoter del gene MGMT. In 13 di questi casi è risultato essere metilato con una percentuale variabile che va da un minimo del 9% ad un massimo dell’84%.

In 14 referti su 62 sono state analizzate le mutazioni a carico dei geni IDH- 1 e IDH-2. In 10 casi su 14 (71,42%) si è registrata la mutazione di IDH-1. In nessun caso si è avuta la mutazione di IDH-2. La presenza della codelezione 1p-19q è riportata solamente in una occasione.

La localizzazione che ha prevalso è quella emisferica sovratentoriale (frontale, parietale, temporale ed occipitale) con un totale di 37 neoplasie su 62 (59,67%), seguita dalla localizzazione in regioni profonde (talamo, tronco encefalico, nuclei della base e cervelletto) con 17 casi su 62 (27,41%). Nei restanti 8 casi non siamo riusciti a risalire alla localizzazione.

Nel follow-up si è riscontrata un tasso di sopravvivenza del 54,84% (34 su 62), contro un 45,16% (26 su 62) di pazienti deceduti. L’82,14% delle morti è avvenuta per Astrocitoma diffuso, il 7,14% per Oligodendroglioma, il 3,57% per Oligoastrocitoma, il 3,57% per Ependimoma e il 3,57% per Subependimoma.

All’ultimo follow-up solamente 4 pazienti (1,36%) presentavano disturbi post operatori, sebbene la loro qualità di vita non venisse percepita

48

fortemente compromessa con un KPS intorno al 90%. Negli altri casi non si lamentava nessun disturbo.

Solamente in 2 pazienti abbiamo avuto recidiva della neoplasia, evidenziata in corso di follow-up.

Dal punto di vista clinico pre-operatorio i pazienti mostravano nel 20,97% cefalea, nel 19,35% mostravano crisi epilettica, nel 16,13% riscontro occasionale per altra causa o in corso di follow up per altra patologia, nel 12,90% avevano disordini motori, nel 8,06% mostravano parestesie, nel 6,45% presentavano afasia, nel 4,84% disorientamento temporo-spaziale. Infine in un 11,29% non è stato possibile risalire alla clinica pre-operatoria.

Figura 18 Presentazione clinica

Variabile totale in vita deceduti P

5%

19%

21%

13%

16%

8%

7%

11%

Disorientamento Crisi epilettica Cefalea Disordini motori Occasionale Parestesie Afasia Sconosciuto

49 Età 51,04±20,23 38,91±17,07 65,79±12,59 < 0,001 sesso maschile 36(58,06%) 16(69,23%) 20(30,77%)0,052 Istologia 0,004 Astrocitoma diffuso 33(52,23%) 10(30,30%) 23(69,70%) Oligodendroglima 11(17,74%) 9(81,82%) 2(18,18%) Astrocitoma pilocitico 7(11,29%) 7(100%) 0(0,00%) Ependimoma 3(4,84%) 2(66,67%) 1(33,33%) Subependimoma 3(4,84%) 2(66,67%) 1(33,33%) Oligoastrocitoma 4(6,45%) 3(75%) 1(25,00%) Astrocitoma pilomixoide 1(1,61%) 1(100%) 0(0,00%) Clinica 0,56 Disorientamento 3 (4,84% 1(1,61% 2(3,23%) Crisi 12(19,35%) 6(9,68%) 6(9,68%) Cefalea 13(20,97%) 10(16,13%) 3(4,84% Disordini motori 8(12,90%) 3(4,84%) 5(8,06%) Occasionale 10(16,13% 6(9,68%) 4(6,45%) Parestesie 5(8,06%) 3(4,84%) 2(3,23%) Afasia 4(6,45%) 1(1,61%) 3(4,84%) Sconosciuto 7(11,29%) 4(6,45%) 3(4,84%) Chirurgia 42(67,74%) 29(69,05%) 13(30,95%) 0,001

50

5. Discussione

Questo lavoro ha permesso di poter valutare i vari aspetti collegati alle neoplasie gliali di basso grado trattate dall’U.O di Neurochirurgia della A.O.U.P e di rapportarle ai dati della letteratura.

Come ci si aspettava non ci sono state differenze significative nell’incidenza in termini di genere. Infatti in totale accordo con il pensiero comune si è riscontrata una leggerissima prevalenza nel sesso maschile con un rapporto di 1,482; abbiamo di fatto registrato nel 58,06% dei casi il sesso maschile e

nel 41,94% il sesso femminile.

Anche riguardo all’età abbiamo avuto risposte in linea con il modo scientifico annotando un valore medio di 51,04±20,23 anni, ribadendo quindi che la decade a maggior incidenza è quella fra i 50 e 60 anni83.

In merito alla rilevazione istologica abbiamo con fermato la prevalenza dell’Astrocitoma diffuso seguito da l’oligodendroglioma.

Una particolare attenzione va posta nei confronti della presentazione clinica che nella maggior parte dei casi viene descritta come caratterizzata dalla comparsa di crisi epilettica80. Nel nostro lavoro invece il sintomo che

di poco ha prevalso è rappresentato dalla cefalea, seguito subito dalla crisi epilettica. Questa distribuzione probabilmente riflette “l’elevato” numero di neoplasie localizzate non a livello emisferico ma bensì in zone quali i ventricoli, il tronco encefalico, il talamo e i nuclei della base.

Uno dei dati che sicuramente ci premeva era la sopravvivenza al follow-up. In questo caso abbiamo avuto risposte positive, confermando la maggior sopravvivenza degli oligodendrogliomi rispetto agli astrocitomi diffusi. I vari lavori si concentrano sulla sopravvivenza a 5 anni e la registrano del 70% per gli oligodendrogliomi e del 37% per gli astrocitomi diffusi. Nel nostro studio, con follow-up medio a 30 mesi, si sono avuti tassi di sopravvivenza del

51

81,82% per l’oligodendroglioma e del 30,30% per gli astrocitomi diffusi. La percentuale di sopravvivenza leggermente inferiore che abbiamo avuto, per lo più negli astrocitomi, probabilmente deriva dalla combinazione di 2 fattori principali. Il primo è rappresentato dalla maggior incidenza di queste neoplasie in aree poco aggredibili che hanno imposto di effettuare la biopsia al posto della resezione, il secondo motivo vede il fatto che siamo andati a trattare, in 6 casi su 62, pazienti che presentavano recidiva di una neoplasia gliale.

Confrontando la biopsia con la resezione chirurgica, in termini di sopravvivenza, possiamo affermare che quest’ultima ha sicuramente un impatto positivo. Infatti il 69,05% dei pazienti operati è risultato ancora in vita al follow up, presentando solamente in 4 casi su 42 dei deficit funzionali che altresì non nè compromettevano la qualità di vita, con un KPS del 90%. Viceversa dei pazienti sottoposti a procedimento bioptico solo il 35% è risultato vivo al follow-up. Questo si allinea al pensiero attuale che vede nella chirurgia di prima intensione il trattamento gold standard per tali neoplasie.

Correlando la sopravvivenza con l’età abbiamo ottenuto un valore statisticamente significativo, asserendo che la sopravvivenza a 30 mesi è maggiore nei pazienti giovani.

Soprattutto nei referti istologici più recenti abbiamo avuto la possibilità valutare la presenza o meno delle principali mutazioni associate a questo tipo di tumori. Infatti in totale sincronia con l’attuale classificazione WHO del 2016 tali alterazione genetiche risultano fondamentali per la definizione ottimale di queste neoplasie. L’importanza data alla ricerca delle mutazioni deriva dal fatto che l’analisi istologia è ormai appurato essere soggetta a variazioni di interpretazione e non predittiva in maniera accurata dell’outcome clinico. Le mutazioni principalmente ricercate sono quelle a

52

carico dei geni IDH-1 e IDH-2, la codelezione 1p-19q e la metilazione del promoter del gene MGMT. Purtroppo i dati a disposizione nel nostro lavoro non sono tali da definire in maniera statisticamente significativa il ruolo che queste mutazioni hanno nella storia dei gliomi di basso grado. Dall’analisi dei dati tuttavia confermiamo la presenza della mutazione del gene IDH 1 nel 71,42% dei referti in cui è stato analizzato, in totale accordo con quelli che sono i dati in letteratura. La mutazione del gene iDH-1 è stata indicata come fattore prognostico positivo indipendente, mentre la presenza del gene IDH-1 wild type si associa a prognosi sfavorevole.

Dalla nostra analisi la metilazione del promoter del gene MGMT è risultata, con percentuale di metilazione variabile, positiva nell’86,6% dei referti in cui è stata valutata (13 su 15). Il suo ruolo in ottica prognostica risulta legato al maggior grado di risposta ad un eventuale trattamento adiuvante chemioterapico nei pazienti che presentano tale modificazione epigenetica. Infatti la metilazione del gene MGMT è risultata essere associata ad una maggiore progressione libera da malattia e sopravvivenza globale nei pazienti trattati con temozolamide 60.

53

5.1 Prospettive future

5.1A Neuronavigazione

La localizzazione e la definizione dell’estensione di una lesione sono dati fondamentali per una resezione massimale sicura nella neurochirurgia cranica. La neuronavigazione è adottata dalla neurochirurgia per ottenere una quanto più completa e accurata resezione neoplastica risparmiando il tessuto funzionale circostante e per facilitare la localizzazione di una data lesione ottimizzando i tempi operatori e riducendo l’ampiezza dei campi chirurgici. Il principio base di questa chirurgia guidata dalla navigazione è quello di poter vedere e localizzare uno strumento puntatore nello spazio in un sistema di immagini pre-acquisito calibrato con lo spazio neurochirurgico. Il neuronavigatore è, infatti, una guida costante per il chirurgo durante tutto l’intervento. Gli studi TC e RM sono caricati sul neuronavigatore in modo che il software della macchina rielabori le immagini adattandole in uno spazio tridimensionale. La procedura di navigazione permette di mettere a punto un piano operatorio con l’ausilio dell’immagine 3D ed eventualmente di simulare l’intervento. Questo viene realizzato unendo l’immagine TC con quella RM ed eventualmente PET. Così facendo si utilizza due/tre apparecchiature con risoluzioni ottimali differenti. Infatti la TC è migliore nella definizione ossea, la RM per quella dei tessuti molli e la PET per individuare aree funzionali. Il neuronavigatore è composto da un computer e da un’antenna che si colloca sul volto del paziente e si collega alla TC del presidio. In sala operatoria c’è un macchinario che attraverso uno schermo e direttamente nel microscopio operatorio, è in grado di guidare il chirurgo nella scelta del miglior tragitto per circoscrivere un tumore dal tessuto ano circostante e per individuare la migliore traiettoria di approccio. La TC, capace di effettuare delle scansioni sottili, viene applicata sotto lo schermo del macchinario. L’antenna, invece, viene posizionata sulla testa del paziente ed è in grado

54

di interagire a distanza col monitor, a sua volta collegato con la TC. Così facendo si individuano, attraverso particolari sensori, i così detti punti di repere del massiccio faciale grazie ai quali è possibile avere le coordinate. I passaggi operativi sono due:

• Acquisizione delle informazioni diagnostiche

Il paziente esegue una RM o un TC i cui dati saranno trasferiti nel computer del neuronavigatore

• Pianificazione dell’intervento

È la parte forse più innovativa ed interessante nell’uso di questa apparecchiatura. L’informazione essenziale che il neuronavigatore ci mostra sono le ricostruzioni simultanee delle immagini TC o RM in assiale, coronale e sagittale, intersecate nel punto da noi scelto. In questo modo noi possiamo spostare questo punto in ogni ricostruzione osservandone la corrispondenza oppure far scorrere le immagini lungo un asse da noi scelto. Facendo ciò avremo delle informazioni tridimensionali sull’esatta localizzazione, sui rapporti con le strutture attigue, sugli spostamenti che la lesione ha eventualmente provocato. In questo modo si potrà definire così il miglior tragitto e l’area dove aggredire la lesione considerandone il suo aspetto tridimensionale e gli spostamenti delle strutture attigue. L’avanzamento tecnologico ha permesso di utilizzare nel sistema del navigatore, oltre alle immagini sopra descritte, dati funzionali derivanti dalla risonanza magnetica funzionale e dalla trattografia ottenendo così la possibilità di identificare aree funzionali e di navigare tra le fibre di sostanza bianca. Inoltre una delle novità più importanti è rappresentata dalla possibilità di rimuovere il così detto brain shift. Esso rappresenta un fenomeno per il quale le strutture intracraniche situate al di sotto del

55

tavolato osseo subiscono cambiamenti in base a vari fattori, quali tumore e posizione del paziente. Con la possibilità di avere macchinari TC e RM intra operatori si notevolmente ridotto tale effetto. Il procedimento che permette la rimozione di tale effetto è chiamato fusione ibrida e permette anche, sfruttando la risonanza magnetica funzionale e la trattografia, di ottenere nuovi dati funzionali in tempo reale. Infatti recentemente la neuronavigazione viene utilizzata, anche, durante il mappaggio corticale dell’area motoria, somatosensoriale e dell’area del linguaggio. Con un software particolare vengono appunto ottenute registrazioni dei potenziali motori o somatosensoriali della corteccia. Questi segnali vengono poi sovrapposti alle immagini RM utilizzate dal neuronavigatore in modo da avere durante l’intervento anche informazioni funzionali riguardanti il campo operatorio. Anche le aree eloquenti che si attivano durante i diversi compiti somministrati durante l’esame di risonanza magnetica funzionale vengono sovrapposte alla RM del neuronavigatore per meglio conoscere sia durante la fase di pianificazione, ma soprattutto intra operatoria, il posizionamento delle aree funzionalmente importanti rispetto alla lesione che stiamo asportando.

56

Figura 20 Neuronavigazione

5.1B Awake surgery

Questa modalità operatoria sta sempre più prendendo piede nel trattamento chirurgico dei pazienti con gliomi di basso grado. L’interesse particolare nei suoi confronti deriva dalla necessità sempre maggiore di accoppiare una resezione chirurgica massimale alla qualità di vita post- operatoria. Questo perché è ormai certo che la resezione massimale del glioma si associa ad una prognosi favorevole. In aggiunta ci sono evidenze scientifiche che dimostrano come di fatto avere il paziente sveglio durante il mappaggio intraoperatorio, sia superiore in termini di estensione della resezione chirurgica e outcome neurologico rispetto alla classica anestesia generale84. Inoltre evitando l’anestesia generale si riduce la necessità di un

57

controllo intensivistico serrato nel post- operatorio nonché i costi di gestione85.

Questa procedura nasce con l’obiettivo di rendere favorevoli in termini sia oncologici sia neurologici, le resezioni di neoplasie situate nelle aree eloquenti. L’indicazione principale, pertanto, a questo intervento risulta la rimozione delle lesioni situate in tali aree come l’area motoria e del linguaggio. Questo perché nonostante il miglioramento delle tecniche di imaging quali la RM funzionale, la DTI e la neuronavigazione intraoperatoria non siamo ancora in grado di delimitare con precisione queste zone.

Di contro il più grande ostacolo all’attuazione di questa tecnica è rappresentato dalla motivazione, dalla compliance e dallo status cognitivo del paziente stesso. Infatti condizioni come la disfasia maggiore e la confusione mentale possono rendere l’intervento ineseguibile, al contrario dell’età. In letteratura, appunto, si registrano interventi su soggetti che vanno dai 9 ai 90 anni86.

Dal punto di vista tecnico l’eleggibilità al trattamento prevede una iniziale valutazione del linguaggio, della capacità visiva, uditiva e di comprensione, il tutto effettuato con appositi test.

Per quanto riguarda il management pre operatorio non abbiamo un protocollo ben definito da seguire e si rimanda alle singole cliniche tale gestione. Il ruolo di una premedicazione con ansiolitici è a totale discrezione dei clinici. In alcuni casi viene anche raccomandato il dosaggio ematico dei farmaci antiepilettici per valutare se essi sono o meno in range terapeutico87.

La gestione del paziente in sala operatoria prevede il monitoraggio elettrocardiografico, pressorio non invasivo, e pulsiossimetro nei pazienti con supplementazione di ossigeno. Ormai c’è consenso comune nel non utilizzo di monitoraggi invasivi come le linee arteriose e il catetere urinario.

58

La gestione anestesiologica nelle varie fasi di intervento è di fondamentale importanza. In letteratura si registrano due principali metodologie di approccio a questa craniotomia. Si parla di:

• Awake-awake-awake • Asleep-awake-asleep

Sebbene quella più utilizzata sia la seconda opzione (Asleep-awake-asleep), non c’è un consenso comune su quale delle due sia meglio. Da un lato si ha la consapevolezza di ridurre al minimo lo stress del paziente, il dolore e il discomfort, dall’altro si ha la necessità della massima vigilanza durante il mappaggio.

Focalizzandoci comunque sulla procedura asleep-awake-asleep diciamo che essa prevede la somministrazione di midazolam in bolo (15 µg/Kg) seguita dalla infusione continua di ramifentanil (0,03-0,05 µg/Kg/min) e di propofol (75-100 µg/Kg/min)84. Appena il paziente è stato fissato, per valutarne

confort, la somministrazione viene stoppata e poi ripresa. Il ramifentanil e il propof, in seguito,ol vengono arrestati circa 5-10 minuti prima della mappaggio intraoperatorio per poi essere ripresi al termine dello stesso. In alcuni casi è stata provata la sostituzione del propofol con la Dexmetedometina a causa del suo minor impatto sulla depressione respiratoria88. Prima dell’inizio dell’operazione i pazienti vengono ventilati

con maschera laringea o con tubo endotracheale; questi dispositivi sono rimossi prima del mappaggio e riposizionati nel momento in cui si va ad addormentare nuovamente il paziente.

Tutti questi farmaci sfortunatamente hanno un impatto negativo sia sulla stabilità emodinamica sia sulla depressione respiratoria, nonché inducono nausea e vomito perioperatorio. Pertanto con la tecnica awake-awake- awake si minimizzerebbe tale problematica, incrementando però l’agitazione del paziente durante le varie fasi dell’intervento.

59

Circa 5 minuti prima dell’incisione si fa una infiltrazione locale di lidocaina all’1% con 1:200000 di epinefrina. L’epinefrina è aggiunta per indurre vasocostrizione con l’obiettivo di incrementare l’emostasi, ridurre la tossicità locale e di prolungare il tempo di azione dell’anestetico. La modalità ad oggi preferita è quella di una infiltrazione lenta e circonferenziale al punto di incisione. Un’alternativa a questa procedura anestetica locale è rappresentata dal blocco nervoso locoregionale. I nervi che si vanno a bloccare sono il n.sovraorbitario, n. sovratrocleare, n. auricolotemporale, branca v3 del trigemino, branche post auricolari e i nervi maggiore, minore e terzo occipitale.

Una volta completati tali processi si effettua la craniotomia. Ad oggi grazie alla individuazione pre operatoria della lesione, con tecniche come la neuronavigazione e la risonanza magnetica, siamo in grado di effettuare

Documenti correlati