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3.1. 11 Settembre 2001 e il virtual trauma

«Erano i giorni del dopo. Ormai tutto si misurava a partire dal dopo».

Don DeLillo1

La «madre di tutti gli eventi» così come è stato definito da Jean Baudrillard,2 «l’opera

d’arte definitiva» come afferma provocatoriamente Karl-Heinz Stockhausen, che sancisce «la fine della passione per il reale del ventesimo secolo»3 come sostiene Slavoj

Žižek, l’11 settembre 20014 ha certamente portato ad una ri-concettualizzazione e

riconfigurazione delle teorie sul trauma5. La straordinaria sovraesposizione mediatica

dell’evento, esperito globalmente in tempo reale e partecipato attraverso il live broadcasting di Internet, della televisione e della radio, ha reso necessaria una ri- definizione delle terminologie e nozioni concernenti trauma collettivo e personale, individuale e culturale, esperienza diretta e indiretta (vicaria), vanificando qualunque tipo di criterio di categorizzazione6.

1 D. DeLillo, Falling Man, Simon & Schuster, New York 2007; L’uomo che cade, Einaudi, Torino 2008,

p. 138.

2 Baudrillard si riferisce alla concettualizzazione di “evento” proposta da Lyotard, un momento che annienta

la Storia e che la Storia non riesce ad assimilare o comprendere, dopo il quale ogni cosa è destinata a cambiare e che proibisce qualunque tipo di ritorno ad una prospettiva precedente. J. Baudrillard, L’Esprit

du terrorisme, Éditions Galilée, Paris 2002; Lo spirito del terrorismo, Raffaello Cortina, Milano 2002, p.

7.

3 S. Žižek, Welcome to the Desert of the Real, Verso Books, London 2002; Benvenuti nel deserto del reale,

Meltemi, Roma 2002, p. 16.

4 L’11 settembre ha radicalmente riconfigurato l’immaginario cinematografico americano, non solo dal

punto di vista tematico ma anche stilistico e formale, dal momento che le immagini della catastrofe assumevano un ruolo centrale nella ri-definizione dell’identità americana, una nazione ferita, smarrita e da ricostruire.Per un’introduzione all’analisi del cinema americano post-11 settembre, in lingua italiana, si rimanda ad esempio a R. Menarini, Il cinema dopo il cinema: Dieci idee sul cinema americano 2001-2010, Le Mani, Genova 2010;L. Gandini, A. Bellavita (a cura di),Ventuno per Undici: Fare cinema dopo l’11 settembre, Le Mani, Genova 2008; G. Carluccio (a cura di), America oggi. Cinema, media, narrazioni del nuovo secolo, Kaplan, Torino 2014; A. Chimento, 9/11: la 25° ora del cinema americano, Fondazione Ente

dello spettacolo, Roma 2017;G. Fanara (a cura di), Shooting from heaven. Trauma e soggettività nel cinema

americano. Dalla seconda guerra mondiale al post 11 settembre, Bulzoni, Roma 2012.

5 Tra gli studi che riflettono su nuove concettualizzazioni di trauma data la natura mediatica dell’11

settembre nella costruzione dell’immaginario e dell’identità collettiva si veda in particolare E.A. Kaplan,

Trauma Culture, cit.; A. Meek, Trauma and Media, cit. 6 A. Buonauro, Percezione, trauma e memoria, cit.

Nonostante gli Stati Uniti fossero già stati teatro di eventi traumatici mediati dai mezzi di comunicazione di massa (mass-mediated event), immagini raccolte e trasmesse specialmente grazie alla copertura televisiva, dando luogo a scenari commemorativi e di lutto collettivi, come nel caso dell’assassinio del presidente John F. Kennedy, dell’esplosione dello Space Shuttle Challenger o della guerra del Vietnam7, l’11

settembre, «il trauma nazionale più discusso e affrontato dai giornali e i canali televisivi senza esitazione o spiegazione»8, si configura come imprescindibile caso di studio nel

terreno di ricerca dei trauma studies.

Data la loro “spettacolare natura”, a detta di molti testimoni, così come dei commentatori dei canali d’informazione, le immagini esperite, attraverso i media, del collasso del World Trade Center richiamavano alla mente i blockbuster hollywoodiani9.

Come suggerisce Susan Sontag: «Dopo quarant’anni di film catastrofici hollywoodiani ad alto costo, l’espressione “sembrava un film” pare aver sostituito la formula con cui i sopravvissuti ad una catastrofe erano soliti esprimere l’impossibilità di assimilare in tempi brevi ciò che avevano vissuto “Sembrava un sogno”»10. In questo caso il termine

like a movie è stato utilizzato per un’accezione che sta ad indicare il «riconoscimento di una situazione familiare, ma interamente in the wrong place»11, che emerge da uno

specifico contesto culturale, sociale ed economico.

Un evento unico, imprevisto, irripetibile, che ha fatto combaciare, tuttavia, «l’immaginazione finzionale con la sfera del reale»12 dal momento che questo scenario

era già presente nell’immaginario collettivo. Come sostiene Slavoj Žižek: «l’impensabile è accaduto»13. Secondo quanto afferma lo studioso, gli Stati Uniti sembrano in qualche

modo aver predetto la catastrofe attraverso le fantasie “distruttive” alimentate dalla

7 A. Meek, Trauma and Media, cit., p. 171.

8 J. Trimarco, M. Depret, Wounded Nation, Broken Time, in D. Heller (a cura di) The Selling of 9/11: How a National Tragedy Became a Commodity, Palgrave MacMillan, New York 2005, pp. 27-53, (30). 9 Su questo aspetto si veda G. King (a cura di) The Spectacle of the Real: From Hollywood to Reality Tv and Beyond, UK Intellect, Bristol 2005.

10 S. Sontag, Davanti al dolore degli altri, cit., p. 19.

11 B. Schaffer, Just Like a Movie: September 11 and the Terror of Moving Images, in «Sense of Cinema»,

Vol. 17, Nov. 2001,

http://sensesofcinema.com/2001/terror-disaster-cinema-and-reality-a-symposium/schaffer/

12 E. Marcheschi, Videoestetiche dell'emergenza. L'immagine della crisi nella sperimentazione audiovisiva,

Kaplan, Torino 2015, p. 1.

letteratura e dal cinema14. Il collasso delle Torri Gemelle sarebbe stato esperito da molti

attraverso la lente dello spettacolo hollywoodiano, un’illusione ottica che Žižek vede come sintomatica del virtual capitalism, «speculazione disconnessa dalla sfera della produzione materiale»15. «Non è successo che la realtà sia entrata nella nostra immagine,

ma che l’immagine sia entrata e abbia sconvolto la nostra realtà»16 continua lo studioso,

facendo riferimento ad una realtà influenzata da un’immaginazione mediatica che oscura all’individuo la percezione del mondo circostante17. L’attacco terroristico, con la sua

portata spettacolare, svela definitivamente il «vuoto distruttivo» che si cela dietro «le apparenze che costituiscono la nostra realtà»18.

Riflettendo sulla natura dell’evento stesso e la sua rappresentazione mediatica, anche Baudrillard sottolinea come il cinema hollywoodiano, specialmente il disaster movie, abbia significato una spettrale realizzazione di una fantasia collettiva per mezzo della quale gli Stati Uniti avrebbero figurato la loro stessa distruzione prima che questa accadesse. Il crollo delle Torri Gemelle segnava la materializzazione di un desiderio della società capitalista, «Il fatto che abbiamo sognato questo evento, che tutti, senza alcuna eccezione – dal momento che nessuno può evitare di sognare la distruzione del potere diventato egemonico – risulta inaccettabile per la coscienza occidentale»19. Come nota

ancora Clément Chéroux: «l’iconografia mediatica dell’11 settembre non rimanda alla storia, ma alla memoria, una memoria passata attraverso il filtro dell’entertainment hollywoodiano poi dell’informazione spettacolo»20.

Il documentario 9/11 (2002), realizzato dai registi francesi Jules e Gédéon Naudet e co-diretto dal pompiere di New York James Hanlon, offre la più ricca ed esclusiva

14 Žižek sostiene che la minaccia terroristica sia stata sublimata in una serie di produzioni hollywoodiane

da 1997: fuga da New York (Escape from New York, 1981) di John Carpenter a Independence Day (1996) di Roland Emmerich. Ivi, p. 15.

15 Ivi, p. 132. 16 Ivi, p. 20.

17 Al fine di sottolineare il ruolo del capitalismo americano come una gigantesca simulazione della realtà,

Žižek fa riferimento al film The Matrix (1999) diretto da Lana e Lily Wachowski, in cui l’esistenza materiale stessa è sostituita da un mondo virtuale generato da un computer. Ivi, p. 15.

18 Ivi, p. 16.

19 J. Baudrillard, Lo spirito del terrorismo, cit., p. 5.

20 C. Chéroux, Diplopie: l'image photographique à l'ère des médias globalisés: essai sur le 11 septembre 2001, Le Point du Jour, Paris 2009; Diplopia, L’immagine fotografica nell’era dei media globalizzati: saggio sull’11 settembre 2001, Einaudi, Torino 2010, p. 106.

testimonianza dell’accaduto21. In un primo momento il film doveva documentare

il percorso di addestramento di Antonios Benetatos, detto Tony, una recluta del corpo dei vigili del fuoco assegnato all’Automezzo 7, Scala 1. La mattina dell’11 Settembre i pompieri, ricevuta una segnalazione per una fuga di gas, si recano in una zona vicina al World Trade Center, accompagnati da Jules Naudet, che decide di seguirli nell’ispezione. Una volta giunti nel luogo dell’intervento, il regista avverte un forte boato. Alzando la macchina da presa l’uomo filma casualmente l’impatto del primo aereo contro la Torre Nord. A seguito dell’accaduto i vigili del fuoco si precipitano nell’atrio dell’edificio. L’occhio della camera di Naudet coglie anche la reazione dei pompieri, completamente sbigottiti e ignari di quello che sta realmente accadendo.

Il racconto e l’esperienza di quel giorno vengono restituiti da due punti di vista. Da una parte Jules documenta ininterrottamente le operazioni dei vigili del fuoco, in maniera del tutto inconscia e compulsiva, come dichiarerà lui stesso nel corso del film. Gédéon, invece, giunge successivamente sul luogo del disastro e filma la reazione dei passanti mentre si radunano in strada e assistono all’impatto del secondo aereo contro la Torre Sud. Il regista cerca di cogliere anche le impressioni dei testimoni oculari, increduli di fronte allo spettacolo che si dipana davanti ai loro occhi. Un uomo commenta la situazione dicendo che la torre divorata dalle fiamme gli ricorda il film L’inferno di cristallo (The Towering Inferno, John Guillermin, 1974), dove un grattacielo viene devastato da un incendio. Il film prosegue mostrando il ritorno in caserma dei due fratelli e dei vigili del fuoco così come i successivi lavori di scavo tra le macerie alla ricerca di superstiti. Il tremolio della macchina da presa, lo sfocamento, le immagini di bassa qualità, trasmettendo immediatezza e co-presenza, calano lo spettatore nella tragica realtà della situazione, rendendolo testimone dell’evento.

Oltre alle immagini riprese nel giorno dell’attentato terroristico, 9/11 costruisce un racconto emozionale inserendo interviste ai vigili del fuoco e le dichiarazioni dei due registi come approfondimento e commento alle immagini che vengono mostrate. Il film alterna la suspense delle scene di azione e di presa diretta dell’evento con la commozione

21 Come evidenzia il testo in apertura «le immagini che andrete a vedere provengono dagli unici filmati che

sono stati realizzati all’interno della Torre Nord. Una testimonianza oculare di un momento che ha definito il nostro tempo».

suscitata dal racconto dei narratori diegetici. Questo aspetto risulta evidente in una scena in particolare in cui Jules Naudet, mentre sta filmando dall’atrio della Torre Nord, si precipita in strada con un gruppo di vigili del fuoco dopo aver sentito una forte esplosione. La lente della camera si oscura improvvisamente coprendosi di una patina marrone. La voice over del regista comunica che quel momento coincide con il crollo della torre di cui lui non si era minimamente reso conto, fino a quando un pompiere non gli era apparso davanti proteggendolo dalla caduta delle macerie. Questo atto suscita incontrovertibilmente una profonda emozione nei confronti dello spettatore che si rende conto del pericolo corso dal regista. I vigili del fuoco vengono dipinti come figure eroiche pronte ad entrare in azione e rischiare la propria vita per mettere in salvo il prossimo. Tony, che originariamente avrebbe dovuto essere il protagonista del documentario, completa il proprio percorso di formazione nel momento in cui disobbedisce ai capi, che gli avevano ordinato di rimanere in caserma, per unirsi alle operazioni di salvataggio. Come sottolinea James Hanlon: «Jules e Gédéon vennero da me per dirmi che volevano fare un documentario su un ragazzo che diventava uomo una volta concluso il periodo di reclutamento. È accaduto invece che Tony sia diventato uomo in nove ore cercando di aiutare i propri compagni durante l’11 settembre».

Jules e Gédéon raccontano inoltre di come alcune immagini siano state eliminate in fase di montaggio, per rispetto nei confronti delle vittime, tra cui quelle che mostravano la «pioggia di corpi umani», ovvero persone che per sfuggire alle fiamme si lanciavano dai piani alti della torre22. Secondo quanto afferma Knudsen, in questo caso, la macchina

da presa assume un ruolo etico, tactful camera, nel momento in cui, nonostante l’imperativo di documentare l’evento e tutto quello che accade, sceglie deliberatamente cosa mostrare all’osservatore23.

22 Una delle immagini più iconiche dell’11 settembre raffigura proprio un uomo che si getta dalla Torre

Nord del World Trade Center. La fotografia è stata scattata da Richard Drew dell’Associated Press e pubblicata per la prima volta sul «The Morning Call», un quotidiano della Pennsylvania. Il documentario

9/11: The Falling Man (Henry Singer, 2006) ripercorre la storia che si cela dietro allo scatto e il valore

simbolico che ha assunto. Questa immagine insieme ad altre che ritraevano i “jumpers” furono oggetto di critiche, considerate irrispettose nei confronti di chi aveva ricorso a quel gesto estremo. Come sottolinea Tom Junod, le immagini dei saltatori vennero censurate dai media e rimasero assenti dal discorso post 11 settembre nei mesi immediatamente seguenti l’accaduto. T. Junod, The falling man, in «Women & Performance: a journal of feminist theory» Vol. 14, No. 1, 2004, pp. 211-227.

23 B.T. Knudsen, The Eyewitness and the Affected Viewer, September 11 in the Media, in «Nordicom

Dieci anni dopo l’attentato i due registi decidono di realizzare un altro film 9/11: 10 years after (2011) in cui vengono inseriti ulteriori commenti e considerazioni, coinvolgendo sia chi aveva preso parte al documentario precedente sia altri testimoni oculari dell’attentato. I racconti inclusi nel film evidenziano delle conseguenze e degli effetti di natura sia psicologica che fisica nei soggetti. Molti dei pompieri hanno dovuto affrontare infatti gravi problemi di salute come bronchite cronica, intossicazione alle mucose del naso, infezione polmonare e cancro dopo aver a lungo respirato la polvere che si era alzata a seguito del crollo delle torri24. Dal punto di vista psicologico risulta

chiaro invece come nessuno dei pompieri intervistati riesca a dimenticare quelle immagini e quei rumori che sembrano infestare la propria mente e la propria memoria. C’è chi si sente in colpa per essere sopravvissuto a differenza dei colleghi, chi non riesce a dormire, chi ha problemi di alcolismo o di depressione. Come sottolinea il comandante Pfeifer, che aveva perso il fratello, anche lui pompiere, durante l’11 settembre, l’unico modo per affrontare il proprio trauma e rielaborarlo è sentirsi uniti ad un gruppo e ad una comunità che condivide lo stesso tipo di perdita o esperienza.

Tuttavia, oltre ai testimoni oculari, a seguito dell’11 settembre, psicologi, sociologi e altri studiosi hanno riscontrato segni di disturbi psicologici anche tra le persone che avevano assistito agli attacchi terroristici in maniera indiretta, attraverso le immagini televisive25. Dal momento che il crollo delle Twin Towers si è configurato «come matrice

(traumatica) di una specifica modalità di fruizione spettatoriale delle immagini»26,

inevitabilmente connessa al processo di elaborazione fornito dai mezzi di comunicazione di massa, è stato necessario estendere l’esperienza del trauma collettivo, in maniera

24 Sui problemi di salute dei volontari e di chi ha prestato servizio come soccorritore durante l’11 settembre

parla anche Michael Moore nel documentario Sicko (2007).

25 In quale misura la veicolazione mediatica dell’accaduto possa ri-trasmettere l’esperienza traumatica nello

spettatore, è stato un punto centrale nelle indagini portate avanti nel campo di ricerca sia dei media studies sia delle neuroscienze cognitive. A tal proposito si veda B.T. Knudsen, The Eyewitness and the Affected

Viewer. cit.; R.J. McNally, N. Breslau, Does Virtual Trauma Cause Posttraumatic Stress Disorder? in «American Psychologist», Vol. 63, No. 4, pp. 282-283; F. Furedi, Therapy Culture: Cultivating Vulnerability in an Uncertain Age, Routledge, London-New York 2004; A. Young, Post-traumatic Stress Disorder of the Virtual Kind: Trauma and Resilience in Post-9/11 America, in A. Sarat, N. Davidovitch,

M. Alberstein (a cura di) Trauma and Memory: Reading, Healing, and Making Law, Stanford University Press, Stanford 2007, pp. 21-48; E. Young-Bruehl, The interpretation of an architec’s dream: relational

trauma and its prevention, in «Journal for the Psychoanalysis of Cultural and Society», Vol. 8, No. 1, 2003,

pp. 51-61.

26 A. Buonauro, Cinema americano post-11 settembre, trauma vicario e senso di colpa occidentale. Il caso di Babel, in «Imago», Vol. 6, 2013, pp. 47-59, (47).

potenziale, anche allo spettatore che ha esperito l’evento a distanza e in forma mediata27.

A seguito dell’11 settembre, le categorie del PTSD arrivarono ad includere anche distant traumatic effects, al fine di porre una distinzione tra chi veniva direttamente esposto agli eventi e chi li esperiva in maniera mediata28. Non solo chi fu testimone oculare

dell’evento, non solo le famiglie o gli amici delle persone che morirono nell’attacco terroristico ma chiunque venne a conoscenza degli eventi e vide quelle immagini ripetute in televisione, sui giornali e su internet, viene potenzialmente visto come soggetto ad un’esperienza traumatica29. Alan Meek conia il termine virtual trauma al fine di suggerire

una complessa relazione tra le esperienze traumatiche e la loro mediazione30.

Dal momento che le immagini dell’11 settembre erano state viste ed esperite in diretta, si venne a creare un rapporto di immediatezza con l’evento, «si storicizza subito e ha già la propria commemorazione: sotto l’occhio delle telecamere»31. Contrariamente, per

quanto riguarda l’Olocausto passarono decenni prima che il trauma dei sopravvissuti e delle loro comunità venne pubblicamente riconosciuto e reso noto. L’aspetto latente dell’esperienza traumatica, centrale nella trauma theory elaborata dalla scuola di Yale, viene a mancare nel momento in cui si considera l’episodio come prontamente conoscibile e assimilabile. Procedere verso un’interpretazione immediata dell’accaduto rischia di tralasciare la natura incomprensibile dell’esperienza traumatica. Derrida si interroga su quello che definisce «compulsive inflation» in merito all’11 settembre, sottolineando come la rapidità con cui l’evento è stato definito traumatico, imponendo l’imperativo di ricordare qualcosa che non era stato ancora assimilato, negasse un graduale processo di ri-elaborazione32.

27 E.A. Kaplan, Trauma Culture, cit.

28 L’American Psychological Association pubblicò inoltre una brochure online dal titolo Coping with Terrorism, ritenendo la copertura mediatica una possibile fonte di traumatizzazione. A. Young, Post- traumatic Stress Disorder of the Virtual Kind, cit., p. 28.

29 Le immagini dell’attentato alle Twin Towers avevano avuto un forte impatto non solo sui cittadini

newyorkesi ma su tutto il mondo occidentale. L’idea di trauma collettivo ricade in questo caso su una

imagined community. Come afferma Miriam Hansen, l’11 settembre rappresenta infatti la «intersezione di

un’esperienza anonima e collettiva con un [evento] la cui simultanea circolazione eccede i confini locali, nazionali e temporali di eventi veri e propri». M. Hansen, Cinema and Experience, cit., p. 55, cit. in A. Buonauro, Cinema americano post-11 settembre, cit., p. 50.

30 Secondo Meek la preoccupazione contemporanea per il trauma può venir vista come un sintomo di quello

che Žižek definisce virtual capitalism. A. Meek, Trauma and Media, cit.

31 F. Hartog, Régimes d'historicité. Présentisme et expériences du temps, Le Seuil, Paris 2003; Regimi di storicità, Sellerio, Palermo 2007, p. 142.

32 G. Borradori, Philosophy in a Time of Terror: Dialogues with Jurgen Habermas and Jacques Derrida,

University of Chicago Press, Chicago-London, 2003; Filosofia del terrore: dialoghi con Jürgen Habermas

Le tragiche, ripetute e “spettacolari” immagini del collasso del World Trade Center, hanno portato ad un radicale mutamento nello scenario storico e culturale contemporaneo, così come una profonda ricodificazione del ruolo dei mass media nel fornire immagini iconiche che andranno a riscrivere narrazioni riguardanti l’identità nazionale e il trauma collettivo. La ritualità apocalittica e traumatica dell’estetica dei media ha ripetuto e propagato in maniera compulsiva e ossessiva, specialmente nelle prime ore dalla diretta, le immagini dell’attentato terroristico, in un eterno presente continuo33. La struttura

ripetitiva, ricorsiva e narrativa della veicolazione mediatica, filtro dell’esperienza stessa, processata e ri-negoziata allo stesso tempo, ha inciso indissolubilmente sulla memoria visuale e iconica dell’accaduto così come sul processo di elaborazione del trauma, dal momento che l’immagine mediatica coincide con la «registrazione mnestica» dell’evento34.

La figura che si è andata a cristallizzare e ad inscrivere nella memoria individuale e collettiva è strettamente interconnessa alla modalità discorsiva della diretta televisiva, la cui linearità interminabile non riesce a contenere la tensione dell’esperienza traumatica e a permettere un processo di ri-elaborazione35. La forma sintomatica della ripetizione,

come abbiamo precedentemente sottolineato, gioca un elemento centrale nella rappresentazione dell’esperienza traumatica. Se da una parte, il modello del working- through prevede un tentativo di superamento del trauma attraverso l’elaborazione cognitiva dell’evento e dei suoi contenuti, la ripetizione compulsiva propria dell’acting out, che sembra caratterizzare il flusso televisivo, non permette di assimilare e di integrare le immagini in una struttura interpretativa e critica.

Seguendo la linea di pensiero di Hal Foster, Andén Papadopoulus sostiene che la

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