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2. Mindfulness e dintorni

2.3 Meditazione e neuroplasticità

Da una prospettiva neuroscientifica il primo principio buddista degno di nota riguarda le tradizioni contemplative; esse infatti impongono che l'esperienza non sia un'entità rigida e predefinita ma bensì un processo flessibile in continuo cambiamento. Da questo punto di vista le emozioni, l'attenzione e l'introspezione diventano dimensioni in divenire che necessitano di essere comprese e studiate come abilità che possono essere esercitate al pari di altre come la matematica, lo sport o la musica. Il principio che la mente è malleabile, fondante della tradizione buddista, risuona con gli ormai noti modelli evoluzionistici di sviluppo alla base dei processi cognitivi. Infatti secondo questi modelli le funzioni cognitive sono abilità che dipendono particolarmente dagli input ambientali (Mc Clelland & Rogers, 2003).

Interessante in questo contesto è il ruolo della neuroplasticità, un concetto che ha dato il via ad un'esplosione di studi sull'argomento negli ultimi due decenni. Il termine neuroplasticità viene utilizzato per descrivere i cambiamenti cerebrali che avvengono in risposta all'esperienza: esistono molti meccanismi diversi di neuroplasticità che spaziano dalla crescita di nuove connessioni alla creazione di nuovi neuroni (Davidson et al., 2008). Come risultato abbiamo oggi una comprensione accurata dei cambiamenti molecolari e sistemici prodotti da particolari tipi di input esperienziali. Ad esempio, roditori neonati esposti a variabili livelli di cure materne (tra cui la frequenza del tocco e del leccare) sviluppano differenti fenotipi comportamentali da adulti; i roditori che ricevono frequentemente il grooming e il licking dalla madre mostrano più avanti comportamenti adattivi migliori e crescono più rilassati di quelli che invece non ne ricevono o ne ricevono meno (Meaney, 2001). I risultati di questo studio mostrano come l'espressione del gene che codifica per i recettori glucocorticoidi venga modificata da questa esperienza negativa o positiva di cura materna, il che fa sperare nell'esistenza di un meccanismo simile anche nell'essere umano. Sulla ricerca umana non abbiamo dati certi a causa della complessità della misurazione; senza dubbio però abbiamo osservato come il cervello di un "esperto", come un giocatore di scacchi, un tassista o un musicista (Maguire et al., 2000) sia strutturato e funzioni in maniera diversa da quello di un non-esperto. Se esaminiamo l'ippocampo di un tassista londinese, osservermo come questo si presenti significativamente più sviluppato dei controlli, come risultato dell'esperienza e

dell'esercizio fatto come tassista.

Nell'uomo, molte ricerche hanno rivelato come lo stress cronico, la trascuratezza o l'abuso parentale producono cambiamenti funzionali nel cervello che possono essere osservati tramite alterazioni strutturali (Glaser, 2000). Allo stesso modo, uno studio di Sheline (2003) ha evidenziato come la quantità di giorni di depressione vissuti da alcuni pazienti abbia determinato una modifica strutturale della corteccia prefrontale e ancora, dell'ippocampo. Queste ricerche alimentano l'ipotesi che esercizi e pratiche disegnate appositamente per sviluppare equanimità e compassione, o in generale qualità positive, possano produrre benefici strutturali e funzionali per la mente.

A tal proposito Davidson e collaboratori (2003) hanno condotto uno studio randomizzato e controllato del percorso MBSR su alcuni impiegati in salute. Lo studio voleva evidenziare eventuali differenze prima e dopo sia nel sistema immunitario che nella struttura e nella funzionalità cerebrale. I ricercatori hanno misurato l'attività elettrica cerebrale dei venticinque partecipanti prima e immediatamente dopo la meditazione, oltre che a quattro mesi di distanza dalla fine del percorso. I risultati sono stati confrontati con il gruppo di controllo (n 16) e hanno evidenziato delle differenze statisticamente significative nell'attivazione sinistra anteriore (associata agli effetti benefici del percorso) e nell'attivazione anticorpale a seguito del vaccino antinfluenzale somministrato a tutti. Holzel (2011) e collaboratori hanno eseguito uno studio analogo per investigare i cambiamenti nella concentrazione di materia grigia attribuibili al programma MBSR. Tramite risonanza magnetica funzionale (MRI) hanno esaminato sedici neo-meditatori prima e dopo il conseguimento del percorso, insieme al gruppo di controllo (n 17). Lo studio ha confermato un aumento specifico di materia grigia nell'ippocampo sinistro e in generale nella corteccia cingolata, nella giunzione temporo-parietale e nel cervelletto. Queste regioni sono come sappiamo, strettamente legate ai processi di apprendimento e memoria e alla regolazione emotiva. Quando un evento mentale come un pensiero o un ricordo influenzano il focus attentivo, la corteccia cingolata anteriore contribuisce al mantenimento dell'attenzione, ad allertare il sistema neurale per risolvere il conflitto tramite un meccanismo top-down di controllo cognitivo (Sridharan et al., 2008) : per questo è ragionevole considerare un aumento di materia grigia in questa regione positivo per l'esercizio dell'attenzione e della regolazione. Tang e colleghi (2015) hanno mostrato come cinque giorni di esercitazioni mente-corpo siano sufficenti per attivare

efficacemente queste regioni e altri autori hanno successivamente confermato questi dati rilevando inoltre un aumento di spessore corticale nei meditatori esperti.

Sono stati condotti alcuni studi interessanti anche sull'insula: Farb e colleghi (2007) hanno scoperto un'attivazione maggiore della stessa (coinvolta nella propriocezione e nel processamento dell'informazione viscerosomatica) in individui che avevano terminato l' MBSR. Gli autori Vago e Silbersweig (2012) hanno creato una cornice di riferimento per la comprensione dei meccanismi neurobiologici della mindfulness. Il contesto da loro creato ha preso il nome di S-ART, ovvero l'interazione di self-awareness, self-regulation e self- transcendence. S-ART è una cornice di riferimento che si propone di evidenziare i processi di entrambi i modelli citati, da una prospettiva di percezione, psicologica, cognitiva, emotiva e comportamentale. Questa cornice opera secondo il principio che la nostra percezione, cognizione ed emozioni legate alla vita quotidiana possano essere distorte in una certa misura; secondo alcuni fattori disposizionali, queste distorsioni possono essere più o meno attuate da ognuno di noi. Questo crea uno spettro di distorsione, che avrà ai suoi estremi la normalità e la patologia.

L'ipotesi della cornice di riferimento è che la mindfulness riduca queste distorsioni tramite forme specifiche di allenamento mentale, che sviluppano una maggiore consapevolezza di se' (self-awareness), l'abilità di gestire o alterare la propria risposta agli impulsi (self-regulation) e l'abilità di trascendere dai propri bisogni e incrementare le caratteristiche prosociali, per migliorare la relazione tra se' e gli altri (self-transcendence). Sommati a queste abilità troviamo sei meccanismi neurocognitivi che sono altamente integrati tra loro; alcuni di questi sono l'intenzionalità e la motivazione, l'attenzione e la regolazione emotiva, la prosocialità, il non attaccamento e il de-centramento.

Tutti insieme, questi studi portano delle prove a favore della pratica meditativa che sembrerebbe influenzare processi neuronali e sistemi che supportano le capacità attentive e la consapevolezza di se'.

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