• Non ci sono risultati.

MECCANISMI DI RESISTENZA DELLE PIANTE ARBOREE A PATOGENI E INSETTI

FASI DI INDUZIONE DI SAR

LA PIANTA E’ ALLERTATA

4.13 MECCANISMI DI RESISTENZA DELLE PIANTE ARBOREE A PATOGENI E INSETTI

Per lungo tempo, e a tutt’oggi in molti casi, il principio di base per incrementare le difese naturali delle piante è stato quello di favorire il cosiddetto ‘vigore’, una misura piuttosto soggettiva del ‘benessere’ della pianta, quasi sempre equiparato all’aspetto e alle condizioni della chioma. Non c’è dubbio che una certa visione antropocentrica sia una componente significativa di questo approccio. Per esempio, una delle raccomandazioni più comuni per aumentare la resistenza delle piante arboree, particolarmente in ambienti più controllati come quello urbano, è quella di fertilizzare le piante per renderle più resistenti. In realtà, vigore e resistenza sono condizioni spesso antitetiche o disgiunte.

4.13.1 L’evidenza

Nel caso degli insetti nocivi, una sintesi fornita da Korichevaet al., (1998) illustra questo punto molto bene. Secondo la cosiddetta “plant stress hypothesis” (PSH), le piante soggette a condizioni di stress sono più suscettibili ad attacchi d’insetti in quanto i tessuti diventano più nutritivi o le concentrazioni di fenoli si abbassano; tale ipotesi è diventata quasi paradigmatica, mentre nella realtà gran parte dell’evidenza a supporto della PSH è alquanto circostanziale.

60

La meta-analisi di settanta studi diversi dimostra che, in generale, non c’è relazione fra stress abiotico (idrico, da carenza di nutrienti, o inquinamento atmosferico) e tasso di crescita, fecondità, sopravvivenza o densità di colonizzazione di insetti nocivi appartenenti a diverse categorie funzionali: fitomizi, minatori, galligeni, defogliatori e xilofagi.

Gli autori hanno inoltre rilevato una grande variabilità nei risultati, associata soprattutto alle diverse categorie.

In termini di prestazioni, la meta-analisi dimostra che, in generale, gli insetti xilofagi e i fitomizi sono favoriti su piante stressate, mentre i defogliatori e gli insetti galligeni sono sfavoriti. In definitiva, lo studio conferma le ipotesi di Larsson (1989), secondo cui, in termini di prestazioni su piante stressate, le diverse categorie possono essere classificate come favorite da condizioni di stress dell’ospite come segue: xilofagi > fitomizi > minatori > defogliatori > galligeni. In situazioni sperimentali in cui più di due livelli di stress (piante stressate/non stressate) sono stati usati, è stato notato che spesso le prestazioni degli insetti aumentano con lo stress fino ad un livello soglia, per poi diminuire.

Ovviamente la situazione è complicata ulteriormente da interazioni fra l’ambiente, il genotipo della pianta ospite, e il background genetico della particolare popolazione dell’insetto.

In ogni caso, fra i defogliatori, un risultato molto interessante della meta-analisi è che questi insetti sembrano più favoriti dallo stress su piante a crescita rapida che non su piante a crescita lenta.

Anche questo risultato appare quindi in contrapposizione con il paradigma vigore = resistenza. È comunque ovvio che per prevedere le risposte degli insetti a varie situazioni di stress, sia fondamentale capire quali siano le risposte fisiologiche della pianta alle varie situazioni di stress. Tra le cause di stress più comuni e importanti vi sono quello idrico e quello nutrizionale; quest’ultimo è spesso dovuto a carenze di azoto, l’elemento meno disponibile e più limitante alla crescita vegetale in ambienti più o meno naturali. Studi sugli effetti della disponibilità di azoto sono principalmente, e per necessità, incentrati su piante arboree in ambienti controllati, come ad esempio quello urbano.

Varie ipotesi hanno cercato di modellare la risposta della pianta alla disponibilità variabile di azoto. Praticamente tutte evidenziano una compensazione fra condizioni che favoriscono la crescita della pianta (per esempio alta fertilità azotata) e accumulo di sostanze di difesa contro insetti e patogeni (principalmente metaboliti secondari).

Fra le varie ipotesi con maggior credito, forse la più matura (Stamp, 2003) è la

“growth-differentiation balance hypothesis” (GDBH), ovvero: ipotesi del bilancio crescita-differenziamento

(Herms e Mattson, 1992).

In situazioni in cui il tasso netto di assimilazione (fotosintesi) ha raggiunto livelli stabili (di saturazione) la GDBH prevede una compensazione fra carbonio usato per il metabolismo primario (fondamentalmente, tasso di crescita relativa) e quello usato per il metabolismo secondario costitutivo. In effetti, Herms (2002) ha dimostrato che in quasi tutti i casi in cui è stata studiata, la

61

fertilizzazione azotata, pur rendendo gli alberi più vigorosi, non ha sortito effetto sulla resistenza, oppure gli alberi sono divenuti più suscettibili agli insetti nocivi.

Questo è vero anche per grandi esperimenti di fertilizzazione in bosco, che comunque in generale non sono attendibili perché caratterizzati da mancanza di replicazione a fini statistici.

Casi in cui la maggior vigoria di piante conduce a maggior suscettibilità a insetti sono stati documentati anche in situazioni di gradienti naturali di fertilità del suolo.

Recentemente è stato dimostrato un effetto in questa direzione anche nel caso dell’interazione fra

Pinus resinosa e Diplodia pinea, agente di disseccamenti comune anche in Italia (Blodgett et al.,

2005).

Resta comunque vero che, in generale, conifere in condizioni di stress moderato, anche nutrizionale, sono di solito più suscettibili ad insetti floematici come gli scolitidi.

Uno dei fatti più interessanti, venuti alla luce in studi recentemente condotti, evidenzia che l’eccessiva fertilità del suolo può portare anche a scompensi a livello di colonizzazione da parte di microrganismi benefici come i funghi micorrizici. Finora si era pensato che un eccesso di azoto o fosforo fosse direttamente inibitorio per questi funghi associati così intimamente al suolo; ma è senz’altro possibile che la depressione della colonizzazione micorrizica di piante soggette ad eccessiva fertilità sia dovuta anche a complessi meccanismi di feedback positivo attuati attraverso effetti incrociati a livello di metabolismo secondario. Kleczewski, Herms, e Bonello (non pubblicato) hanno infatti documentato, su Betula papyrifera, effetti della fertilità eccessiva a livello di apparato radicale che sono praticamente opposti a quelli evidenziati più sopra per la parte epigea della pianta.

Se, infatti, il metabolismo secondario a livello di foglie e floema secondario del fusto e dei rami tende a essere soppresso in condizioni di elevata fertilità (in correlazione negativa con i tassi di crescita del fusto e della chioma), a livello di radici primarie e secondarie la situazione è invertita, con ridotti tassi di crescita/espansione dell’apparato radicale, associati a maggiori livelli di metaboliti secondari (particolarmente lignine) e a una riduzione della colonizzazione micorrizica. Come se non bastasse, la situazione si complica ulteriormente quando le piante sono contemporaneamente interessate da organismi diversi, per esempio un patogeno radicale e uno scolitide (una situazione comunissima nei soprassuoli forestali). Indipendentemente dalla comunità biotica nel suo complesso, la mera presenza di un patogeno può rendere una pianta più o meno suscettibile ad un insetto (e viceversa), a seconda di molti fattori, alcuni ambientali (tipo quelli esposti qui sopra), altri biotici.

Nel secondo caso, è sempre più chiaro che fenotipi attenenti a fenomeni di resistenza (o suscettibilità) sistemica indotta possono essere molto importanti nella definizione della resistenza di un albero. Studi hanno dimostrato, per esempio, che piante mature di Pinus ponderosa, inoculate in bosco con Heterobasidion annosum (agente di marciume radicale), diventano più resistenti all’attività trofica del coleottero scolitide Ips paraconfusus (McNee et al., 2003). Similmente, piante di pino di Monterey (Pinus radiata) inoculate in campo con Fusarium

62

circinatum (agente del cancro resinoso dei pini) diventano più resistenti ad inoculazioni successive

con lo stesso patogeno (Bonello et al., 2001).

In entrambi i casi il fenomeno descritto viene definito come resistenza sistemica indotta (systemic

induced resistance o SIR). Più recentemente abbiamo dimostrato che l’ospite, in questo caso il

pino nero, è in grado di mediare interazioni fra un patogeno come Diplodia pinea e un insetto defogliatore come Neodiprion sertifer (comune in Italia). In particolare, inoculazioni con il patogeno possono rendere l’ospite ancora una volta più resistente a successivi attacchi, sia da parte dello stesso patogeno, sia dell’insetto, e viceversa (Eyles et al., 2007). Tali fenomeni di SIR sono stati dimostrati ripetutamente nel sistema P. nigra - D. pinea, a patto che l’induzione venga praticata nel floema secondario del fusto o di un ramo, e l’inoculazione successiva avvenga pure in un’area diversa del fusto o un ramo (Blodgett et al., 2007; Eyles et al., 2007).

In tutti questi casi, se si ritiene che l’inoculazione iniziale (l’induzione) sia un caso di stress biotico; allora nuovamente la contrapposizione fra vigore e resistenza appare lampante. D’altro canto però, abbiamo documentato casi in cui un’induzione da patogeno sul fusto stimola la suscettibilità sistemica indotta (systemic induced susceptibility - SIS) sui getti, sia allo stesso patogeno (Blodgett et al., 2007) sia a patogeni diversi, come nel caso di H. annosum - P. nigra - D.

pinea (Bonello et al., 2008). Questi fenomeni hanno quasi sicuramente un significato ecologico,

perché appare possibile che alberi interessati da stress biotico possano risultare più, e non meno, resistenti ad attacchi successivi. Tutto ciò sembra indicare che le piante esposte al patogeno diventino nel tempo più resistenti al patogeno stesso. Questo sembra un esempio convincente dell’espressione del fenomeno di SIR in bosco. Recentemente, tutti questi concetti sono stati usati per la formulazione della cosiddetta ipotesi SIR (Bonello et al., 2006).