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Il mercato dell’influenza societaria quale teoria idonea a dare

CAPITOLO 2 Hedge funds attivisti ed ordinamento giuridico

2. Il mercato dell’influenza societaria quale teoria idonea a dare

dello shareholders’ activism

A differenza del più ben noto e studiato mercato del controllo societario,144 il mercato dell’influenza societaria (market for corporate

influence) è animato da investitori che acquisiscono partecipazioni di

minoranza in un emittente quotato non con la finalità di conquistarne il controllo, ma con il solo obiettivo di esercitare una qualche forma di influenza nei confronti del gruppo di comando145 – fermo, in ogni caso, il fine ultimo del fondo attivista, che resta quello di modificare alcune politiche (di governance, finanziarie, strategiche) della target onde trarne un profitto.146

Come ogni mercato, anche quello dell’influenza societaria è modellato da forze che agiscono sul lato della domanda e sul lato dell’offerta.

2.1 Supply side: le determinanti dell’offerta nel mercato

dell’influenza societaria

Nel modello Armour/Cheffins tre sono i fattori capaci di condizionare la decisione di intraprendere una campagna attivista e le relative possibilità di successo: (i) la valutazione della società target; (ii)

144 Si v. la nt. 142, supra.

145 Sul senso in cui si utilizza l’espressione “gruppo di comando”, si v. la nt. 1, supra.

146

la sua struttura azionaria; (iii) l’esistenza di diritti degli azionisti che consentano di intraprendere iniziative tali da poter influenzare il gruppo di comando dell’emittente.147

(a) La “valutazione” della società target

La funzione di offerta del modello Armour/Cheffins è legata alla circostanza che la società sia “sottovalutata”. Con ciò gli autori alludono al caso in cui il prezzo di mercato presenti margini di miglioramento sia di per sé – per ragioni di stretta valutazione –148 sia come conseguenza di possibili miglioramenti operativi o gestionali. 149

Il punto merita di essere riconsiderato ed ampliato per cogliere anche le minoritarie, ma non remote, ipotesi in cui il fondo attivista ritenga invece che la target sia “sopravvalutata” e la sua strategia preveda di assumere una posizione corta.150

147 J.ARMOUR –B.CHEFFINS, op. cit., con le precisazioni e variazioni al modello che verranno descritte nel testo.

148 L’idea di fondo è che il prezzo di mercato delle azioni non sia “corretto” e che l’investitore sia in grado di prevedere il prezzo corretto, realizzando un profitto. Il tema è quello, già trattato, della EMH, su cui si v. la nt. 9, supra. Sul punto si v. anche E. CROCI, op. cit., pp. 118 s. ed ivi bibliografia, dove si nota che i fondi attivisti «investono in società con elevati book–to–market ratios e minore Q (il rapporto tra valore di mercato dell’impresa e il suo valore contabile)».

149 J.ARMOUR –B.CHEFFINS, op. cit., p. 11.

150 Si v. il caso descritto in nt. 71, supra.

Si noti che, dal 1 novembre 2012, le vendite allo scoperto su strumenti finanziari quotati in un mercato regolamentato comunitario sono soggette agli obblighi di comunicazione di cui al regolamento n. 236/2012/UE. In breve, chiunque apra una posizione (netta) corta è tenuto ad informare l’autorità di vigilanza competente non appena la posizione raggiunge lo 0,2% del capitale dell’emittente e a darne

Appare dunque più corretto individuare, quale determinante dell’offerta, più in generale, una valutazione inaccurata della target da parte del mercato, sia in “positivo” sia in “negativo”.

(b) La struttura azionaria della società target

Il modello individua quale seconda determinante dell’offerta la circostanza che la società target abbia un azionariato diffuso, limitandosi a degradare – forse troppo frettolosamente – a mere «exceptions» le ipotesi in cui la legge riconosca rilevanti diritti alle minoranze tali da poter essere fatti valere anche in presenza di un azionista di controllo.151

Anche questo punto del modello Armour/Cheffins ritengo vada riconsiderato per poter ambire a descrivere in modo più puntuale, in particolare, l’esperienza italiana.152 Come verrà ampiamente illustrato

infra, infatti, anche in presenza di una struttura proprietaria concentrata

possono esservi ampi margini di azione per l’attivismo degli azionisti se la legge riconosce diritti “speciali” alle minoranze: ad esempio, pur in presenza di un emittente soggetto a controllo di diritto, l’attribuzione, per

comunicazione al pubblico non appena la posizione raggiunge lo 0,5% del capitale dell’emittente.

151

J.ARMOUR –B.CHEFFINS, op. cit., p. 12. In questo senso, v. anche V.CALANDRA

BUONAURA, Intermediari finanziari e corporate governance, in Giur. Comm., 2009, p. 872. In una prospettiva diversa e più generale, ØYVIND NORLI CHARLOTTE

OSTERGAARD –IBOLYA SCHINDELE, Liquidity and Shareholder Activism, in Rev. Fin.

Studies, in corso di pubblicazione (disponibile all’indirizzo http://ssrn.com/abstract=1344407) dimostrano che la liquidità di uno strumento finanziario favorisce indirettamente l’attivismo, in quanto condiziona positivamente l’accumulo di azioni della società target da parte di un fondo attivista.

152

legge, di un amministratore alle minoranze è più che sufficiente per creare l’incentivo necessario perché un fondo decida di intraprendere una campagna attivista.

(c) I diritti degli azionisti

Da ultimo, condizione necessaria per l’attivismo dei fondi è il riconoscimento di (minimi) diritti in capo agli azionisti di minoranza.153

Al riguardo è sufficiente puntualizzare che, nella prospettiva dell’attivismo, esiste una evidente correlazione tra struttura proprietaria e diritti degli azionisti: tanto più concentrata è la struttura proprietaria, tanto più incisivi dovranno essere i diritti riconosciuti alle minoranze per sollecitarne l’attività. Viceversa, laddove si ritenesse desiderabile frustrare o ostacolare l’attivismo delle minoranze, sarebbe sufficiente rimodularne i diritti.

2.2 Demand side: le determinanti della domanda nel

mercato dell’influenza societaria. In particolare, l’effetto depressivo dei costi della regolamentazione

Il modello Armour/Cheffins individua tre fattori in grado di spiegare la propensione degli hedge funds ad intraprendere una strategia attivista: (i) i costi di finanziamento;154 (ii) i transaction costs;155 e (iii) i

153 Su cui si v. il § 3.11 del presente capitolo, infra.

154

J. ARMOUR – B. CHEFFINS, op. cit., p. 14. In questo senso, a parità di altre condizioni, anche la politica monetaria può essere in grado di incidere sul mercato dell’attivismo: persistenti bassi tassi di interesse possono causare un incremento della domanda di prestiti da parte di soggetti ad alto rischio, quali gli hedge funds.

155 J.ARMOUR –B.CHEFFINS, op. cit., p. 15. In questo mercato tali costi includono, principalmente, i costi che il fondo deve sostenere per individuare target compatibili con la propria strategia di investimento.

costi derivanti dalla regolamentazione. I primi due non richiedono un approfondimento, mentre per il terzo è necessaria una puntualizzazione.

Sebbene il modello limiti la propria analisi ai soli costi derivanti dalla regolamentazione dei fondi comuni ed alternativi,156 sembra necessario ampliare la prospettiva del punto sub (iii) per ricomprendervi almeno i costi regolamentari derivanti da: (a) obblighi di comunicazione delle partecipazioni rilevanti; (b) obblighi di comunicazione delle eventuali posizioni corte su azioni quotate derivanti da vendite allo scoperto; (c) disciplina dei patti parasociali; 157 e (d) forme di incentivazione del possesso azionario di lungo periodo. Solo in questo modo ritengo sia possibile evidenziare tutti i fattori che possono condizionare la propensione di un fondo all’attivismo.

3. Il fattore regolamentare quale driver principale, specie in