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La “messa in testo” dell’eterolinguismo

Nel saggio Les motivations de l’hétérolinguisme: réalisme, composition, esthétique385, Rainier Grutman propone un’analisi delle manifestazioni testuali dell’eterolinguismo, presentandole sotto forma di un continuum386 organizzato su vari livelli di apertura crescente alle lingue straniere. All’interno di tale modello, si passa da un grado minimo in cui le lingue straniere sono una presenza implicita che si configura sotto forma di allusioni, a un grado massimo in cui esse assumono una dimensione interfrasale (cambio di codice o code-switching), mentre tra questi due poli trovano spazio una serie di forme intermedie.

Ciò che vorrei tentare qui, proseguendo su questa strada, ovvero inquadrando l’eterolinguismo entro un continuum, è di elaborare una griglia delle sue realizzazioni testuali. Poiché questa prima ricognizione serve a descrivere il fenomeno nelle sue diverse forme e declinazioni, il campione di testi preso in esame verrà solo per il momento lievemente allargato, includendo anche quei romanzi che, seppur non confluiti nel corpus di lavoro definitivo, sono stati oggetto di un’indagine preliminare. Per quanto l’inventario che otterremo sconti il difetto dell’incompletezza, è comunque un campione minimo in grado di dare un’idea del fenomeno.

La scelta del continuum come forma entro cui collocare le manifestazioni eterolingui corrisponde alla necessità di esprimere al meglio il carattere graduato dell’eterolinguismo. Si vuole rendere manifesto come l’unilinguismo e il plurilinguismo non costituiscano una dicotomia, quanto piuttosto una polarità: sono i poli di un asse lungo il quale si sviluppano una molteplicità di forme e di gradazioni intermedie. È ciò che nota Rainier Grutman quando osserva che «l’unilinguisme et le plurilinguisme ne

385 Rainier Grutman, Les motivations de l’hétérolinguisme: réalisme, composition, esthétique, in Furio

Brugnolo e Vincenzo Orioles (a cura di), Eteroglossia e plurilinguismo letterario. Plurilinguismo e

letteratura, Il Calamo, Roma 2002, pp. 329-349.

386 Il campo di applicazione privilegiato del concetto di continuum è rappresentato dalle lingue creole,

dove viene proposto come alternativo all’ottica diglottica: l’approccio del continuum implica la presenza di ampi margini di continuità e di un ventaglio di varianti intermedie, impossibili da ricondurre all’uno o all’altro polo dello schema diglottico. Si veda, per esempio, Robert Chaudenson, Les créoles, Puf, Paris 1995.

sont que deux points extrêmes sur un continuum et leur opposition est plus polaire que dichotomique»387.

Sulla base dei dati raccolti, la testualizzazione dell’eterolinguismo sembra funzionare su un continuum suddiviso in sei livelli, che vanno da un grado minimo a uno sempre maggiore di eterolinguismo. A un’estremità c’è il grado zero, corrispondente a situazioni in cui le lingue straniere sono in condizione di invisibilità, in quanto semplicemente evocate dalla lingua principale. All’altra estremità, invece, trovano collocazione tutti quei fenomeni in cui la presenza delle lingue straniere è ben più pervasiva, giacché esse prendono posto all’interno della lingua principale: vi si infiltrano più o meno silenziosamente rendendola non del tutto altra, ma nemmeno più del tutto uguale a se stessa.

Cominciamo l’analisi dalle manifestazioni primarie e più semplici, per poi procedere in modo progressivo con quelle più corpose e rilevanti. La forma minima di eterolinguismo consiste più che altro in un’evocazione, in una presenza soltanto allusa delle lingue straniere. Troviamo un esempio di questo stadio minimale in un passaggio del romanzo L’empreinte du renard di Moussa Konaté:

Le chauffeur ralentit et lança quelques mots en peul au berger, qui, son bâton à l’épaule, prenait tout son temps et ne daigna même pas répondre388.

In queste righe la lingua straniera (nella fattispecie la lingua peul) è silente e invisibile. La sua presenza si riduce alla rapidissima menzione «lança quelques mots en peul», alla quale non segue alcuna manifestazione concreta.

Quanto al livello successivo, la presenza delle lingue straniere è leggermente più consistente, benché siano ancora materialmente inesistenti: a rappresentarle è la lingua principale che, questa volta, non si limita a evocarle ma interviene traducendole. È quanto si legge nel seguente passaggio, estratto dal romanzo Lisahohé di Théo Ananissoh:

À deux ou trois pas de moi, il ajouta dans la langue véhiculaire du Sud, désignant du doigt son apprenti au loin:

«il me l’a dit»389.

387 Rainier Grutman, Le bilinguisme comme relation intérsemiotique, «Canadian Review of Comparative

Literature», XVII (3-4), 1990, p. 199.

388 Moussa Konaté, L’empreinte du renard, Points, Paris 2007, p. 70. Grassetto mio. 389 Théo Ananissoh, Lisahohé, Gallimard, Paris 2005, p. 59. Grassetto mio.

Pur lasciando un segno concreto («il me l’a dit»), la lingua straniera è tuttavia ancora presente sotto forma di lingua principale: il francese rimpiazza in toto la «lingua veicolare del Sud», di cui non resta alcuna manifestazione nel testo.

Salendo ancora di grado, la lingua straniera diventa – ora sì – una presenza effettiva, ma viene tuttavia tenuta in una condizione di dipendenza: c’è la lingua principale a controllarne l’ingresso, a introdurla e delimitarne lo spazio di intervento. Esemplare è a questo proposito un passo di Mathématiques Congolaises, romanzo di In Koli Jean Bofane:

Une seule et même phrase dans sa langue tribale, revenait sans

cesse:

— Woyoke iseï o, wokoye iseï! Vieux, yokela ngai mawa7!390

Come si vede, l’entrata in scena di una non meglio precisata «langue tribale» viene annunciata e accuratamente incorniciata dalla lingua principale.

Per contro, al grado successivo, la lingua straniera raggiunge la propria indipendenza e interviene liberamente nel testo, senza che ci sia la lingua principale a fare da lasciapassare. A questo stadio l’inserto alloglotto è però ancora presente nella sua forma minimale: si materializza in unità di dimensioni inferiori alla frase, in parole isolate, espressioni idiomatiche e formule fisse. Ci si trova di fronte a quel procedimento che lo studioso John Gumperz ha definito prestito, distinguendolo dal fenomeno del code switching:

Il faut séparer l’alternance codique de l’emploi de mots d’emprunts. L’emprunt se définit comme l’introduction d’une variété dans une autre de mots isolés ou d’expressions idiomatiques brèves, figées. [Bisogna separare il code-switching dall'uso di prestiti. Si definisce prestito l’introduzione in una varietà di parole isolate o di espressioni idiomatiche brevi, fisse appartenenti a un'altra varietà391.]

Buona parte dei prestiti rinvenibili nei testi considerati appartiene alla categoria dei realia, vale a dire termini che rimandano a realtà culturospecifiche392 – ovvero a

390 In Koli Jean Bofane, Mathématiques congolaises, Actes Sud, Arles 2008, p. 8. Grassetto mio.

391 John Gumperz, Sociolinguistique interactionnelle: une approche interprétative, L’Harmattan, Paris

1989, p. 64, trad. mia.

392 A proposito della nozione di realia si rimanda al lavoro di Sergej Vlahov e Sider Florin,

Neperovodimoe v perevode. Realii, «Masterstvo perevoda», 6, 1969, pp. 432-456; si veda anche Bruno

Osimo, Il manuale del traduttore, Hoepli, Milano 2004, p. 63. Osimo scrive: «in traduttologia […] “realia” significa non oggetti ma parole, ossia le parole che denotano cose materiali culturospecifiche».

elementi della cultura (materiale, religiosa, economica, ecc). o dell’ambiente naturale. Troviamo sostantivi che che rinviano a elementi dell’abbigliamento («kaba ngondo», «thiaya», «sabador»), della sfera religiosa o para-religiosa («pandit», «gadèzafè», «soukougnan» «loas»), dell’ambito del cibo («kokorni», «ghee», «koki»), della musica («makossa», «zouk»), così come aspetti della fauna («yenyen», «malfini») e della flora locale («banglins», «pied-bois», «herbes-Guinées»).

Oltre ai realia, che rappresentano senza dubbio il gruppo più corposo, un numero considerevole di prestiti attiene a categorie lessicali caratteristiche dell’oralità, quali parole onomatopeiche («blogodo», «tchip», «mwang!»), interiezioni («ye maleh», «kai wa lai», «fout’») e ideofoni («ouélélé»).

Al penultimo gradino del nostro continuum, la presenza delle lingue straniere si fa quantitativamente più importante poiché aumenta la lunghezza degli inserti, che qui si impossessano di porzioni di testo ben più significative sconfinando oltre i limiti della parola o del sintagma, fino a occupare frasi e addirittura interi paragrafi. A tale proposito, si può citare un passo tratto da Pagli, romanzo tutto costellato di lunghi passaggi in creolo:

Je devais promettre de m’occuper de lui, de le servir, de le garder en bonne santé et de lui donner beaucoup d’enfants. U bizen priye pu ki

u okip tuzur byen u mari, pran li byen kont kuma en fam bizen fer, servi li, pran kont so lasante, e dimann bondye ki li donn u

bann zenfan en bonn sante393.

Altrettanto rappresentativo è l’Enfant-bois, le cui pagine sono intessute di interi dialoghi in creolo. A titolo di esempio riportiamo questo passo:

— Sacré ti piten ayiti! Ou ni an chalè an twel aw? Ou bizwen bel ti milat la vini soukwé fèy li an boyow! Man za diw bel nonm tala cé pou yich mwen. Cé pa pou an viélaid’nwe kon yé au swè!394

Con il sesto e ultimo livello, il fenomeno subisce un’ulteriore intensificazione, ma di natura diversa, non essendo più misurabile in termini meramente quantitativi. L’incremento dell’eterolinguismo non è dato dalla crescita di volume dei segmenti in lingua straniera, è bensì effetto di procedimenti più invasivi e sofisticati rispetto alla piana inserzione. L’individuazione esatta della presenza di lingue straniere diventa a

393 Ananda Devi, Pagli, cit., p. 75. Grassetto mio. 394 Audrey Pulvar, L’Enfant-bois, cit., p. 36.

questo punto ardua, dal momento che l’eterolinguismo non si manifesta più sotto forma di inserti puntuali: agisce sottotraccia e in modo nascosto, senza dar luogo a espliciti passaggi da una lingua all’altra. Le lingue straniere sono ormai indistinguibili dalla lingua principale nella quale penetrano, facendo tutt’uno con essa, trasformandola e perturbandone a vari livelli il funzionamento.

Tale compenetrazione coinvolge sia i piani più superficiali, come quello ortografico, sia i livelli più profondi, quale quello morfo-sintattico. Per quanto riguarda il livello grafico, basta leggere il passo seguente estratto da Le ventre de l’Atlantique:

Mais, soyez gentlemen, épargnez-lui votre sourire lorsqu’elle saisira votre billet en marmonnant «merci, c’est riz» au lieu de «merci,

chéri» […]395.

Come si vede, la trasformazione ortografica deriva dalla sostituzione del fonema /ʃ/ con il fonema /s/, sostituzione riconducibile all’intromissione di lingue africane396.

Un altro esempio di queste modifiche di ordine ortografico si riscontra in un passaggio dell’Enfant-bois, nel quale l’espressione «dernière race» viene trascritta come «dènié rass»397. Si tratta di una grafia che rimanda all’influenza del creolo, come

testimonia la caduta del grafema <r>, consonante alquanto problematica nello spazio creolofono398. A tal proposito, non è inutile riportare un ricordo di infanzia di Patrick

Chamoiseau che, in Une enfance créole, racconta di come la scomparsa delle “r” fosse per il maestro uno dei difetti peggiori della pronuncia dei suoi allievi, una deformazione da cui uscivano storpiate le belle parole francesi: «mais il y avait pire aux yeux du Maitre: les r disparissaient, le torchon n’était qu’un tôchon, la force se muait en fôce»399.

Proprio la “r” è la protagonista principe di un altro passaggio che dà conto della particolarità fonetica del francese delle Antille, dove la pronuncia di tale grafema è influenzata dall’altro idioma della diglossia. Ecco come si presenta:

395 Fatou Diome, Le ventre de l’Atlantique, cit., p. 231. Grassetto mio.

396 Cfr. Kathryn Batchelor, Decolonizing Translation: Francophone African Novels in English

Translation, Routledge, London and New York 2014, p. 140: «it reflects basilectal French pronunciation,

which tends to pronounce /ʃ/ as /s/».

397 Audrey Pulvar, L’Enfant-bois, cit., p. 38.

398 In creolo il fonema /r/ è spesso pronunciato come /w/.

Suzon disait Métropole au lieu de France. Ou plutôt, pour être dans le vrai: «Métwopole»400.

Il piano morfologico subisce a sua volta scosse e variazioni, dando luogo a costruzioni lessicali direttamente riconducibili ad altre lingue. È il caso delle forme «Laserveuse» e «lamer» usate da Fabienne Kanor in Humus, dove l’agglutinazione dell’articolo al sostantivo mostra chiaramente la matrice creola.

Dans le décolleté d’Anne Laserveuse401.

Lo stesso processo di trasformazione interessa l’espressione «en-mer» in cui, in modo altrettanto evidente, riconosciamo il modello del creolo; non può sfuggire infatti come questa forma ricalchi alla perfezione il creolo “en-ville”. Sempre in Humus leggiamo:

Tu me demandes de te raconter comment. Comment les cales, le noir, l’en-mer402.

E, ancora, dietro i sostantivi formati per composizione, si può senza dubbio riconoscere il marchio di fabbrica del creolo, lingua che ricorre abbondantemente alla composizione per creare nuove parole403. Esemplare, in questo senso, è il titolo del romanzo di Audrey Pulvar: L’enfant-bois. Il procedimento della composizione è largamente sfruttato: non soltanto per creare composti binominali («troncs-maisons», «lianes-chaînes», «forêt-pluie»), ma anche per generare delle formule lessicali derivanti dalla giustapposizione di parole di natura sintattica differente («marcher-fatigué», «derrière-morne», «moi-jadis»), e talvolta è perfino alla base della creazione di forme più articolate («nostalgie-retour au pays natal-culpabilité»).

Come si è già avuto modo di ricordare, questa operazione di fusione e mescolamento linguistico arriva a toccare anche il livello sintattico. Ce ne dà prova il romanzo Temps de chien, disseminato di calchi che provocano una rottura dello schema

400 Gisèle Pineau, Chair Piment, cit., p. 222. Grassetto mio. 401 Fabienne Kanor, Humus, cit., p. 246. Grassetto mio. 402 Ibid., p. 218.

403 A questo proposito, sono interessanti le affermazioni di Sophie Chiquet che, in riferimento all’opera di

Patrick Chamoiseau, ravvisa un abbondante utilizzo della composizione: «cette spontanéité du créole à créer de nouveaux mots par composition n’est pas étrangère au recours abondant de ce procédé» [«questa facilità del creolo nel creare nuove parole per composizione non è estranea all'abbondante ricorso a questo procedimento»]. Sophie Chiquet, Sculpter l’identité: les formes de la créolité dans œuvre de

Patrick Chamoiseau, citata da Noémie Auzas in Chamoiseau ou les voix de Babel: de l’imaginaire des langues, Imago, Paris 2009, p. 191, trad. mia.

sintattico; ciò è dovuto al fatto che l’ordine degli elementi si conforma alla struttura delle lingue africane. Eccone qualche esempio:

Tu as déjà vu quoi?404 On va faire comment?405

C’è ancora un’ultima forma che dà prova del lavoro di contaminazione compiuto sulla lingua principale: si tratta del cosiddetto calco traduttivo, che è all’opera laddove vengano tradotte alla lettera espressioni idiomatiche, detti e formule proverbiali. Si può citare, a titolo di esempio, questo passaggio di D’eaux douces in cui compare la trasposizione del proverbio creolo Fô pa confon' coco épi zabricot:

La scène s’était déroulée sans heurt, avec la complicité d’une ile qui à trop tourner le dos à la terre, avait fini par confondre cocos et

zabricots406.

Oltre a quelli appena trattati, ci pare necessario includere un ulteriore livello che ci consente di allargare in modo particolarmente fruttuoso l’orizzonte di indagine. Limitando il raggio d’osservazione alla presenza di lingue straniere, l’inventario finora tracciato non tiene infatti conto di tutte quelle forme che mettono la lingua principale di fronte alla sua alterità intrinseca e costitutiva, rivelando come il francese sia una lingua plurale e pluricentrica, una lingua che ha in sé varianti, francesi differenti407. Alla

tradizionale visione norma vs scarto, che contrappone la norma metropolitana – linguisticamente corretta – a varietà extraesagonali percepite come errori e scorrettezze, si può allora sostituire l’immagine di un francese declinato al plurale, inclusivo, composito e in sé già eterolingue.

Queste forme di eterolinguismo interno interessano ogni elemento linguistico: morfologico (neologismi di forma), semantico (neologismi di significato), sintattico (dislocazioni, forme dell’interrogazione). Sul piano lessicale, i neologismi possono essere frutto tanto di un processo di composizione quanto di derivazione. Esempi di composti sono «poulet-byciclette», «mange-mille», «taxi-brousse», formati attraverso la giustapposizione di due sostantivi pre-esistenti. La derivazione invece forma nuovi elementi lessicali servendosi degli affissi: è il caso di «paroleur» e «ambianceur» (creati

404 Patrice Nganang, Temps de chien, cit., p. 14. 405 Ibid., p. 18.

406 Fabienne Kanor, D’eaux douces, cit., p. 159. Grassetto mio.

407 Per quanto riguarda la nozione di variazione, si rimanda a Françoise Gadet, La variation sociale en

con l’aggiunta del suffisso “-eur”), come anche «démusclé» e «encrisé» (formati rispettivamente con il prefisso “dé-” e “en-”).

La semantica è interessata da processi di risemantizzazione che danno vita a neologismi di senso: ne è un esempio il participio passato «compressé» che, per via della modificazione del suo contenuto semantico, viene a significare «mis au chomage» («En avril 1989, Massa Yo fut compressé»408); allo stesso modo, il termine «grille» è oggetto di uno slittamento semantico che lo porta ad assumere il significato di «humiliation» («C’était le deuxième acte d’une grille»)409. Si registrano infine fenomeni di ordine sintattico, come ad esempio l’uso del deittico «là» che, posposto a qualsiasi parte del discorso (pronome, nome, verbo), si presenta di preferenza non come rafforzativo di un dimostrativo, bensì di un possessivo o di un articolo. Prendiamo qualche esempio, per dar conto della variazione:

tu peux pas me battre toi-là que je vois-là410

son argent-là411 les opposants-là412

Un altro aspetto che possiamo riscontrare riguarda le forme interrogative che seguono schemi inediti, collocando ad esempio il «n’est-ce pas» o il «que» in posizione iniziale:

N’est-ce pas tu vas me le dire?413

Que tu as déjà payé mes arachides?414

L’eterolinguismo come messa in scena

Dopo aver fornito questa panoramica volta a osservare l’eterolinguismo dall’alto, affiora tuttavia la necessità di portare uno sguardo più attento e approfondito. Si tratta di attivare un altro percorso di indagine, mettendo in gioco una lettura del dettaglio,

408 Patrice Nganang, Temps de chien, cit., p. 15. 409 Ibid., p. 131.

410 Alain Mabanckou, Verre cassé, cit., p. 95. Grassetto mio. 411 Patrice Nganang, Temps de chien, cit., p. 204. Grassetto mio. 412 Ibid., p. 108. Grassetto mio.

413 Ibid., p. 130. Grassetto mio. 414 Ibid., p. 199. Grassetto mio.

ovvero una «microlettura»415 capace di operare una fruttuosa riduzione di scala. Ci accingiamo allora ad applicarci in un esercizio dello sguardo simile a quello intrapreso dal signor Palomar nel racconto Il prato infinito416: per conoscere il prato che c’è intorno alla propria casa, il personaggio calviniano restringe via via il campo d’indagine, procedendo per progressivi avvicinamenti, fino ad arrivare a esaminarlo punto per punto.

Rimpicciolire il campo d’analisi, così da dare spazio ai dettagli e agli elementi minimi, permette di vedere meglio e più a fondo: fa uscire allo scoperto ciò che un’osservazione globale lasciava in ombra. Quando l’eterolinguismo viene osservato da vicino, si rivela essere il prodotto di una costruzione417. La «presenza di lingue

straniere», a cui si fa riferimento nella definizione grutmaniana, deriva da una costruzione di tali lingue come “straniere”. Ciò che la linguista Lorenza Mondada ha scritto a proposito dell’emersione della figura dell’Altro, che lei considera come il risultato di «procédures de construction» e non come «une identité qui existerait préalablement et qui serait donnée d’emblée» [«un'identità che esisterebbe in precedenza e che sarebbe assegnata immediatamente»418], è valido anche per l’alterità delle lingue. Tale discorso può essere seguito alla lettera: il grado di alterità di una lingua rispetto a un’altra si presenta come un’operazione di «fabbricazione dell’alterità». Esso non dipende da un dato linguistico pre-esistente alla scrittura, quanto piuttosto da un processo specificamente letterario di costruzione di una lingua come differente. La differenza nasce dal e nel testo, che ha il potere di decidere di volta in volta dove tracciare le proprie frontiere e fissare le proprie soglie. Ogni testo stabilisce

415 La nozione di «microlecture» è stata elaborata da Marc Escola, ispirandosi al titolo di un libro di Jean-

Pierre Richard. «On nommera «microlecture» cette façon de lire, par manière d’hommage à l’un des titres de Jean-Pierre Richard – lequel définissait ainsi le geste d’analyse qui commande ses Microlectures: Microlectures: petites lectures ? lectures du petit ? Les deux choses à la fois sans doute […] Ce titre voudrait indiquer, en tout cas, que […] ces lectures opèrent comme un changement d’échelle. […] La lecture n’y est plus de l’ordre d’un parcours, ni d’un survol : elle relève plutôt d’une insistance, d’une lenteur, d’un vœu de myopie. Elle fait confiance au détail, ce grain du texte». [«Chiameremo questo modo di leggere «microlettura», in omaggio a un titolo di Jean-Pierre Richard – il quale definiva così il gesto di analisi richiesto dalle sue Microletture: Microletture: piccole letture? letture del piccolo? Probabilmente entrambe le cose […] Il titolo vorrebbe indicare, in ogni caso, che […] queste letture operano come un cambio di scala. […] La lettura non equivale più a un percorso, né a un rapido esame: fa riferimento piuttosto a un'insistenza, una lentezza, un desiderio di miopia. Si affida al dettaglio, al granello del testo»] Marc Escola, Présentation: le vœu de myopie, in Complications de textes: les microlectures, «Fabula», 1,

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