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1 RADICI STORICHE

MATRICI CULTURAL

Una delle premesse teoriche che guida la nostra dissertazione è che il parco pubblico, come il giardino, è sempre una figura di natura, anche quando si ricorre ad un accentuazione ossessiva del dato artificiale. Il parco è poi leggibile anche come forma (dinamica) di paesaggio urbano. “Dalla idea originaria, dalla figura con gli annessi significati simbolici e metaforici, si sviluppa, attraverso il gioco dell’arte, una determinata geometria, una forma che si differenzia dalle altre, indicatrice, nella sua composizione, nel suo stile e nella sua architettura, della cultura che l’ha promossa”1.

Il capitolo propone alcuni approfondimenti legati al tema del parco/giardino intesi come prodotto di un gioco mimetico tra Arte e Natura ed espressione del clima estetico di un’epoca, di una società. Come spiega Lichacev, il clima estetico “di un’epoca è formato dagli ideali estetici elaborati dai filosofi, dalla concezione estetica del mondo espressa dalle altre arti” e, per quanto riguarda l’epoca attuale, possiamo aggiungere dalla capacità di resistenza delle immagini virtuali, artistiche e mediatiche, prodotte.

Proviamo a guardare alla storia dei parchi e dei giardini come allo scorrere di una serie di invenzioni, attuate per dare forma alle diverse idee di bello di natura plasmata dall’arte e dalla tecnica: se per molti secoli, nell’arte dei giardini e dei paesaggi, la questione estetica tradotta in segni ruoterà prevalentemente intorno all’opposizione naturale/artificiale e alla scelta dei meccanismi di controllo spaziale e di espressione simbolica legati all’uso della linea retta o della linea curva (con la contrapposizione tra la bella natura regolata dall’ordine geometrico e dalla tirannia del numero e la bella natura libera), dalla seconda metà del Novecento, ed in particolare nell’epoca attuale, la riflessione sul Bello nella costruzione dei paesaggi urbani appare più incentrata sulle questioni ecologico-ambientali, sulla dialettica reale/virtuale, sulla dualità globale/locale e sulle innumerevoli possibilità connesse al concetto di ibridazione (tra parco e altre tipologie di spazio aperto, tra naturale e artificiale, tra diverse idee estetiche, eccetera).

In questa luce, appare centrale una breve riflessione sulle forme del giardino e del “verde pubblico” generate nel clima estetico e dall’etica del progetto architettonico e urbanistico del Movimento Moderno. Si tenta così una rilettura di esperienze artistiche e opere di una fase del Novecento particolarmente delicata per il paesaggismo europeo, quella dedicata alla ricerca sul verde funzionale e alla costruzione del paesaggio moderno. Al di là delle numerose critiche, per altro motivate, avanzate contro la fin troppo disinvolta applicazione dei principi del Modernismo ortodosso (con riferimento soprattutto alle conseguenze dei diktat progettuali della standardizzazione e della quantificazione funzionale del verde urbano), si noterà come l’esperienza del Moderno, riletta e reinterpretata con critica consapevolezza da numerosi progettisti, in realtà costituisca oggi un formidabile arsenale di suggestioni per il progetto contemporaneo.

Nella cultura paesaggistica attuale un tema appare di fondamentale rilevanza: la questione ecologica, cui è legata anche la sperimentazione di nuove estetiche della natura. E’ innegabile il ruolo svolto nella costruzione di un nuovo immaginario paesaggistico dai movimenti artistici nati negli anni Sessanta, poi riuniti sotto la comune etichetta critica dell’arte ecologica. Una breve rassegna di artisti, luoghi e opere realizzate sotto il segno dell’arte ecologica viene presentata nel secondo paragrafo, con cui si intende precisare il valore di una concezione di parco come manufatto artistico e come dispositivo estetico.

1M

ASSIMOVENTURIFERRIOLO, Paesaggi. Progetto di un mondo umano, inhttp://www.studifilosofici.it/paesaggi.html

L’ultimo paragrafo, infine, si concentra sui concetti di stile e di tipo, utilizzabili come chiavi di lettura delle forme e dei modelli dei parchi e giardini della storia fino alla produzione della seconda metà del Novecento, ma ritenuti qui meno adeguati a rappresentare il variegato quadro estetico e morfologico del parco contemporaneo.

“Stavo descrivendo il mio giardino a Maggi Hambling durante la vernice di una galleria. E le dissi che volevo scriverci sopra un libro. Mi disse: ‘Finalmente hai scoperto la natura, Derek.’ ‘Non penso si tratti proprio di questo’, le risposi, pensando a Constable, e al Kent di Samuel Palmer. ‘Ah, capisco perfettamente: hai scoperto la natura moderna’. Derek Jarman, 19892

Natura sottomessa, natura libera

E’ con il dispiegarsi delle diverse idee di Natura, modificabile attraverso le infinite possibilità mimetiche e di intervento suggerite dall’Arte e dalla Tecnica, che si sono storicamente determinate e di volta in volta rinnovate le regole della composizione dei giardini e dei parchi. La storia dell’Arte dei giardini registra le oscillazioni di un pensiero che scorre tra due poli: che sia l’Arte a voler imitare la Natura, prima mitica, divina, misteriosa e simbolica, poi scientificamente classificabile, sezionabile, scomponibile, o al contrario la Natura ad imitare l’Arte, che la prima possa essere superata dalla seconda per invenzione e supremazia dei mezzi, o da quella corrotta e geneticamente modificata, è nella permanenza di una fondamentale relazione dialettica tra queste due forze, a tratti più serrata a tratti più sfumata, che risiedono le ragioni del giardino e del suo costituirsi come luogo al tempo stesso ideale e reale.

Giardino e parco possono essere letti come gli ambiti in cui si applicano le grammatiche ed i principi etici ed estetici che regolano gli scambi tra Arte e Natura, determinati in base ai diversi livelli di espressione del sapere ed al valore tributato alla Scienza ed alla Tecnica all’interno dei processi culturali di una società.

Annotava Pierre Grimal, autore di uno dei testi Novecenteschi più significativi di storia dell’Arte dei giardini, che “i giardini di un’epoca sono tanto rivelatori dello spirito che la anima, quanto possono esserlo la scultura, la pittura, o le opere degli scrittori”3. Nel suo svolgersi attraverso i

secoli, l’Arte dei giardini ha sempre intrattenuto una corrispondenza pulsante e feconda con le altri arti plastiche e visive, con la letteratura, con la musica, con la danza, ma anche con la struttura del potere, la religione e la politica, mantenendo propulsivo uno scambio di simboli, di relazioni figurali e di immagini, che entrano attivamente nella definizione dei codici, delle regole e dei principi progettuali. Questa vocazione intrinseca del progetto del giardino ad aprirsi, a relazionarsi ampiamente con tutto il sistema della cultura e del sapere della società all’interno della quale si colloca, viene sottolineata senza soluzione di continuità, sia nella pratica che nella teoria, fin dalle sue più antiche realizzazioni.

Riferendoci per esempio al modello rinascimentale, non è possibile interpretarne forme e maniera senza evocare l’immagine letteraria dell’isola di Citera descritta nel racconto epico- amoroso dell’Hypnerotomachia Poliphili. Il ricco apparato iconografico che illustra il famoso testo fornisce un articolato catalogo di elementi e riferimenti utili per comporre i giardini del tempo. Ma il giardino rinascimentale che dà forma alla natura ideale, parallelo agreste e complemento della altrettanto ideale città, regolata da un preciso ordo geometricus, costituisce prima di tutto la rappresentazione del mondo retto dal potere del Principe.

E’ un manifesto politico figurato, in cui l’uomo agisce sulla natura per dominarla, proponendosi come mediatore della potenza divina: regole e misure sono introdotte per costruire un microcosmo terreno, specchio di un macrocosmo retto da un ordine superiore.

2DEREKJARMAN, Modern Nature. Diario 1989-1990, Ubulibri, Milano 1992. Pag.14.

3PIERREGRIMAL, L’arte dei giardini. Una breve storia, Donzelli Editore, Roma 2000. Pag. 4. Si tratta dell’edizione

italiana, curata da Marina Magi, de L’art des jardins, Presses Universitaires de France, Paris 1974.

In una delle celeberrime lunette dipinte da Giusto Utens nel 1599, troviamo descritto con minuzia pittorica il giardino di Boboli. L’organizzazione spaziale appare regolata da un rigoroso ordo geometricus, che ripropone gli schemi colturali illustrati nel trattato agrario Trecentesco di Piero de’Crescenzi ‘Liber ruralium commodorum’. “Ne’ verzieri ciascuna sorte d’arbori in suo ordine si dee porre, non mescolata con altra, ad accrescimento di piacere e vaghezza (…), di gran diletto è avere ne’ propri luoghi abbondanza di buoni arbori, e di diverse generazioni”.

(Citazione e immagine da GIORGIO GALLETTI, Giardino di Boboli Master Plan, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Soprintendenza delle Province di Firenze, Prato, Pistoia, Firenze 2000, pag. 13.)

Le zone a nord del più famoso giardino mediceo, nello schema Cinquecentesco furono sistemate secondo compartimenti quadrangolari e piantate con olivi, alberi da frutto e vigne, un piccolo giardino segreto fu dedicato alla coltivazione dei frutti nani, in cima alla collina fu creato un giardino dei semplici, mentre una grande ragnaia detta ‘della banda di Santa Felicita” fu piantata nella zona est. Ecco riprodotto con raffinata cura il paesaggio della collina coltivata. Il paesaggio dei boschi venne introdotto per definire e incorniciare la scena centrale su cui si affacciava il retro del palazzo: sempre raggruppati in spartimenti ordinati, vennero messi a dimora 12 cerri (Quercus cerris), 12 faggi (Fagus sp.), 12 aceri (Acer sp.), 12 tigli (Tilia sp.), 12 platani (Platanus sp.), 12 castagni (Castanea sativa), 12 noci (Juglans regia), 12 cornioli (Cornus sanguinea), e ancora, 6 tamerici (Tamaryx gallica), 6 scotani (Cotynus sp.), 2 “secomori” (forse Fycus sycomorus), 12 frassini (Fraxinus sp.), 12 olmi (Ulmus sp.).

A questa sequenza di boschetti decidui, che dovevano formare un tessuto vegetale cangiante, caratterizzato da una vivace varietà cromatica e dalla contrapposizione dalle diverse tessiture vegetali delle chiome degli alberi, faceva da corona terminale una piantata di sempreverdi, cipressi (Cupressus sempervirens) e abeti (Abies sp.). Nella ricchezza dell’impianto vegetale e nella tendenza a volere riproporre l’infinita varietà della natura, si riflette la competenza nel campo delle scienze naturali di Cosimo, che va ricordato anche come il committente degli Orti Botanici di Pisa (1543) e di Firenze (1545).

La presenza di un giardino dei semplici coltivato sopra il bastione del Cavaliere, oltre a rappresentare un altro elemento di innovazione rispetto alla tradizione umanistica dell’arte dei giardini, conferma il particolare interesse del duca per lo studio del mondo vegetale e la botanica dimostrato anche con l’esercizio di pratiche di giardinaggio. Annota nel 1754 il naturalista toscano Giovanni Targioni Tozzetti, a proposito dell’abilità di Cosimo I come ‘giardiniere’: “Sua grande intelligenza di tenere i frutti nani e di fare le cerchiate a mezza botte, (e il) divertimento che si prendeva in potare ed innestare i frutti con le sue proprie mani”.

(PIETROROCCASECCA, Un giardino in area urbana, in Boboli 90 - Atti del Convegno Internazionale, Vol. 2, Edifir, Firenze 1999, pagg. 577 – 585.)

Nell’articolato programma decorativo del giardino si riscontra la curiosità per lo studio e la classificazione degli elementi del mondo minerale, che si concretizza in particolare nella realizzazione delle prime grotte artificiali (la Grotticina di Madama e la Grotta Madama). “Le Grotte di Boboli ricostruiscono infatti uno spaccato delle interiora naturae in cui si generano e ‘maturano’ pietre e fossili. Nella studiata semioscurità degli anfratti artificiali brilla un campionario dei tesori con i quali la Madre Natura, come illustra il ciclo pittorico dello studiolo di Francesco I, alimenta l’industria mineraria toscana e rifornisce generosamente le collezioni medicee”.

(ALESSANDRORINALDI, Giardini e metamorfosi urbana a Firenze tra Medioevo e Rinascimento in Giardini & Giardini. Il verde storico

E anche passando al modello manierista, ricco di imprevisti ed invenzioni, in cui la natura si mostra non più regolare, ma capricciosa e bizzarra, i termini della relazione tra uomo e natura ancora non mutano. Che sia assoggettata ai principi della ragione o a quelli della follia o del sentimento, ciò che importa è che sulla natura sia impressa una forma: con lei arte e tecnica ingaggiano gare di ingegno. Il concetto di arte qui è quello del “saper fare” e coincide anche con quello di “scienza”.

Parchi del manierismo: il Parco di Pratolino e quello di Bomarzo.

Le forze dell’Arte e della Tecnica si misurano con quelle della Natura per creare una scenografia in cui surreale e fantastico, ragione e irrazionalità, si fondono assecondando il ruolo del Principe come homo creator.

Sopra, una rappresentazione Ottocentesca del Colosso dell’Appennino, la “meraviglia” del parco di Pratolino realizzata dal Giambologna intorno al 1580. (da ALESSANDROVEZZOSI, a cura di, Il concerto di Statue, Alinea, Firenze 1986. Pag. 54).

Sotto, Il mascherone di Bomarzo in una foto di Brassai, del 1953.(da DANIELAPALAZZOLI, a cura di, Il secondo paradiso, Fabbri Editori, Torino 1993. Pag. 143.)

Settecento. Dall’alto: I parterre del parco di Versailles in una fotografia di Luigi Ghiri;

una incisione di Salomon Kleiner, del XVIII secolo che raffigura un giardino d’orangerie; una incisione di Marco Antonio Dal Re, del 1743. La concezione del giardino, scena insostituibile dei comportamenti sociali, nel Settecento francese e italiano è architettonico-scenografica, secondo una modellistica che tende a far prevalere la forza della geometria come strategia di dominio spaziale, fino ad ottenere effetti surreali. Nell’incisione di Dal Re, la scena del giardino, studiata con attenzione microurbanistica, diventa “laboratorio per la sperimentazione di una possibile fantastica città futura, costruita attorno a spazi metafisici, non presenti nella città reale”. (Citazione e immagine da VIRGILIOVERCELLONI, op. cit., 1990 Tav. 86).

Mimésis e idee di terza natura

Il tema della gara tra arte e natura pervade in modo particolare tutta la cultura moderna, “il dipintore disputa e gareggia con la natura” afferma Leonardo da Vinci nei suoi manoscritti4. Il

motivo della mimesis, da intendersi soprattutto nel suo più stretto significato semantico di imitazione, e di ‘portare a rappresentazione’5, fonda la produzione letteraria ed artistica del

Quattro-Cinque e Seicento.

L’immagine della nuova realtà costruita è talmente sofisticata, che quando ad esempio nella metà del Cinquecento Jacopo Bonfadio si trova a descrivere il paesaggio coltivato del Lago di Garda, è portato ad introdurre una suggestiva quanto icastica definizione di terza natura (ripresa poi dal suo contemporaneo Bartolomeo Taegio nell’elogio della Villa di Cesare Simonetta a Castellazzo6), manifestando così tutta la difficoltà a racchiudere in un involucro

linguistico il senso di bellezza generato dall’alto risultato cui può pervenire l’opera dell’uomo nella natura.

“Per li giardini, che qui sono e quei delle Hesperide, e quelli d’Alcinoo, et d’Adoni, la industria de’ paesani ha fatto tanto, che la natura incorporata con l’arte è fatta artefice e connaturale l’arte, e d’ amnedue è fatta una terza natura, a cui non saprei dar nome”7.

Nella cultura Settecentesca l’Arte dei giardini, definita da Kant come “abbellimento del suolo e opera che adatta la varietà offerta dalla natura in combinazioni diverse conformi a determinate idee estetiche”, è collocata accanto alle altre arti figurative come parte integrante della pittura. La pittura è per il filosofo tedesco al contempo arte della bella riproduzione della natura e della bella composizione dei suoi prodotti.

Nell’affinamento del modello di giardino paesistico di origine inglese si specchia un’idea di natura libera (vero manifesto della libertà riconquistata dall’Inghilterra con la Glorious Revolution e la monarchia parlamentare), che reca in sé allo stato puro i valori del bello e del buono e che educa l’uomo a ritrovare una sua profonda naturalità8.

Cambiano significativamente, e in forma evidente, i termini del confronto tra Arte e Natura: la prima si rende il più possibile invisibile, guidando nascostamente la seconda a manifestarsi in tutta la sua possibile bellezza. L’artista-giardiniere corregge le forme della natura aiutandola a trovare la sua massima espressione di bellezza.

Attraverso la massima dell’ut pictura poesis, viene introdotta l’opportunità di istituire corrispondenze vantaggiose tra pittura e letteratura: è la base su cui appoggia il gusto del pittoresco, che plasma anche i nuovi giardini. “Il giardino è figura della natura”9.

Con l’affermazione del nuovo gusto, bello di natura e bello pittorico si fondono. Poesia, pittura e giardinaggio apertamente si trattano da buone sorelle. Horace Walpole entusiasticamente le definisce come "le tre nuove Grazie che rivestono e abbelliscono la natura"10.

In un miliéu culturale che favorisce paralleli dotti e scambi di figure e immagini tra le arti belle, dove "giardinieri e architetti dipingono paesaggi, i pittori seminano aiole profumate e gli scrittori danno linfa al dibattito"11, ampi brani di paesaggio vengono gradualmente trasformati attraverso

la costruzione dei nuovi parchi in cui la Natura appare allestita come uno spettacolo di bellezza della naturalità.

4 In MARIO DE MICHELI, a cura di, Leonardo l’uomo e la natura, Feltrinelli, Milano 1991, pag. 153.

5 Per approfondire la riflessione sulla concezione e il significato della mimesis è utile il breve saggio di CRISTOPH

WULF, Mimesis. L’arte e i suoi modelli, I Cabiri, Milano 1995.

6 Il testo di BERNARDOTAEGIOLa villa (Milano, 1559) è riportato in: MARGHERITAAZZI VISENTINI, Arte dei Giardini. Scritti

teorici e pratici dal XIV al XIX secolo. Tomo Primo. Edizioni il Polifilo, Milano 1999. Pagg. 288 – 290.

7 Estratto della lettera a Plinio Tomacelli, in JACOPO BONFADIO, Lettere volgari di diversi nobilissimi

huomini…(Venezia, 1549) citato in ALESSANDROTAGLIOLINI, Storia del giardino italiano, la Casa Usher, Firenze 1994. Pagg. 227 – 229.

8 Cfr. MARGHERITAAZZIVISENTINI, op. cit., Milano 1999. Premessa, Pagg.XII – XXX. 9MASSIMOVENTURIFERRIOLO, Giardino e filosofia, Guerini e Associati, Milano 1992. Pag.101. 10 Citato da GIOVANNAFRANCI ed ESTERZAGO, Introduzione, in HORACEWALPOLE, op.cit. Pag. 26.

1795, ca. Due dei noti Before and After di Humphry Repton.

Pare che Repton abbia deciso di diventare progettista di giardini a trentasei anni compiuti, dopo una campale e agitata notte in bianco, assillato dalle richieste di vari creditori. Di estrazione borghese, con una raffinata educazione da gentiluomo che lo aveva portato a coltivare lo studio della musica, la letteratura, il disegno e la pittura, qualche anno dopo la morte di Capability Brown, Repton si autoproclamò suo successore spirituale e pose avvio a quella che divenne rapidamente una brillante carriera.

(Lancelot <<Capability>> Brown morì nel 1783, Repton entrò in scena come progettista di giardini nel 1788.) Per soddisfare i suoi clienti, a cui si presentava come Landscape Gardener, prendendosi così il merito di aver coniato un nuovo titolo per designare la professione, inventò un modo originale e assolutamente efficace di illustrare i progetti. Da abile acquarellista e pittore di paesaggi, pensò bene di impiegare il suo talento facendone un efficace strumento di promozione professionale: ogni progetto commissionato prevedeva l'elaborazione di un album di acquerelli in cui erano illustrati vari punti di vista del sito d'intervento, prima e dopo la trasformazione. Grazie ad una parte di foglio mobile, ritagliato e sagomato ad hoc e sovrapponibile al foglio di base su cui era riportata l'immagine dello stato di fatto, il committente, come in un gioco di doppi, poteva divertirsi a confrontare le due scene rappresentate. La parte mobile, su cui era disegnato il tema di progetto, scorreva su quella fissa e permetteva di visualizzare gli effetti del cambiamento di paesaggio proposto. L'immaginazione veniva pertanto eccitata ad assaggiare colori, forme e suggestioni della Natura modificata e corretta approfittando di un semplice espediente basato sulla giustapposizione di scene. Scene che venivano ideate e dipinte secondo il gusto dell'epoca, così da evocare il respiro e le atmosfere coloristiche delle tele dei pittori di paesaggio, ma che rispetto a queste risultavano addizionate di un valore fondamentale: il senso del cambiamento, introdotto con il dispositivo della mobilità dell'illustrazione. Di questi album di progetti, concepiti come dei piatti teatrini di carta, noti come Red Books perchè rilegati in marocchino rosso, ne furono prodotti da Repton oltre duecento. Egli, a buona ragione, può essere considerato un ingegnoso anticipatore delle moderne tecniche di comunicazione del progetto architettonico e paesaggistico, e soprattutto un vero maestro nell'arte del paesaggio e della sua trasformazione.

Per Pevsner, l’arte dei giardini paesaggistici può essere considerata come il più importante contributo dell'Inghilterra alle arti figurative: in essa si imprime in tutta evidenza la portata della rivoluzione culturale e del pensiero che, muovendosi dal Regno Britannico, coinvolse anche gli altri paesi europei.

C'è un'espressione di Horace Walpole che riesce a trasmettere in distillato, quasi con lo stessa tensione fulminante di un haiku, tutta la forza di quella che fu la grande innovazione estetica portata attraverso il giardinismo inglese Settecentesco.

E’ un’espressione così felice da risultare ormai un vero e proprio tòpos letterario della critica e

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