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Fattore 1: L’immaginario psichiatrico tra universo maschile e femminile Fattore 2: L’immaginario psichiatrico attraverso i linguaggi dell’esperienza

2.3 UNIVERSO MASCHILE E UNIVERSO FEMMINILE

2.3.1 Medico, dottore, psichiatra

Le parole MEDICO e DOTTORE occorrono diversamente nei racconti di uomini e donne. Seguire la traccia del legame di questi due termini rispetto agli altri è fondamentale nel lavoro di analisi poiché svela, proprio nello stabilire legami di prossimità fra parole, come queste persone attribuiscono significato alla psichiatria e alla cura.

Grazie al grafico a “diagramma radiale”, T-LAB permette di vedere a colpo d’occhio la rete di significati che le parole “medico” e “dottore” acquisiscono nei racconti maschili (fig. 5-6).

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Figura 6. La parola “dottore” nelle testimonianze degli uomini

Negli uomini, le parole medico e dottore hanno la stessa occorrenza e vengono associate pressoché alle stesse parole: “aiuto”, “terapia”, “farmaco”, “centri di igiene mentale”, “operatori”, “cura”; tali lemmi sono a loro volta strettamente legati.

Il medico ha il ruolo di tranquillizzarti, di farti pensare che tutto quello che è successo è nella tua testa, ma non è nella testa degli altri e che comunque c’è lui a guidarti fino alla fine di questa di questa avventura, come la chiamo io. (Luca, sogg.10)

Ci siamo rivolti al centro di Aurisina dove c’erano due dottori che mi hanno accolto e, capita la situazione, mi hanno subito fatto delle flebo di Achineton, un farmaco molto efficace che tempo una settimana mi ha sciolto le gambe e mi ha permesso di camminare, sennò rischiavo una paralisi. (Fabio, sogg.01)

So cosa vuol dire soffrire e mi dispiace per tutte le persone che vogliono togliersi la vita; non sono un

medico, ma consiglierei di avere fiducia nella medicina e nei dottori, di dire la verità ai medici, di dire se non si segue la terapia, di non mischiare i farmaci con l’alcool, perché poi i medici non riescono a capire più niente, devono ricominciare da capo e si fa doppia fatica. (Fabio, sogg.01)

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A San Giovanni hanno cominciato a riabilitarmi pian pianino; la dottoressa aveva visto che in me c’era una certa passione per le piante allora mi hanno fatto andare con un infermiere in un vivaio, abbiamo comprato dei gerani che sono durati un anno e mezzo circa, io li innaffiavo regolarmente. (Andrea, sogg.14)

Sono stato ricoverato un’altra volta perché non volevo prendere il Serenase allora la dottoressa mi ha detto: «Vabbè smettiamo tutto e poi vediamo cosa succede»; praticamente mi ha dato fiducia, ha voluto provare, ma io ho avuto una crisi di pianto, una crisi di angoscia tale che sono stato ricoverato al San Giovanni di nuovo e questo è successo circa dopo un anno dal primo incontro con i servizi di salute mentale. (Andrea, sogg.14)

Il “confronto tra coppie di parole chiave” ha poi permesso di paragonare tra loro i termini “dottore” e “medico” per verificare quali sono i lemmi che si associano in modo significativo a entrambi e quali si associano solo all’uno o solo all’altro. Come visibile nella figura 7, i lemmi comuni rispecchiano le osservazioni emerse dall’analisi precedente.

Figura 7 Lemmi associati in modo significativo sia a “dottore” che a “medico”.

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Nelle testimonianze maschili la parola PSICHIATRA è davvero poco frequente rispetto a “medico” e “dottore” e quando compare è usata come fosse un loro sinonimo (Fig.8).

Figura 8 La parola “psichiatra” nelle testimonianze degli uomini.

Mia madre e mia sorella cercavano di aiutarmi come potevano, ma il problema era trovare un dottore

vero e proprio, uno psichiatra che mi curasse. (Claudio, sogg.06)

Da sempre discutiamo, io e gli psichiatri, sul fatto che capisco tutto, ma su questi argomenti estremi ho delle mie idee e non le cambio, do ragione a me stesso; lo psichiatra dice una cosa, io ne dico un’altra e siamo sempre là, poi sto male perché mi impegno troppo, perché combino qualche cazzata e loro mi devo curare. (Fabio, sogg.01)

Da quel momento non ho più avuto sintomi per un anno; per precauzione i miei mi hanno anche mandato da uno psichiatra che lavora qui al centro di igiene mentale, ma anche lui non ha riscontrato nulla di strano. (Luca, sogg.10)

Nel 1980 sono andato da uno psichiatra privato che stava vicino Piazza Oberdan; il dottore appena mi ha visto, al primo colpo d’occhio, ha capito subito che ero stanchissimo. (Claudio, sogg.06)

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Nell’universo narrativo femminile, le parole MEDICO e DOTTORE occorrono con frequenza maggiore e associazioni molto diverse rispetto a quanto visto nei racconti degli uomini. Anche nei racconti delle donne “medico” e “dottore” hanno un numero di occorrenze molto simile, ma nei singoli contesti le due parole si associano a termini molto differenti (Fig.9,10).

Figura 9 La parola “medico” nelle testimonianze delle donne.

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Se la parola MEDICO è maggiormente legata a “farmaco”, “diagnosi” e “centro di salute mentale”, il DOTTORE lo è a “fiducia”, “dialogo”, “percorso”, “speranza”, tornare ad avere il “sorriso” (Fig.11a - b).

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Figura 11b Lemmi associati in modo significativo solo a “dottore” o solo a “medico” nei racconti femminili.

La percezione del “medico” da parte delle donne si avvicina a quella maschile, ma con una grande differenza: mentre gli uomini lo considerano un punto di riferimento, le donne gli rimproverano il fatto di ridursi troppo spesso a dispensatore poco attento e poco scrupoloso di farmaci e ricette.

Per quello che riguarda le cure farmacologiche forse se il medico ti spiega perché e per come te le dà, ti chiede come stai in salute, ti dice: «Fra dieci giorni mi dica che effetti collaterali le danno», a quel punto la persona informata non ha motivo di sopportare degli effetti collaterali terribili e chiede che gli venga cambiato il farmaco. (Caterina, sogg.05)

Ma io ho la pressione dell’occhio alta e l’asma bronchiale per cui il farmaco che il medico mi ha prescritto non lo posso prendere. (Caterina, sogg.05)

Il medico dal quale sono andata molte volte dicendogli che mi sentivo sempre agitata, che ogni sera mi viene da vomitare, mi dava ogni volte delle pastiglie; una volta ho preso una pastiglia verde che non so se

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era contro l’agitazione, ma mi ha fatto venire una roba strana alla testa e non l’ho più voluta prendere. (Giovanna, sogg.02)

In realtà in quel periodo ero già in cura per la depressione, avevo parlato con un medico che però non mi conosceva ed era già tanto che mi avesse aiutato così; mi aveva prescritto dei farmaci che sicuramente per me non andavano bene, ma questo l’ho capito solo in seguito. (Eleonora, sogg.07)

In situazioni diverse, davanti a un medico per esempio, non sono mai stata creduta, e allora mi sono rovinata perché loro non mi credevano. Ma insomma, come devo dirvelo che sto male, mi devo buttare giù dal quinto piano? (Sara, sogg.08)

Il farmaco sono capace di prenderlo anche da sola, tu medico non puoi darmi un farmaco tanto per provare. Allora io voglio sapere dal medico: «Cosa mi dai per bocca o per endovena? cosa mi dai? Mi dai dei calmanti? Se hai studiato per fare questo lavoro lo porti a termine perché ne sei entusiasta e sei contento di aiutare un malato, no?» (Sara, sogg.08)

Dai centri di salute mentale mi aspetterei il dialogo che purtroppo non vedo perché la persona malata ha bisogno di parlare e solo dopo le si può dare qualcosa, ma il medico non può dare a tutti la stessa cosa dal momento che non siamo tutti uguali, questa parola “proviamo”, la detesto ma, cazzarola, perché non provi su di te? (Sara, sogg.08)

A un certo punto non riuscivo più a trovare il farmaco, non ricordo per quale motivo, e non c’era nemmeno il medico, così ho continuato a bere senza prendere il farmaco e ho avuto una crisi convulsiva. (Lara, sogg.13)

I toni cambiano notevolmente quando nei racconti femminili compare la parola “dottore”. A determinare questa svolta non è il fatto che esistano nella realtà una classe di medici e una di dottori, quanto piuttosto che la persona in cura comincia a riferirsi al medico usando la parola “dottore” quando percepisce che si è instaurato un dialogo più profondo e che il farmaco è solo uno dei possibili interventi terapeutici.

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In ospedale sono iniziate le riunioni giornaliere, con tutti quanti: i malati, gli infermieri, gli inservienti, una cosa allucinante, tutte queste sedie intorno, e io che non capivo chi erano i malati, chi erano i medici e questo era anche l’aspetto divertente perché c’erano certi medici che a dir la verità sembravano molto malati, e certi pazienti così coccoli da essere dottori a tutti gli effetti. (Nadia, sogg.12)

Anche prendersi cura di sé, non avere odore, avere un bel vestito pulito, odorare di buono, fa avvicinare la gente, sono i dottori stessi a dirlo e non lo fanno perché vogliono che i loro utenti siano come zuccherini, ma perché sanno che questo aiuta a stare con gli altri, a sentirsi a proprio agio con gli altri. (Margherita, sogg.04)

Spero che dalle mie parole passi anche il modo di lavorare dei nostri dottori, certe cose son diventate comiche anche grazie a loro, alla loro bontà e simpatia. (Margherita, sogg.04)

A volte questo clima mi sembrava forzato, mi sembrava una violenza indebita, ma cosa potevo farci? Potevo solo vincerla dimostrando che non sono la persona che credono, e allora bisogna avere la saggezza di comunicare veramente con i dottori e dimostrare una maturità nel voler dialogare in una certa maniera con loro, che tu lo faccia per interesse personale o che tu lo faccia perché non vuoi sembrare una persona che non sei, cioè violenta, presuntuosa, eccetera. (Margherita, sogg.04)

Se c’era qualcosa che dopo un dialogo mi lasciava nel dubbio, nell’ansia, nell’angoscia, facevo di nuovo due ore di fila, domandavo cinque minuti di dialogo e chiarivo. Magari quella fine mi costava tantissimo, perché non stavo bene, avevo l’ansia, dovevo aspettare il turno, non sapevo se mi avrebbero ancora accolto, ma generalmente sono sempre stata riaccolta. È sempre stato chiarito tutto, dopo un dialogo ho sempre avuto l’impressione di aver fatto un passo avanti, però devo dire che con i dottori mi sono trovata sempre bene. (Margherita, sogg.04)

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La parola PSICHIATRA è molto più frequente nei racconti femminili che in quelli maschili e quando compare riassume in sé la figura professionale di colui che cura il disagio mentale. Quando nei racconti femminili le parole “medico” e “dottore” co-occorrono con “psichiatra”, perdono il loro tratto distintivo e diventano quasi interscambiabili. Tuttavia, nella rete di significati che circonda la parola “psichiatra” una componente resta invariata: i toni del discorso si fanno accesi tutte le volte che tale parola si associa a quella di “farmaco”(Fig.12).

Riguardo agli psichiatri penso che i medici non dovrebbero dare del “tu” quando ti prendono in cura perché questo ti fa sentire un numero; per me rimane molto importante il “lei” perché anche se può esserci un senso di fratellanza dato da come si porgono, tutte queste etichette del dottore “tu sei così, tu sei colà, ti sei comportata, tu sei fuori di testa, tu stai male, tu non ti rendi conto che stai male” io non riuscivo ad accettarle. (Margherita, sogg.04)

É importante continuare a progettare e comunque avere un dialogo di fiducia completa con il proprio

dottore, che sia psichiatra o psicologo perché la terapia mirata ti fa vedere le redini, dove sei tu e dove è lo psicologo, insegna a voler di nuovo la magia del terapeuta con il quale si è in sintonia e che comunque ti fa tornare la voglia di vivere perché ti conosce, perché ha capito quali sono le cose che contano per te, perché dal di fuori vede cosa c’è ancora di vivo in te e quindi su quello fa leva ed è in grado, a volte, di aiutarti; lo psichiatra con il quale hai costruito un percorso è in grado farti tornare il sorriso. (Margherita, sogg.04)

Se non prendi il medicinale, anche se dici che hai dei problemi, i dottori di solito ti scaricano perché la forma di contatto che hanno con te, essendo psichiatri, è che se tu ti rivolgi a loro ti danno il farmaco che loro ritengono adatto e se tu rifiuti, tentenni o loro capiscono che forse non lo prenderai, ti scaricano senza nessun problema e come nel mio caso, per farti capire di andare a quel paese, ti prescrivono un prodotto non mutuabile. (Caterina, sogg.05)

Poi però ha cominciato a seguirmi un medico veramente in gamba, uno psichiatra che faceva anche lo

psicoterapeuta e così ho cominciato ad aprirmi a un medico per la prima volta. (Lara, sogg.13) Adesso nella casa di via Genova siamo in cinque e abbiamo due infermiere, una viene la mattina e una al pomeriggio, però spesso una prende giorni di ferie per cui siamo sole e se chiamiamo spesso vengono i

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hanno cambiato due tre volte la terapia perché ero resistente ai farmaci, non mi facevano niente, allora adesso mi danno una pastiglia più forte ma ogni mese devo fare il prelievo del sangue per controllare che non compaia qualche valore strano, che non ci siano più globuli bianchi che rossi, altrimenti devo interrompere la terapia. (Giovanna, sogg.02)

Figura 12 La parola “psichiatra” nelle testimonianze delle donne.

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