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Il meccanismo di adattamento al diritto internazionale nel modello monista

Ricostruita la teoria kelseniana relativa al rapporto tra ordinamenti, appare necessario soffermarsi in maniera più approfondita sulla questione relativa all’adattamento del diritto interno al diritto internazionale nel modello monista. È stato già messo in luce un dato fondamentale, relativo al postulato dell’unità del diritto interno ed internazionale, il quale implica che essi debbano essere considerati come due momenti dell’unico processo di produzione normativa. Tale assunto potrebbe indurre a credere che il problema dell’adattamento sia del tutto marginale nel modello monista, tuttavia il quadro appare più complesso di ciò che può sembrare ad una prima lettura91.

Kelsen critica duramente le teorie dualiste, sostenendo che nel momento in cui si assume che gli ordinamenti sono separati tra loro, è necessario, altresì, accettare che “non è possibile un dualismo nel senso di riconoscere tutti e due validi gli ordinamenti a partire da uno stesso punto di considerazione. L’unità del punto di vista della conoscenza esige imperiosamente una concezione monistica”92

. Secondo la visione dualista, il diritto internazionale non può dispiegare effetti all’interno dell’ordinamento se non in forza di un’apposita ricezione della norma internazionale da parte di un atto normativo interno, un

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Sul ruolo delle Corti S. PANUNZIO, I diritti fondamentali e le Corti in Europa, Napoli, 2005, in particolare il saggio introduttivo dell’Autore.

91 Sulla problematica dell’adattamento nel modello monista, in particolare A. LA PERGOLA, Costituzione e

adattamento del diritto interno al diritto internazionale, Milano, 1967, p. 22.

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assunto, questo, duramente criticato dal Kelsen, il quale precisa che se così fosse si negherebbe l’autonoma vigenza del diritto internazionale.

Tralasciando le critiche rivolte alle costruzioni dualiste, sulle quali si tornerà successivamente, sembra necessario esaminare le soluzioni prospettate dalla scuola di Vienna relativamente alla questione dell’adattamento. Kelsen ammette la necessità di integrare il diritto internazionale, ovvero sostiene che esso debba essere integrato sul piano normativo da un punto di vista soggettivo, quindi in riferimento all’individuazione dei soggetti titolari del diritto o tenuti ad adempiere all’obbligo imposto, ma, nella sua visione, tale meccanismo è riconducibile esclusivamente alle dinamiche giuridiche tipiche della costruzione a gradi dell’ordinamento giuridico. In altre parole, tale processo è riconducibile esclusivamente al rapporto di delegazione tra diritto internazionale ed interno, il quale provvede ad integrarne il contenuto93. Dunque, la determinazione dell’elemento personale da parte del diritto interno, lungi dal realizzare una trasformazione del diritto internazionale in diritto interno, costituisce una fase dell’unico procedimento di creazione del diritto all’interno di un unico ordinamento.

Tuttavia, le questioni problematiche non si esauriscono nell’esclusione dell’esistenza di qualsiasi forma di adattamento, poiché un potenziale momento di rottura delle teorie kelseniane potrebbe derivare dalla imposizione del diritto positivo di procedere alla trasformazione in diritto interno, atteso che tra la formazione del diritto internazionale e la sua effettiva entrata in vigore vi è un ulteriore adempimento, quello della ricezione del diritto internazionale da parte del diritto statale, da sempre rifiutato dal Kelsen e, al contrario, considerato imprescindibile nelle teorie dualiste.

La questione, tuttavia, viene sminuita dal Kelsen, il quale precisa che si tratta di situazioni occasionali, non di regole, ma di eccezioni che, peraltro, non scardinano il modello, mettendo, più semplicemente in luce, la necessità di un ulteriore passaggio nel processo normativo, senza che ciò rappresenti una rottura delle regole generali che governano il modello94.

È necessario, però, precisare che l’onere della trasformazione è, in realtà, una rottura del modello monista, poiché allorquando tale trasformazione non è richiesta, il diritto internazionale sembra realmente avere forza propria, ma tale affermazione viene messa in discussione nel caso in cui sia necessaria la mediazione di un atto interno al fine di rendere effettivamente vigente nei confini statali la norma prodotta dall’ordinamento

93 Ibidem, p. 193 e ss. 94

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internazionale. È innegabile, in effetti, che il postulato dell’unità venga messo in crisi da tale mediazione dell’atto normativo statale, poiché esso persegue il fine di rendere applicabile la norma internazionale e ciò induce a credere che essa non abbia la capacità di dispiegare effetti e vigere per forza propria, ma esclusivamente in virtù della novazione della fonte95.

Malgrado tale sforzo, è innegabile che tali assunti incidano nettamente sulla tenuta del modello monista e che contribuiscano ad avvicinare le teorie dualiste e moniste, poiché anche per queste ultime si apre uno spiraglio al concetto di adattamento. Tale procedimento viene, però, inteso in maniera differente, atteso che la relazione tra norma internazionale e norma interna è, ancora una volta, riconducibile alla relazione gerarchico- formale, tipica della costruzione a gradi dell’ordinamento giuridico. Nella visione kelseniana, in effetti, è il diritto internazionale che delega al diritto interno il compito di specificare una data norma al fine di renderla attuabile, superponendosi gerarchicamente rispetto ad esso. Ciò induce a credere che eventuali conflitti normativi debbano risolversi attraverso i consueti metodi di risoluzione delle antinomie tra norme di grado diverso, finalizzati a garantire l’unità dell’ordinamento giuridico96

.

In effetti, il tentativo di risoluzione delle antinomie normative viene ricondotto all’unità dell’ordinamento giuridico, la quale rischia di essere pregiudicata in assenza di procedimenti volti a garantire l’eliminazione della norma configgente con quella di grado superiore. Da qui la riflessione kelseniana sulla giustizia costituzionale, il cui snodo fondamentale risiede nella necessità di istituire un organo ad hoc, capace di assolvere a tale funzione, eliminando la contraddizione tra norme, garantendo, in tal modo, l’unità dell’ordinamento giuridico. Nella visione kelseniana, la norma inferiore in contrasto con la norma gerarchicamente superiore è valida e dispiega effetti nell’ordinamento, trattandosi di una norma annullabile e non nulla97. In tal modo, la giustizia costituzionale diviene una “corrispondenza tra un grado inferiore e un grado superiore dell’ordinamento giuridico”98

; tuttavia, Kelsen sembra non dare risposta ad un problema rilevante, poiché se la giustizia costituzionale persegue il fine di garantire la rigidità della Costituzione e l’unità

95 Ibidem, pp. 201 e ss.

96 Nell’ampia bibliografia, in particolare L. PEGORARO, Lineamenti di giustizia costituzionale comparata,

op. cit., pp. 22 e ss.

97 Peraltro, il giudizio di validità è posto nelle mani dell’organo specializzato, un modello di giustizia

costituzionale che il Kelsen è chiamato a tradurre in pratica, per la prima volta, nella Costituzione austriaca del 1920. Sul controllo accentrato di costituzionalità e, in particolare, sul prototipo elaborato dal Kelsen, si vedano i saggi redatti dall’Autore viennese, raccolti nel volume C. GERACI (a cura di), La giustizia costituzionale, Milano, 1981.

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dell’ordinamento giuridico, lascia aperta la questione relativa alla collocazione dei Trattati internazionali all’interno della sistematica delle fonti del diritto. In altre parole, si scorge un limite nel pensiero kelseniano, poiché appare, a tal punto, assai complicato conciliare l’ipotesi del primato del diritto internazionale con il concetto di Costituzione rigida, intesa, in tal caso, come norma sulla normazione e fonte sulle fonti.

Kelsen non sembra aver dubbi sulla superiorità del Trattato rispetto alla legge ordinaria e, dunque, sulla violazione indiretta della Costituzione da parte di una norma contrastante con il diritto internazionale, poiché il Testo fondamentale “autorizzando taluni organi a stipulare trattati internazionali, fa di questi un modo di formazione della volontà dello Stato, sicché – in conformità con la nozione di trattato che ha fatto propria – ne esclude l’abrogazione o la modifica mediante legge ordinaria”99

. Una simile affermazione induce a porsi un’ulteriore domanda, poiché se Kelsen si limita a parlare di legge ordinaria, sembrerebbe ammettere, tacitamente, la possibilità di adottare norme costituzionali in contrasto con gli obblighi internazionali. Il dubbio, tuttavia, viene fugato dallo studioso viennese, allorquando afferma che per evitare tale eventualità appare necessario, ancora una volta, porsi dal punto di vista del primato del diritto internazionale, poiché solo in tal modo si può comprendere che esso è superiore e lo Stato, la sua Costituzione, non sono che una parte di tale ordinamento.

La problematica, tuttavia, non trova risoluzione neanche in tali affermazioni, mettendo in luce il negativo impatto del concetto di Costituzione rigida sulla tenuta delle concezioni moniste. In effetti, un’analisi attenta induce, a tal punto, a domandarsi a chi è concesso il potere di sindacare la violazione del diritto internazionale. Kelsen ritiene che tale competenza spetti al giudice costituzionale, poiché esso si muove sul terreno della Costituzione100, dunque della giustizia costituzionale. Tuttavia, ciò significherebbe che è la Costituzione ad imporre al legislatore il rispetto del diritto internazionale, arrecando un pregiudizio insanabile al concetto del primato del diritto internazionale. In altre parole, non soltanto il diritto prodotto oltre i confini dello Stato necessita, in taluni casi, di una novazione della fonte per dispiegare effetti rivelandosi altresì necessario un suo recepimento costituzionale, poiché se non vi fosse, il giudice costituzionale non disporrebbe di alcun parametro per sindacare la violazione del diritto internazionale. Affermazioni, queste, che scardinano il modello monista, lo rendono non aderente alla realtà, poiché se è la Costituzione a recepire a monte il diritto internazionale o, se si vuole,

99 Ibidem, p. 185. 100

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ad aprirgli la strada nell’ordinamento interno, non appare convincente il concetto di struttura a gradini dell’ordinamento se si assume che al vertice debba necessariamente porsi quel postulato indimostrabile che risiede oltre i confini dello Stato e fa di esso una parte dell’ordinamento internazionale. Se così fosse, la necessità del riconoscimento costituzionale non sussisterebbe e, di conseguenza, il potere di sindacare la violazione del diritto internazionale non potrebbe essere posto nelle mani della giustizia costituzionale interna.

Dunque, la tensione, o meglio, la netta contraddizione tra struttura a gradi dell’ordinamento e rigidità della Costituzione, intesa come garanzia della gerarchia normativa, emerge in maniera dirompente allorquando il Kelsen si dedica allo studio della giustizia costituzionale, poiché è esso stesso a smentire le premesse metodologiche della dottrina pura. È chiaro, dunque, che il concetto di unità non può essere posto a priori o a prescindere, esso deve, necessariamente, essere inteso come integrazione di unità diverse.