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2. L’Italia ed il DPA con Giovanardi e Serpelloni

Il periodo in cui il DPA, nella sua organizzazione attuale, ha marcato in maniera inappropriata la partecipazione dell’Italia nei fora appen a descritti, inizia nel 2008 e si appalesa nelle sue nefaste caratteristiche a partire dall’anno successivo. Ma il punto di massima caduta venne raggiunto poco più di un anno dopo; in Marzo 2009 a Vienna si celebrava una delicata sessione della Commission of Narcotic Drugs (CND); come d’abitudine, queste occasioni sono precedute da un intenso lavoro diploma-tico. E da un altrettanto intenso lavoro europeo per presentarsi su posizioni comuni, discusse ed approfondite in numerose occasioni e poi “delegate”. Ai rappresentanti dei Paesi dell’Unione Europea, dal momento che l’Europa e la sua Commissione non hanno una formale rappresentanza in sede di Nazioni Unite. Come descritto puntualmente e puntigliosamente1 da M. Galla e C. Edwards (due alti funzionari della Commissione Europea) nel loro articolo molto ben documentato, quando mancava relativamente poco tempo alla sessione CND, l’Italia ruppe clamorosamente ed inaspettatamente il fronte europeo attraverso la richiesta di una risoluzione che chiedeva la cancellazione del termine “Riduzione del danno” (Harm Reduction) da tutti i documenti dell’ONU. La frattura venne portata avanti dal Governo Italiano e dal DPA con determinazione e fino alla Sessione stessa. Ciò che lasciò di stucco i rappresentanti degli altri Stati membri europei e la Commissione stessa non fu solo la deriva provocata dall’inopinata distanza dell’Italia dal resto dell’Europa; ma, soprattutto dalla natura stessa della richiesta. Da almeno venti anni le pratiche e l’approccio di Riduzione del Danno sono interventi consolidati in quasi tutti i Paesi Europei. La Commissione Europea presta grande attenzione a quello che è considerato uno dei quattro pilastri delle politiche nazionali sulle droghe. Lo sconcerto che precedette ed accompagnò l’espressione della posizione italiana alla CND del 2009 fu lo stesso delle numerose ONG italiane, europee e mondiali. L’articolo già citato descrive lo stato di frustrazione dei rappresentanti di diciassette Paesi d’Europa al vedere cadere il consenso ormai pluriennale che era stato costruito e mantenuto per tanto tempo, raccomandato in tanti documenti europei nei quali la Riduzione del Danno aveva una sua collocazione, assieme agli interventi di prevenzione e di trattamento in differenti contesti.

Ma (l’articolo) apre anche scenari inattesi e denuncia una strategia che nasce dalle posizioni degli USA che hanno sempre visto l’unità europea come una sorta di ostacolo alla determinazione della “war on drugs” totale. Con l’esplosione dello scan-dalo Wikileaks, si seppe (secondo gli autori) qualche anno dopo, si venne a conoscenza di una serie di messaggi intercorsi tra i diplomatici statunitensi a proposito della questione, nei quali si faceva cenno insistentemente ad azioni di lobbying verso “Roma” e “Stoccolma” affinché si prestassero ad indebolire il fronte unito europeo. Quindi, si tratterebbe di un intervento “su commissione” che, se da una parte ben si addice alle posizioni del DPA di allora, dall’altra potrebbe essere indirettamente confermata dalla grande apertura di credito che, successivamente, hanno ottenuto il DPA e il suo responsabile presso la NIDA statunitense.

L’insistenza dell’Italia e del DPA sulla pretesa di cancellare il termine “Riduzione del Danno” da documenti, Piani di Azione, risoluzioni è passata, successivamente, anche a livello Europeo e del HGD; la posizione venne presentata anche come forte-mente appoggiata dalle ONG italiane e, quindi, da tutto il mondo di chi si impegnava in prevenzioni e trattamenti in Italia. Fu necessaria una lettera formale nel Febbraio del 2010 per far conoscere l’assoluta contrarietà di un folto gruppo di organizza-zioni e di associaorganizza-zioni sia alla immotivata richiesta di cancellazione, sia alle pretese di non prendere nemmeno in considera-zione misure come il pill test, la somministraconsidera-zione medicalmente assistita di oppiacei e le “stanze del consumo”.

3. Un sistema impresentabile di alleanze internazionali

Nel Maggio del 2012, durante i lavori della World Federation against Drugs (un’organizzazione fortemente votata ad ap-procci restrittivi e proibizionisti, con base in Svezia), il DPA fu tra i promotori di uno “Statement”2 dal titolo “Dichiarazione internazionale congiunta per una politica umana e bilanciata contro le droghe”. Firmatari ufficiali furono l’Italia, appunto, la Svezia, gli USA, la Russia e il Regno Unito. Pur se con accenti apparentemente concilianti (a partire dal titolo), il documento è pieno di pesanti critiche a quelle Nazioni ed a quei settori della società civile che si stavano (e si stanno) attivando per uscire dalla logica della punizione per i consumi. Secondo lo “Statement”: “Alcuni sostengono che la legalizzazione delle droghe risolverebbe il problema dei crimini, delle violenze e delle sofferenze umane derivanti dall’abuso e dal traffico di droghe. Altri ancora sostengono che soltanto una politica basata sull’applicazione delle leggi per la “Guerra alle Droghe” sarà in grado di

1 - Edwards C, Galla M: Governance in EU illicit drugs policy. Int J Drug Policy. 2014 Sep;25(5):942-7. doi: 10.1016/j.drugpo.2014.04.009. Epub 2014 Apr 23 pp.gg. 12/13

2 - Disponibile su: http://www.politicheantidroga.it/pubblicazioni/in-ordine-alfabetico/dichiarazione-internazionale-congiunta-per-una-politica-umana-bilancia-ta-contro-le-droghe/presentazione.aspx

eliminare il problema della droga”. Certo, il fatto che uno dei firmatari sia il rappresentante del Paese (gli USA) che ha fatto della Guerra alla Droga il suo più evidente e chiaro punto di base per le sue politiche (esterne ed interne) sulle droghe, lascia sconcertati e toglie molta credibilità al documento. Che prosegue: “Riconosciamo il diritto di ciascun individuo di godere dello stato di salute fisica e mentale più elevato possibile. Ciò include il diritto di essere protetti dall’abuso di droghe. Pertan-to, siamo determinati a mostrarci all’altezza della sfida”. Questa affermazione chiarisce ulteriormente le vere intenzioni dei firmatari: i cittadini del mondo devono essere protetti dal ricorso alle droghe. E alla “protezione” ci penseranno gli Stati di appartenenza. Ancora, si legge: “Noi, riuniti a Stoccolma, condividiamo il punto di vista secondo cui il problema della droga richiede una politica bilanciata e prendiamo sul serio la nostra responsabilità condivisa di far fronte sia alla domanda che all’offerta di droga attraverso interventi di salute pubblica e giustizia criminale.” Pertanto, gli interventi di policy basati sulla “giustizia criminale” sono applicabili non solo nel settore della lotta al narcotraffico, ma anche negli interventi di riduzione della domanda; cioè, ai consumi di sostanze.

Ma non c’è da stupirsi, se tra i firmatari dello “Statement” c’è la Russia, la cui politica sulle droghe è considerata una delle più fallimentari fra quelle dei paesi membri delle Nazioni Unite.

La Russia, che continua a rifiutare il metadone come terapia sostitutiva degli oppioidi nonostante abbia più di due milioni di persone dipendenti da sostanze da iniezione. E continua a opporsi al finanziamento dei programmi di scambio di aghi e siringhe adottati ormai a livello internazionale, nonostante oltre l’80% dei nuovi casi di AIDS che si verificano ogni anno siano causati da pratiche di iniezione non sicure.

DPA e il suo Capo di allora si allontanano dall’Europa e stringono patti con USA e Russia, quindi.

4. Contro la società civile

Negli anni della DPA di Serpelloni si è fatta palese e pesante anche una posizione che tendeva a svalorizzare in ogni modo chiunque avanzasse critiche o proposte differenti. Di questa logica c’è traccia non solo in Italia (un Comitato Scientifico di DPA composto quasi esclusivamente da esperti americani, una “Italian Scientific Community” che filtrava gli “aventi diritto” secon-do le logiche DPA e liquidava il tessuto associativo e di confronto esistente), ma anche a livello Europeo. In questo contesto, mentre la Commissione Europea3 apriva alla Società Civile attraverso l’attivazione dell’European Civil Society Forum on Drugs, DPA si opponeva nel 2014 ad un confronto con i rappresentanti del Forum in occasione della chiamata della Presidenza Lituana della UE ad una discussione aperta sul ruolo stesso della Società Civile per la determinazione delle politiche europee e per la preparazione dell’Assemblea UNGASS del 2016. Secondo DPA, i rappresentanti del Forum non avevano nessuna qualifica per esprimersi, mentre sarebbe stato più opportuno sentire “scienziati ed esperti veri”. Questa posizione fu avversata dal Forum stesso ed era la testimonianza provata dell’avversione del DPA per posizione che, in via presuntiva, potevano essere differenti da quelle italiane (di allora). Ovviamente, anche questo episodio causò imbarazzo e contrarietà tra i vari rappresen-tanti ufficiali degli Stati Membri ed accentuò quella che è ancora una posizione italiana isolata.

5. Prospettive

Proprio l’isolamento italiano nel novero dei Paesi Europei è l’obiettivo da perseguire a breve termine per una profonda modi-fica delle politiche italiane di relazioni europee ed internazionali. Il ruolo italiano deve cambiare profondamente ed in fretta. Occorre far conoscere all’estero che in Italia i panorami sono modificati e che l’Italia vuole giocare un ruolo profondamente diverso da quello messo in campo nel recente passato. Il Gruppo Orizzontale Droghe, il CdA dell’Osservatorio di Lisbona, il Gruppo Pompidou e la CND sono i luoghi dove è necessario imporre questo cambiamento, anche attraverso una profonda revisione delle rappresentanze, delle persone che parlano a nome del nostro Paese.

3 - Il principio più volte ribadito secondo cui: “The institutions shall maintain an open, transparent and regular dialogue with representative associations and civil society”