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CAPITOLO 2: ANALISI ISTOLOGICA E BIOMECCANICA DEL TESSUTO

2.1 Analisi istologica del tessuto muscolare

2.1.3 Meccanica della contrazione muscolare

Il termine contrazione muscolare si riferisce all‟attivazione dei muscoli e al conseguente sviluppo di forza. La contrazione muscolare è stata classificata sulla

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Vi sono due principali tipi di contrazione che sono prodotti nei principali tipi di movimento. Nella contrazione isometrica, cioè a lunghezza costante, in cui la

lunghezza del muscolo è tenuta fissa in modo da prevenire l‟accorciamento. Nella contrazione isotonica, cioè a tensione costante, il muscolo si accorcia quando

si sviluppa forza. Dal punto di vista meccanico, un muscolo o le sue fibre muscolari si possono rappresentare attraverso alcuni componenti in serie ed in parallelo in quanto nella sua struttura vengono a trovarsi due materiali elastici differenti: la parte

contrattile di actina e miosina e la parte connettivale di membrane e tendini. Per quanto concerne la parte contrattile (C.C.) del muscolo questa potrà solo

contrarsi e rilasciarsi avendo un coefficiente di elasticità circa uguale ad 1, in essa non permarranno modificazioni strutturali permanenti, potrà invece sussistere una modificazione temporanea dovuta allo stimolo contrattile. Le componenti connettivali, invece, a seconda del loro coefficiente di elasticità, potranno mantenere un accorciamento o un allungamento in maniera proporzionale

alla forza, alla durata e alla frequenza dello stimolo ad esse applicato. Schematicamente, gli elementi elastici connettivali del muscolo vengono divisi in

due: elementi elastici in serie ed elementi elastici in parallelo. Gli elementi elastici in serie (C.E.S.) sono costituiti dai tendini e dai loro prolungamenti all‟interno del ventre muscolare che formano la componente passiva in quanto si stirano passivamente all‟applicazione di una forza oltre che dai ponti trasversi (cross-bridges) che formano la componente attiva in grado di promuovere la contrazione muscolare. La funzione della componente passiva risulta essere quella di “ammortizzare”, durante la contrazione muscolare, le sollecitazioni prodotte sia quando un muscolo si accorcia sia quando si stira. Inoltre, la presenza di strutture protettive come gli organi tendinei del Golgi impedisce la lesione degli elementi elastici in serie, inducendo un rilasciamento muscolare quando la tensione diventa

eccessiva impedendone quindi un completo stiramento. Un ulteriore vantaggio offerto da queste strutture è quello di restituire l‟energia

accumulata, come una molla, in base alla loro elasticità. Gli elementi elastici in parallelo (C.E.P.) sono costituiti dal sarcolemma (membrana connettivale che ricopre le miofibrille), da altre membrane connettivali e da tessuto connettivale interposto.

La loro azione risulta essere quella di “smorzare” le sollecitazioni prodotte dagli stiramenti riducendo le resistenze.

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Questi elementi, assieme ai fusi neuromuscolari e agli organi tendinei del Golgi, svolgono un‟azione di protezione esterna ed interna del muscolo stesso.

Fig. 2.5 Modello meccanico di Hill per i muscoli scheletrici striati

Per quanto riguarda la forza generata da un muscolo si è visto che viene regolata da due diversi meccanismi. Il primo stabilisce che la forza generata da ciascun muscolo scheletrico sia direttamente proporzionale al numero di unità motorie attivate. Un‟unità motoria è formata da un singolo motoneurone α e da tutte le fibrocellule che esso innerva. Ogni motoneurone α può innervare poche cellule muscolari o moltissime cellule muscolari, a seconda del muscolo in questione. Il secondo meccanismo, invece, mostra che la massima forza generata da un muscolo scheletrico in risposta a due diversi stimoli provenienti dall‟unità motoria dipende dall‟intervallo fra di essi. Se i due stimoli sono separati di più di 100 ms, entrambi generano una contrazione; se invece il secondo impulso è dato prima che le fibre muscolari si rilassino completamente dopo un primo impulso, le forze generate dalle due diverse sollecitazioni si vanno a sommare e il picco risultante è nettamente maggiore rispetto

a quello che si ottiene con un singolo stimolo. Le proprietà meccaniche di un muscolo scheletrico possono essere caratterizzate

attraverso due fondamentali relazioni: curva lunghezza-tensione e relazione velocità-forza (o tensione). Entrambe sono valide sia per un intero muscolo che per una singola fibra muscolare. Per quanto riguarda la relazione lunghezza-tensione, studiata anch‟essa da A.F.Huxley, è noto che la quantità di forza generata da un muscolo varia con la

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lunghezza alla quale il muscolo è stirato. Il relativo grafico mostra che esiste una lunghezza ideale del muscolo, alla quale la tensione (o forza) è massima. Per i muscoli scheletrici la lunghezza ideale del sarcomero è compresa nell‟intervallo 2.0 - 2.2 µm; dal punto di vista microscopico vi è sovrapposizione ottimale tra filamenti spessi e sottili e si possono formare il massimo numero di ponti trasversi. Quando invece la lunghezza del sarcomero è compresa tra 2.2 e 3.65 µm, diminuisce la sovrapposizione tra filamenti e quindi la forza totale sviluppabile cala per via del

minor numero di ponti trasversi che si possono formare. Se la lunghezza del sarcomero, invece, è minore di 2.2 µm la forza diminuisce

perché è presente un doppio strato di filamenti sottili che permette la formazione di ponti trasversi anche nella direzione sbagliata e perché la geometria dei filamenti potrebbe essere perturbata in quanto i filamenti spessi toccano la linea Z ed i

filamenti sottili sono costretti ad allontanarsi dalla miosina. Dal grafico di Fig. 2.6 (e dalla spiegazione precedente) si comprende che la forza

generata da un muscolo è direttamente proporzionale al numero di ponti trasversi che si sono effettivamente formati.

Fig. 2.6 Grafico rappresentante la relazione lunghezza-tensione per un muscolo striato scheletrico

La relazione velocità-forza (o carico) mette in relazione la velocità di contrazione muscolare con la forza che il muscolo stesso sviluppa. Le misurazioni sono state effettuate applicando al muscolo pesi diversi ed osservando ciò che avveniva. Si è notato che dopo l‟attivazione, il muscolo comincia a sviluppare forza isometrica (cioè il muscolo sviluppa forza mantenendo la propria lunghezza invariata) fino a quando la tensione che insorge è sufficiente a tenere il

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peso sospeso. A questo punto, l‟aumento di forza prodotto dal muscolo cessa e questo comincia ad accorciarsi in maniera isotonica (cioè mantenendo la tensione costante). Utilizzando pesi piccoli la velocità di accorciamento è relativamente elevata, quindi la contrazione è veloce, mentre utilizzando pesi più grossi, il muscolo impiega più tempo per sviluppare la forza necessaria, lasciando un periodo più breve all‟accorciamento isotonico. Il risultato è, quindi, una velocità di accorciamento più bassa. Dal grafico sottostante (Fig. 2.7) si può notare che la velocità di contrazione più alta si ha in corrispondenza di un carico applicato nullo o comunque di un carico molto piccolo. La potenza sviluppata dal muscolo, invece, è legata a forza e velocità

attraverso la relazione P=Fv.

Fig 2.7 Curva di Hill (1933) rappresentante la relazione carico-velocità di contrazione per i muscoli striati scheletrici