• Non ci sono risultati.

MESSINEO, MENGONI (a cura di), continuato da SCHLESINGER, Milano, 1998, pag.

40 e segg..

81 La norma speciale ha la funzione di regolare “in modo diverso, rispetto al diritto

comune, solo il quid pluris che la qualifica rispetto alla norma generale, la quale continua a riguardare quella parte della fattispecie comune alle due norme”, cosicché la norma

speciale non deroga a quella generale, escludendola per incompatibilità, ma “si limita a

dettarne un’applicazione specifica, motivata da esigenze specialistiche ratione materiae,

personae, loci”. Così, GORGONI, Regole generali e regole speciali nella disciplina del contratto, Torino, 2005, pag. 46.

82 MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, op. cit., pag. 9, ALBI,

Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, art. 2087, In Commentario Codice Civile, SCHLESINGER (fondato da), BUSNELLI (diretto da), Giuffrè, Milano,

46

in esso un germe di effettività, posto che costringe il datore di

lavoro ad un adeguamento costante della propria

organizzazione produttiva agli standards sempre mutevoli della sicurezza”83.

L’affermazione è diffusa anche nella giurisprudenza che muove dall’assunto che la clausola generale contenuta nell’art. 2087 Cod. Civ. svolgerebbe “una funzione di adeguamento permanente dell’ordinamento alla sottostante realtà socio- economica, che ha una dinamica ben più accentuata di quella dell’ordinamento giuridico, legato a procedimenti e schemi di produzione giuridica necessariamente complessi e lenti”84.

L’idea dell’art. 2087 Cod. Civ. come clausola generale è, tuttavia, oggetto di critiche: “le clausole generali, infatti, non sono né principi deduttivi né principi di argomentazione dialettica”85, in quanto “impartiscono al giudice una misura,

83 MAZZOTTA, Diritto del lavoro, Giuffrè, Milano, 2008

84 Cfr., ad esempio, Cass., 6 ottobre 1988, n. 5049, in Giust. civ., 1988, I, pag. 2871, con

nota di MARINO, Sul confine tra inadempimento dell’obbligazione di sicurezza e

oggettivazione della responsabilità per danno ai dipendenti, in Foro. It., 1988, I, pag.

2849, con nota di CARUSO, Danno da rapina (al dipendente) e responsabilità della

banca; Trib. Bergamo, 5 marzo 1983, in Riv. giur. lav., 1984, IV, pag. 102. Cfr. anche

Cass., 20 aprile 1998, n. 4012, in Orient. Giur. Lav., 1998, pag. 520, secondo la quale “ai

sensi dell’art. 2087 c.c., che è norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione, l’obbligo dell’imprenditore di tutelare l’integrità fisiopsichica dei dipendenti impone l’adozione – ed il mantenimento – non solo di misure di tipo igienico-sanitarie o antinfortunistico, ma anche di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione di detta integrità nell’ambiente o in costanza di lavoro in relazione ad attività pur se allo stesso non collegate direttamente … giustificandosi l’interpretazione estensiva della predetta norma alla stregua sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute (art. 32 Cost.), sia dei principi di correttezza e buona fede (art. 1175 e 1375 c.c.) cui deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro”.

85 ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, Giuffrè, Milano,

47

una direttiva per la ricerca della norma di decisione; esse sono una tecnica di formazione giudiziale della regola da applicare al caso concreto, senza un modello di decisione precostituito da una fattispecie normativa astratta”86. Le clausole generali sarebbero, pertanto, “norme di direttiva che delegano al giudice la formazione della norma (concreta) di decisione, pur vincolandolo ad una direttiva ad una direttiva espressa attraverso il riferimento ad uno standard sociale, il quale esprime una forma esemplare dell’esperienza sociale dei valori, un serbatoio cui il giudice attinge per poi tradurre, con un proprio giudizio valutativo, in una norma di decisione”87.

Si sottolinea, in tal senso, che seppure si volesse attribuire all’art. 2087 Cod. Civ. il ruolo di clausola generale, “si dovrebbe avere cura di distinguerla dagli standards al fine di non limitare l’attività giurisdizionale ad una funzione meramente ricognitiva di norme sociali di condotta, che impedirebbe di definire regole di comportamento più avanzate rispetto alle vedute correnti” e che, più in generale “si tradurrebbe in un’adesione incondizionata ad una visione particolarmente riduttiva del diritto cui sarebbe estranea ogni funzione direttiva del mutamento sociale”88.

Non è il caso di attardarsi oltre a stabilire la fondatezza o meno delle critiche appena esposte. Presenta un maggiore interesse sistematico, invece, osservare che, a prescindere

86 MENGONI, Spunti per una teoria delle clausole generali, op. cit., pagg. 9 e 10. 87 ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit., pag. 80. 88 ALBI, Adempimento dell’obbligo di sicurezza e tutela della persona, op. cit., pag. 80.

48

dall’opzione teorica, sul rapporto tra l’obbligo di sicurezza avente fonte nell’art. 2087 Cod. Civ. e quello che trova nelle norme speciali il proprio fondamento positivo, resta che il legame tra le diverse fonti ha la funzione di arricchire la portata dell’obbligo di sicurezza non solo da un punto di vista quantitativo, ma anche e soprattutto qualitativo.

Sotto il profilo quantitativo, come affermato in dottrina89, l’art. 2087 Cod. Civ., essendo norma aperta e, allo stesso tempo, norma di chiusura del sistema prevenzionistico, non esaurisce, in quanto non li tipizza, i comportamenti cui è tenuto il datore di lavoro. In tal senso, la normativa di dettaglio non limita la portata dell’obbligo di sicurezza del quale rappresenta, semmai, una specificazione.

Sotto il profilo qualitativo, le norme speciali operano una

proiezione della disposizione codicistica nella portata

prevenzionistica, rendendo maggiormente visibile la tensione della norma verso il fine dell’adempimento dell’obbligo. Al tempo stesso, poi, la disposizione in commento è in grado di imprimere sulle norme speciali una chiara connotazione

dell’obbligo di sicurezza sul piano della priorità

dell’adempimento, del contenuto, dell’obbligo, dei beni tutelati (la salute e la dignità del lavoratore).

89 SMURAGLIA, Sicurezza e igiene del lavoro. Quadro normativo, esperienze attuative,

in Riv. giur. lav., 2001, I, pag. 465 e segg.; MONTUSCHI, L’incerto cammino della

sicurezza sul lavoro fra esigenze di tutela, onerosità e disordine normativo, in Riv. giur. lav., 2001, I, pag. 501 e segg.; NATULLO, La tutela dell’ambiente di lavoro, op. cit., pag.

5 e segg.; BALANDI, Il contenuto dell’obbligo di sicurezza, in Quad. dir. rel. ind., 1993, n. 14, pag. 79 e segg..

49

Si tratta quindi di un reciproco rapporto “di dare ed avere”: l’art. 2087 Cod. Civ. imprime una particolare direzione alla normativa prevenzionistica di dettaglio offrendone un criterio imprescindibile di inquadramento; allo stesso tempo, tale normativa arricchisce di una serie di specificazioni l’obbligo di sicurezza, specificazioni che rinvigoriscono la portata prevenzionale dell’obbligo e ne proiettano l’essenza nei diversi contesti (ad esempio: particolari caratteristiche dell’ambiente di lavoro, del titolare dell’obbligo, delle modalità

di svolgimento della prestazione lavorativa). Con la

consapevolezza che solo tale sistema circolare, consentendo l’interazione fra le une e le altre, rende effettivo “il diritto fondamentale riconosciuto dall’art. 32 Cost. a tutti i cittadini anche dentro i cancelli della fabbrica”90.

2.2. Art. 2087 Cod. Civ.: tendenze interpretative

Come visto, al di là dell’ormai vastissima normativa di “specificazione” in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, campeggia pur sempre, per rilievo sistematico l’obbligo di sicurezza previsto dall’art. 2087 Cod. Civ.91.

Ma già dire “obbligo” è cominciare il racconto dalla fine. Infatti, malgrado l’idea dell’esistenza di un dovere contrattuale

90 MONTUSCHI, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, op. cit., pag. 73.

91 Sulle valenze personalistiche del quale cfr. GRANDI, Persona e contratto di lavoro.

Riflessioni storico-critiche sul lavoro come oggetto del contratto di lavoro, in Arg. dir. lav., 1999, pag. 309 e segg..

50

dell’imprenditore di proteggere l’incolumità del lavoratore vantasse ormai una certa tradizione92, e l’art. 2087 (a dispetto della sua collocazione, nel codice, nella sezione dedicata all’imprenditore), si candidasse naturalmente ad esserne la matura espressione normativa, è accaduto che le medesime resistenze che, nella prima fase postcostituzionale, si sono frapposte ad un pieno riconoscimento del diritto alla salute nei rapporti interprivati hanno trovato riscontro in interpretazioni variamente riduttive del comando contenuto nella disposizione.

Forse ha altresì giocato, in tale direzione, il convincimento, più o meno subliminale, che i problemi della salute dei lavoratori dovessero pur sempre risolversi nel quadro del meccanismo assicurativo, con il quale l’art. 2087 non si era minimamente coordinato93.

Peraltro, accanto a posizioni palesemente conservatrici94, almeno una delle tesi dell’epoca (quella per cui non poteva darsi un obbligo di sicurezza, non essendovi, a monte, un diritto del lavoratore allo svolgimento effettivo della prestazione

92 Nel senso che la novità dell’art. 2087 è stata quella di operare una piena

“contrattualizzazione” della regola già posta dall’art. 3 della legge n. 80 del 1898, cfr. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, Giuffrè, Milano, 1997, pag. 421. Per la dottrina anteriore al Codice Civile, sull’esistenza di un obbligo (accessorio) di tutela dell’incolumità ed igiene dei lavoratori, cfr. GRECO, Il contratto di lavoro, Utet, Torino,

1939, pag. 315 e segg..

93 Cfr. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, op. cit., pag. 421.

94 Come quella che ricavava dalla valenza pubblicistica della normativa in materia la

conseguenza per cui la sicurezza costituiva oggetto di un mero interesse legittimo del lavoratore: D’EUFEMIA, Diritto del lavoro, Jovene, Napoli, 1969, pag. 259. Sul carattere “bifrontale” dell’obbligo di sicurezza, operante contemporaneamente sul piano pubblicistico e privatistico cfr., invece, SMURAGLIA, La sicurezza del lavoro e la sua

tutela penale, Giuffrè, Milano, 1974, pag. 58 e segg.. Cfr. anche SUPPIEJ, Il rapporto di lavoro, Padova, Cedam, 1982, pagg. 163-165.

51

di lavoro95) era la spia di un’oggettiva difficoltà teorica: quella di dove collocare una posizione soggettiva passiva, a contenuto non patrimoniale, proprio là dove si era abituati a configurare, esclusivamente, un credito (al facere della prestazione di lavoro), e non un debito.

Poteva soccorrere la categoria dei “doveri (contrattuali) di protezione” elaborata dalla dottrina96 traendo argomento dal dovere di solidarietà ex art. 2 Cost. e dall’art. 1175 c.c., ed anche con uno specifico riferimento all’art. 208797, e successivamente affinata98. Ma anch’essa fu oggetto di forti

95 V. PERA, Osservazioni sul c.d. obbligo di sicurezza del datore di lavoro, in Probl. Sic.

Soc., 1967, pag. 868 e segg.: “c’è quindi non un diritto, ma solo e certo un interesse giuridicamente qualificato al rispetto dell’obbligo di sicurezza”, con la conseguenza che

“ove la pretesa sia inappagata, l’inosservanza del datore esonera dall’obbligo di

prestazione così divenuto inesigibile e diviene legittimo il rifiuto di lavorare”. Per una

critica, cfr. MONTUSCHI, Diritto alla salute e organizzazione del lavoro, op. cit., pag. 61 e segg., in cui l’Autore afferma che, “in tal modo, si ritorna quindi al punto di partenza,

perché di fronte all’inadempimento dell’obbligazione di sicurezza, il lavoratore può opporre semplicemente il rifiuto della prestazione, di per sé incapace di influire incisivamente sulla realtà esterna a meno che il rifiuto stesso non si combini con altri fino ad assumere la dimensione di un’astensione collettiva”. Ed infatti, “declassare tale posizione soggettiva al rango di mero interesse, solo perché in astratto l’imprenditore potrebbe rinunciare alla prestazione di lavoro, significa cancellare una situazione di vantaggio il cui rispetto è, di norma, condizione per una corretta esecuzione della prestazione e ciò per tenere conto della possibilità, del tutto imponderabile e remota, che il dominus decida di rinunciare al suo credito, abdicando il suo potere di supremazia o, se così si preferisce, di conformazione dell’obbligazione di lavoro. E’ questa, una visione abbastanza arcaica del rapporto di lavoro, (…) troppo legata al rispetto del canone generale secondo cui il creditore non può essere mai obbligato a pretendere l’adempimento potendovi rinunciare in qualsiasi momento. Mentre tale canone va riferito ed adattato alla realtà di un rapporto di durata, quale è il rapporto di lavoro”.

96 MENGONI, Obbligazioni “di risultato” e obbligazioni “di mezzi” (studio critico), in

Riv. dir. comm., 1954, I, pag. 185, 280 e 366.

97 MENGONI, Obbligazioni “di risultato”, op. cit., pag. 368, il quale, tuttavia, finisce per

riconoscere che “gli effetti della norma generale dell’art. 1175 sulla disciplina del

rapporto di lavoro sono assorbiti dalle norme di diritto pubblico sulla sicurezza del lavoro”.

98 CASTRONOVO, Obblighi di protezione, Enc. giur. Trec., XXI, Roma, Istituto della

52

critiche99: il dovere di protezione non piaceva, paventandosi che potesse risolversi nella “ghettizzazione” dell’obbligo de quo in un’area marginale del rapporto obbligatorio, che ne vanificasse la “pericolosità” giudiziaria, e con essa la capacità di incidenza reale sull’organizzazione del lavoro.

È da chiedersi, in verità, se tali timori – o quanto meno i sospetti sulle valenze “ideologiche” della teorica in esame – non fossero eccessivi100. Quella dei doveri di protezione è semplicemente una categoria dogmatica atta a razionalizzare la trasposizione dell’istanza di non-lesione di diritti assoluti, in ogni caso rilevante ex art. 2043, in seno al contratto (sì da svolgere il dovere di astensione in un obbligo “preventivo”, e